Prof. A. Torresani. 2. 1 La Polonia, un vaso d’argilla tra vasi di ferro – 2. 2 L’assurdo costituzionale del liberum veto – 2. 3 L’Impero turco nel XVII secolo – 2. 4 Il tramonto della Svezia come grande potenza – 2. 5 Le trasformazioni interne della Danimarca – 2. 6 Cronologia essenziale – 2. 7 Il documento storico – 2. 8 In biblioteca
Cap. 2 Il declino di Polonia, Impero turco e Svezia
Mentre Luigi XIV tentava l’egemonia nell’Europa occidentale, il grande impero turco conobbe una certa ripresa che lo portò fino a cingere d’assedio Vienna, anche se seguì una rovinosa sconfitta. La coalizione dei vincitori, Polonia e impero absburgico, si sciolse perché l’impero si trovò coinvolto dalla guerra ancora una volta suscitata da Luigi XIV, e la Polonia dalla crescente pressione esercitata dalla Russia.
Nel XVII secolo la Polonia conobbe una progressiva involuzione politica, che nel secolo successivo la condusse alla scomparsa come Stato sovrano. La nobiltà, molto numerosa, riuscì ad affermare il principio del liberum veto in seno alla dieta: bastava un solo deputato dissidente per bloccare ogni deliberazione politica. La Polonia evitò l’immediato smembramento solo perché i nemici erano divisi tra loro. La Polonia a nord doveva fronteggiare l’imperialismo svedese mirante a occupare le rive del Baltico; a est doveva fronteggiare la forza crescente della Russia; a nord-ovest il dinamismo del Brandeburgo, forte dell’alleanza con la Francia; a sud esisteva la minaccia permanente dei cosacchi del Dnepr, dei tatari di Crimea e dell’impero turco.
Sempre nel corso del XVII secolo l’impero turco mostrò con la disfatta di Vienna di non aver colto i grandi mutamenti accaduti nell’Europa occidentale sul piano culturale e tecnico. Solo l’abilità dei due gran visir Köprülü rimandò alla fine del secolo la decadenza politica dei Turchi, spesso battuti sul campo di battaglia, ma sempre abili nel salvare al tavolo delle trattative le loro posizioni.
La decadenza della Polonia e dell’impero turco fece risaltare la funzione assunta dalla Russia e dalla Svezia nell’Europa nord-orientale, che all’inizio del nuovo secolo si tradurrà in lotta per l’egemonia, nel corso di una guerra parallela a quella di successione spagnola, che segnò la definitiva ascesa della Russia al rango di grande potenza, mentre la Prussia assumeva la funzione di gendarme incaricato di mantenere l’equilibrio in quel settore, al posto della Svezia uscita ridimensionata dalla guerra del nord.
2. 1 La Polonia, un vaso d’argilla tra vasi di ferro
Verso la metà del XVII secolo la Polonia era un estesissimo Stato comprendente anche la Lituania, gran parte della Bielorussia e dell’Ucraina. Lo Stato aveva una popolazione di quasi dieci milioni di abitanti, ma solo la metà erano polacchi. C’erano due importanti minoranze, gli ebrei che abitavano a Oriente e i tedeschi che abitavano soprattutto a Occidente. Le componenti etniche erano divise sul piano religioso: i polacchi e i lituani erano cattolici; gli ucraini e i russi bianchi erano in parte uniati (cattolici di rito orientale che riconoscevano il primato del papa) e in parte ortodossi: i tedeschi erano in larga misura protestanti.
Esportazioni di grano Il paese aveva una struttura agricola e produceva grano che alimentava una notevole esportazione attraverso il Baltico. La nobiltà era numerosa, ma solo un gruppo ristretto di grandi proprietari terrieri contava veramente, controllando la vita dello Stato. Il resto della nobiltà (Szlachta) aveva piccole proprietà terriere e spesso si trovava alle dipendenze delle grandi famiglie.
La dieta polacca La dieta, istituita verso la fine del XV secolo, non rappresentava le diverse categorie sociali della Polonia, bensì solo la nobiltà. La dieta era composta da due camere: il senato formato dai vescovi e dai magnati; e la seconda camera in cui erano presenti i rappresentanti della piccola nobiltà e delle città del regno, in posizione subordinata rispetto al senato. La dieta esercitava il potere legislativo e aveva il diritto di approvare il carico delle tasse e dei tributi.
Progressivo indebolimento della monarchia A differenza di quanto accadeva in Francia, a partire dall’anno 1572, quando morì l’ultimo re della dinastia degli Jagelloni, la storia costituzionale della Polonia è caratterizzata dall’indebolimento della monarchia e della dieta. Tutti i membri della nobiltà avevano diritto di voto e si accordavano per eleggere re di Polonia solo membri delle dinastie regnanti in Europa. Per molti anni i re eletti appartennero alla dinastia dei Vasa svedesi, finché nel 1668 Giovanni II Casimiro rassegnò le dimissioni, non riuscendo a far prevalere la sua linea politica contro lo scatenamento delle fazioni nobiliari, ciascuna delle quali trovava appoggio in uno degli Stati esteri in grado di influenzare la politica della Polonia. Fino alla metà del XVII secolo la Polonia era riuscita a mantenere una posizione di predominio nell’Europa orientale, sconfiggendo ripetutamente la Russia, ma in seguito le guerre in cui fu coinvolta la Polonia la avviarono a un rapido tramonto.
Rivolta dei cosacchi del Dnepr I conflitti cominciarono nel 1648 con la rivolta dei cosacchi del Dnepr, il fiume che passa per Kiev, capeggiati dall’atamano (capo dell’etnia cosacca) Bogdan Chmelnickij. Alla rivolta si unirono i contadini dell’Ucraina polacca, resistendo ai tentativi di sottomissione. La questione divenne internazionale, perché i rivoltosi ebbero l’aiuto dello zar della Moscovia, che invase la Lituania e conquistò i territori fino al Dnepr e alla Dvina occidentale. Mai nel corso dei secolari conflitti con la Russia, la Polonia aveva perduto tanti territori nel corso di una sola campagna. Tali sconfitte minacciavano di far scomparire la Polonia e con essa l’equilibrio dell’est europeo.
Intervento della Svezia Nel 1655, perciò, Carlo X di Svezia si decise per la guerra: le truppe svedesi entrarono in Polonia occupando Varsavia e Cracovia. Giovanni II Casimiro abbandonò il paese, rifugiandosi in Slesia. Se non si giunse alla spartizione della Polonia tra Svezia e Russia lo si dovette ai contrasti tra i vincitori. I tatari della Crimea abbandonarono i cosacchi di Chmelnickij e si unirono ai polacchi assediati nella città di Leopoli. Nel dicembre 1655 Giovanni II Casimiro poté rimettersi a capo di un esercito polacco, riprendendo la guerra patriottica contro gli svedesi: l’episodio più famoso della guerra fu l’eroica difesa del monastero di Jasna Gora vicino a Czestochowa, dove si venera la Madonna Nera.
Riavvicinamento tra Polonia e Russia Il conflitto che opponeva l’impero absburgico e la Svezia indusse l’imperatore Ferdinando III a proporsi come mediatore tra Polonia e Russia: nel 1656 si giunse a un trattato di amicizia tra i due paesi, con la promessa di far eleggere lo zar Alessio a re di Polonia nella futura dieta polacca. Era un modo per prendere tempo e combattere contro la Svezia: infatti anche la Russia si trovò a dover fronteggiare gli svedesi in Livonia e in Finlandia.
Nuovo intervento della Svezia Nel 1657 Carlo X di Svazia invase di nuovo la Polonia con l’aiuto di Chmelnickij, ma ancora una volta le vittorie della coalizione antipolacca indussero l’impero e la Danimarca a intervenire in guerra contro la Svezia. L’elettore Federico Guglielmo, con la mediazione dell’imperatore, propose un’alleanza tra Brandeburgo e Polonia: in cambio dell’alleanza, la Polonia rinunciò alla sovranità feudale sulla Prussia orientale.
La pace di Oliva A Oliva vicino a Danzica, nel 1660 fu firmata la pace: la Polonia riuscì a mantenere la maggior parte dei suoi antichi domini. Cedette invece la parte dell’Ucraina che si trova a est del Dnepr, e Kiev che si trova sulla riva occidentale sempre del Dnepr. L’armistizio con la Russia che sanciva questi mutamenti fu firmato ad Andrusovo: la Polonia perdeva un quinto del suo territorio, ma acquistava maggiore unità etnica. Il fatto nuovo emerso dalla guerra fu l’egemonia della Russia sull’est europeo.
L’impero turco apre le ostilità in Podolia A partire dal 1670 l’impero turco fu il maggiore nemico della Polonia. Ancora una volta i cosacchi iniziarono il conflitto. L’atamano Durosenko sollecitò i Turchi a invadere la Podolia assediando la fortezza di Kamenec. Michele Wisniowiecki era stato nominato re dai nobili polacchi nel 1668 dopo l’abdicazione di Giovanni II Casimiro, sovvertendo la tradizione perché non apparteneva a una famiglia regnante. Il nuovo re aveva sposato un’arciduchessa austriaca e perciò in qualche modo il vincitore era stato il partito dell’impero, ma il Wisniowiecki si dimostrò incapace.
Giovanni III Sobieski Nel 1674 fu eletto re di Polonia Giovanni III Sobieski, sempre in omaggio al principio di assegnare il trono a un polacco. Sobieski si rivelò un grande generale, riportando nel 1673 la vittoria sui Turchi. Un’altra vittoria fu riportata dal Sobieski in Galizia nel 1676, ma in quel momento la politica filofrancese del suo governo non gli permetteva di sfruttare la vittoria (il governo turco era alleato della Francia). Dopo il 1679 la politica di Giovanni III Sobieski fu decisamente ostile ai Turchi e l’alleanza stipulata con l’imperatore Leopoldo I nel 1683 fu determinante per il successo delle armate cristiane nel corso del famoso assedio di Vienna.
La vittoria sui Turchi ultimo successo polacco Questo fu l’ultimo trionfo militare e diplomatico della Polonia, perché nelle successive campagne della Lega santa, la Polonia ebbe una parte secondaria. Giovanni III Sobieski tentò di occupare la Moldavia e la Valacchia, e di riprendere la fortezza di Kamenec, ma questi tentativi fallirono e solo dopo la pace di Carlowitz (1699), dopo la morte del Sobieski, la Polonia rioccupò la Podolia e l’Ucraina a occidente del Dnepr.
2. 2 L’assurdo costituzionale del liberum veto
L’origine della singolare circostanza per cui un solo voto contrario nella dieta polacca bastava a bloccare una deliberazione risaliva a un certo Sicinski che nel 1652 presentò una mozione contro la delibera dell’assemblea di prolungare di un giorno la sessione della dieta. In quell’occasione la maggioranza (cioè tutti meno uno) si ostinò a chiedere il ritiro della mozione di Sicinski per approvare il prolungamento della sessione. Costui si rifiutò e la dieta sospese i lavori senza prendere alcuna decisione: ma con ciò si era creato un precedente.
Paralisi dell’assemblea Nel 1669 fu invocato il liberum veto e nel 1688 la dieta non riuscì a eleggere il moderatore dell’assemblea. Almeno metà delle diete convocate da Giovanni Sobieski non portarono a termine i lavori e, anzi, il liberum veto fu invocato anche nelle diete provinciali. La naturale conclusione fu la paralisi della dieta, grave perché in Polonia non c’era un sistema ordinario di tassazione e quindi ogni anno l’ammontare delle tasse e la loro ripartizione esigeva il voto favorevole.
È impedita la formazione di un esercito stabile Le conseguenze apparvero drammatiche quando si vide la necessità di disporre di un esercito permanente, senza ricorrere alla leva della nobiltà, sempre lenta e inceppata da infinite eccezioni. La mancanza di fondi per mantenere l’esercito rendeva necessaria la convocazione della dieta che, a sua volta, difficilmente raggiungeva l’unanimità. Infatti, le potenze straniere finanziavano ciascuna un gruppo di nobili che si paralizzavano a vicenda col veto, rendendo precaria la situazione dello Stato polacco. Neppure un personaggio energico come il Sobieski poté riformare quell’assurdo costituzionale che impedì la riforma dello Stato.
Le spartizioni della Polonia Quando le potenze europee trovarono l’accordo, procedettero a tre spartizioni dello Stato polacco nel corso del XVIII secolo. Per tutto il XVII secolo la potenza della Francia cattolica riuscì a impedire la distruzione della cattolica Polonia che non ha mai avuto confini ben delimitati. Per mantenere unita la nazione c’era solo la fede religiosa che assunse una funzione patriottica a difesa della Polonia contro i luterani svedesi e tedeschi, contro gli ortodossi russi e contro i turchi musulmani. La Polonia divenne il principale ostacolo della Russia per raggiungere il Baltico da una parte e il Mar Nero dall’altra, ossia per favorire la marcia a Occidente alla Russia che fino a quel momento era stata una potenza asiatica. Quando con Pietro il Grande gli obiettivi della Russia furono raggiunti, le esigenze dell’equilibrio delle potenze condussero la Francia a praticare una politica di amicizia verso la Russia alla quale fu sacrificata la Polonia.
2. 3 L’impero turco nel XVII secolo
Secondo la famosa analisi del Machiavelli, il potere dell’impero turco era assoluto e concentrato nelle mani del sultano: se si riusciva a sconfiggere il sultano, il vincitore poteva insediarsi nella sua capitale e dominare agevolmente su popolazioni avvezze alla schiavitù.
Dimensione dell’impero turco Il ragionamento del Machiavelli non teneva conto delle dimensioni dell’impero turco, esteso su tre continenti: in Europa i confini dell’impero turco arrivavano fin quasi a Vienna; in Africa tutte le coste sul Mediterraneo erano turche; il Mar Nero e il Mar Rosso erano mari interni dell’impero, che a Oriente giungeva fino al Mar Caspio e al Golfo Persico. Forse la popolazione arrivava a 25 milioni di abitanti, tra i quali i Turchi erano in minoranza.
Struttura invecchiata dell’impero turco Gli ordinamenti dati all’impero dai sultani del XVI secolo continuavano a sussistere, ma non erano stati toccati dai grandi mutamenti culturali e scientifici avvenuti nell’Europa occidentale e quindi apparivano obsoleti. L’esercito dei giannizzeri era sempre reclutato tra le popolazioni cristiane dei Balcani, ma non erano stati migliorati i servizi dell’esercito (artiglieria, genio, sussistenza ecc.) che verso la metà del XVII secolo avevano mutato l’aspetto degli eserciti occidentali: è chiaro che per realizzare quelle trasformazioni sarebbe stato necessario possedere le conoscenze matematiche e tecniche che le avevano permesse. La fanteria dei giannizzeri e la cavalleria feudale erano rimaste perciò al livello del secolo precedente.
La diplomazia turca Tuttavia, anche per le potenze occidentali più affermate era impossibile giungere a Costantinopoli e le guerre erano combattute alla periferia dell’impero turco, nei Balcani e sul Mediterraneo. La diplomazia turca, erede della diplomazia bizantina, sapeva dividere i nemici, al punto di ottenere al tavolo delle trattative ciò che era stato perduto sul campo di battaglia: non fu raro il caso di tributi pagati agli sconfitti turchi perché chiudessero il contenzioso lungo una frontiera, lasciando libero l’avversario di occuparsi di altri problemi.
Crisi del sultanato turco L’impero turco aveva problemi che nascevano dalle sue dimensioni. Per prosperare, avrebbe avuto bisogno di una classe dirigente qualificata, con forte senso dello Stato, di una burocrazia colta e immune dalla corruzione. Invece avveniva il contrario. L’impero turco non ebbe sultani validi: qualcuno divenne pazzo, altri furono dominati dalla madre o dalle mogli, altri si abbandonarono alla passione per la caccia come avvenne a Maometto IV.
Emerge la potenza dei gran visir Enorme importanza assunsero i gran visir che governarono al posto di quei sultani fannulloni: nella seconda metà del XVII secolo ci furono cinque gran visir della famiglia Köprülü di origine albanese, i quali, pur non riuscendo a modificare la struttura dell’impero turco, riuscirono a farlo funzionare, rimandando la crisi al secolo successivo.
Colpo di Stato a Costantinopoli A Murad II (1623-1640), sotto il quale l’impero turco fiorì perché fu possibile stroncare l’anarchia e la corruzione dei regni precedenti, successe il più fiacco fratello Ibrahim (1640-1648). Il sultano dette segni di squilibrio mentale: nelle province si diffuse il malgoverno e abusi di ogni genere. Ci furono sommosse e ribellioni, e la guerra portata dai Veneziani fin quasi alle porte di Costantinopoli. I cosacchi attaccarono l’impero dalla parte del Mar Nero. Il potere a Costantinopoli fu assunto dal gran muftì, il capo religioso dell’Islam, custode della legge coranica, e dalla regina madre Kösem che, operando una rivoluzione di palazzo, deposero Ibrahim, nominando sultano il figlio di sette anni Maometto IV. Costui era troppo giovane per governare, e perciò il potere divenne oggetto di contesa tra Kösem, nonna, e Turham, madre del sultano. La lotta tra le due donne fu aspra: la prima poteva contare sulla fedeltà dei giannizzeri e si proponeva di abbattere il giovanissimo sultano per far salire sul trono il fratello minore Solimano, ma quando tutto era pronto per il colpo di Stato, Kösem fu uccisa da partigiani di Turham. I giannizzeri persero molta influenza; l’educazione del giovane sultano fu trascurata: fece il cacciatore, mentre la madre si occupava degli affari di governo, nominando un intelligente gran visir, Tarhoncu Ahmed Pascià, che cercò di arginare la svalutazione. Questa politica ebbe l’inconveniente di urtare troppi interessi e dopo nove mesi Tarhoncu Ahmed fu deposto e giustiziato. Nel 1655 la guerra di Creta proseguiva: l’ammiraglio veneziano Lazzaro Mocenigo riportò una vittoria sulla flotta turca bloccando i rifornimenti di viveri e armi a Costantinopoli.
Il gran visir Köprülü In quel frangente emerse il nome di un energico aspirante alla poco invidiabile carica di gran visir, ossia responsabile effettivo della politica dell’impero turco, Köprülü Mehemet Pascià. Köprülü pose numerose condizioni prima di accettare: nessuna critica al suo operato, controllo di tutti i rapporti presentati a corte, libertà per le nomine di governatori e funzionari che dovevano essere di suo gradimento. In altre parole volle i poteri effettivi di un sultano. La regina madre accettò quelle condizioni e nel 1656 Köprülü accettò la nomina alla carica di gran visir.
Epurazione a corte Appena nominato Köprülü procedette a una epurazione di funzionari corrotti e inefficienti, tra cui il tesoriere e il gran muftì che era anche comandante della flotta. Molti avversari furono giustiziati, tra cui il patriarca degli ortodossi Partenio III, ritenuto responsabile della rivolta degli ospodari di Moldavia e Valacchia. Sembra che il numero delle vittime abbia superato le 50.000 persone. Furono ridotte le spese non essenziali e il bilancio fu portato in pareggio. Le rivolte contro il governo in Transilvania e in Asia Minore furono schiacciate. Poi fu la volta dei nemici esterni: nel 1657 le isole di Tenedo e Lemno furono tolte ai Veneziani, Costantinopoli poté venir rifornita e la guerra a Creta tornò favorevole ai turchi. Köprülü in persona guidò la spedizione in Transilvania, necessaria per mantenere il controllo dell’Ungheria e alla fine riuscì nelle sue imprese anche se non poté vederle compiute perché morì nel 1661. La sua azione di governo non condusse al rinnovamento dell’impero turco, ma solo a una ripresa, usando gli stessi metodi di terrore impiegati in passato, gli unici efficaci in quel contesto.
Il nuovo gran visir Il successore alla carica di gran visir fu il figlio Köprülü Fadil Ahmed Pascià, giovanissimo, al potere dal 1661 al 1676, in possesso di doti ancor più spiccate del padre. Non ricorse al terrore, fu onesto, ostile a ogni fanatismo, promotore delle arti. La maggior realizzazione di Köprülü Fadil Ahmed fu la conquista di Candia (Creta) che i Veneziani perdettero nel 1669: il Mediterraneo orientale si trovava sotto il totale controllo turco. Sul fronte terrestre contro gli Absburgo, il gran visir guidò una campagna militare in Ungheria mettendo in difficoltà l’imperatore Leopoldo I.
L’esercito turco riprende l’iniziativa Nell’agosto 1664 l’esercito turco passò il fiume Raab affrontando le truppe imperiali comandate da Raimondo Montecuccoli presso il monastero di Sankt Gotthard. I Turchi furono sconfitti, ma gli imperiali dovettero accettare le condizioni poste da Köprülü Fadil Ahmed, accolto a Costantinopoli come trionfatore. Il maggiore dinamismo assunto dall’esercito turco si manifestò anche in Ucraina, dove il gran visir strinse accordi con l’atamano dei cosacchi Pëtr Durosenko, per resistere a Russi e Polacchi. Nel 1672 un grande esercito turco entrò in Polonia, prese la fortezza di Kamenec e avanzò fino a Leopoli, ma nel 1673 Giovanni Sobieski riuscì a sconfiggerlo. Tuttavia, nel successivo trattato di pace i Turchi mantennero il possesso della fortezza di Kamenec e della Podolia, ossia il territorio tra il Dnestr e il Dnepr.
Kara Mustafà Il successore alla carica di gran visir fu il cognato Kara Mustafà. Costui continuò all’interno coi sistemi del predecessore, ma non comprese l’importanza di fare un impiego cauto dell’esercito, per non esporsi ai pericoli di una disfatta. Animato da smodati sogni di gloria, abbandonò l’Ucraina considerata una preda di guerra insignificante e riprese le operazioni in Ungheria dove stava per spirare una tregua di vent’anni. Kara Mustafà prese accordi col capo della resistenza ungherese al processo di germanizzazione del paese, riconoscendolo come re d’Ungheria.
L’assedio di Vienna Leopoldo I inviò a Costantinopoli il proprio ambasciatore per scongiurare la guerra, ma l’ambiente trovato alla corte della Sublime Porta appariva bellicoso. Il sultano in persona curò i preparativi per la campagna del 1683, la più grande intrapresa dai Turchi, e accompagnò l’esercito fino a Belgrado. Poi il comando fu assunto da Kara Mustafà che guidò l’esercito fino a Vienna.
L’ultima crociata dell’Occidente Leopoldo I dovette lasciare in tutta fretta Vienna, difesa dal generale Starhemberg con 10.000 soldati, per chiamare a raccolta gli eserciti cristiani di fronte a un pericolo evidente. Il papa Innocenzo XI arrivò a sequestrare il denaro di Roma pur di inviare grandi somme di denaro all’imperatore. Furono soprattutto i Polacchi di Giovanni III Sobieski a rispondere all’appello di quella che appare l’ultima crociata. Il campo dei Turchi, con le sue 25.000 tende aveva l’aspetto di una grande città: c’erano 50.000 carri e gli animali per il traino che, anche solo sul piano logistico, fanno apparire grandiosa l’impresa. Il 14 luglio le artiglierie turche furono messe in batteria, dopo aver lanciato la tradizionale freccia con il documento contenente le condizioni di pace: la resa e la conversione all’islam o l’abbandono della città. Starhemberg non rispose e perciò iniziò il bombardamento. Nel corso della campagna i Turchi rivelarono il loro punto debole: non avevano artiglieria pesante, paragonabile a quella austriaca. Infatti, la ripresa turca avvenne senza aver colmato il divario tecnologico.
Successo della difesa di Vienna Gli assediati si comportarono con coraggio e abilità, riuscendo a effettuare numerose sortite. Kara Mustafà commise l’errore di sottovalutare le forze che accorrevano a Vienna. Il comandante imperiale Carlo di Lorena si congiunse con le forze polacche e bavaresi, riuscendo a respingere la cavalleria tatara. Nei primi giorni di settembre alcuni tratti delle mura di Vienna erano stati minati e i Turchi erano giunti fin quasi alla cittadella: i viennesi apparivano al limite della resistenza quando videro i fuochi di bivacco sulle pendici del Kahlenberg annuncianti l’arrivo di rinforzi. L’attacco degli imperiali cominciò il 12 settembre e Kara Mustafà, per respingerlo, ricorse alla sola cavalleria. Sotto ogni aspetto la battaglia fu condotta da Giovanni Sobieski meglio dei Turchi che verso il tramonto iniziarono a fuggire lasciando sul campo 16.000 morti, il tesoro e le vettovaglie.
Nuovi successi imperiali L’inseguimento non fu immediato, ma nel mese di ottobre la vittoria fu completata da altri successi che permisero l’occupazione di tutta l’Ungheria. Kara Mustafà si ritirò a Belgrado con l’intenzione di riordinare le truppe, ma il 25 dicembre fu raggiunto da un decreto di condanna a morte.
Si accelera il declino turco Negli anni successivi gli Absburgo rafforzarono la presenza in Ungheria, mentre i Veneziani occuparono la Dalmazia e la Morea (Peloponneso). Come conseguenza della sconfitta si ebbe la destituzione di Maometto IV il Cacciatore. Gli successe il fratello Solimano II. Il declino dell’impero turco era un fatto irreversibile ed ebbe cause politiche dipendenti da non aver compreso che la guerra non si giustificava più come mezzo per far bottino.
2. 4 Il tramonto della Svezia come grande potenza
La guerra dei Trent’anni aveva reso la Svezia una grande potenza, perché aveva occupato, oltre alle terre situate a Oriente del Baltico (Ingria, Estonia, Livonia) anche le regioni a sud di quel mare (Pomerania occidentale) e i tre vescovadi di Brema, Verden e Wismar.
Cresce la tensione politica nel Baltico Appariva chiaro che i nuovi acquisti svedesi avevano accresciuto le tensioni nel Baltico, perché il Brandeburgo mirava al controllo delle coste meridionali; la Danimarca non si rassegnava alla perdita di Brema e Verden; la Russia, dopo aver superato il periodo dei torbidi interni, aspirava a possedere un accesso al mare: essa era la maggiore esportatrice di grano e di materiali per costruzioni navali ed era naturale che non cedesse i profitti del suo commercio. La rivale più importante della Svezia rimaneva la Danimarca, costretta nel 1645 a concedere all’avversaria l’esenzione dai dazi doganali per le navi in transito attraverso l’Öresund.
Gli obiettivi dell’imperialismo svedese L’imperialismo svedese aveva come obiettivo di fare del Baltico un mare interno della Svezia, escludendo dal commercio di transito le altre potenze. Quell’obiettivo poteva esser raggiunto o distruggendo la Danimarca o stipulando con essa una stretta alleanza. In ogni caso occorreva tener presenti gli interessi della Gran Bretagna e delle Province Unite: solo con la forza si poteva chiudere il Baltico al transito delle loro navi.
I progetti di Axel Oxenstierna Axel Oxenstierna, il cancelliere del regno di Svezia, aveva dato istruzioni perché i porti del Baltico fossero centri di merci da distribuire in Europa, per assicurare allo Stato i mezzi per finanziare l’egemonia sulla regione. Per tenere sottomessa un’area tanto estesa occorreva un esercito permanente e una flotta in grado di accorrere in ogni angolo del Baltico. La popolazione della Svezia era circa due milioni e mezzo di abitanti, una massa esigua di potenziali contribuenti. Oxenstierna ritenne di risolvere il problema ordinando alle nuove province di finanziare con i profitti del commercio le loro difese, ma il progetto era velleitario.
La questione del demanio statale Le spese della difesa dovevano perciò venir raccolte con tasse prelevate dall’agricoltura. Ma anche in questo settore, nel corso delle guerre della prima metà del XVII secolo le terre della corona (demanio) erano passate in mano alla nobiltà, a compenso del servizio militare; infine, la nobiltà era esentata dal pagamento delle tasse. Le continue contribuzioni e le frequenti leve di soldati suscitarono il malcontento del clero, della borghesia e dei contadini che si unirono per reclamare la restituzione alla corona delle terre concesse ai nobili perché da esse si ricavassero i mezzi necessari alla politica imperiale della Svezia.
Abdicazione di Cristina di Svezia Tra il 1648 e il 1655, la tensione divenne acuta contribuendo all’abdicazione di Cristina di Svezia, figlia di Gustavo Adolfo, che si era convertita al cattolicesimo. Oxenstierna fece rimandare la partenza della regina per evitare che la nobiltà aumentasse i suoi privilegi, ma Cristina riuscì a sfruttare i contrasti tra la nobiltà e gli altri ceti per imporre la successione del cugino Carlo, ritirandosi a Roma.
Carlo X Carlo X (1654-1660) era un militare che aveva guidato gli eserciti svedesi nei conflitti dell’ultimo decennio. Anche questa circostanza spiega perché il re intervenne nella guerra di Polonia quando la Russia sembrava sul punto di annientarla. La Svezia intendeva occupare i porti polacchi del Baltico, soprattutto Danzica, per evitare che cadessero in mano russa: inoltre, le teorie del tempo ammettevano come normale che l’esercito vivesse di contributi estorti ai paesi occupati, per non gravare sui propri contribuenti. La guerra di Polonia (1655-1657) inizialmente ebbe successo, poi le potenze europee si occuparono dei problemi dell’equilibrio: l’elettore di Brandeburgo chiese un prezzo più alto per partecipare alla campagna polacca; l’Olanda cercò di impedire che i porti della Prussia orientale cadessero in mano svedese; l’imperatore intervenne a fianco della Polonia e della Russia; infine, la Danimarca dichiarò guerra alla Svezia per recuperare i territori perduti nel 1645.
La guerra tra Svezia e Danimarca La campagna militare rivelò all’Europa la forza della Svezia. Carlo X attraversò la Polonia a marce forzate e si trasferì nello Holstein, da cui partì conquistando lo Jutland. I danesi si ritirarono sulle isole, ma Carlo X condusse il suo esercito sul Piccolo e sul Grande Belt ghiacciati, minacciando l’assedio intorno a Copenaghen. I Danesi, colti di sorpresa, furono costretti a trattative concluse con la pace di Copenaghen del 1660.
La pace di Copenaghen. Le regioni meridionali della penisola scandinava (Scania) furono cedute alla Svezia; l’Öresund divenne confine tra i due Stati; la Danimarca perdette il diritto di imporre dazi alla Svezia che aveva raggiunto una vittoria di grande importanza commerciale. Da questo momento i due paesi ebbero come obiettivo di fare il vuoto intorno all’avversario, ricorrendo all’alleanza con le potenze europee. Carlo X morì all’inizio del 1660: il successore, Carlo XI, era un bambino di quattro anni. La reggenza fu affidata al fratello Adolfo Giovanni, inviso alla nobiltà perché aveva proposto un progetto di legge che prevedeva la restituzione alla corona delle terre alienate.
Tentativo reazionario della nobiltà svedese La nobiltà riuscì a far invalidare il testamento di Carlo X, facendo proclamare un consiglio di reggenza formato da funzionari statali più docili ai voleri della nobiltà. La nuova reggenza liquidò le guerre di Carlo X firmando la pace di Copenaghen con la Danimarca, la pace di Oliva con la Polonia e la pace di Kardis con la Russia. Questi tre trattati, sottoscritti tra il 1660 e il 1661, segnarono l’apogeo dell’espansione svedese sul Baltico, ma il controllo totale di quel mare non si era realizzato, perché le varie parti dell’impero svedese non si erano unite in un blocco unico e non era stato risolto alcuno dei problemi politici affrontati per rendere duratura l’egemonia svedese sul Baltico.
Esitazioni politiche della Svezia La politica della Svezia tra il 1667 e il 1672 fu oscillante, come quella inglese, incerta tra Francia e impero, in parte dettata dalle scelte della Danimarca, cercando di non farsi coinvolgere dalle guerre di Luigi XIV. A partire dal 1672, le vittorie di Luigi XIV in Germania, la fine dell’alleanza tra Gran Bretagna e Province Unite, il timore di un avvicinamento tra Danimarca e Francia, indussero il riavvicinamento tra Svezia e Francia la quale si impegnò a inviare maggiori aiuti alla prima per armare un esercito svedese contro il Brandeburgo.
Sconfitta svedese Nel giugno 1675 l’esercito svedese subì un’inattesa sconfitta a Fehrbellin che gli tolse l’aura di imbattibilità guadagnata ai tempi di Gustavo Adolfo.
Guerra tra Svezia e Danimarca La guerra scoppiò tra i due paesi baltici nel 1675 e durò fino al 1679. La flotta svedese non riuscì a sconfiggere quella danese; il Brandeburgo occupò la Pomerania occidentale; i duchi di Lüneburg occuparono i vescovadi di Brema e Verden, mentre la Danimarca, a seguito di un blocco navale e di un assedio, si impadronì di Wismar. Nel 1675 la Danimarca portò la guerra in Scania, nel tentativo di rioccupare la regione ceduta nel 1658. Carlo XI accorse in Scania e sconfisse nella battaglia di Lund i Danesi, costretti a evacuare il paese.
Pace di Lund Nel 1678 tra Francia e Province Unite fu firmata la pace separata di Nimega, scontentando i rispettivi alleati che non furono consultati. A loro volta i due paesi baltici arrivarono alla firma della pace di Lund (1679) che prevedeva un sorta di direttorio a due sul Baltico, con l’impegno di consultazioni reciproche in caso di guerre esterne. L’accordo durò poco.
Svolta assolutistica della monarchia svedese Questa guerra, che aveva rivelato la vulnerabilità della potenza svedese, affrettò alcuni importanti mutamenti costituzionali. Il re Carlo XI rimase a lungo lontano da Stoccolma e dal consiglio di nobili che aveva retto lo Stato fin dal 1660.
L’esercito permanente L’esercito fu riformato e rafforzato rendendolo permanente. Per la flotta fu costruita la nuova base navale di Karlskrona in modo da operare nel Baltico meridionale con più efficacia. I disordini creati dall’esazione dei tributi necessari per tali novità permisero di ridimensionare il potere della nobiltà. Infatti, alla dieta degli Stati, clero e borghesia si schierarono dalla parte del re esigendo che ai nobili fossero tolte le proprietà alienate dalla corona. Nel 1682 il re Carlo XI ottenne il potere di emanare leggi e regolamenti, senza consultare gli Stati, ottenendo il controllo della politica estera e delle questioni fiscali.
Migliora la situazione finanziaria della monarchia Dopo il 1686 gli Stati riuniti nella dieta si limitarono a ringraziare il re senza esprimere alcun giudizio o parere sulla sua politica. Dopo il recupero delle terre della corona, la situazione finanziaria della Svezia migliorò al punto che nella dieta del 1693 fu annunciato che non era necessario alcun stanziamento di fondi.
Ribellione della nobiltà tedesca di Livonia L’assolutismo si manifestò con un progetto di integrazione delle province ex danesi: fu reso obbligatorio l’uso della lingua svedese nei servizi religiosi oltre che negli atti pubblici, per cancellare la lingua, gli usi e le consuetudini danesi. Nel 1690 il re volle seguire la stessa strada anche in Estonia e in Livonia: a Dorpat fu istituita l’Accademia gustaviana che teneva le lezioni in lingua svedese. I funzionari erano scelti solo tra coloro che avevano seguito i corsi dell’Accademia, dalla quale si cercò di escludere gli studenti tedeschi. La dieta di Livonia fu privata di ogni potere autonomo, provocando la rivolta della nobiltà tedesca, alleata con i nemici della Svezia, in primo luogo la Russia dove era in corso un profondo rinnovamento culturale e politico incentrato nella persona di Pietro il Grande.
2.5 Le trasformazioni interne della Danimarca
La Danimarca del XVII secolo ha svolto nei confronti della Svezia una funzione analoga a quella svolta dalle Province Unite nei confronti della Francia, ossia impedire la realizzazione di un progetto di egemonia militare ed economica che comportasse il pericolo di perdere l’indipendenza politica.
Modernizzazione della Danimarca Nel corso del conflitto avvennero profonde trasformazioni nella struttura sociale e nella distribuzione del potere che in qualche caso ammodernarono il paese, conducendolo sulla via dell’assolutismo, da intendere come svuotamento degli istituti medievali di nobiltà e clero a favore di un potere accentrato dalla monarchia, che diveniva mediatrice tra le forze sociali per assicurare al paese l’indipendenza mediante esercito e burocrazia.
Potenza della nobiltà danese La nobiltà, fino alla metà del XVII secolo, risultò in Danimarca ancor più forte che in Svezia: metà delle terre appartenevano a circa 150 famiglie della grande nobiltà che esercitava un controllo assoluto sul potere locale. Anche in Danimarca la nobiltà non pagava le tasse fondiarie e poteva ottenere l’esenzione fiscale per quei contadini cui affidava la conduzione delle proprie terre. Inoltre, la nobiltà danese occupava le cariche più importanti come il Consiglio di Stato composto di nobili a spese delle altre categorie sociali come clero e borghesia. Occorre ricordare che a quei tempi, e fino al 1905, la Danimarca comprendeva anche la Norvegia, dove la nobiltà era meno numerosa perché le terre coltivabili erano poche.
La nobiltà perde molti privilegi Alla morte di Cristiano IV, avvenuta nel 1648, tra il successore Federico III e il Consiglio di Stato sorse un contrasto vinto dal secondo che ottenne poteri ancora maggiori in campo finanziario. La vittoria svedese del 1657 dimostrò che la preponderanza dei nobili non garantiva al paese pace e sicurezza, mentre al contrario clero e borghesia avevano contribuito alla difesa di Copenaghen. La monarchia cedette molte terre per alleviare il carico dei debiti, ma alla lunga anche questa decisione rese il dissesto finanziario più grave. Furono aumentate le tasse indirette e quando la nobiltà cercò di farsi esentare, clero e borghesia insorsero riuscendo a fare approvare dalla dieta il principio della parità davanti ai sacrifici fiscali. Inoltre si chiese la riforma amministrativa per diminuire il potere dei governatori provinciali a vantaggio del controllo regio.
Si rafforza la monarchia La monarchia era ancora elettiva, ossia subordinata all’assenso della nobiltà. Il vescovo e il borgomastro di Copenaghen fecero proclamare il principio dell’ereditarietà del regno nella famiglia di Cristiano III. La nobiltà e il Consiglio di Stato reagirono, ma Copenaghen chiuse le porte mobilitando milizie borghesi disposte alla guerra.
Promulgazione della Lex regia La nobiltà fu costretta a cedere accettando che una commissione elaborasse la nuova costituzione promulgata nel 1665 col nome di Lex regia: essa aveva la forma di un contratto tra i ceti sociali che conferivano al re i poteri in base a un patto che il re si impegnava a rispettare. L’introduzione dell’assolutismo comportò la riforma dell’amministrazione centrale e provinciale.
Risanamento finanziario Dopo il 1660 avvenne la riforma fiscale e la riduzione del debito pubblico. Si ricorse all’unico mezzo disponibile: l’alienazione del patrimonio della corona. Ma per aumentare le entrate fiscali fu istituito un più accurato catasto dei beni immobili che permise di istituire una più equa imposta fondiaria valida tanto per le città quanto per le campagne, garantendo alla corona proventi superiori a quelli percepiti in passato. Come sempre avviene nei casi di riforma che operano il passaggio da un’economia naturale a un’economia monetaria, fu favorito lo sviluppo di aziende agricole orientate al mercato piuttosto che all’autoconsumo.
Industrializzazione della produzione agricola A partire dal 1661 fu elaborato un nuovo codice civile che abrogava le antiche consuetudini medievali. La nobiltà conservò molti privilegi, ma si trasferì sulle proprie terre, lasciando il potere politico a una borghesia incamminata sulla via della trasformazione industriale dei prodotti agricoli, come i formaggi esportati in tutto in nord europeo, frumento, legname e pesce secco prodotto soprattutto in Norvegia.
La politica estera danese La politica estera della Danimarca fu volta a contenere l’egemonia svedese, nel tentativo di obbligare la potente vicina a una sorta di diarchia sul Baltico. Questo obiettivo non fu raggiunto col potenziamento dell’esercito, ma con l’abile scelta di alleanze internazionali senza obbligare la Danimarca a entrare in guerra quando essa non lo voleva. Dopo la guerra del 1675-79, la Danimarca sottoscrisse la pace dell’Aia del 1681 impegnandosi a rispettare i trattati di Vestfalia e di Nimega. Nel 1682 Cristiano V di Danimarca ritenne giunto il momento di impadronirsi del ducato di Holstein-Gottorp, sentito come un cuneo svedese nello Jutland: forte dell’alleanza col Brandeburgo, esautorò il duca e due anni dopo la sua parte dello Holstein fu incorporata nello Stato danese. Carlo XI di Svezia non osò fare la guerra per non rischiare l’intervento del Brandeburgo nei suoi possessi presenti in Germania.
2. 6 Cronologia essenziale
1648 A Costantinopoli al sultano Ibrahim succede il figlio Maometto IV di soli otto anni, un inetto che si occuperà solo di caccia.
1654 La regina Cristina di Svezia abdica a favore del cugino Carlo X.
1655 Lazzaro Mocenigo, al comando della flotta veneziana batte la flotta turca nei pressi dei Dardanelli nel corso della guerra di Creta.
1656 Trattato di amicizia tra Polonia e Russia in funzione antisvedese.
1657 Carlo X invade la Polonia. Si forma una coalizione tra impero, Danimarca, Polonia e Brandeburgo contro la Svezia.
1660 Pace di Oliva tra Svezia e Polonia, pace di Kardis tra Svezia e Russia, pace di Copenaghen tra Svezia e Danimarca. Morte di Carlo X.
1664 I Turchi sono sconfitti nella battaglia di Sankt Gotthard dalle truppe imperiali.
1669 I Turchi conquistano Candia (Creta) dopo una guerra di 25 anni.
1675 A Fehrbellin l’esercito svedese è sconfitto dall’esercito del Brandeburgo. Guerra tra Svezia e Danimarca.
1679 Danimarca e Svezia firmano la pace di Lund.
1683 Giovanni Sobieski contribuisce a liberare Vienna dall’assedio turco. Kara Mustafà è giustiziato e Maometto IV deposto.
1699 Con la pace di Carlowitz la Polonia recupera la Podolia e l’Ucraina.
2. 7 Il documento storico
La storia dell’impero turco non è molto conosciuta da noi ma è importante perché si tratta della popolazione asiatica che ha mostrato maggiori attenzioni all’Occidente. Tuttavia nell’impero turco esistevano consuetudini che a noi paiono ripugnanti, come l’eccidio dei fratelli del nuovo sultano.
“L’impero osmanlio non ha mai avuto una precisa norma che regolasse la successione al trono. Sembra che tra i primissimi sultani la scelta dell’erede fosse rimessa ai capi più importanti e ai governatori dell’impero. La scelta era esclusivamente limitata nell’ambito della famiglia sultaniale. Da Ertogrul in poi, per oltre trecento anni, il trono passò di padre in figlio, senza tener conto dell’anzianità della prole, perché il principio della primogenitura era sconosciuto ai Turchi. Il prescelto era il figlio che offriva, a giudizio dei capi, le massime garanzie di valore in guerra e di abilità politica in pace. V’era sempre da temere che gli esclusi reagissero e complottassero, minacciando l’ordine e l’integrità dell’Impero. La storia dei Selgiukidi, che gli Osmanli tennero in particolare evidenza, offriva esempi numerosi delle lotte intestine, che erano state la causa principale della decadenza di quell’impero.
Per garantirsi contro lo stesso pericolo, gli Osmanli eressero a norma dinastica il principio del fratricidio. È dubbio se il fondatore della dinastia, Osman, non desse lui il primo esempio di questa efferata politica, sopprimendo lo zio paterno Dündor, che era l’elemento maschio più anziano della famiglia. Comunque sia, il primo procedimento certo è quello di Bayazid I, Yilderim, che, appena proclamato Sultano sul campo di battaglia di Kossovo, fece trucidare il fratello Yacub, il cui valore gli aveva assicurato tra i soldati una pericolosa popolarità. Gli ulema o dottori della legge fecero valere la massima del Corano che “la sedizione è peggiore del delitto”. Sulla base di questa odiosa testimonianza, il fratricidio ottenne da allora una specie di consacrazione religiosa. Ma poiché v’è una nemesi storica che per vie misteriose colpisce gli autori del crimine, anche quando di esso si è perduto il ricordo, la tragica fine di Bayazid, vinto da Tamerlano e rinchiuso in una gabbia di ferro, come vuole la leggenda, sembrò il castigo del sangue versato, che ricadeva su di lui e sui suoi discendenti. Per colmo d’infamia i suoi avversari anatolici ne profanarono la tomba e ne dispersero i resti. Ma lui scomparso, le terribili lotte, che divamparono tra i suoi figli, sembrarono giustificare l’inesorabile legge del fratricidio. Essa acquistò valore giuridico colla sua promulgazione nel Kanunname di Maometto II: “A chiunque dei miei figli passerà il Sultanato, gioverà che per l’ordine del mondo sopprima i suoi fratelli. La maggioranza degli ulema è di questo avviso”.
Tra le cause della decadenza della famiglia degli Osmanli la legge del fratricidio deve considerarsi la più grave. Essa impresse un indelebile marchio di onta sulla dinastia e attirò si di essa il più tragico fato, perché instaurò una tradizione politica del più spietato materialismo, per cui tutto doveva cedere alla Ragion di Stato, senza rispetto dei valori morali”.
Fonte: L. PIETROMARCHI, Turchia vecchia e nuova, Bompiani, Milano 1965, pp. 54-55.
2. 8 In biblioteca
Per la conoscenza dei problemi del Baltico si esamini di M. ROBERTS, La Svezia e il Baltico, Garzanti, Milano 1967. Per la storia della Turchia si può consultare di Ph. PRICE, Storia della Turchia. Dall’impero alla repubblica, Cappelli, Bologna 1958.