L’età feudale

Manuale di Storia
di Alberto Torresani

Il termine “feudale” connota una crisi del governo centrale che per sopravvivere è costretto a cedere alcune prerogative sovrane -coniare monete, amministrare la giustizia, riscuotere tasse, arruolare soldati- ai rappresentanti periferici. Dal IX all’XI secolo l’Europa sperimentò le conseguenze del crollo di un potere centrale in grado di assicurare ai cittadini un’esistenza politica basata sulla certezza del diritto, sull’ordine pubblico, sull’esistenza di una burocrazia capace di far giungere fino in periferia la volontà del governo, e su un esercito permanente in grado di difendere lo Stato dagli effetti disastrosi dell’anarchia interna e dalle incursioni di nemici esterni.
Dopo la breve stagione dell’unità politica dell’Europa occidentale, vissuta al tempo di Carlo Magno, i nobili imposero al sovrano tante limitazioni al suo potere da apparire essi stessi quasi piccoli re, posti a capo di una limitata porzione di territorio, incapaci di formulare una politica unitaria per allontanare le scorrerie delle ultime popolazioni seminomadi. Gli scambi commerciali si ridussero al minimo e l’agricoltura si organizzò per l’autoconsumo; la vita delle città, che ai tempi di Carlo Magno e di Lodovico il Pio aveva conosciuto una certa ripresa, si ridusse, e l’architettura sembra aver prodotto solo tetre fortificazioni munite di rare aperture per non offrire appigli all’espugnazione dei tanti nemici che sbucavano da ogni parte. Infatti, i terribili uomini del nord erano in grado di condurre le loro navi fin all’interno del continente; i Saraceni penetravano fin nel cuore delle Alpi; i Magiari sembravano vivere sul dorso dei loro cavalli.
Le fonti scritte per la storia di questo periodo sono di origine monastica: si tratta di scarne cronache che riferiscono inondazioni, pestilenze, carestie e saccheggi. I monaci usavano uno stile da fine del mondo: probabilmente ci furono anni meno turbinosi, ma nel complesso si può parlare di ritorno ai peggiori momenti del V e del VI secolo, ma con meno fiducia perché i musulmani sembravano refrattari alla conversione, mentre Vichinghi e Magiari presero in considerazione la conversione solo dopo la ripresa politica e militare dell’Occidente.
Il regime feudale fu espressione dell’organizzazione locale delle forze ancora esistenti, avendo di mira la sopravvivenza. Quando le condizioni esterne si fecero meno oppressive, il ricordo dell’impero romano e cristiano permise la renovatio imperii guidata dalla nazione germanica.

9. 1 Re, cavalieri, contadini

Lo studio della società feudale è complesso e sono falliti i tentativi di indicare uno schema semplice adatto a tutte le situazioni locali. Forse è meglio descrivere la genesi degli istituti sociali e politici medievali sottesi al termine “feudalesimo”.
La società classica si fondava sulle città, ossia sulla presenza di un mercato nel quale si trovavano i beni necessari alla vita, in primo luogo il cibo. Le campagne intorno alle città provvedevano al rifornimento del mercato, ricevendo in cambio i prodotti dell’artigianato e i servizi. La terra era coltivata da piccoli proprietari liberi che portavano al mercato solo le eccedenze agricole rimaste dopo aver soddisfatto i bisogni primari della famiglia, e da grandi proprietari terrieri (latifondisti) che si avvalevano del lavoro degli schiavi: le grandi famiglie senatorie romane fondavano la loro potenza sulla proprietà della terra. La crisi demografica del basso impero e le invasioni barbariche ruppero un equilibrio durato secoli, e nell’impero si insediarono stabilmente numerose popolazioni germaniche che vi introdussero profondi mutamenti.
La società barbarica era divisa in clan e tribù che si reggevano secondo leggi consuetudinarie: essi erano allevatori di bestiame con scarse simpatie per l’agricoltura sedentaria. Il servizio militare prestato come mercenari fornì per qualche tempo il denaro necessario per soddisfare le accresciute esigenze, poi vennero le razzie e infine l’occupazione stabile di una parte dell’impero romano con la riduzione della popolazione romana alla condizione di tributari. Nel VI e VII secolo le monarchie barbariche rafforzarono la loro potenza; poi, quando ebbero dilapidato il demanio ceduto ai loro dipendenti, cominciò la decadenza. I Carolingi ricorsero all’occupazione del patrimonio ecclesiastico e alla conquista di nuovi territori riuscendo per qualche tempo a costituire uno Stato dotato di una certa vitalità, ma anch’esso cadde sotto i colpi dell’anarchia dei nobili e delle incursioni vichinghe, magiare e saracene. Infatti non era avvenuta la ricostituzione di un sistema economico fondato sull’economia di mercato e l’organizzazione sociale divenne sempre più primitiva, rivolta alla produzione di ciò che è necessario per vivere. L’età feudale è caratterizzata dalla riduzione al minimo degli scambi di merci, dalla produzione per l’autoconsumo, per cui ogni nucleo sociale doveva risultare autosufficiente, ricorrendo per beni indispensabili al baratto di merce contro merce, perché il denaro aveva perduto il carattere di merce privilegiata in grado di trasformarsi in tutti gli altri beni desiderati.
I contadini La società completamente ruralizzata prevedeva una fondamentale divisione in due categorie: i contadini per la produzione del cibo e i guerrieri per la difesa. Tra gli uni e gli altri si stabilì una sorta di solidarietà sancita da un contratto fondato su prestazioni reciproche: se i guerrieri non assicuravano una protezione efficace, c’era la fame per tutti. Occorreva perciò trovare protettori efficaci stabilendo una piramide retta da una solidarietà verticale. Al vertice della piramide c’era il re proprietario del territorio su cui aveva giurisdizione. Poiché il re aveva bisogno di un esercito e di una burocrazia, doveva cedere in possesso ampie parti del suo territorio in conto pagamento delle prestazioni dei suoi uomini coi quali stabiliva un contratto: se le clausole erano rispettate si era “fedeli”; se erano infrante si incorreva nel reato di “fellonia”, il contratto era rescisso e il fellone messo al bando.
Proprietà e possesso della terra La proprietà della terra rimaneva al re che ne cedeva solo il possesso ai suoi fedeli (conti, duchi, marchesi) i quali, a loro volta, per risolvere i loro problemi non avevano altra risorsa che subinfeudare parte della loro terra a vassalli minori secondo contratti analoghi a quelli stipulati dal re con loro. La piramide si allargava fino a raggiungere la base, ossia i contadini che provvedevano col lavoro al mantenimento di tutti.
I contadini alla base della piramide I contadini vivevano in villaggi costruiti intorno alla villa o curtis del proprietario locale, il cui terreno agricolo era diviso in due unità: la pars dominica e la pars massaricia. La prima era lavorata da contadini che le dedicavano, per contratto, da due a cinque giornate lavorative per settimana, ricevendo in cambio il cibo. La pars massaricia era lavorata in proprio dai contadini che si impegnavano a fornire al signore, al termine dell’annata agraria o a determinate scadenze, una parte del raccolto.
Modalità di coltivazione I contadini coltivavano la terra assegnata alla comunità di villaggio secondo un minuzioso sistema che prevedeva l’assegnazione annua di un certo numero di strisce arative di terreno a seconda del numero delle persone atte al lavoro presenti in famiglia, mentre i boschi e i pascoli erano d’uso comune per tutta la comunità. Generalmente si praticava la rotazione delle culture secondo un ciclo di due o tre anni: la striscia arata un anno, nel successivo era lasciata a pascolo per permettere al terreno di recuperare fertilità. La rotazione su tre anni prevedeva un anno dedicato alla coltivazione di legumi. La concimazione era pressoché sconosciuta e quindi la resa delle sementi era modesta: per il frumento, il più importante tra i cereali, il rapporto era di 1 a 2,5 ossia da un sacco di sementi se ne ottenevano due e mezzo, di cui uno doveva era accantonato per la semina futura e solo ciò che rimaneva era impiegato per l’alimentazione. Gli altri cereali come orzo, segale, avena e miglio davano un rendimento superiore e perciò il pane dei contadini quasi mai era di frumento.
Agricoltura di sussistenza Occorre ribadire che la curtis medievale non era più l’antico latifondo romano coltivato da schiavi per rifornire il mercato della più vicina città, e neppure la moderna azienda agricola fondata sul profitto e quindi sull’impiego del minor numero di addetti al lavoro agricolo: la curtis era una comunità mirante alla sopravvivenza e alla propria difesa in una società che sapeva di non poter contare su aiuti esterni. Esistevano terreni appartenenti a liberi (allodi) sui quali il proprietario aveva dominio pieno, ma la necessità della difesa suggeriva di mettere al riparo dai potenti quei poderi cedendo la proprietà a un convento o a una chiesa, per riceverli sotto forma di dominio utile per sé e per i discendenti, in cambio di un piccolo canone a favore del convento o della chiesa, il cui patronus o advocatus poteva difendere con maggiore speranza di successo quelle terre. I liberi proprietari, perciò, diminuirono e la terra finì per appartenere, in senso pieno, solo ai nobili e agli ecclesiastici che fornivano un diverso grado di protezione: più efficace, ma anche più pericolosa, quella dei nobili. La società feudale conosce perciò solo due categorie: cavalieri e contadini legati tra loro in molteplici rapporti disciplinati e mitigati dall’annuncio di un messaggio di salvezza che andava oltre la vita presente da parte dei sacerdoti.
La cultura Il clero era l’unica fonte di cultura: la liturgia, il canto sacro, la predicazione erano il solo diversivo al lavoro, il quale peraltro non aveva i ritmi frenetici del lavoro attuale, essendo molto duro solo al tempo della semina e del raccolto: se l’annata agraria era soddisfacente e non c’era il pericolo di carestia, se non avvenivano razzie, tutti potevano dichiararsi felici perché a quei tempi bastava sopravvivere.
Il regime feudale
Riassumendo si può affermare che il regime feudale è caratterizzato da tre processi: a) degradazione e frantumazione della categoria degli uomini liberi perché la legge non offriva alcuna protezione a chi non era inserito in una classe “riverita e forte”, ossia ogni junior ricercava la protezione di un senior; b) nascita di un’aristocrazia fondiaria che ricavava il necessario per vivere dal lavoro di numerose persone alle quali occorreva fornire la difesa dai nemici esterni mediante un valido rapporto con l’autorità centrale, vertice della piramide feudale; c) formazione di una massa di semiliberi ampia e diversificata a seconda del contratto che ciascuno aveva stipulato col senior. La solidarietà orizzontale con gli altri appartenenti alla propria categoria era infruttuosa perché incapace di offrire protezione in collegamento al livello superiore.


9. 2 Beneficio, immunità, vassallaggio


Poiché il feudalesimo era un regime contrattuale, sorse una complicata giurisprudenza che offuscò in Occidente il diritto romano, rinato solo alcuni secoli più tardi in concomitanza con la vigorosa ripresa dell’economia di mercato e con la rinascita delle città libere che avevano bisogno di ordinamenti estranei al diritto feudale.


Beneficio Col termine “beneficio” si intendeva la cosa oggetto del contratto tra un concedente che vantava un titolo valido sulla cosa data in uso al concessionario: poteva trattarsi di un grande territorio o anche solo di uno stagno pescoso o di un casello daziario. La proprietà piena rimaneva al concedente che, in genere, ritornava in possesso della cosa concessa alla morte del concessionario. Si è già detto che fin dall’877 il capitolare di Quierzy stabiliva il principio secondo il quale i feudi maggiori, in caso di morte del concessionario al servizio del re, passavano di diritto al primogenito del defunto: ciò significa che il potere dei grandi feudatari era divenuto ampio e che solo con tale concessione era possibile contare sulla loro fedeltà. In seguito i nobili riuscirono a ottenere che anche gli altri parenti, fino al sesto grado, potessero ereditare il beneficio: in pratica il caso di devoluzione diveniva raro, tranne in caso di fellonia, quando il re faceva guerra al vassallo ribelle e lo vinceva in regolare combattimento. Solo molto più tardi l’imperatore Corrado II il Salico rese ereditari anche i feudi minori (Constitutio de feudis, 1037) riuscendo così a fiaccare il potere dei feudatari maggiori divenuti pressoché indipendenti dal governo centrale.


Immunità Per permettere il godimento del dominio utile il re doveva concedere l’immunità della cosa offerta dalla giurisdizione superiore: in altre parole, il re rinunciava a far valere i diritti sovrani sul territorio concesso in feudo, in primo luogo la sua potestà giudiziaria, poi la facoltà data al vassallo di coniare monete con la propria effige e di arruolare soldati. Alcune clausole stabilivano quando e con quale seguito il re poteva attraversare il territorio concesso in feudo. L’immunità dalla giurisdizione del superiore di grado è l’elemento che rende estraneo alla nostra mentalità il regime feudale: esso non fu solo un decentramento amministrativo bensì un decentramento politico, l’abdicazione del re ai suoi poteri sovrani.


Vassallaggio Infine, con vassallaggio si intendono le prestazioni che il concessionario si impegna a rendere al re in cambio del beneficio ricevuto. Anche in questo caso il diritto feudale divenne complesso. Il vassallo si impegnava ad accorrere in difesa del signore in caso di guerra “giusta”. Questo aggettivo si prestava a un contenzioso enorme: non si riuscì mai a stabilire quale guerra fosse giusta, se la guerra doveva apparire giusta alla valutazione soggettiva dei vassalli. Costoro, infatti, giudicavano quasi sempre ingiusta la guerra del re contro uno di loro, e perciò ottennero che un tribunale di pari giudicasse l’operato del ribelle: solo dopo una sentenza di colpevolezza in qualche modo emanata da loro stessi scattava il casus di guerra giusta contro il ribelle pertinace.


Il patto feudale Il servizio militare fuori del proprio feudo per una guerra giusta fu limitato alla durata di quaranta giorni, in capo ai quali il vassallo dichiarava di aver esaurito per quell’anno i propri doveri verso il re e tornava a difendere il proprio territorio. Un altro caso sempre contemplato dal vassallaggio era di contribuire al riscatto del re caduto prigioniero dei nemici. Quando si dava tale situazione si poteva esser sicuri che i vassalli iniziavano trattative che potevano durare anni, senza fretta, essendo per essi una situazione ideale il non avere per qualche tempo alcun diretto superiore. Un terzo caso contemplato dal vassallaggio era il donativo ordinario quando i vassalli si recavano a corte, in genere una volta all’anno, e quello straordinario in caso di matrimonio del re o del primogenito: il donativo doveva essere proporzionato all’entità del beneficio ricevuto e si traduceva in pratica in un’esazione fiscale operata dal vassallo sui propri sudditi a favore del senior.


La guerra Il regime feudale si fondava su rapporti personali e perciò ogni decisione politica diveniva complessa. Anche il raduno di un esercito feudale era un avvenimento complicato: ogni reparto giungeva sul luogo di raduno accampandosi in un determinato settore secondo un rigoroso ordine gerarchico. Le truppe obbedivano solo al proprio comandante che accettava ordini solo se era d’accordo. La suscettibilità, le sfide, le accuse reciproche erano abituali. L’efficienza bellica delle truppe feudali era ridotta. Le guerre contro i vichinghi erano combattute solamente se gli attaccanti passavano sul proprio territorio, perché i danni inferti agli altri vassalli o al re apparivano un accrescimento della propria potenza. Già sotto gli ultimi Carolingi gli eserciti risultarono formati solo da cavalieri rivestiti di armatura completa su cavalli pesanti, anch’essi bardati di ferro, una tattica inadeguata contro la cavalleria leggera dei Saraceni, dei Magiari e dei Normanni che preferivano la mobilità.


9. 3 Vichinghi, Saraceni, Magiari


Per tre secoli, dal IX all’XI, i normanni ebbero il potere di terrorizzare l’Europa mediante il dominio del Mar Baltico, del Mare del Nord, dell’Atlantico e del Mediterraneo occidentale.


Le navi dei Vichinghi La nave più efficiente, il drakkar, era lunga circa 24 metri, larga circa 5, senza ponte di coperta, con prua e poppa fortemente arcuate. La linea di galleggiamento era piuttosto bassa, il pescaggio non superava il metro e il fondo era piatto. Il drakkar aveva un solo albero con una vela quadrata, il timone consisteva in un remo posto lateralmente a poppa. In ogni caso, ricostruzioni moderne del drakkar hanno dimostrato che si potevano effettuare navigazioni oceaniche con un ragionevole margine di sicurezza. Il fondo piatto della nave permetteva di tirarla in secco con facilità e di farle compiere un trasporto per terra per raggiungere il corso di un altro fiume da discendere secondo la corrente, cogliendo così impreparati i nemici. Intorno al secolo VIII quel tipo di nave aveva raggiunto la perfezione del suo genere, e in mano ad audaci naviganti permise una serie di scorrerie che raggiunsero tutte le coste europee.


Norvegesi, Svedesi, Danesi Gli uomini del nord o Vichinghi si possono dividere in tre gruppi. I Norvegesi saccheggiarono in prevalenza le isole Shetland, le Orcadi, le Ebridi, l’isola di Man, l’Irlanda, l’Islanda e la Groenlandia, raggiungendo il Labrador e l’isola di Terranova in America. I Danesi puntarono soprattutto in direzione della Gran Bretagna, della Francia, della Frisia e del Baltico meridionale. Gli Svedesi svilupparono le rotte orientali raggiungendo i bacini dei grandi fiumi russi, Don e Volga, discesi fino al Mar Nero e al Mar Caspio.


Tradizionalismo dei Vichinghi Gli scandinavi tennero vive più a lungo delle altre tribù germaniche usanze e ideali di vita di tipo eroico e guerresco. L’agricoltura non poteva bastare per nutrire la crescente popolazione scandinava che, a partire dal secolo VIII, si rese conto della debolezza dell’Europa. Il primo obiettivo furono le isole britanniche che non facevano parte dell’impero di Carlo Magno.


a) Le scorrerie dei Vichinghi.


Certamente l’espansione dei Vichinghi risultò favorita dalla sconfitta dei Frisoni da parte di Carlo Martello nel 734 e dalla loro successiva inclusione nell’impero di Carlo Magno al tempo delle guerre sassoni: i Frisoni avevano controllato il commercio del Mare del Nord ostacolando sul mare i Vichinghi. Il declino della potenza frisone favorì perciò l’avventurismo vichingo che cercava una valvola di sfogo per i numerosi cadetti delle famiglie nobili.


Inizio degli sbarchi in Inghilterra Nel 787 a Dorchester avvenne il primo sbarco in Inghilterra. Nel 793 fu distrutta la gloriosa abbazia di Lindisfarne e l’anno dopo subì la stessa sorte il monastero di Jarrow. Nel 795 i Vichinghi comparvero davanti a Dublino e nel 798 saccheggiarono l’isola di Man.


Sbarchi in Irlanda In seguito l’Inghilterra non subì altri attacchi fino all’835, al contrario dell’Irlanda che non conobbe un attimo di tregua. Nell’802 la distruzione toccò all’abbazia di Iona e in pochi anni i monasteri d’Irlanda furono ridotti a rovine. L’Irlanda non aveva città fortificate: i monasteri sorgevano in aperta campagna attirando i razziatori che cercavano di impadronirsi dei reliquiari imponendo taglie per il riscatto dei prigionieri.


I Vichinghi costruiscono campi trincerati Dopo l’anno 834 i Vichinghi mutarono tattica: non si limitavano a incursioni estive, bensì costruivano campi trincerati a difesa della flotta, e catturavano cavalli utilizzati in sistematiche razzie. A partire da quell’anno l’Inghilterra fu sottoposta a incursioni di Danesi lungo le coste dell’Anglia orientale.


Tentativi di evangelizzare i Vichinghi Nell’822 Ebbone arcivescovo di Reims ricevette dal papa il compito di tentare l’evangelizzazione dei Danesi. Il risultato principale fu il battesimo del principe Aroldo (826). Ansgario abate di Corvey in Sassonia fu chiamato in Svezia rimanendovi un anno e mezzo, ma poi una rivolta popolare lo costrinse a lasciare il paese. Sembra che i Vichinghi fossero molto tiepidi in materia di religione, perché si facevano beffe anche del loro paganesimo. Fino all’865, anno della morte, Ansgario lottò contro il paganesimo con qualche risultato in Danimarca e Svezia, mentre la Norvegia rimaneva tenacemente pagana.


I Danesi si offrono come mercenari Dopo la morte di Lodovico il Pio (840) i rapporti tra i Danesi e i regni carolingi divennero più intensi: l’imperatore Lotario assoldò danesi ai danni dei regni dei fratelli; Aroldo ricevette l’isola di Walcheren e nell’842 occupò la regione della Mosella combattendo contro Lodovico il Germanico.


I Vichinghi in Francia Verso l’anno 800 iniziarono le scorrerie vichinghe nelle coste occidentali della Francia. Carlo Magno predispose una flotta, ma le scorrerie proseguirono ai danni di Dorestad, un centro commerciale, e contro Utrecht e Anversa. Dopo l’840 i Vichinghi risalirono la Senna fino a Rouen, e nell’843 comparvero sulla Loira. Per svernare i pirati scelsero l’isola di Noirmoutier.


I Vichinghi nelle isole britanniche Nell’849 i Danesi sconfissero in Irlanda i Norvegesi, ma nell’853 giunse a Dublino Olaf il Bianco dalla Norvegia. Olaf si sposò con la figlia di Mac Niall, un capo clan irlandese, dando origine a una dinastia che che per qualche tempo riuscì a riportare l’ordine in Irlanda. Le scorrerie ripresero più violente in Inghilterra: i Danesi si stabilirono nell’Anglia orientale. I Vichinghi dall’Anglia si spinsero fin nel Wessex scontrandosi con Etelredo e il fratello Alfredo.


Riprendono gli attacchi sul continente Sentendo crescere la resistenza i Vichinghi spostarono ancora una volta sul continente i loro obiettivi di attacco. Fino all’878 gli attacchi in Francia e in Germania furono costanti utilizzando i fiumi come linee di scorrimento veloce. Nell’865 gli Svedesi assediarono Costantinopoli.


La Normandia Dopo la morte di Carlo il Calvo e del figlio Lodovico il Balbo, i Vichinghi riuscirono a insediarsi stabilmente sul basso corso della Senna. Non potendoli sloggiare, nel 911 Carlo il Semplice decise di cedere in feudo Rouen, Lisieux ed Evreux ai Vichinghi, a patto che gli rendessero omaggio feudale e si convertissero al cristianesimo. Più tardi i Normanni estesero la loro giurisdizione arrivando a confinare con la Marca bretone. Dopo gli insediamenti stabili nell’Anglia orientale, in Mercia e in Northumbria, quello di Normandia diveniva il più importante insediamento vichingo del continente europeo fuori della Scandinavia.


Successo dei Danesi in Inghilterra In Inghilterra, dopo la morte di Edgardo il Pacifico (959-975), Danesi e Norvegesi si unirono sotto il comando di Olaf Triggvesson. Nel 991 Olaf attaccò battaglia nei pressi di Maldon contro Brihtnoth, un episodio celebrato nel più famoso tra i poemi epici del tempo: Brihtnoth fu sconfitto e la pace fu comperata con un pesante danegeld, il tributo che dai tempi di Alfredo il Grande non era più stato pagato. Nel 994 Londra fu assediata da Olaf e Svend Barbaforcuta, ma resistette. Nel 995 Olaf tornò in Norvegia per rovesciare Haakon e conquistare il regno, mentre Svend fece ritorno in Danimarca. Poiché gli Inglesi avevano massacrato un piccolo nucleo di Vichinghi, Svend tornò in Inghilterra nel 1003 guidando una spedizione che costrinse il re Etelredo a fuggire in Francia: Svend divenne di fatto re d’Inghilterra nel 1013. Quando l’anno dopo morì gli successe il figlio minore Canuto, un re saggio e prudente che regnò fino al 1035.


La nascita della Russia Meno noti ma altrettanto importanti gli insediamenti svedesi nell’Europa orientale e in Russia. Nella Cronaca del monaco russo Nestore, vissuto all’inizio del XII secolo, si racconta che a metà del IX secolo giunsero dal mare in Russia i Variaghi (o Vareghi) e che una loro tribù, chiamata rus, fu invitata a mettere fine alle contese degli Slavi. Il capo dei rus, Rjurik, si stabilì a Novgorod, mentre due dei suoi uomini risalirono il Dnepr creando a Kiev un campo trincerato (862). Vent’anni dopo il successore di Rjurik, Olég, conquistò Kiev, “la madre delle città russe”, capitale di uno Stato russo-svedese. Da Kiev mosse la flotta che nell’865 raggiunse il Mar Nero giungendo ad assediare Costantinopoli, ma senza successo. Fino al secolo XI gli attacchi si ripeterono, alternati a proficui scambi commerciali: i Variaghi portavano a Costantinopoli pellicce, miele, cera, ambra e soprattutto schiavi, ricevendo in cambio spezie, tessuti di seta, porpora e gli altri prodotti dell’Oriente.


Bilancio delle scorrerie normanne In Occidente i Normanni distrussero più di quanto abbiano costruito perché si scontrarono con popolazioni più evolute di loro; in Oriente, invece, introdussero tecniche superiori a quelle praticate dalle popolazioni slave col risultato di obbligarle ad assumere, per difendersi, numerosi aspetti della civiltà materiale dei loro aggressori. Dopo il 1000 i Variaghi furono slavizzati e quindi assorbiti dalle popolazioni locali.


Fascino dell’archeologia vichinga Nella storiografia occidentale i Vichinghi sono stati sopravvalutati. Le scoperte archeologiche come le navi di Oseberg e di Gokstad, nascoste sotto vere e proprie colline artificiali di quaranta metri di diametro; i sepolcri dei capi accompagnati nell’ultimo riposo da carri, slitte, armi, vestiario, monete, schiavi; le fortificazioni di Hedeby che attraversano la parte meridionale dello Jutland; il campo trincerato di Trelleborg e le innumerevoli pietre runiche sparse un po’ ovunque, potrebbero far pensare a una grande civiltà. In realtà, i Normanni rimasero popolazioni germaniche non sfiorate dalla civiltà romana fin oltre il secolo VIII e rimasti a lungo refrattari agli influssi del cristianesimo. La raccolta dei poemi dell’Edda e la mitologia norrena rimangono le creazioni più interessanti dei Vichinghi.


b) Le scorrerie saracene.


Le imprese dei pirati saraceni non rivelano nulla di eroico nel loro modo d’agire. L’Africa aveva cessato da un pezzo d’essere il granaio d’Europa e i berberi islamizzati proseguirono sul mare la loro tradizione di continue guerre tribali, favoriti dalla debolezza dell’impero bizantino e dalla frantumazione dell’impero carolingio, incapaci di elaborare la difesa delle coste. Gli aghlabiti di Kairouan riuscirono, verso la fine del IX secolo, a conquistare la Sicilia poi sbarcarono in Calabria con l’intenzione di proseguire fino a Roma. I Saraceni costruirono un campo trincerato sulla foce del fiume Garigliano, al confine tra la Campania e il Lazio, attrezzandolo come base per riparare le navi, rifornirle di viveri e far riposare i marinai quando il maltempo impediva la navigazione.


I Saraceni del Garigliano La base del Garigliano divenne l’incubo degli Stati che si disputavano l’Italia meridionale, ossia i bizantini di Puglia e di Calabria; il principato longobardo di Benevento; il principato di Salerno e la contea di Capua. Il protrarsi delle incursioni saracene in partenza dal Garigliano aveva portato la distruzione nelle grandi abbazie di Montecassino, di Farfa, di San Vincenzo al Volturno. Il conte di Capua decise di chiedere aiuto all’unica potenza navale efficiente, all’impero bizantino che inviò una flotta in Occidente. Anche il papa Giovanni X (914-928) dette un contributo alla lega cristiana: nel 915 i bizantini bloccarono la foce del Garigliano, mentre le truppe dei coalizzati assediarono per tre mesi il campo trincerato. Alla fine i Saraceni furono annientati.


Inizi delle città marinare Gaeta, Napoli, Amalfi erano città marinare nominalmente dipendenti dall’impero bizantino, in realtà rette da monarchie locali che vivevano di traffico coi Saraceni in un complesso rapporto di amore e odio. Poiché i Saraceni avevano il dominio del mare, non era possibile trafficare senza avere rapporti con essi: di fatto i mercanti delle città marinare pagavano un tributo ai Saraceni, i quali a loro volta, essendo profondamente divisi tra loro, spesso non mantenevano i patti rendendo difficile ogni attività economica. Dopo il 915 certamente crebbe la forza navale delle città marinare che un poco alla volta permise di pattugliare alcuni tratti delle coste.


c) Le scorrerie dei Magiari


I Magiari o Ungari avevano preso il posto degli Avari nella grande pianura posta tra il Danubio e il Tibisco. Originari della zona meridionale degli Urali, gli Ungari divennero un popolo delle steppe all’inizio dell’era cristiana mescolandosi con popolazioni turche. Tra il V e il IX secolo essi vissero sulla foce del Don formando una federazione di tribù conosciute come On Ogur (dieci frecce) nome che, mal pronunciato dagli Slavi, divenne “ungher”. All’inizio del IX secolo essi erano ancora tributari dei Chazari: apparivano organizzati in sette orde comandate da capi ereditari. I Magiari, incalzati dai loro vicini e affini Peceneghi, presero la decisione di emigrare in Occidente insieme con tre orde di Chazari dissidenti e alcune minori tribù turche. I primi contingenti magiari, comandati da Arpad, arrivarono alle bocche del Danubio nell’889, ponendosi al servizio dell’impero d’Oriente per combattere contro i Bulgari.


Arnolfo di Carinzia insedia i Magiari nella Puzsta In quegli anni l’imperatore d’Occidente Arnolfo di Carinzia (896-900) era in guerra col regno slavo di Moravia e, avendo bisogno di alleati, cedette la pianura intorno al corso del medio Danubio agli Ungari. Costoro distrussero il regno della Grande Moravia nel 906 e l’anno dopo sconfissero anche le forze tedesche inviate per sbarrare la loro espansione. Per circa mezzo secolo i Magiari seminarono il terrore in Italia, Francia, Germania e nei Balcani dove cercavano bottino e schiavi. Anche per i Magiari tuttavia, giunse il momento in cui la marea mutò corso: nell’agosto 955, una grande banda di razziatori magiari fu sorpresa da Ottone di Sassonia nei pressi di Augusta, a Lechfeld, e a migliaia rimasero sul terreno. Da quel momento i Magiari compresero di dover entrare nel sistema politico e religioso occidentale in luogo di tormentarlo dall’esterno.


La nascita dell’Ungheria Un pronipote di Arpad di nome Geza riuscì a riprendere il potere dopo un periodo di anarchia, cercando appoggio politico presso il Sacro Romano Impero. Nel 973 fu inviata un’ambasceria all’imperatore Ottone II e due anni dopo Geza si fece battezzare. Geza dovette affrontare l’opposizione popolare sollevata contro di lui dai sostenitori del precedente sistema di vita, sconvolto dal divieto papale di catturare cristiani per venderli come schiavi. Geza, tuttavia, riuscì a far sposare il figlio Stefano con Gisella, figlia di Enrico duca di Baviera e sorella del futuro imperatore Enrico II il Santo. Stefano successe al padre nel 997 e la sua prima decisione fu di schiacciare l’opposizione dei fautori dell’antico regime con l’aiuto di un esercito bavarese. Nell’anno 1001 il papa Silvestro II concesse a Stefano la corona del regno d’Ungheria, a patto che il nuovo Stato accettasse l’alta sovranità dell’impero d’Occidente, retto allora da Ottone III. I discendenti degli antichi guerrieri magiari e turchi che avevano conquistato il regno conservarono la loro libertà personale: essi erano i nobili. Venne conservata un’antica assemblea formata dai proprietari terrieri la cui terra diveniva inalienabile. Tutta la terra non appartenente ai nobili spettava alla corona che la concedeva in uso ad affittuari. Adottando il modello francese, il territorio fu diviso in contee, a capo delle quali c’era un conte nominato a vita senza diritto di successione. Il conte aveva giurisdizione sugli abitanti, nobili e non nobili, col compito di raccogliere tasse e multe.


Organizzazione militare Nelle zone di frontiera si adottò qualcosa che assomigliava ai temi bizantini, ossia nuclei di soldati-contadini che possedevano un appezzamento di terreno: il sistema durò secoli, specie in Transilvania. Verso la fine del X secolo, perciò, anche il pericolo magiaro appariva scongiurato e l’Europa aveva acquistato sul fronte balcanico un importante presidio militare.


9. 4 L’evangelizzazione degli Slavi


Nei secoli più difficili della storia dell’Europa occidentale, il IX e il X, quando le sue frontiere erano insicure e la frantumazione politica del feudalesimo appariva estrema, le popolazioni slave dell’Europa orientale conobbero uno slancio impetuoso. Abbiamo poche notizie circa l’origine degli Slavi perché fino al IX secolo essi non usarono la scrittura. Di sicuro sappiamo che quando gli Unni scacciarono i Visigoti dall’Europa orientale erano accompagnati da Slavi parlanti una lingua indeuropea. Dopo la caduta degli Unni, quando Visigoti e Gepidi si dedicarono alla conquista dell’impero romano, i territori da loro abbandonati furono colonizzati da tribù slave: la Marca di Brandeburgo, la Polonia e la Moravia furono occupate dagli Slavi occidentali.


Gli slavi occidentali Le fonti bizantine, Prisco e Jordanes, attribuiscono agli Slavi un basso livello di cultura, l’incapacità di elaborare una qualche organizzazione politica, la propensione alla violenza, ma anche la facilità con cui potevano esser sopraffatti e resi schiavi.


Gli Slavi meridionali Le fonti sono scarse anche per gli Slavi meridionali -Croati, Serbi, Sloveni-. Il criterio linguistico può essere ingannevole: valga per tutti il caso dei Bulgari che non erano Slavi, ma i frequenti matrimoni con donne slave i cui figli parlavano la lingua della madre, fecero dimenticare la loro lingua asiatica adottando il paleoslavo. Dopo il 584 gli Slavi avevano occupato tutta la penisola balcanica divenendo i più terribili vicini dell’impero d’Oriente. Quando il territorio degli Avari fu occupato dai Magiari essi divisero gli Slavi occidentali da quelli meridionali, dopo aver sottomesso Slovacchi e Sloveni.


Gli Slavi orientali Poco conosciute anche le origini degli Slavi orientali da cui discendono i Russi. Si ha l’impressione che gli Slavi si fossero organizzati in gruppi troppo piccoli, dispersi nelle immense pianure dell’Europa orientale, incapaci di esprimere una certa coesione politica, nonostante il valore e l’intelligenza individuali.


Cause del ritardo politico degli Slavi Gli Slavi si accontentavano dei modesti prodotti dell’artigianato domestico, mentre praticavano un’agricoltura più avanzata di quella germanica, anche se dovevano migrare con frequenza perché non conoscevano i metodi della rotazione agraria e della concimazione. Producevano grandi quantità di miele da cui ottenevano, per fermentazione, una bevanda alcolica, l’idromele, di cui erano forti consumatori.


Il paganesimo slavo È abbastanza difficile ricostruire la primitiva religione slava: come in tutte tutte le religioni indeuropee, prevalevano le divinità celesti, come il tonante Perun assimilabile a Zeus, padre degli dèi, i cui figli erano Dazbog (il sole), Chors e Veles il dio del bestiame. C’erano dèi ostili agli uomini come Stribog, il dio delle tempeste: il culto avveniva senza sacerdoti, senza templi, senza immagini. Le divinità femminili non avevano una spiccata personalità: Vesna era la primavera e Morana la dea dell’inverno e della morte. I boschi erano popolati da ninfe, da lupi mannari e licantropi. Gli Slavi credevano nell’immortalità dell’anima, ma non avevano idee precise sulla vita eterna. Il culto degli antenati era molto sviluppato e in ogni isba era presente un piccolo altare domestico.


Il cristianesimo penetra tra gli Slavi Le modalità assunte dalla conversione degli Slavi al cristianesimo hanno acquistato un’importanza enorme nel seguito della loro storia. Come si comprende facilmente, per i popoli primitivi la conversione significa l’assunzione di una cultura superiore, la stabilità su un determinato territorio, la formazione delle città e di uno Stato centralizzato. Là dove le tribù slave incontravano i cristiani venivano intrapresi tentativi missionari. Così avvenne in Dalmazia dove le città della costa erano cristiane e la popolazione latina. A partire dal VII secolo i Croati divennero cristiani, in dipendenza dai vescovati di Salona e Spalato. All’inizio del IX secolo, dopo la distruzione del regno avaro compiuta da Carlo Magno, in Pannonia giunsero missionari inviati dai vescovi tedeschi che predicarono il Vangelo in Boemia, Moravia e Carinzia. Quei missionari avevano il difetto di appartenere alla nazione tedesca che aveva mire espansionistiche nei confronti degli Slavi e non erano disposti ad accettare l’uso della lingua slava nella predicazione e nella liturgia. Quei missionari cercarono di impiegare l’alfabeto latino per trascrivere le lingue slave, ma incontrarono ostacoli insuperabili perché i suoni fondamentali di quelle lingue sono più numerosi delle lettere dell’alfabeto latino.


La Chiesa bulgara Nell’865 il re dei Bulgari Boris obbligò i suoi sudditi a convertirsi al cristianesimo e, temendo la preponderanza bizantina, chiese al papa Nicolò I l’invio di missionari latini. Il papa inviò i missionari, ma non assicurò l’indipendenza della Chiesa bulgara nella misura richiesta da Boris. Costui, qualche anno dopo, sottopose lo stesso appello al concilio di Costantinopoli dell’870, che gli inviò la proposta di creare un patriarcato dei Bulgari col privilegio della liturgia in lingua slava.


Cirillo e Metodio tra gli Slavi occidentali Negli stessi anni Rotislav, principe della Grande Boemia, temendo l’influenza oppressiva dei missionari tedeschi, chiese a Costantinopoli missionari in grado di parlare la lingua slava (861). L’imperatore Basilio inviò due fratelli di nome Cirillo, e Metodio. Cirillo aveva spiccate attitudini organizzative, mentre Metodio era uno studioso, esperto di lingue, filosofo. Cirillo e Metodio iniziarono in Crimea la loro missione dove ebbero la ventura di ritrovare le reliquie di san Clemente papa e martire, portate con loro in gran segreto. I due fratelli provenivano da Tessalonica, una città ancora greca ma circondata da slavi, dove perciò la loro lingua era conosciuta. Appena arrivati in Moravia Cirillo e Metodio cominciarono a insegnare sia il Vangelo, sia la scrittura della lingua slava per la quale impiegarono le lettere dell’alfabeto greco con qualche lettera ebraica e copta per indicare i suoni assenti nella lingua greca (alfabeto glagolitico). Nell’864 Rotislav fu sconfitto da Lodovico il Germanico e al suo seguito affluirono i prelati germanici che non vollero sentir parlare di liturgia e di predicazione in lingua slava, in primo luogo perché la ignoravano e poi perché intendevano germanizzare la regione. Il papa Nicolò I avocò a sé il giudizio sulla questione invitando i due fratelli greci a Roma.


Cirillo e Metodio a Roma Postisi in viaggio, Cirillo e Metodio si fermarono per un poco di tempo presso Kocel, capo di un piccolo regno intorno al lago Balaton, dove le modalità della predicazione dei due apostoli furono accolte con fervore. Giunti a Venezia, si trattennero per alcuni mesi, ma incontrarono ostilità all’impiego dei libri liturgici in lingua slava da introdurre in Dalmazia e Croazia, non graditi ai veneziani per gli stessi motivi per cui non erano graditi ai tedeschi. Quando Cirillo e Metodio giunsero a Roma, Nicolò I era già morto, ma Adriano II si mostrò ugualmente favorevole alla liturgia da essi raccomandata. A Roma Cirillo si ammalò e morì (869). Metodio fu consacrato arcivescovo metropolita della Pannonia e della Moravia dove tornò nell’870. Kocel, tuttavia, non poté aiutarlo e i vescovi tedeschi erano così ostili che lo incarcerarono per due anni e mezzo. Lo stesso Rotislav fu rovesciato dal trono e sostituito dal nipote Sviatopluk che ritornò al paganesimo. Nell’873 il papa Giovanni VIII riuscì a far liberare Metodio, restituendogli le sue funzioni e dignità: per qualche anno Metodio poté impiegare la liturgia slava riportando numerose conversioni. Metodio tornò ancora una volta a Roma e il papa si mostrò favorevole all’importante esperimento missionario, ma le pressioni tedesche risultarono vittoriose: Metodio ebbe come successore il vescovo tedesco Wiching, protetto dal nuovo papa Stefano V. I fautori della liturgia slava furono cacciati dalla Moravia, trovando rifugio in Bulgaria. Boemia, Polonia e Croazia accolsero la liturgia latina rimanendo tagliate fuori da ogni contatto con Serbi, Bulgari e Russi che si convertirono al cristianesimo ortodosso.


La conversione della Russia La conversione degli Slavi orientali, che per comodità chiameremo Russi, avvenne un poco più tardi. I Russi erano insediati nei territori tra la Vistola e il Dnepr. Verso il IV secolo essi formavano una federazioni di tribù poste tra i fiumi Dnepr e Dnestr, in lotta con Goti e Unni, sconfitti dagli Avari nel VI e VII secolo. Nel corso di quest’ultimo secolo comparve una nuova nazionalità di conquistatori della steppa, i Chazari in possesso di una migliore organizzazione politica rispetto agli Slavi e perciò in grado di sopraffarli. I Chazari tennero sottomessi i Russi fino all’inizio del X secolo, quando sopraggiunse un’altra popolazione asiatica affine ai Turchi, i Magiari e i Peceneghi, che si impadronirono delle steppe a nord del Mar Nero. La difesa più efficace contro gli uomini della steppa venne messa a punto dagli Svedesi chiamati rus.


Kiev Le leggende russe riferiscono che i rus si insediarono dapprima a Novgorod. Rjurik fu il primo principe, semileggendario, di Novgorod. Come già accennato, due suoi compagni fondarono più a sud una solida colonia commerciale come centro di raccolta e di difesa dei mercanti svedesi, la futura città di Kiev. L’aristocrazia slava fu accolta dagli Svedesi iniziando un processo di assimilazione: gli Svedesi, sposando donne slave, avevano figli che divenivano ben presto slavi.


Secondo trattato commerciale Un trattato commerciale, stipulato dagli Svedesi con i Bizantini, fu firmato da Igor, successore di Oleg, nel 954: come firmatari compaiono altri cinquanta commercianti, tre soli dei quali hanno un nome slavo. Ma già il figlio di Igor e di Olga aveva un nome slavo, Sviatoslav. Costui si trasferì ancora più vicino a Costantinopoli, scegliendo come residenza una località presso il Danubio, in territorio bulgaro: qui erano abbondanti tutti i prodotti che si potevano desiderare.


L’inizio della Russia cristiana Il figlio più giovane di Sviatoslav, Vladimiro, rafforzò il principato di Kiev mantenendo contatti con tutti i sovrani d’Europa e organizzando spedizioni sempre più in profondità per allontanare la minaccia dei nomadi delle steppa. Vladimiro comprese che poteva venire reale forza al nuovo Stato solo dalla conversione al cristianesimo del suo popolo e perciò nel 988 accettò il battesimo. Data la debolezza della cristianità occidentale era necessario scegliere gli evangelizzatori nella Chiesa bizantina, ma Vladimiro seguì l’esempio dei Bulgari, ossia decise di adottare la lingua slava nei riti e nella predicazione. Dal 1037 la Chiesa russa fu aggregata al patriarcato di Costantinopoli e per due secoli i patriarchi di Kiev furono sempre greci provenienti da Costantinopoli. In seguito prevalse l’elemento slavo e quando Costantinopoli cadde, Mosca, la nuova capitale dello Stato russo, divenne la Terza Roma, sede del più importante patriarcato ortodosso.


9. 5 Ascesa e crisi del papato


Per tutto il IX secolo i papi dovettero sostenere una difficile lotta che li vide impegnati su molti fronti: fino all’842 la questione delle immagini contrappose il papa all’impero d’Oriente; poi ci furono le scorrerie saracene che minacciarono Roma stessa. Pur in mezzo a tutte queste difficoltà, per qualche anno dopo la metà del secolo IX, la sede papale raggiunse un grande prestigio, al tempo dei papi Nicolò I (858-867), Adriano II (867-872) e Giovanni VIII (872-882).


Nicolò I Nei confronti di Costantinopoli, il papato di Nicolò I rappresentò una svolta importante. Egli non propose una teoria nuova circa i rapporti tra imperium e sacerdotium, bensì seppe ribadire le idee di Gregorio Magno, ossia l’origine divina del primato romano e l’apostolicità della sede di Roma, cattedra di Pietro. Le sue affermazioni furono chiare e svilupparono la teoria del primato dello spirituale sul temporale.


Rivendicazioni di Nicolò I In qualità di rappresentante di Cristo in terra, Nicolò I rivendicò la suprema giurisdizione sui vescovi dell’Oriente e dell’Occidente, e perciò doveva venir considerato come supremo giudice dei patriarchi, e i suoi giudizi dovevano essere inappellabili. Nicolò I credeva nella divisione dei poteri che governano l’umanità, imperium e sacerdotium e non permise alcuna intromissione dell’imperium nel campo proprio del sacerdotium. Sostenne, infine, che anche l’imperatore in quanto fedele che doveva salvare la sua anima, cadeva sotto la giurisdizione del papa per le questioni morali.


Il papa giudice supremo Nicolò I riuscì a realizzare i suoi piani perché l’impero d’Occidente si trovava in profonda crisi sotto i colpi di Vichinghi, Saraceni e Magiari. Il primato del pontefice sui metropoliti fu riaffermato proteggendo il clero secolare e i monaci dalle pretese dei metropoliti.


Rapporti con Costantinopoli Anche a Costantinopoli si accettavano alcune idee circa il primato universale del papa professate da Nicolò I: lo prova il fatto che, quando il vescovo Gregorio Asbesta fu deposto dal patriarca di Costantinopoli Ignazio, il primo fece appello al papa, e dopo molte vicissitudini l’appello fu accolto. Come successore del deposto patriarca Ignazio fu scelto Fozio che tenne la direzione del patriarcato; poi fu deposto e di nuovo riabilitato, rimanendo in carica dall’878 all’886, dopo aver riaperto lo scisma dalla Chiesa di Roma che durò a lungo riacutizzando le incomprensioni tra le due parti della cristianità.


La questione bulgara. A questo punto del dibattito si inserì la questione bulgara: Boris fu costretto ad accogliere missionari greci (864), ma due anni dopo Boris rimase urtato dal rifiuto di Fozio di concedere alla Bulgaria un patriarcato autonomo e perciò respinse il clero greco, rivolgendosi al papa per avere missionari occidentali. Il conflitto esplose quando ai missionari latini fu vietato l’ingresso in territorio bizantino. L’allarme di Costantinopoli per il successo dei missionari occidentali tra gli Slavi indusse la convocazione nell’867 di un concilio che condannò alcune usanze liturgiche occidentali, in particolare la presenza nel Credo dell’espressione Filioque che gli orientali giudicavano eretica. Il concilio bizantino dichiarò deposto il papa Nicolò I, cercando di ottenere dall’imperatore Lodovico II, in cambio del suo formale riconoscimento, la ratifica della deposizione del papa. Nicolò I morì prima di conoscere questi aspri sviluppi. Il successore Adriano II stava meditando un accordo con Fozio quando gli giunse la notizia che Basilio I (867-886) aveva fatto assassinare l’imperatore Michele III e deporre Fozio. Adriano II non comprese con precisione ciò che stava accadendo in Oriente: volle assumere una posizione intransigente pur trovandosi in una situazione politica di estrema debolezza. Basilio I, infatti, desiderava che Fozio fosse giudicato da un sinodo bizantino come se si trattasse di una questione interna, il legato papale, invece, sosteneva la tesi che Fozio era stato deposto dal papa e che perciò non si doveva celebrare alcun processo, accettando la supremazia del papa.


Giovanni VIII. Giovanni VIII, superando non piccole opposizioni, finì per adottare una linea moderata nei confronti di Fozio: Basilio I lo ricompensò inviando in Italia truppe per combattere i Saraceni e lasciando alla Chiesa di Roma la giurisdizione ecclesiastica sulla Bulgaria. Boris approfittò del conflitto tra Roma e Costantinopoli per proclamare una Chiesa nazionale autocefala, la prima sorta tra gli Slavi.


Indebolimento del papato Dopo la morte di Giovanni VIII, assassinato nel 882, si susseguirono in rapida successione papi deboli, travolti dall’assenza di un potere politico in grado di frenare l’aristocrazia romana che ormai disputava il patrimonium di San Pietro e l’elezione del papa come se si trattasse di questioni interne alle loro famiglie. Si comprende perciò come la decadenza del potere imperiale comportasse la decadenza del potere spirituale dei papi la cui influenza fu minima fino alla restaurazione imperiale di Ottone I.


9. 6 La riforma di Cluny


La Chiesa cattolica è un organismo gerarchico, formato dai battezzati la cui adesione alla Chiesa stessa è volontaria. In caso di debolezza del vertice, la riforma della Chiesa può avvenire anche per impulso dal basso. Nel X secolo, la riforma partì dai monasteri che erano rimasti l’unico centro di elaborazione culturale dell’Occidente. Col tracollo del potere imperiale anche i monasteri e i loro beni subirono le vicende della frantumazione feudale senza che vi fosse un potere centrale in grado di far rispettare le leggi civili ed ecclesiastiche.


La riforma di Cluny Ci furono alcuni tentativi di riforma della vita monastica, ma con effetti che rimasero ristretti al luogo in cui furono intrapresi. Il tentativo che ebbe maggiore successo partì dal monastero di Cluny in Borgogna, fondato da Guglielmo VII di Aquitania nel 910. Il primo abate fu san Bernone che si insediò a Cluny con dodici compagni. Bernone fu seguito da alcuni abati, tutti santi e longevi: Oddone (926-942), Maieul (954-994), Odilone (994-1049), Ugo (1049-1109). La singolare longevità di costoro assicurò per un secolo e mezzo la continuità dello slancio riformatore. La regola benedettina fu osservata alla perfezione, ma ci furono alcune novità che assicurarono il successo della riforma monastica.


Novità di Cluny La prima era che l’abbazia di Cluny fu dotata di terre appartenenti ai beni allodiali di Guglielmo di Aquitania, ossia non erano beni feudali che potessero tornare per devoluzione al re. In secondo luogo i monaci di Cluny furono esentati dalla giurisdizione del vescovo di Mâcon, ponendosi sotto la giurisdizione diretta del papa. In breve tempo il prestigio di Cluny divenne immenso: Rodolfo il Glabro scrisse di quel monastero che “non aveva pari nel mondo romano per la salvezza delle anime”. In terzo luogo, quando il numero dei monaci di Cluny divenne eccessivo, furono fondati altri monasteri che rimasero dipendenti dall’abate generale di Cluny il quale nominava un proprio vicario nel nuovo monastero. Ogni anno si teneva un capitolo generale a Cluny alla presenza di tutti i priori che perciò ricevevano direttive uguali per tutti. Ben presto altri monasteri chiesero di venir diretti da monaci provenienti da Cluny: intorno all’anno 1100 c’erano in Europa 1450 monasteri che seguivano la regola di Cluny. L’abate generale viaggiava da un monastero all’altro per controllare la retta applicazione delle direttive centrali e, a partire dalla metà dell’XI secolo, egli visse quasi sempre accanto ai pontefici per applicare celermente le loro direttive. Naturalmente anche i cluniacensi ebbero nemici e incontrarono resistenze, ma il movimento di riforma era ormai avviato e divenne nelle mani di pontefici come Gregorio VII un fattore di unità della Chiesa nella lotta contro il particolarismo feudale.


9. 7 Cronologia essenziale


787 A Dorchester in Inghilterra avviene il primo sbarco di Normanni.


800 Iniziano scorrerie regolari dei Normanni sulle coste occidentali d’Europa.


846 I Saraceni saccheggiano la basilica di San Pietro a Roma.


852 I Norvegesi saccheggiano Dublino in Irlanda.


866 I Danesi si insediano stabilmente nell’Anglia orientale.


877 In forza del capitolare di Quierzy, concesso da Carlo il Calvo, i feudi maggiori divengono ereditari.


910 Guglielmo VII di Aquitania fonda il monastero di Cluny.


911 I Vichinghi di Rollone ricevono in feudo da Carlo il Semplice il ducato di Normandia.


955 Ottone I di Sassonia sconfigge a Lechfeld i Magiari.


975 Battesimo di Geza principe dei Magiari.


988 Vladimiro principe di Kiev è battezzato iniziando la storia della Russia cristiana.


1001 Papa Silvestro II concede a Stefano la corona del regno d’Ungheria.


9. 8 Il documento storico


I Vichinghi opposero notevole resistenza alla penetrazione del cristianesimo tra loro, probabimente perché rimanevano in Scandinavia gli individui più conservatori mentre emigravano i devianti, ossia coloro che avevano vivaci esigenze spirituali. In secondo luogo, la conversione al cristianesimo avrebbe significato la dipendenza, almeno in certa misura, da un potere lontano, quello del papa, avvertito come una limitazione alla propria libertà. Il documento che segue, ricavato dalla Cronica di Adamo di Brema, espone i capisaldi della religione vichinga.


“Queste genti hanno un celebre santuario chiamato Uppsala, non molto lontano da Sigtuna e da Birka. In questo tempio, interamente rivestito d’oro, ci sono tre idoli che il popolo adora: Thor, che è il dio più potente, ha il suo trono nel centro della sala, e ai suoi lati sono Odino e Freyr. I campi d’azione di questi dèi sono i seguenti: Thor, si dice governa l’atmosfera: tuono, lampo, bufera, pioggia, bel tempo -e vigila sulle messi. Il secondo, Odino (cioè Furia), è il dio della guerra che infonde negli uomini il coraggio di combattere contro i nemici. Il terzo, Freyr, è quello che dà all’umanità pace e piaceri sensuali, e perciò il suo idolo è dotato di un fallo possente. Odino è rappresentato armato, alla maniera di Marte. Thor munito di scettro assomiglia a Giove. Avviene anche che talvolta questi personaggi innalzino degli uomini al rango di divinità, e li dotino dell’immortalità in segno di omaggio per qualche grande impresa da essi compiuta – ricompensa che, secondo la biografia di sant’Ansgar, fu concessa al re Erik.


Al servizio degli dèi vi sono sacerdoti che offrono i sacrifici del popolo. Se c’è pericolo di epidemia o di carestia, sacrificano all’idolo Thor; se di guerra, a Odino; e se si deve celebrare un matrimonio sacrificano a Freyr. C’è anche una festa, a Uppsala, ogni nove anni, che interessa tutte le regioni della Svezia. Parteciparvi è obbligatorio, ed è usanza comune che i re e i popoli e insomma tutti quanti mandino a Uppsala delle offerte; cosa crudele, quelli che si sono fatti cristiani possono essere esentati, ma solo dietro pagamento di una multa. Il sacrificio, in questa ricorrenza, consiste nello sgozzare nove maschi di ogni creatura con il sangue dei quali si placano gli dèi. I corpi vengono appesi a un boschetto vicino al tempio, un luogo così sacro, che ogni albero è considerato esso stesso una divinità, in seguito alla morte e alla decomposizione delle vittime. Cani e cavalli pendono qui accanto a esseri umani, e un cristiano mi ha detto d’aver visto ben settandue carcasse appese una accanto all’altra. Tra l’altro dice che i canti cantati durante la cerimonia sono molto osceni, pertanto è meglio non parlarne”.


Fonte: J. BRONDSTEDT, I vichinghi, Einaudi, Torino 1976, pp.245-47.


9. 9 In biblioteca


La sintesi più nota sull’età feudale è di M. BLOCH, La società feudale, Einaudi, Torino 1980.


Molto noto agli storici italiani di C.G. MOR, L’età feudale, Vallardi, Milano 1953.


Più recente il libro di R. BOUTRUCHE, Signoria e feudalesimo, 2 voll., il Mulino, Bologna 1971 e 1974.


Molto importante di J.K. HYDE, Società e politica nell’Italia medievale, il Mulino, Bologna 1977.


Interessante di G. DUBY, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri e lavoratori, Laterza, Bari 1978.


Per le invasioni magiare si consulti di G. FASOLI, Le invasioni magiare in Europa nel secolo X, Sansoni, Firenze.


Il più accessibile studio di insieme sui vichinghi è di J. BRONDSTED, I vichinghi, Einaudi, Torino 1976.


La più nota storia della Russia è di V. GITERMANN, Storia della Russia, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1963.