Eutanasia: l’Occidente al bivio

L’Occidente saprà sfuggire oggi al fascino degli avvocati della secolarizzazione di cui la crescente indifferenza davanti alla diffusione dell’aborto e dell’eutanasia non è che una manifestazione? Dopo le grandi battaglie contro l’aborto, ora è contro l’eutanasia che occorre riprendere la lotta.

JOSEPH JOBLIN


«Francia, fai attenzione…»: questo era l’avvertimento contenuto in tre manifesti che un teologo francese rivolse alla popolazione di quel paese per metterla in guardia innanzitutto contro l’infiltrazione nazista (1), quindi contro quella del comunismo per mezzo del progressismo (2) e, infine, contro una secolarizzazione che anestetizzava la fede (3). Il totalitarismo bruno appartiene ora ad un momento della storia passata dell’Europa e quello imposto dai Soviet alla metà di questo continente, avendo mostrato oggi il suo vero volto (4), non riesce più a mobilitare se non qualche nostalgico del sogno che esso ha suscitato; resta la terza minaccia. Se il cristianesimo ha potuto non soccombere davanti ai due primi malgrado lo scetticismo che accolse le encicliche di Pio XI Mit brennender Sorge e Divini Redemptoris nel 1937, resta il problema di sapere se l’Occidente saprà sfuggire oggi al fascino degli avvocati della secolarizzazione di cui la crescente indifferenza davanti alla diffusione dell’aborto e dell’eutanasia non è che una manifestazione. In realtà, se le grandi battaglie contro la legislazione dell’aborto hanno avuto luogo nella maggioranza dei paesi occidentali venti o venticinque anni fa, è ora contro l’eutanasia che occorrerebbe riprendere la lotta, ma troveremo noi abbastanza energia per farlo?

L’opinione pubblica viene qui in primo piano; è da essa che dipende se le società europee di domani adotteranno questa o quell’altra linea di condotta perché tutto può accadere se essa prende coscienza della sua forza; ma deve comprendere bene la posta in gioco della scelta alla quale non si può sottrarre: deve decidersi fra due tipi di sviluppo delle società: da una parte quella che, come i regimi totalitari, dà ad alcuni il diritto di uccidere degli innocenti, e dall’altra, quella che vuol rispettare fino in fondo la persona e non riconosce a nessuno questo diritto, per nessun pretesto. I capi dei regimi totalitari avevano ragione quando dicevano di voler creare un uomo nuovo; si trattava di fatto per loro di produrre un essere i cui punti di riferimento morali non avessero più niente a vedere con quelli del mondo modellato con e per mezzo del Cristianesimo; ed è per questo che esso si è opposto ad essi con tutte le sue forze spirituali. La lotta che è iniziata ora contro l’eutanasia è della stessa natura. L’ideologia soggiacente alle società europee alla svolta del millennio non riconosce più gli individui come orientati ad una trascendenza e come invitati ad uscire da se stessi ed a tradurre la Paternità universale di Dio nella realtà sociale.

I. La posta in gioco

Una certa concezione dell’uomo ha prevalso in Occidente per più di un millennio; è stata attiva e si è approfondita progressivamente. Dopo che san Tommaso e gli scolastici ebbero messo in evidenza la nozione di persona ed il suo valore, si è cercato di comprendere meglio il suo ruolo nella società; è allora che si è insistito sulla sua responsabilità perché essa ha la capacità, di sua natura, di decidersi. Come avrebbe detto Il Concilio Vaticano II, la persona ha la responsabilità di scoprire il piano di Dio sullo sviluppo del mondo e di iscriverlo o meno nella realtà (5). Così l’essere umano appare come un essere essenzialmente morale, di una moralità intesa come ciò che lo colloca libero di fronte ad un’altra libertà da cui dipende, Dio. Un filosofo contemporaneo della Cina continentale ha giustamente osservato che il fatto di esser libero di ratificare o meno, nella vita di tutti i giorni, il proprio rapporto con Dio ha costituito la molla del progresso dell’Occidente (6); a suo parere, infatti, il senso della loro responsabilità ha spinto i credenti all’introspezione per chiedersi se avevano ben corrisposto ai loro doveri nei confronti di Dio. L’uomo della civiltà occidentale fu spinto a superare se stesso per condurre il mondo più avanti, verso forme «più umane» (7) di vita sociale. L’umanità ha sempre riconosciuto in certe strutture sociali gli elementi costitutivi di ogni società, e cioè che ogni individuo è un essere morale capace di bene o di male, che la famiglia è l’ambiente naturale grazie al quale egli si sviluppa, che il gruppo (tribù o nazione) è l’ambito di vita indispensabile alla sua sopravvivenza materiale ed al suo sviluppo umano, che certe regole non possono essere infrante senza danni; ma allo stesso tempo essa vede la difficoltà di rispettarle. Per il cristiano, lo sviluppo delle società umane è sottoposto a leggi iscritte nella natura del mondo (8) e questa storia temporale può essere scoperta dalla ragione; ma, allo stesso tempo, essa è integrata in un’altra di ordine soprannaturale che gli permette di risolvere la contraddizione nella quale si trovano gli individui e le società. Egli sa che la natura dell’uomo è stata rovinata dal peccato e che essa è stata mirabilmente restaurata da Cristo. Egli vede in Lui il Salvatore del mondo perché gli offre una possibilità di redenzione personale e per il fatto che insegna agli uomini divisi la via della riconciliazione (9). Questa visione è agli antipodi di quella che si va diffondendo in Occidente. Essa la contraddice su due punti essenziali; la vita umana è qualcosa di specifico; la dignità dell’essere umano è un dato oggettivo che si impone al riconoscimento da parte di tutti. Una nuova visione dell’uomo si è andata affermando a partire dal Rinascimento; essa si è generalizzata nel corso dei due ultimi secoli. Respinta all’inizio con orrore, essa è nondimeno penetrata nell’opinione comune come lo testimonia la messa in discussione di regole che generazioni intere avevano giudicato intangibili. Se i primi dibattiti furono sul divorzio e poi sull’aborto, riguardano ora l’ammissibilità dell’eutanasia. Si estendono poco a poco alla legittimità delle madri in affitto, dell’omosessualità, della libertà sessuale, della limitazione del diritto dei genitori sui loro figli in nome della libertà di questi ultimi, dell’inseminazione artificiale, della possibilità di utilizzare embrioni detti sovrannumerari per esperimenti o per ottenere tessuti, ecc… Occorre rendersi ben conto che tutto questo procede da una sola e identica logica. Lo sviluppo delle società che è attuato sotto i nostri occhi fa riferimento ad una nuova scala di valori ed implica una nuova antropologia. La ragione è considerata come capace di raggiungere da sola la verità sull’uomo; Dio è rimasto in fondo una semplice ipotesi che si poteva adottare o meno. La via delle certezze razionali ed immediate è stata contrapposta a quella dei suoi comandamenti. L’uomo riprende così il sogno dei pensatori greci, che, per mezzo dei miti di Prometeo e di Tantalo, rivendicavano il diritto di orientare essi stessi il loro destino (10). Il mondo attuale in Occidente è secolarizzato. I tabù della procreazione come quelli della morte subita e vissuta nella dignità non valgono più. Mentre una volta ognuno era invitato a reagire in modo cosciente e responsabile davanti ad un fatto di natura che era il segno della sua condizione, il libero accesso all’aborto, all’eutanasia – che ora si diffonde, e anche la libera utilizzazione dei progressi della bioetica sono percepiti come il segno della dignità poiché sembrano rendere l’uomo capace di divenire arbitro del suo sviluppo. Questo stato di cose si trova alla conclusione logica di un’evoluzione che, dopo aver fatto della Trascendenza un’ipotesi intellettuale ha affidato alla sola ragione di «occuparsi degli affari umani» (Grotius). Così la molla morale che era stata all’origine del dinamismo della civiltà dell’Occidente si è trovata infranta. Una contestazione radicale del Cristianesimo è quindi oggi in atto nel mondo occidentale; essa concerne il ruolo dell’uomo nell’universo; si tratta di sapere se il suo ruolo storico quale definito dal Cristianesimo e dalla civiltà greco-latina è ora terminato; se la civiltà nata nel bacino mediterraneo deve scomparire per far posto ad un’altra che sarebbe quella di una nuova umanità.

II. Cosa scegliere?

L’uomo non può sfuggire ad una scelta, quella di concepire lo sviluppo umano come dipendente o meno dalla dimensione religiosa dell’esistenza. La sua decisione determinerà i suoi comportamenti. I sostenitori dell’una o dell’altra posizione non hanno mancato di avanzare argomentazioni: esse si rispondono le une alle altre. Sono certamente utili ed anche indispensabili; ma l’opzione finale non ha luogo al livello della ragione ma della coscienza. La fonte di moralità per la quale essa si determinerà trascinerà l’intelligenza verso l’adozione di questa o di quella interpretazione dell’esistenza dell’uomo e del mondo.

L’alternativa

La visione religiosa dello sviluppo umano è combattuta in nome di due affermazioni: a) la vita umana non ha una sua specificità; b) compete dunque alla società di determinare le norme che assicurino il rispetto della sua dignità. Una corrente di pensiero opposta a quella che si è formata sotto l’influenza del cristianesimo si è sviluppata in Occidente a partire dal Rinascimento; all’inizio fu l’appannaggio di qual- che spirito anticonformista (Jacques Vallée des Barreaux, Cyrano de Bergerac e altri), progressivamente si è diffuso nelle masse durante il 19° ed il 20° secolo, prima di manifestarsi in forme estreme. Si potrebbero citare dei testi di Charles Richer o d’Alexis Carrel che spiegano come la vita non avrebbe valore se non per colui che è cosciente. La conseguenza è che occorre avere pietà di coloro che sono ridotti ad un’esistenza vegetativa o si sono squalificati come membri della comunità umana; occorre disporre di loro in «modo umano ed economico». La risposta a questa argomentazione si è sempre collocata a due livelli: da una parte la vita umana è diversa dalla vita animale, dall’altra la dignità dell’uomo, e quindi la sua inviolabilità, si fonda sulla sua natura e non deriva da un riconoscimento che gli verrebbe dall’esterno.

Specificità della vita umana

Che la vita umana sia diversa qualitativamente da quella di tutti gli altri esseri viventi emerge come un’evidenza del senso comune. Solo l’essere umano è capace di riflettere, di orientare le sue azioni in modo libero, di dare un’impronta al mondo che lo circonda. Il primo capitolo della Genesi affidandogli la gestione del creato non fa che confermare l’esperienza quotidiana. L’uomo domina la creazione. L’esperienza mostra che una relazione vitale esiste fra l’essere umano che non è ancora nato o ha perduto conoscenza e l’ambiente che li circonda. Il bambino nel seno materno soffre e la sua psicologia futura sarà influenzata dai sentimenti che sua madre avrà nutrito nei suoi confronti durante il periodo della gestazione; quanto agli esseri umani già nati ma afflitti da una diminuzione delle loro facoltà, anche se questa sembra totale, sono sempre sensibili alle relazioni che si hanno con loro, anche se non possono esprimersi. Un problema è stato sollevato, quello di sapere se il detentore dell’esistenza può rinunciarvi (11). Egli è costituito da essa; volerne disporre con il suicidio o con l’eutanasia programmata, è in qualche modo distaccarsi dalla sua identità; è costituirsi come un altro io che viene a giudicare quello che effettivamente è il mio. L’atto di colui che mette fine ai suoi giorni con il pretesto che ha vissuto abbastanza conferma il valore assoluto della vita; egli afferma il suo potere di esistere sopprimendosi. La pretesa dell’uomo contemporaneo di comportarsi come se fosse il padrone assoluto del creato e di trattarlo come un insieme di dati di cui potrebbe disporre a suo piacimento è inammissibile per il cristiano e per ogni uomo che sa di abitare un mondo di cui non è l’autore (12).

La dignità dell’uomo

Le discussioni sul fondamento della dignità umana sono al centro del dibattito fra il Cristianesimo e la civiltà contemporanea; possono essere riassunte in un’alternativa, quella di decidere se la posizione eminente che occupa l’uomo nel mondo provenga dal fatto che egli è il detentore di una dignità innata ovvero se questa sia dovuta a circostanze particolari di cui è giudice la società. In altri termini, la dignità dell’uomo deriva dal fatto che egli è stato costituito come un essere libero e responsabile e che un giudizio sarà effettuato sul modo con cui avrà fatto uso della sua responsabilità ovvero lo si deve rispettare solamente finché le facoltà che ha a partire dalla sua intelligenza restano in lui percettibili? Nel primo caso, si afferma che l’essere umano è costituito – è stato creato, dicono i cristiani – come una persona responsabile; in questo caso la sua dignità gli è allora costitutiva; appartenendo ad ogni essere umano in quanto persona, essa non dipende dalla libera volontà degli altri; non solo, ma si impone ad essi e limita la loro libertà d’azione; la sua protezione fa parte dell’ordine pubblico come afferma la Dichiarazione del 1789 nel suo Preambolo. La dignità dell’uomo è un dato oggettivo che si impone ad ogni uomo come ad ogni legislatore; questa verità è stata fermamente richiamata da Pio XI di fronte ai totalitarismi (13). Le regole adottate da numerose civiltà e le posizioni prese dalla Chiesa sui problemi della società si ispirano a questa idea che ogni uomo ha un valore in sé. Fondandola sulla rivelazione, la Chiesa gli dà una forza ed un’autorità che non possono essere trasgredite. Il secondo caso è quello in cui l’uomo riceve la sua dignità da un riconoscimento della società. Ma se la dignità di un essere umano dipende dal fatto che è riconosciuta dal suo ambiente, diviene legittimo non rispettarla quando questo riconoscimento manca. Non è così che i regimi totalitari hanno agito ogni volta che hanno proceduto a stermini di massa di categorie sociali dichiarate indegne di vivere a causa del loro sesso, della loro religione, del loro colore, della loro razza? La verità di una tesi si giudica non solo dalla coerenza del suo contenuto ma anche dalle conseguenze logiche che derivano dalla sua asserzione; queste conseguenze sono in essa fin dal principio e bastano alcune circostanze speciali perché esse sviluppino i loro effetti. Un consenso esiste nell’umanità che riconosce la qualità specifica dell’essere umano; ma il fondamento di questa resta troppo spesso velato; non è stato veramente approfondito se non dalla rivelazione biblica che ha sempre insegnato l’inviolabilità della vita umana e dal Cristianesimo che, inequivocabilmente, ha dichiarato che l’uomo è capace di una vita soprannaturale e gravida della promessa di una vita anche dopo la morte. Di fatto, laddove il cristianesimo si affievolisce, si vede mettere in dubbio la dignità

innata dell’uomo ed il carattere inviolabile della vita. Le due cose infatti sono collegate. Non si può dunque non interrogarsi sulle conseguenze della nuova cultura che si sviluppa nei paesi occidentali e che Giovanni Paolo II ha chiamato una «cultura di morte». Gli effetti che già constatiamo non sono forse in contraddizione totale con le esigenze di uno sviluppo spirituale dell’umanità? La nozione di dignità umana è al centro delle attuali discussioni della società. Senza dubbio esse sarebbero più illuminate se si distinguesse più chiaramente il suo fondamento e la percezione che ne ha la società. Ogni essere umano ha la «capacità» di agire come persona responsabile. Al di là di questo zoccolo duro che sfugge al dominio dell’uomo vi è lo sviluppo della dignità; questo si ottiene per mezzo dei contatti che sono stabiliti con gli altri uomini. L’uomo è un animale sociale; cioè non raggiunge la sua piena statura se non nella sua relazione con gli altri, una relazione fatta di sentimenti di uguaglianza e di affetto. Medici e personale infermiere riconoscono volentieri di aver fatto l’esperienza di quanto l’assistenza umana testimoniata ad un malato in fase terminale e che apparentemente ha perduto conoscenza può ridargli come gioia ed energia. Il fatto di partecipare ad un progetto comune e di entrare in una rete di relazioni permette di sviluppare il senso che un essere umano ha della sua dignità e di accrescere le ragioni di riconoscergliela, ma non può esserne la causa perché allora perderebbe il suo carattere assoluto che protegge ogni individuo contro l’arbitrio degli altri e dello Stato. Due umanesimi si contrappongono: quello dei cristiani, e di tutti coloro che affermano la realtà del soggetto, e quello dei pensatori contemporanei che denunciano la tradizione giudeo-cristiana per il ruolo preminente che riconosce all’uomo nella creazione. La loro antropologia elimina la Storia e considera l’individuo come se vivesse una successione di istanti. Ci si trova di fatto in presenza di una rottura nella tradizione. Mentre i codici di etica medica condannano l’eutanasia, oggi si argomenta a partire dal fatto che «la dignità è ciò che definisce la vita umana» (14), posizione che permette gli attentati alla vita quando la società non riconosce più questa dignità.

Conclusione: il progresso umano in crisi

Il disegno di perseguire il progresso umano trascurando la sua dimensione religiosa si fonda su di un’illusione perché priva individui e comunità di un riferimento comune e superiore al quale possano riferirsi per conciliare i loro interessi divergenti; espone il raggiungimento del progresso umano ad una grave crisi. L’affermazione di cui sopra potrà sorprendere più di una persona. Ma non si vedono forse i progressi della tecnologia sconvolgere le condizioni di vita materiali e l’ambito dei valori così come quello della loro gerarchia? Le comunicazioni fra gli uomini si moltiplicano; i mezzi di apprendimento, di conoscenza, di dominio della natura sembrano infiniti. Le esperienze riuscite di clonazione non mostrano forse che l’uomo acquisisce un dominio della vita che gli permette di sperare di dominare la morte? Le Cassandre non sono mai ben accolte quando avvertono dei pericoli di una strada che sembra aprirsi sull’infinito; e tuttavia colui che riflette sulla trasformazione della condizione umana che è in atto in Occidente non può non interrogarsi. I progressi tecnici così come quelli nell’organizzazione democratica delle società sono stati dovuti ad un desiderio di promuovere simultaneamente sviluppo materiale e progresso spirituale. Una politica di sviluppo che fosse privata di una relazione con la Trascendenza non potrebbe che perdere energia e bloccare quell’impegno di miglioramento morale che ha dato il suo slancio alla crescita dell’umanità. Le comunità cristiane si trovano oggi davanti ad una sfida imponente perché sono investite dall’ateismo dell’ambiente che mette in discussione il carattere assoluto della vita. Di fatto esse sono consapevoli che non è sufficiente richiamare i fondamenti dottrinali dell’antropologia cristiana pur sapendo che questo insegnamento è indispensabile. I cristiani devono imparare a sottolineare la loro specificità nei grandi dibattiti della società. L’educazione cristiana deve qui essere ripensata: essa deve abituare a discernere nel quotidiano dell’esistenza ciò che è contrario alla vita per respingerlo quasi istintivamente ed a scegliere ciò che favorisce il suo sviluppo a tutti i livelli tanto biologico che intellettuale e religioso. In un’epoca che ha preso coscienza dell’unità del genere umano e della necessità di tendere verso un’organizzazione della società mondiale che sia garante di pace, due vie si offrono agli uomini del XXI secolo, due vie fra le quali oggi la scelta è loro offerta nei dibattiti sull’eutanasia: l’una, che fu quella aperta dai teologi e dagli umanisti come Vives o Erasmo nel Rinascimento, pone come esigenza prima il rispetto assoluto della vita e dell’uguaglianza che implica tra tutti gli esseri umani in nome della loro dignità costitutiva. L’altra, che non vedendo in ogni vita umana un assoluto che debba esser rispettato in ogni circostanza, permette di escludere dal suo seno gli individui e i gruppi la cui razza, il sesso o la religione sono considerati come un disturbo per la società. Escludendo la Trascendenza, essa priva gli attori sociali dell’esigenza morale interiore che permetterebbe loro di controbilanciare la loro inclinazione al dominio dei più deboli. Questo è il bivio davanti al quale l’uomo del 21° secolo è posto dalle questioni dell’eutanasia e della bioetica. Egli non può eludere la sua responsabilità di promuovere la dignità dell’uomo nella verità.

 

Note:

1) G. Fessard, France prends garde de perdre ton âme, Primo quaderno clandestino di Témoignage chrétien 1941, p. 17.

2) G. Fessard, France, prends garde de perdre ta liberté! ed. Témoignage chrétien, Paris 1945, p. 151; cfr anche l’Allocuzione di Pio XI in occasione dell’esposizione sulla stampa cattolica mondiale il 12 maggio 1936, che indicava il comunismo come l’«avversario principale che occorre combattere».

3) G. Fessard, Eglise de France, prends garde de perdre la foi!, Julliard Paris 1979, p. 250.

4) S. Courtois, Le livre noir du communisme. Crimes, terreur, répression, Laffont Paris 1997, p. 848.

5) Gaudium et spes § 43.2; Centesimus annus § 59.

6) Liu Xaobo, The inspiration of New York: meditations of an iconoclast in Problems of communism (Washington) Jan.-Apr. 1991, pp. 113-118; G. BARME, Confusion, Redemption and death: Liu Xaobo and the protest movement of 1989 in G. HICKS, The broken Mirror. China after Tienanmen, Longman UK 1990, pp. 52-99.

7) Populorum progressio 20.

8) J. Joblin, Actualité du Christianisme dans le processus de mondialisation in Communio 2000/1, pp. 57-69.

9) M. Sales, Introduction in G. Fessard, Le Mystère de la société, Culture et vérité, Bruxelles 1997, p. 78.

10) A. Jeanniere, Lire Platon, Aubier Paris 1990, pp. 43-45.

11) A. Lizotte, Y a-t-il un droit au suicide? in Liberté politique 1999/8, pp. 53-72.

12) Cfr Pio XII, Radiomessaggio natalizio del 1956 (AAS, 49 [1957], pp. 5-22), in cui rimprovera all’uomo moderno di comportarsi come un ingegnere che tratti l’essere vivente come la materia inerte.

13) Mit brennender Sorge § 37 (AAS 29 [1937] pp. 145-167), cfr specialmente pp. 159- 160.

14) Questa espressione si trova in una risoluzione adottata per iniziativa del Dott. Schwartzenberg dalla commissione dell’ambiente, della sanità e della protezione del consumatore durante una sessione della Assemblea nazionale francese il 25 aprile 1991 (cfr Le Monde 3 maggio 1991, p.10).

 

© L’OSSERVATORE ROMANO Mercoledì 10 Maggio 2000