Prof. A. Torresani. 7. 1 La situazione della Germania nel XVI secolo. 7. 2 Cavalieri e contadini durante la rivoluzione dei prezzi. 7. 3 Lutero e la Riforma protestante. 7. 4 Zwingli riformatore di Zurigo. 7. 5 Calvino riformatore di Ginevra. 7. 6 Cronologia essenziale. 7. 7 Il documento storico. 7. 8 In biblioteca
Cap. 7 La Germania nell’età della Riforma
Nel XVI secolo, sia pure per motivi diversi da quelli verificatisi in Italia, anche la Germania non poté cogliere la possibilità di operare la sua unificazione politica. L’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano d’Absburgo non riuscì a piegare alle esigenze di un potere centralizzato le forze feudali. Nel corso del XV secolo la Germania del Nord, soprattutto le città della Hansa, la lega delle città portuali del Baltico, conobbe una lenta decadenza economica, a favore dei Paesi Bassi e dell’Inghilterra. Più vivace, invece, la vita economica delle città della valle del Danubio come Augusta, dove si era sviluppato il sistema bancario.
Massimiliano d’Absburgo aveva condotto al successo la politica tradizionale della sua casata, ossia l’acquisizione di nuovi territori mediante un’accorta politica matrimoniale. Avendo sposato Maria di Borgogna, erede dello Stato di Carlo il Temerario, aveva unito ai territori degli Absburgo anche i Paesi Bassi, ricchi di città, d’industrie e di commerci. Dal matrimonio era nato Filippo che, quando ebbe l’età, si sposò con Giovanna, figlia di Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia, da poco divenuti signori di gran parte dell’America. Filippo morì giovane, dopo aver generato quattro figli. Il maggiore, Carlo, era l’erede presunto di un complesso di Stati immenso: in realtà quell’impero fu un gigante dai piedi d’argilla, impossibile da amministrare secondo concetti moderni.
Da Wittenberg, la città in cui operò Lutero, la riforma religiosa si estese a macchia d’olio sull’Europa del Nord, ma in ogni Stato si adattò alle diverse situazioni politiche. In Svizzera, le città di Zurigo e Berna assistevano a una vivace trasformazione economica: la vecchia aristocrazia d’origine feudale fu esautorata dalla borghesia che amministrava l’ingente massa di denaro introdotta nel paese dai mercenari operanti al soldo delle grandi potenze in conflitto per il controllo d’Italia. Ulrico Zwingli riuscì abbastanza facilmente a imporre la riforma nelle due città, ma i cantoni originari (Uri, Schwytz, Unterwalden, Zug, Lucerna) non accettarono la trasformazione della Svizzera in uno Stato con aspirazioni di grande potenza.
Ginevra, nel XVI secolo, si trovò al centro di tentativi di annessione da parte della Savoia e da parte di Berna che cercò di imporre la riforma riuscita sul proprio territorio. Il tenace municipalismo ginevrino finì per adottare la riforma nella versione data da Giovanni Calvino che nel corso di un ventennio superò le resistenze dei suoi avversari, dirigendo da Ginevra la penetrazione del calvinismo nel resto d’Europa.
7. 1 La situazione della Germania nel XVI secolo
In Germania esistevano città libere come Francoforte, Amburgo, Brema; leghe come la Hansa che raggruppava i porti del Baltico; principati elettorali, laici ed ecclesiastici; ordini e ceti, ciascuno con propri statuti e privilegi; e, infine, un tenace diritto feudale che faceva della Germania una confederazione di piccoli Stati.
La Bolla d’Oro La costituzione tedesca risaliva a Carlo IV di Boemia che, con la Bolla d’Oro (1356), aveva stabilito che ci fossero sette prìncipi elettori: nel momento in cui in Europa si affermavano il nazionalismo e l’accentramento burocratico nelle mani di una monarchia forte, la Germania aveva una costituzione più adatta al trionfo del principio opposto.
Spesa per l’elezione imperiale L’elezione imperiale era occasione di un lucroso mercato, perché i prìncipi vendevano il loro voto al migliore offerente: l’elezione di Carlo V nel 1519 costò 800.000 fiorini che solo i banchieri d’Augusta, i Fugger e i Welser, riuscirono ad anticipare al futuro imperatore.
Carlo V In un secolo dominato da grandi personalità, sia sul piano politico sia su quello umano, Carlo V si è assicurato una solitaria grandezza che anche il sostanziale fallimento finale non diminuisce. Nacque a Gand nel 1500: quella nascita fu il capolavoro della politica matrimoniale degli Absburgo perché senza ricorrere alla guerra, avevano creato un imponente dominio. Carlo, alla morte del nonno paterno Massimiliano, avrebbe ereditato i territori dell’Europa centrale dipendenti dall’arciducato d’Austria; dalla nonna paterna riceveva i territori che Carlo il Temerario aveva tentato di riunire in una specie di regno di Lotaringia comprendente Paesi Bassi, Fiandre, Brabante, Lussemburgo e Franca Contea; dal nonno materno il regno d’Aragona con Valencia, Catalogna, Baleari, Navarra, Sicilia, Sardegna e Napoli; dalla nonna materna i regni di Castiglia con le Canarie e il nuovo mondo.
Difficoltà di governo Un tale complesso di popolazioni e di Stati eterogenei, sparsi su tre continenti, non poteva generare un’ideologia nazionalista, rafforzò quindi una concezione imperiale: potremmo parlare di Carlo d’Europa perché ebbe una corte itinerante.
Formazione di Carlo V La formazione di Carlo V fu fiamminga, in una regione in cui a lungo durò l’autunno del medioevo, secondo la nota tesi dello Huizinga, ossia gli ideali cavallereschi. Ricevette un’educazione religiosa piuttosto profonda da Adriano di Utrecht, più tardi vescovo di Tortosa e infine eletto papa col nome di Adriano VI (1522-1523).
Assunzione di responsabilità Nel 1515 Carlo V divenne reggente nominale dei Paesi Bassi. Nel gennaio 1516 divenne re di Spagna, alla morte di Fernando d’Aragona, ma per venti mesi rimandò il viaggio in Spagna. Nel 1519 Carlo V sbarcò nelle Asturie per prendere possesso dei regni iberici.
L’opera di Jimenez de Cisneros Per la storia di Spagna la reggenza di Jimenez de Cisneros, durata venti mesi, ha un’importanza enorme. Infatti, egli operò la riforma della Chiesa spagnola che, sul piano disciplinare, tolse di mezzo gli abusi più gravi. La fioritura del rinascimento spagnolo fu brevissima e non ebbe carattere anticlericale. Solo gli scritti di Erasmo, per il loro stile latino, ebbero notevole diffusione nella penisola iberica. Invece, gli scritti di Lutero e degli altri riformatori non trovarono accoglienza proprio a causa della riforma del clero e dei vescovi operata dal Cisneros.
Rivolta dei comuneros spagnoli Gli Spagnoli accolsero bene Carlo V, ma subito apparve chiaro che non avrebbero tollerato di venir trattati da sudditi dei Fiamminghi venuti al seguito di Carlo: esigevano che le cariche in Spagna fossero assegnate a spagnoli e che la politica fiscale di Carlo non aumentasse il prelievo di denaro in Spagna da spendere in Germania. Le Comunidades di Castiglia e le Germanias di Valencia si ribellarono. Carlo comprese che bisognava dare ascolto agli Spagnoli per la questione delle cariche e che era opportuno per lui stesso soggiornare quanto più a lungo possibile in Spagna. Il movimento dei comuneros fu sconfitto a Villalar nel 1521 perché la nobiltà rimase fedele al re e per la mancanza di capacità tattica sul piano militare da parte dei rivoltosi.
Carlo alla dieta di Worms Carlo dovette recarsi in Germania per una rivolta più grave, quella di Lutero. Nel corso della dieta di Worms nel 1521, apparve chiaramente il pericolo dello scisma religioso. In realtà la rivolta di Lutero era molto più complessa di quanto sembrasse all’inizio. Era la rivendicazione dell’elemento germanico contro una specie di colonialismo culturale e materiale praticato dagli italiani. In qualche modo, come i comuneros di Spagna, Lutero rivendicava i diritti della nazione tedesca a svilupparsi secondo le proprie peculiarità.
Matrimonio di Carlo V Tornato in Spagna, Carlo soppresse molte autonomie godute dalle città; favorì i nobili concedendo loro le cariche, ma trattandoli da funzionari della corona che ne eseguivano le scelte politiche. Nel 1525 Carlo sposò la cugina Isabella del Portogallo, un matrimonio gradito agli spagnoli e perciò essa divenne un’ottima reggente nel corso delle lunghe assenze dalla Spagna che la politica avrebbe richiesto a Carlo.
Le guerre contro la Francia Il conflitto con la Francia durò a lungo, apparentemente per il contenzioso di frontiera (Navarra, Ducato di Milano, Ducato di Borgogna), in realtà per l’egemonia europea. I Francesi attaccarono in Navarra nel 1521, ma fallirono perché Pamplona resistette all’assedio. Le truppe imperiali riuscirono invece a cacciare i Francesi da Milano. Francesco I organizzò una serie di spedizioni per riprendere Milano e nell’ultima fu sconfitto e fatto prigioniero (battaglia di Pavia, 1525). Le trattative di pace, sfociate nel trattato di Madrid del 1526, da parte di Carlo V cercarono di ottenere l’impossibile: la cessione della Borgogna ducale da parte della Francia e la collaborazione di Francesco I ai piani di egemonia imperiale di Carlo V.
La Lega di Cognac Poco dopo la liberazione di Francesco I la guerra riprese di nuovo, perché il papa Clemente VII aveva promosso la Lega di Cognac comprendente tutti gli Stati interessati alla cacciata degli spagnoli dall’Italia. La Francia aderì prontamente alla lega e inviò truppe a Milano e a Napoli, aiutata dalla flotta genovese di Andrea Doria che assicurava i rifornimenti ai soldati francesi, impedendo l’arrivo della flotta spagnola.
Il sacco di Roma Carlo V permise a un gruppo di mercenari tedeschi al comando del conestabile Carlo di Borbone una marcia dimostrativa contro il papa. I lanzichenecchi si diressero a Roma che fu presa d’assalto e saccheggiata (maggio 1527). Questa data è importante per molti motivi. Il primo è che il dominio spagnolo in Italia fu rafforzato e rimase tale per quasi due secoli. Il secondo è la fine virtuale del Rinascimento e della libertà di iniziativa politica da parte del papato. Il terzo fu l’allineamento con la politica imperiale di tutti i piccoli Stati italiani che non avevano disponibilità finanziaria per competere con Carlo V: infatti già dal 1528 Andrea Doria indusse la Repubblica di Genova a passare dalla parte imperiale, in cambio di buone condizioni fatte da Carlo V ai banchieri locali, da allora i principali prestatori di denaro alla corona di Spagna. La Repubblica di Venezia doveva controllare l’espansionismo turco nell’Europa centrale e nel Mediterraneo e quindi aveva interessi collimanti con l’impero. A Firenze cessò definitivamente il regime repubblicano, e i Medici tornarono provvisti del titolo di duchi di Toscana.
Pace di Cambrai La Francia sconfitta sul piano militare, acconsentì alla pace di Cambrai (1529) anche perché la diplomazia di Carlo V seppe passar sopra la questione della Borgogna che, di fatto, rimase alla Francia. Carlo aveva bisogno della pace per respingere l’assedio dei Turchi intorno a Vienna, reso possibile dalla sconfitta dell’Ungheria avvenuta tre anni prima a Mohács (1526).
La Francia si allea con i Turchi Da quel momento la diplomazia francese sfruttò la possibilità di contrapporre a Carlo un doppio fronte, aiutando i Turchi che premevano su Vienna, e aiutando i protestanti a resistere a ogni tentativo di Carlo V volto a riunire le confessioni religiose in Germania; e, infine, premendo direttamente sulle regioni delle Fiandre e della Lorena.
Incoronazione imperiale di Carlo V Il papa Clemente VII non poteva opporsi alla richiesta di Carlo V di essere incoronato imperatore secondo l’antico rito medievale che risaliva a Carlo Magno. L’atto avvenne nel febbraio 1530 a Bologna, per l’ultima volta nella storia, e significava la riconciliazione del papa con l’imperatore, un presupposto indispensabile per tentare l’unificazione religiosa in Germania.
Apogeo del potere di Carlo V Quell’anno rappresenta il culmine dell’attività di Carlo V: la Francia appariva neutralizzata, il pontefice acquiescente, l’America una produttrice inesausta di metalli preziosi in grado di alimentare una politica imperiale di grande respiro. L’ideale che si proponeva Carlo V era la pace tra i cristiani e la guerra contro gli infedeli, essendo l’imperatore la suprema guida politica d’Europa senza togliere autonomia ai singoli sovrani locali.
Necessità del Concilio Per riportare la pace religiosa in Europa, Carlo V insistette coerentemente per la riunione di un grande concilio ecumenico che ponesse fine agli scismi e all’eresia, dal momento che non poteva fare guerra a una parte dei suoi sudditi. Carlo V non comprese che le differenze dottrinali e pratiche tra cattolici e protestanti erano più profonde di quanto immaginasse e che il concilio non poteva essere un aggiustamento a metà strada tra cattolici e protestanti, una specie di tavola rotonda in cui si potesse discutere alla pari, come volevano i protestanti.
Dieta di Augusta Per realizzare questa parte dei suoi programmi, Carlo V convocò la dieta di Augusta (1530) in cui fece alcune concessioni iniziali ai protestanti. Si arrivò a un compromesso per respingere un nuovo attacco turco contro Vienna (pace di Norimberga, 1532), poi Carlo V tornò in Spagna.
Vittoriosa campagna di Tunisi Nel 1534 fu eletto papa Paolo III della famiglia Farnese, un deciso sostenitore della necessità di convocare il concilio, cosa che, tuttavia, fu più difficile del previsto per il perdurare della guerra contro i Turchi e contro la Francia, la quale non aveva nulla da guadagnare da un concilio che riportasse la pace in casa dell’avversario. Nel 1535 Carlo V riportò una grande vittoria a Tunisi. Nella Pasqua del 1536, mentre era a Roma, gli fu annunciata l’invasione francese del Piemonte.
Terza guerra franco-spagnola Diveniva inevitabile la terza guerra tra Francia e Spagna, condotta in modo logorante per le forze di entrambi i contendenti: le truppe imperiali sbarcarono in Provenza senza riuscire a stringere a tenaglia le truppe francesi attaccate dalle truppe imperiali operanti nelle Fiandre. Si giunse così, nel 1538, alla tregua di Nizza che lasciava la partita indecisa.
La crociata contro i Turchi Sempre nel 1538 parve giunto il momento di lanciare la crociata contro i Turchi. L’imperatore, Venezia e il papa Paolo III si unirono per arrestare i progressi della flotta turca: ci furono scontri a Prevesa e Santa Maura nel Mar Ionio, ma senza apprezzabili risultati. Nel 1541 Carlo V tentò di ripetere contro Algeri la fortunata spedizione operata contro Tunisi sei anni prima, ma questa volta la tempesta fece fallire i piani di attacco.
Carlo V ritorna in Germania Nel 1543 Carlo V comprese che solo risolvendo il problema tedesco si poteva avere pace in Europa. Lasciò come reggente in Spagna il figlio Filippo II e si recò in Germania con l’intento di neutralizzare in primo luogo la Francia.
Quarta guerra contro la Francia Nel 1544 lanciò le sue truppe attraverso l’Artois per giungere a Parigi nel corso di una guerra lampo contro la Francia contro la quale doveva scendere in campo anche l’Inghilterra. I Francesi risposero con l’invasione del ducato di Milano partendo dalle basi che avevano in Piemonte. A Crépy, nel 1544, si giunse alla pace sulla base della reciproca restituzione delle conquiste fatte nel corso della campagna, essendosi persuasi i contendenti che era impossibile sopraffarsi l’un l’altro. La pace finalmente raggiunta nel 1544 permise a Paolo III di convocare il tanto atteso concilio che iniziò a Trento nel dicembre 1545.
Inizia il concilio di Trento I protestanti rifiutarono di prendervi parte perché non erano state accettate le loro condizioni; i prìncipi tedeschi temevano che la conciliazione religiosa significasse la riunificazione politica e la perdita della loro indipendenza. Carlo V riuscì a sconfiggere la lega di Smalcalda, formata dai principi protestanti, a Mühlberg (1547).
La nuova concezione imperiale L’imperatore raggiunse in questi anni la più matura delle sue concezioni politiche: trasformare la Germania in uno Stato moderno, rendendolo da elettivo ereditario. Per questo motivo fece venire Filippo II in Germania, presentandolo come erede universale dei suoi domini. Anche questo progetto di Carlo V fallì. Il concilio di Trento assumeva un atteggiamento sempre più rigido nei confronti dei protestanti; i prìncipi erano stati sconfitti ma non convinti e nel 1548 avevano ottenuto un Interim (legge provvisoria nell’attesa della conclusione del concilio) che non discriminava tra cattolici e protestanti.
Contrasti all’interno della famiglia imperiale Filippo II, serio, taciturno, poco espansivo, circondato da consiglieri spagnoli, non conquistò la simpatia dei tedeschi. Il fratello di Carlo V, Ferdinando, nella dieta d’Augusta del 1550 si oppose alla concezione di un impero unico perché capiva che la Spagna ne sarebbe stata il centro. Infine, Maurizio di Sassonia, comandante supremo delle truppe di Carlo V, si apprestava a far rinascere la lega di Smalcalda passando nel campo avversario.
Sconfitta militare di Carlo V Mentre Carlo V si trovava a Innsbruck per seguire da vicino i lavori del concilio di Trento, Maurizio di Sassonia sollevò la Germania e condusse le truppe protestanti verso l’Austria: Carlo, ammalato di gotta e in preda a una crisi depressiva, fu sul punto di cadere prigioniero e solo a stento riuscì a passare le Alpi, giungendo fino a Milano.
Pace di compromesso Nel 1552 la crisi si risolse perché Maurizio di Sassonia morì all’improvviso, ed Enrico II ruppe l’alleanza con i prìncipi tedeschi. Inoltre Carlo V ricevette dal Perù un’immensa quantità di metalli preziosi radunati al termine della pacificazione di quel paese. Alla dieta di Passau il suo denaro fece miracoli e i prìncipi tedeschi passarono ancora una volta dalla sua parte, ma a patto di non modificare la costituzione tedesca. Giunti a questo punto occorreva ammettere il protestantesimo come forza politica e rinunciare all’idea di un impero universale: è ciò che sancì la pace religiosa di Augusta del 1555 compendiata nella famosa formula del cuius regio eius religio, in forza della quale ogni principe aveva il diritto di stabilire la confessione unica e obbligatoria sul suo territorio.
Tramonto di Carlo V Ormai Carlo V appariva esaurito e sempre più spesso meditava di lasciare la politica attiva comprendendo che la Germania, divisa dallo scisma religioso e paralizzata dalla sua costituzione, rimaneva inoperante sul piano politico e perciò bisognava prescindere da essa; in secondo luogo capì che il suo potere si poteva costituire solo sulla base della Spagna; infine costatò che l’oro americano era il solo sostegno di quest’impero e che l’amministrazione dei territori del nuovo mondo era di capitale importanza.
Testamento politico di Carlo V L’ultima decisione politica di Carlo V fu il testamento: al figlio Filippo II andarono la Spagna e l’America, i territori in Italia e i Paesi Bassi; al fratello Ferdinando il titolo imperiale e i territori ereditari della casa d’Absburgo. L’inclusione dei Paesi Bassi, ossia di una regione abitata in gran parte da tedeschi nella sfera di dominio incentrata sulla Spagna si spiega col fatto che Filippo II aveva sposato Maria Tudor regina d’Inghilterra: se dal matrimonio fossero nati figli si poteva pensare a un impero atlantico custode della pace e dell’ortodossia in Europa. I Paesi Bassi, principali acquirenti delle merci britanniche e già allora massima potenza commerciale d’Europa, avrebbero avuto il compito di controllare le operazioni commerciali con l’America.
Abdicazione di Carlo V Nel 1556 Carlo V abdicò ritirandosi in una casa che si era fatto costruire accanto al monastero di Yuste in Estremadura: portò con sé alcune tele dei pittori preferiti e una serie di orologi che amava regolare lui stesso. Nel 1558, l’imperatore morì. L’anno prima aveva avuto la gioia di conoscere la vittoria riportata dalle truppe spagnole nella battaglia di San Quintino nelle Fiandre contro l’esercito francese.
7. 2 Cavalieri e contadini durante la rivoluzione dei prezzi
Dopo aver esaminato le vicende della politica generale, occorre esaminare da vicino la realtà delle masse popolari.
L’inflazione Le scoperte geografiche, l’arrivo di metalli preziosi, l’abbondanza di nuove monete, ma soprattutto la velocità di circolazione del denaro, generarono l’inflazione, ossia la costante ascesa dei prezzi dei generi di prima necessità. L’inflazione produce alcuni effetti perversi perché arricchisce chi è già ricco e che sa investire il denaro in beni reali; e impoverisce i più poveri ossia i contadini che producono per l’autoconsumo, ma non sono proprietari della terra: aumentando il canone d’affitto non sanno come pagarlo perché mancano di mezzi finanziari per accrescere la produttività della terra. Ma anche tra i proprietari della terra occorre fare la distinzione tra i grandi proprietari che potevano far coltivare estesi latifondi per conferire il prodotto al mercato, e i piccoli proprietari, come i cavalieri, che avevano un castello e una modesta porzione di terra con la quale dovevano vivere mantenendo il decoro del rango. L’inflazione mandava in rovina i contadini affittuari e impoveriva i cavalieri rendendoli una categoria pericolosa, perché avevano cavalli e armi.
Declino economico della Germania La Germania fu esclusa dal processo delle scoperte geografiche e i traffici delle città della Hansa perdevano importanza. Le teorie economiche del tempo non sapevano spiegare l’aumento dei prezzi delle merci più comuni, per esempio del frumento: si era convinti che la causa fosse l’esportazione di denaro fuori del proprio paese.
Insofferenza per le tasse ecclesiastiche La Chiesa cattolica, fin dalla metà del XIV secolo, imponeva tasse alle diocesi quando la sede era vacante, o per concedere dispense da leggi ecclesiastiche o per costruzioni onerose come la basilica di San Pietro. Gli esborsi di denaro finirono per diventare il capro espiatorio della difficile congiuntura economica della Germania, le cui condizioni politiche non permettevano lo sviluppo della società in senso capitalistico. Quando Lutero iniziò la sua ribellione affermando che il papa doveva costruire San Pietro col denaro italiano, tutti i tedeschi lo compresero. I contadini e i cavalieri lo seguirono con crescente entusiasmo perché dalla riforma attendevano la soluzione dei loro problemi. La zona mediana della Germania, da Strasburgo alla Boemia, conobbe un periodo di turbolenze dei contadini di estrema gravità: bande di contadini cominciarono a prendere d’assalto le case dei ricchi, saccheggiavano e distruggevano avanzando in forti schiere verso le città. I contadini furono massacrati a decine di migliaia a Frankenhausen in Svevia nel 1525, con l’assenso di Lutero che temeva la distruzione della riforma religiosa.
7. 3 Lutero e la Riforma protestante
La vita di Lutero ha un’importanza capitale perché è divenuta esemplare per ognuno dei suoi seguaci. In questo senso Lutero è davvero il creatore della Germania moderna e ciò è indiscutibile soprattutto per la lingua scritta: dopo Lutero, la Germania ebbe una lingua letteraria perfetta.
Giovinezza di Lutero I genitori di Martin Lutero erano contadini. Il padre aveva fatto una certa fortuna come piccolo impresario di miniere: volle che il figlio seguisse gli studi di diritto. La vocazione monastica di Lutero, nato in Sassonia nel 1483, si concretò nel 1505, forse favorita dalla morte di un amico in duello. Ma non è corretto banalizzare la vocazione di Lutero, facendola dipendere dall’emotività giovanile. Lutero era realmente un uomo religioso; semmai si deve rilevare il suo soggettivismo, il fatto che volesse sentire dentro di sé gli effetti della grazia, che fosse cocciuto, quasi incapace di prendere per guida un criterio di giudizio che non fosse il proprio. Dotato di notevoli capacità intellettuali e dialettiche, non era una persona semplice da trattare.
Lutero monaco Nei primi anni di vita monastica apparve irreprensibile, ma le sue doti intellettuali non furono disciplinate da doti morali altrettanto forti: il conflitto fu sopito ma non risolto e alla fine esplose.
Il problema della giustificazione Il problema affrontato da Lutero è il più arduo della teologia, ossia il problema della giustificazione: come può l’uomo, che è peccatore, essere liberato dalla sua colpa? La teologia che Lutero aveva appreso gli rispondeva: tutti gli uomini in Adamo hanno peccato contro Dio e meritano la dannazione; ma Dio, per amore degli uomini si è incarnato in Cristo, assumendo la natura umana e divenendo simile a noi, tranne per il peccato. La morte in Croce di Cristo è stato il sacrificio espiatorio, accettato da Dio Padre, che ha riscattato gli uomini dalla loro condizione di schiavi senza speranza. La Chiesa istituita da Cristo, mediante i sacramenti amministra i meriti della passione e morte di Cristo a vantaggio di tutti i cristiani, facendo loro pervenire, come attraverso canali, la grazia divina che li sorregge in ogni momento della loro vita. Lutero, che era un monaco agostiniano, conosceva un’osservazione capitale di sant’Agostino: “Dio che ti ha creato senza di te non ti salva senza di te“, e perciò non doveva avere dubbi circa la necessità dello sforzo che ogni cristiano deve compiere mediante le opere buone (mortificazione, elemosine, pellegrinaggi…) che, sebbene oggettivamente povere di fronte alla maestà infinita di Dio, soggettivamente rivelano la volontà di cooperare alla propria salvezza. Il dramma di Lutero è stato di non riuscire a fidarsi di questa dottrina, di aver condotto il suo confronto con Dio da solo, escludendo la mediazione della Chiesa.
La coscienza soggettiva Esclusa la Chiesa, rimaneva Dio e la propria coscienza. Lutero si confessava, ma subito dopo chiedeva a se stesso: ma io mi salverò? che si può tradurre in altri termini: io non sento l’azione della grazia in me, dunque io non so se sono stato giustificato. Anzi, continuo a sentire inalterata la forza della concupiscenza, perciò la corruzione della natura umana mi appare insuperabile. A Lutero occorreva una certezza di tutt’altro ordine, un principio più solido e più certo.
Volontarismo di Lutero Lutero aveva studiato solo la scolastica della decadenza, la filosofia di Guglielmo di Occam che aveva falsato il rapporto normale tra intelligenza e volontà. L’intelligenza che si fa misurare dal reale e scopre i rapporti realmente presenti nelle cose, deve comandare la volontà indicandole gli obiettivi da raggiungere. Gli occamisti sostenevano, al contrario, che la ragione si riduce a logica, a mera tecnica del discorso e che la salvezza è opera della volontà.
L’esperienza della torre Lutero fu dunque un volontarista: la ragione fu ridotta alla funzione di fornire giustificazioni alla volontà. La spinta definitiva della nuova teologia luterana fu la cosiddetta esperienza della torre, un’illuminazione che gli fu suggerita dalla frase di san Paolo nell’Epistola ai Romani: “Il giusto vive di fede”. Tanti avevano meditato quelle parole, ma in Lutero produssero un’impressione che sconvolse la teologia, ossia l’uomo è giustificato solo dalla fede e a nulla valgono i suoi sforzi soggettivi: homo semper peccator. Lutero, dunque, è pessimista circa la natura umana, che secondo lui rimane radicalmente corrotta anche dopo la redenzione. La giustificazione dell’uomo avviene unicamente per iniziativa divina: Cristo prende su di sé il pesante fardello dei peccati degli uomini, accentrando su di sé i rigori della giusta e terribile collera di Dio Padre. Si può comprendere a questo punto la famosa affermazione di Lutero: pecca fortiter, crede firmius che significa: per quanto tu sia peccatore, se la tua fede è più grande del tuo peccato, Cristo ti giustifica.
Le 95 tesi di Wittenberg L’affermazione è eccessiva perché nel pensiero del riformatore tedesco è esclusa da parte del peccatore la possibilità di contribuire al proprio emendamento. La scelta di questo senso avvenne dopo la ribellione formale del 1517, quando Lutero rese note a Wittenberg le 95 tesi ostili alla Chiesa e alle dottrine circa le indulgenze, i suffragi per i defunti, il culto delle reliquie, i pellegrinaggi ecc.
Successo delle tesi di Wittenberg Il successo esplosivo delle tesi di Lutero in tutta la Germania, meravigliò, inorgoglì, commosse il loro autore. Seguirono aspre dispute dottrinali con Johann Eck e col Caietano che per primi compresero a fondo la pericolosità e il radicalismo dei nuovi princìpi teologici. Al principio della sola fides seguì ben presto il principio della sola scriptura, ossia Lutero non accettava altra autorità che la Bibbia. In questo periodo Lutero lesse la letteratura antichiesastica che finì per fargli apparire la Chiesa come un complesso di deviazioni dal Vangelo. La riforma da lui promossa doveva cancellare quella storia di iniquità per tornare alla purezza evangelica: solus Christus.
Libertà di interpretazione della Bibbia La Tradizione non aveva più alcun valore se non trovava conferma esplicita nei testi scritti della Bibbia, sui quali Lutero pretendeva il diritto di interpretazione. Quando gli fu obiettato che con la negazione della Chiesa e della tradizione si negava l’interprete autentico della Bibbia, Lutero ribadì che lo Spirito Santo ispira direttamente il fedele e gli fa intendere il senso delle Scritture, negando di conseguenza che esista un sacerdozio ministeriale che tra i fedeli distingue i laici dai sacerdoti: tutti i cristiani col battesimo acquistano un sacerdozio fondamentale. Ma con ciò è sancito il pluralismo delle confessioni religiose protestanti, perché, come Lutero era soggettivamente convinto di possedere la verità, così anche altre scuole teologiche sarebbero nate con la medesima persuasione soggettiva: “Ma la riforma non avrebbe potuto vincere, e nemmeno venire alla luce del sole, senza quest’assoluta persuasione di detenere la verità; persuasione che costituisce la sua sola legittimazione” (G. Ritter).
Scomunica di Lutero Nel 1520, quando la situazione politica permise alla Chiesa cattolica di giudicare Lutero, il movimento della riforma aveva ormai attecchito. A dicembre, quando gli fu notificata la scomunica, Lutero reagì bruciando pubblicamente la bolla del Papa a Wittenberg. L’anno successivo fu chiamato a discolparsi di fronte a una dieta imperiale convocata a Worms da Carlo V.
Dieta di Worms Si difese affermando che avrebbe accettato solo le confutazioni della sua dottrina ricavate dalla Bibbia. Poi lasciò Worms “rapito” dai cavalieri di Franz von Sickingen inviati a proteggerlo dalle reazioni di Carlo V. Nei due anni trascorsi dal 1521 al 1523 nel castello di Wartburg tradusse in tedesco il Nuovo Testamento e qualche anno più tardi anche l’Antico Testamento. Ormai la Germania era in piena rivoluzione: per primi insorsero i cavalieri, che si gettarono sui beni ecclesiastici, perché Lutero dichiarò nulli i voti monastici e il celibato opera del demonio. Dopo i cavalieri si ribellarono i contadini: Lutero rimase atterrito dalla prospettiva del radicalismo religioso degli anabattisti di Thomas Müntzer e, più tardi, di Giovanni di Leida che predicavano un sorta di comunismo dei beni e la poligamia a imitazione di ciò che fecero i patriarchi dell’Antico Testamento: fu terribile nei loro confronti, raccomandando ai prìncipi di assumere il potere nelle loro mani e di “battere, picchiare, passare a fil di spada, impiccare senza misericordia” i ribelli.
Sviluppi politici della riforma Con ciò furono poste le premesse dell’assolutismo dei prìncipi e della formazione delle Chiese di Stato: per mantenere l’ordine pubblico il principe deve avere il potere di scegliere la confessione religiosa da rendere obbligatoria ai sudditi: la già ricordata formula della pace di Augusta del 1555 appare l’opposto della “Libertas christianorum” o del “los von Rom” (via da Roma) che avevano segnato l’inizio della riforma. Dopo il massacro dei contadini avvenuto a Frankenhausen in Svevia (1525), Lutero non ebbe più una parte di primo piano e la direzione del movimento passò nella mani dei prìncipi. Lutero continuò la sua operosissima vita fino alla morte avvenuta nel 1546.
7. 4 Zwingli riformatore di Zurigo
Ulrico Zwingli nacque a Wildhaus nel cantone svizzero di San Gallo nel 1484 e quindi era coetaneo di Lutero, ma la personalità del riformatore svizzero era quanto mai distante da quella del riformatore di Wittenberg. Lutero rimase sempre un uomo rivolto al passato, un “tranquillo contadino” poco propenso alla grande politica, un teologo attirato dalla solitudine e dal grande colloquio instaurato con Dio. Zwingli, invece, pur essendo figlio di contadini, fu sempre attirato dalla vivace vita delle città della Germania meridionale e della Svizzera, dalla politica internazionale, dai mutamenti introdotti dall’umanesimo, dal nuovo che trionfa e che perciò è follia non secondarlo.
La formazione di Zwingli Dopo esser stato ordinato prete, Zwingli divenne cappellano militare al seguito delle truppe svizzere ingaggiate dalle grandi potenze del suo tempo che si davano battaglia per la conquista d’Italia. Qui entrò in contatto con i circoli degli umanisti. Lesse avidamente gli scritti di Erasmo da Rotterdam, la cui ironia era un sottile corrosivo nei confronti di ogni autorità del passato, ma da Erasmo gli venne anche il bisogno di acquistare una profonda cultura biblica. In seguito divenne parroco di Einsiedeln, un centro di pellegrinaggi molto attivo. Nel 1519 fu nominato parroco a Zurigo, dove ebbe notizia della riforma luterana operata a Wittenberg.
La teologia di Zwingli Senza alcuna esitazione, senza i tormentosi ripensamenti di Lutero, passò dalla critica umanistica alla critica religiosa, ma senza farsi semplice scolaro o ripetitore di Lutero. Possiamo perciò affermare che la teologia di Zwingli si trova a metà strada tra quella di Erasmo e quella di Lutero. Da Erasmo lo separa la chiara accettazione della teoria secondo la quale la volontà umana risulta corrotta fino alle radici dal peccato originale, perciò nell’uomo non c’è più posto per il libero arbitrio. Da Lutero lo separa, invece, la grande fiducia che riponeva nella ragione umana, e il valore che egli attribuiva ai giudizi dell’intelletto che per Lutero erano “paglia”. Al riformatore svizzero appariva ripugnante che Lutero definisse la ragione “prostituta del demonio”, e soprattutto il suo rispetto per una parte della tradizione cattolica, per le forme del culto e della vita religiosa del passato.
Il razionalismo zwingliano Zwingli si propose una riforma religiosa e politica al tempo stesso, che toccasse l’aspetto sociale ed economico oltre che religioso dei zurighesi: il suo programma era “rifare tutto secondo la regola di Cristo”, ritenendo che il mondo fosse suscettibile di essere ricondotto sulla strada che porta alla vita eterna. Al razionalismo di Zwingli non resistette nulla: fu abolito l’altare, il canto e la musica sacra. Il servizio divino fu ridotto alla predica tenuta in chiese prive di ogni ornamento, tanto che anche gli affreschi furono distrutti. Il potere di coercizione civile fu applicato ai fedeli che dovevano giustificare la loro assenza dalla predica. Il culto cattolico fu proibito dalle autorità civili e il vecchio patriziato zurighese che recalcitrava fu perseguitato sotto accusa di alto tradimento. La nuova dottrina comportò la supremazia politica di Zurigo e Berna sulla Svizzera settentrionale alla quale si opposero i “cantoni originari” che non vollero abbandonare il credo cattolico, e la preminenza storica in seno alla confederazione. Nel conflitto che seguì, da un parte e dall’altra si ricorse all’aiuto esterno: i cantoni cattolici si rivolsero a Carlo V; Zurigo e Berna cercarono di formare una grande coalizione europea comprendente le città non ostili alla riforma, da Wittenberg fino a Venezia, per combattere il papa e l’imperatore.
Il colloquio di Marburg Zwingli volle incontrarsi con Lutero nel corso di un colloquio religioso a Marburg nel 1529, durante il quale fu raggiunto un certo accordo su molti punti, ma non su quello fondamentale concernente l’Eucaristia. Già i due riformatori si erano scambiati libelli violenti su tale argomento: infatti, Lutero riteneva di aver ravvisato in Zwingli “una diversità di spirito” che appariva inconciliabile con la sua dottrina. Sul tavolo della conferenza Lutero scrisse Hoc est corpus meum e poi tracciò col gesso una riga: o Zwingli accettava la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia e varcava la linea mettendosi dalla parte di Lutero, oppure ogni compromesso risultava impossibile. Secondo Lutero nell’Eucaristia avviene la consustanziazione, ossia le specie eucaristiche rimangono pane e vino, ma c’è anche la presenza reale di Cristo. Per Zwingli, invece, non c’è più consacrazione e tutto il problema della presenza di Cristo è ridotto a una presenza spirituale, simile al ricordo nella nostra mente di una persona lontana.
Fallimento del colloquio di Marburg Il colloquio religioso di Marburg fallì e con esso il progetto di una coalizione protestante. Nel 1531 la guerra tra cantoni protestanti e cantoni cattolici scoppiò veramente, e Zwingli rimase ucciso a Kappel insieme con 24 pastori: la sua riforma riuscì a conservarsi solo sui territori conquistati all’inizio. La teologia zwingliana ebbe grande influsso sull’organizzazione della Chiesa di Ginevra e, più tardi, nella riforma delle Chiese di Olanda e Scozia che seguirono l’indirizzo umanistico del riformatore di Zurigo.
7. 5 Calvino riformatore di Ginevra
Lutero fu il genio religioso della riforma, ma i suoi rapporti con le autorità politiche furono incerti. Zwingli fu la mente politica in grado di far trionfare la riforma in quel decennio critico tra il 1520 e il 1530 in cui la situazione appariva sfavorevole ai cattolici. Calvino, invece, fu la mente lucida, l’infaticabile organizzatore, lo stratega della resistenza protestante contro il ritorno in forze del cattolicesimo, specie tra il 1540 e il 1560, quando esso riuscì a ritrovare la forza della sua organizzazione.
Vita di Calvino Giovanni Calvino nacque nel 1509 a Noyon nella Francia settentrionale, e perciò era di una generazione più giovane degli altri riformatori. Aveva frequentato i più famosi collegi universitari di Parigi in cui dominava lo spirito del nuovo umanesimo cristiano, poi, seguendo i desideri paterni, frequentò le scuole di diritto. Dopo la morte del padre, il patrimonio ereditato gli permise di dedicarsi agli studi umanistici ed esordì con un commento a Seneca, dal quale ricavò il suo fiero moralismo e il senso del dovere per il dovere proprio degli stoici. Al brillante, intelligente, abile letterato si aprivano i campi del successo letterario quando, improvvisamente, avvenne la sua “conversione istantanea” di cui non parlò mai. Mise da parte gli studi che l’avevano occupato fino a quel momento e si applicò alla teologia con tanta determinazione che appena due anni dopo poté pubblicare la sua opera fondamentale Institutio religionis christianae, il primo abbozzo sistematico di teologia dogmatica protestante.
Volontarismo di Calvino Il distacco di Calvino dalla Chiesa di Roma fu un atto di volontà ponderato e meditato, e perciò privo di sfumature. Egli si convinse che di fronte all’onnipotenza divina scompare tutta la scienza e a nulla valgono gli sforzi personali dell’uomo; davanti a Dio è commedia la liturgia cattolica: Dio si può adorare solo in maniera diretta, senza mediazione sacerdotale; niente può piegare un decreto irrevocabile di Dio sulla sorte di ogni uomo. La sua è una dottrina volontaristica: “Lavorare per l’onore di Dio è più importante della cura e lo studio di qualunque bene”.
La predestinazione Per un volontarista, l’attributo più importante di Dio è la sua onnipotenza, e la dottrina della predestinazione ne è la naturale conseguenza. Dio ha stabilito con un atto inappellabile la salvezza o la perdizione degli uomini. L’umanità è stata condannata a causa del peccato di Adamo: se Dio, con un decreto di grazia, salva alcuni degli uomini, il dannato non ha motivo di lamentarsi, così come una bestia non può lamentarsi di non essere uomo. Dio non è un tiranno perché manifesta la sua gloria sia condannando i reprobi sia salvando gli eletti. Gli uomini non capiscono la giustizia di Dio, ma ciò non toglie che essa sia la suprema giustizia. Perciò la dottrina della predestinazione non agisce come una remora, bensì come potente incitamento all’azione, perché il successo di ciò che si è intrapreso può significare la conferma divina della predestinazione alla salvezza. Il cristiano non deve perciò far affidamento sulle opere buone (elemosine, penitenza, digiuno…) bensì applicarsi con la massima diligenza ai suoi doveri di stato (famiglia e lavoro), con la ferma intenzione di riformare il mondo a maggior gloria di Dio.
Calvino a Ginevra Come arrivò Calvino a Ginevra? Nel 1536 si trovava a Ferrara presso la duchessa Renata di Francia quanto mai favorevole alla riforma. Costretto a lasciare Ferrara, Calvino passò da Ginevra con l’intenzione di recarsi in Germania, ma fu trattenuto dalle vive insistenze di Guillaume Farel. Ben presto Calvino divenne il capo riconosciuto della riforma ginevrina. Due anni dopo, nel 1538, la città si sollevò cacciando i poco accomodanti riformatori: Calvino si rifugiò a Basilea e poi a Strasburgo. La riforma ginevrina avvenne nel quadro di una grande azione politica ordita da Berna che riuscì a sottrarre la città alla giurisdizione del vescovo cattolico di Annecy e ai duchi di Savoia, per farla entrare nella confederazione elvetica.
Crisi della riforma di Calvino I bernesi non fecero buona prova perciò i ginevrini si ribellarono e cacciarono anche Calvino. Ma l’influenza dei duchi di Savoia era ancor meno tollerabile perciò nel 1541 i ginevrini richiamarono Calvino che escluse i cattolici per un verso e la Chiesa di Stato di tipo zwingliano per l’altro. Il nuovo ordinamento autonomo elaborato da Calvino, modello di tutte le comunità calviniste future, furono le Ordinanze ecclesiastiche. In esse, secondo il modello delle chiese dei primi tempi del cristianesimo, erano previsti quattro uffici: quello di pastore, il più elevato perché aveva la suprema autorità; di dottore per l’insegnamento della teologia; di diacono per provvedere agli ospedali e all’assistenza; e, infine, di anziano con compiti di vigilanza dei costumi su ciascuno dei quartieri della città. Gli anziani e i pastori riuniti formavano il concistoro, il tribunale morale della nuova Chiesa.
Il culto calvinista Il culto divino si limitava alla predica, alla preghiera e al canto dei salmi. Le feste furono abolite a eccezione della domenica. La caratteristica più importante è l’istituzione degli anziani e del concistoro che permise di realizzare in Ginevra una rigida disciplina ecclesiastica, mai ottenuta da alcun’altra Chiesa. Infatti, a Ginevra i cittadini erano costretti a giurare la professione di fede strada per strada, gli anziani vigilavano le azioni dei cittadini: i colpevoli erano citati davanti al concistoro.
Ordinamenti democratici Il fatto nuovo di Ginevra era che le pene erano inflitte senza alcun riguardo alla classe sociale di appartenenza del reo e che quindi, prima che altrove, trionfò la democrazia intesa come uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Il potere civile e quello religioso non coincidevano, bensì si integravano, nel senso che le autorità religiose sapevano che alla loro riprovazione sarebbe seguita la condanna del reo da parte delle autorità civili.
Trionfo politico di Calvino Calvino non ebbe mai vita tranquilla a Ginevra perché la sua riforma aveva colpito troppe persone nei loro interessi. Ma a partire dal 1555 i sostenitori della riforma trionfarono alle elezioni politiche e Calvino si affrettò a liberarsi dai suoi avversari mediante una serie di processi con numerose condanne a morte, tra cui la più nota è quella di Michele Serveto, un medico spagnolo antitrinitario. Quando nel 1564 Calvino morì, la riforma non fu travolta a Ginevra e la città rimase la punta avanzata, la centrale operativa del movimento riformatore in Europa mediante l’Accademia – una sorta di facoltà teologica e umanistica -, il concistoro e una scuola pratica di predicatori itineranti che inviava missionari per tutta l’Europa.
La riforma in Scandinavia Mentre in Germania infuriavano le guerre tra Carlo V e Francesco I, Danimarca, Svezia e Norvegia, quasi senza che i riformatori di Wittenberg vi ponessero mano, si staccarono da Roma e passarono alla riforma, ma non per la via della conversione interiore predicata da Lutero, bensì per intervento del potere politico che impose ai sudditi la nuova confessione religiosa, mentre al tempo stesso era distrutto l’antico ordinamento feudale instaurando l’assolutismo.
Declino dell’Unione di Kalmar Gli antichi regni vichinghi col passare del tempo erano divenuti paesi di agricoltori, perché i traffici marittimi erano stati assorbiti dalla lega delle città tedesche del Baltico, la Hansa. A partire dal 1397, con l’Unione di Kalmar, i tre regni erano stati unificati sotto il re di Danimarca che, tuttavia, al momento dell’assunzione al trono firmava un capitolato mediante il quale assicurava le tradizionali autonomie ai tre popoli, concedendo ai nobili e al clero il godimento di particolari privilegi.
La riforma in Svezia In Svezia la riforma protestante divenne un mezzo per la lotta contro il protettorato danese. Il massacro di Stoccolma del 1520 distrusse per sempre la possibilità di far sopravvivere l’Unione di Kalmar. Gustavo Vasa si mise a capo di una sollevazione di contadini contro Cristiano II e nel 1523 fu elevato al trono, primo di un serie di re dalla personalità rilevante sul piano politico e militare. Gustavo Vasa governava col consenso della nazione convocata in diete rappresentative di tutti gli ordini, anche i liberi contadini. Per finanziare le guerre d’indipendenza, Gustavo Vasa ritenne necessario impadronirsi dei beni della Chiesa cattolica.
Dieta di Vesteräs Ci furono sollevazioni di contadini, ma gli ispiratori della rivolta furono giustiziati. Gustavo Vasa convocò la dieta di Vesteräs (1527) nel corso della quale bastò la minaccia di abdicare per costringere gli ordini ad approvare tutte le direttive di politica ecclesiastica. In primo luogo fu abolito ogni potere politico dei vescovi, equiparati ai laici; poi fu confiscato ogni tesoro appartenente alle chiese e ai conventi, infine furono incamerati i beni ecclesiastici. La riforma in Svezia fu compiuta a piccoli passi per quanto riguarda i dogmi: la gente era legata alle forme del culto cattolico e perciò il re le mantenne per qualche tempo, ma interpretandole in senso luterano e solo verso la fine del secolo furono prese decisioni a livello dogmatico. Il consiglio feudale del regno fu svuotato di ogni potere e la successione fu assicurata all’interno della famiglia Vasa. Quando nel 1560 Gustavo Vasa morì, la Svezia era divenuta la maggiore potenza del Baltico, indipendente dalla Danimarca e dalla Hansa, unificata sotto una monarchia forte che nel secolo successivo sarà in grado di infrangere il tentativo egemonico degli Absburgo d’Austria.
7. 6 Cronologia essenziale
1517 Lutero pubblica le 95 tesi a Wittenberg.
1519 Carlo V è eletto imperatore del Sacro Romano Impero.
1520 Il papa Leone X scomunica Lutero, che reagisce bruciando pubblicamente la bolla del Papa.
1523 Gustavo Vasa è eletto re di Svezia dopo una sollevazione contro Cristiano II di Danimarca.
1525 In seguito alla sconfitta di Pavia, Francesco I di Francia è fatto prigioniero e trattenuto a Madrid per un anno.
1527 Roma è messa a sacco da mercenari tedeschi in risposta alla lega di Cognac promossa dal papa Clemente VII e dalla Francia.
1530 A Bologna Carlo V è incoronato imperatore dal papa Clemente VII. Carlo V nella dieta di Augusta non riesce a comporre i dissidi religiosi tra cattolici e protestanti.
1534 È eletto papa Paolo III della famiglia Farnese che dà inizio alla riforma cattolica.
1536 Riprende la guerra tra Carlo V e Francesco I.
1544 La pace di Crépy conclude senza mutamenti territoriali la guerra tra Francia e impero.
1545 I vescovi cattolici iniziano a Trento i lavori del concilio.
1547 Carlo V sconfigge i protestanti uniti nella lega di Smalcalda.
1551 Maurizio di Sassonia, già comandante delle truppe imperiali, passa alla guida delle truppe protestanti della lega di Smalcalda e sconfigge Carlo V.
1555 Ad Augusta è firmata la pace di compromesso: ai principi è concesso lo Jus reformandi espresso dalla formula Cuius regio eius religio.
1556 Carlo V abdica a favore del figlio Filippo II e del fratello Ferdinando I.
1557 Filippo II vince la battaglia di San Quintino nelle Fiandre ma non può sfruttare la vittoria per difficoltà finanziarie.
7. 8 Il documento storico
Si è accennato al fatto che la protesta di Lutero non avrebbe avuto alcun seguito se egli non avesse avuto a disposizione il nuovo mezzo “caldo” della comunicazione sociale di massa rappresentato dalla stampa. Il documento che segue è ricavato da un mirabile libello, pubblicato nel 1520 col titolo “Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca”. Lutero dimostra di saper passare dalla discussione tra teologi al pamphlet impietoso, ricorrendo a un linguaggio popolaresco per farsi comprendere da tutti. Il cenno finale ai trecentomila fiorini che prendono la via di Roma e ai tremila scrittori al servizio del papa è un esempio di sapiente manipolazione dell’opinione pubblica.
“Vediamo ora i problemi che si dovrebbero trattare in Concilio e di cui papi, vescovi e tutti gli altri dotti dovrebbero occuparsi giorno e notte, se amassero Cristo e la sua Chiesa. Ma se costoro non lo fanno, agisca allora la gente e la spada temporale, senza guardare alle loro scomuniche e maledizioni, perché una scomunica ingiusta è meglio di dieci ingiuste assoluzioni, mentre una assoluzione ingiusta è peggio di dieci scomuniche. Perciò svegliamoci miei cari tedeschi, e temiamo Dio più che gli uomini, affinché non finiamo come tutte quelle povere anime che così miseramente vennero perdute a causa del peccaminoso e diabolico governo romano; e ogni giorno il diavolo ne prende sempre più così che sarà forse possibile che tale diabolico governo diventi ancora peggiore, ciò che io non posso né concepire né credere.
In primo luogo è orribile e spaventoso vedere che il capo della Cristianità che si proclama vicario di Cristo e successore di san Pietro, viva tanto lussuosamente e mondanamente che nessun re o imperatore può pretendere né ottenere l’uguale, e mentre si fa chiamare “santissimo” e “spirituale” è più terreno di quel che non sia la stessa terra. Porta la triplice corona, mentre i re più grandi ne portano una sola, si paragona alla povertà di Cristo e di san Pietro, e questo è davvero un paragone unico e singolare. Si grida all’eresia se si parla contro di lui, ma non si vuole comprendere quanto sia anticristiana e antidivina una simile costumanza. Io ritengo che se egli volesse pregare e piangere davanti a Dio dovrebbe deporre una simile corona, perché il nostro Dio non può tollerare la superbia. Ora il suo ufficio non dovrebbe consistere in altro che piangere e pregare tutto il giorno per la cristianità, e dare esempio di ogni mortificazione.
Sia come egli vuole, ma una simile pompa scandalizza, e per la beatitudine dell’anima sua il papa è tenuto a tralasciarla, perché san Paolo dice: “Astenetevi da tutte le pompe, le quali sono scandalose”, e ancora (Rm 12, 17) che noi dobbiamo praticare il bene non solo agli occhi di Dio, ma davanti a tutti gli uomini. Al papa dovrebbe bastare una comune mitra da vescovo, e dovrebbe essere maggiore agli altri solo per saggezza e santità e lasciare all’Anticristo la corona della superbia, come fecero i suoi predecessori, molte centinaia di anni fa. Essi dicono: è un signore del mondo, ma mentono, perché Cristo, del quale il papa si vanta di essere ministro e vicario, disse a Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo” e nessun vicario può regnare oltre quanto fa il suo signore. Ancora egli non è vicario del Cristo erede, ma del Cristo Crocifisso, come dice san Paolo: “Io non ho voluto conoscere presso di voi che Cristo, e Cristo Crocifisso” e (Fil 2, 5 segg.): “Dunque abbiate in voi i medesimi sentimenti che vedete in Cristo, il quale si spogliò ed assunse condizioni di servo”, e ancora (1 Cor 1, 23): “Noi predichiamo un Cristo Crocifisso”. Essi invece fanno del papa un vicario del Cristo salito in Cielo, e hanno talmente lasciato che il demonio dominasse in loro, da ritenere che il papa sia superiore agli angeli del Cielo e abbia potere su di loro; le quali cose sono propriamente tutte opere del vero Anticristo.
In secondo luogo: qual vantaggio viene alla Cristianità da coloro che sono chiamati cardinali? Ve lo dirò io. Le terre tedesche e latine hanno molti ricchi monasteri, conventi, feudi e parrocchie; ora non si è trovato di meglio per darli in mano a Roma, se non inventando dei cardinali e dando loro vescovati, conventi e prelature, col risultato che il servizio divino fu trascurato. Per questo ora si vedono le terre latine ridotte a deserto, i conventi cadenti, i vescovadi sperperati, i redditi delle prelature e di tutte le altre chiese andare a Roma, le città crollano, terre e genti vanno in rovina, perché non si hanno più né servizio divino né prediche. E perché? Perché i cardinali devono possedere i beni; neanche il Turco avrebbe potuto distruggere così le terre romane e calpestare il servizio divino.
Ora che quelle terre sono state spremute a fondo se ne vengono nelle terre tedesche; incominciano assai pulitamente, ma vedrai che, ben presto le regioni tedesche saranno ridotte uguali a quelle latine. Già abbiamo parecchi cardinali; dove i romani vogliono arrivare per tale via questi sciocchi tedeschi non debbono capirlo, finché non avranno più alcun vescovado, convento, parrocchia, beneficio, soldo né centesimo. L’Anticristo deve avere i beni della terra come è stato preannunziato. Perciò quelli là hanno l’acquolina in bocca per vescovadi, monasteri e benefici; e perché non osano ancora prendere tutto, come hanno fatto con i latini, usano appunto di quella loro sacra scaltrezza: cioè uniscono dieci o venti prelature e da ognuna estorcono ogni anno qualcosa, così che ne esce una bella somma. La prelatura di Würzburg dà mille fiorini, quella di Bamberga circa altrettanto, Metz e Treviri anche di più; così si mettono insieme migliaia di fiorini e anche decine di migliaia con cui un cardinale può tenere poi a Roma un tenore di vita uguale a quello di un ricco sovrano.
In terzo luogo: se rimanesse solo la centesima parte della corte papale, togliendone novantanove, sarebbe sempre più che sufficiente per sbrigare le questioni relative alla fede. Ora invece è un tal verminaio e cancro in quella Roma, e tutto ciò si vanta di essere papale, mentre un tale stato non si raggiunse neppure in Babilonia. Solo di scrittori del papa ve ne sono più di tremila, e chi vorrà contare la gente degli altri uffici, quando i soli uffici sono tanti che a malapena si possono contare! Tutti costoro si aspettano vantaggi dai conventi e dai benefici delle terre tedesche come il lupo dalle pecore. Io credo che la Germania paghi al papa oggi assai più che nei tempi passati agli imperatori. Anzi molti ritengono che ogni anno più di trecentomila fiorini vadano dalla Germania a Roma, e proprio invano, perché non ne ricaviamo se non dileggio e beffe; eppure ancora ci meravigliamo che principi, nobiltà, città, conventi, campagne e genti diventano poveri; dovremmo meravigliarci di aver ancora da mangiare”.
Fonte: G. ALBERIGO, La riforma protestante, Garzanti, Milano 1959, pp. 76-79.
7. 9 In biblioteca
Per la conoscenza di Carlo V rimane ancora fondamentale di K. BRANDI, Carlo V, Einaudi, Torino 1961 e di F. CHABOD, Carlo V e il suo impero, Einaudi, Torino 1985. Per la concezione imperiale si consulti di F.A. YATES, L’idea di impero nel Cinquecento, Einaudi, Torino 1978. Per la rivoluzione dei prezzi si consulti di AA.VV., Storia economica di Cambridge, vol. IV: F. BRAUDEL-F. SPOONER, L’espansione economica nell’età moderna, Einaudi, Torino 1976. Per la storia religiosa si consiglia di M. BENDISCIOLI, Dalla Riforma alla Controriforma, il Mulino, Bologna 1974. Per gli aspetti culturali della riforma: H.A. OBERMAN, I maestri della Riforma. La formazione di un nuovo clima intellettuale, il Mulino, Bologna 1982. Notevole la biografia di Lutero di J.M. TODD, Martin Lutero, Bompiani, Milano 1966.