Che significa ‘partecipazione attiva’?

Udienza di Giovanni Paolo II.
La piena partecipazione alla liturgia, cuore della riforma liturgica, comporta una piu’ piena comprensione dell’insegnamento del Concilio Vaticano II


Una nostra traduzione del discorso rivolto dal Papa il 9 ottobre ai Vescovi di Washington, dell’Oregon, dell’Idaho, del Montana e dell’Alaska in visita «ad limina»

La piena partecipazione alla liturgia comporta il rispetto dei ruoli per evitare una «clericalizzazione» del laicato e una «laicizzazione» del sacerdozio


 


Cari Fratelli Vescovi,


1. Con amore fraterno nel Signore vi do il benvenuto, Pastori della Chiesa negli Stati Uniti nord-occidentali, in occasione della vostra visita ad Limina. Questa serie di visite dei Vescovi del vostro Paese sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, al Successore di Pietro e ai suoi collaboratori al servizio della Chiesa universale, si svolge mentre tutto il Popolo di Dio si prepara a celebrare il Grande Giubileo dell’Anno 2000 e ad entrare in un nuovo millennio cristiano. Il bimillenario della nascita del Salvatore è un’esortazione a tutti i seguaci di Cristo a cercare una conversione autentica a Dio e un grande progresso verso la santità. Poiché la liturgia occupa un ruolo centrale nella vita cristiana, desidero oggi riflettere su alcuni aspetti del rinnovamento liturgico, promosso tanto vigorosamente dal Concilio Vaticano II quale primo agente di un più ampio rinnovamento della vita cattolica.


Guardare indietro a quanto è stato fatto nel campo del rinnovamento liturgico negli anni successivi al Concilio significa in primo luogo scoprire molte ragioni per rendere grazie e lodare la Santissima Trinità per la meravigliosa consapevolezza sorta fra i fedeli circa il ruolo che svolgono e la responsabilità che hanno in questa opera sacerdotale di Cristo e della sua Chiesa. Significa anche comprendere che non tutti i cambiamenti sono stati sempre e ovunque accompagnati dalle spiegazioni e dalla catechesi necessarie. Di conseguenza, in alcuni casi c’è stato un fraintendimento della natura autentica della liturgia che ha portato ad abusi, polarizzazione e a volte a gravi scandali. Dopo l’esperienza di più di trent’anni di rinnovamento liturgico, possiamo valutare sia le forze sia le debolezze di ciò che è stato fatto per poter pianificare con maggiore fiducia il nostro cammino nel futuro che Dio ha in mente per il nostro amato Popolo.


 


2. La sfida consiste ora nell’andare al di là dei fraintendimenti che si sono verificati e raggiungere il punto esatto di equilibrio, in particolare entrando più profondamente nella dimensione contemplativa del culto che include la soggezione, la riverenza e l’adorazione che sono fondamentali atteggiamenti nel nostro rapporto con Dio. Ciò accadrà solo se riconosceremo che la liturgia ha dimensioni sia locali sia universali, legate al tempo ed eterne, orizzontali e verticali, soggettive e oggettive. Sono proprio queste tensioni che conferiscono al culto cattolico il suo carattere distintivo. La Chiesa universale è unita in un grande atto di lode, ma è sempre il culto di una comunità particolare in una cultura particolare. È l’eterno culto del Cielo, ma è anche immersa nel tempo. Riunisce ed edifica una comunità umana, ma è anche il «culto della maestà divina» (Sacrosanctum concilium, n. 33). È soggettivo in quanto dipende essenzialmente da ciò che i fedeli portano ad esso. È anche oggettivo perché li trascende come l’atto sacerdotale di Cristo stesso al quale egli ci associa ma che alla fine non dipende da noi (cfr. Ibidem, n. 7). Per questo è molto importante che si rispetti la legge liturgica. Il sacerdote, che è il servitore della liturgia, non il suo inventore o produttore, ha una responsabilità particolare a questo proposito per evitare di svuotare la liturgia del suo vero significato o di oscurare il suo carattere sacro. Il fulcro del mistero del culto cristiano è il sacrificio di Cristo offerto al Padre e l’opera del Cristo risorto che santifica il suo Popolo attraverso segni liturgici. È dunque essenziale che nel cercare di entrare maggiormente nelle profondità contemplative del culto, il mistero inesauribile del sacerdozio di Gesù Cristo venga pienamente riconosciuto e rispettato.


Tutti i battezzati condividono l’unico sacerdozio di Cristo, ma non tutti allo stesso modo. Il sacerdozio ministeriale, radicato nella Successione apostolica, conferisce al sacerdote ordinato facoltà e responsabilità che sono diverse da quelle dei laici, ma che sono al servizio del sacerdozio comune e sono volte a dispiegare la grazia battesimale di tutti i cristiani (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1547). Il sacerdote quindi non è soltanto uno che presiede, ma uno che agisce nella persona di Cristo.


 


3. Solo rimanendo radicalmente fedeli a questo fondamento dottrinale possiamo evitare interpretazioni unilaterali e monodimensionali dell’insegnamento del Concilio. La condivisione da parte di tutti i battezzati dell’unico sacerdozio di Gesù Cristo è la chiave per comprendere la chiamata del Concilio a «quella piena, consapevole e attiva partecipazione» alla liturgia (Sacrosanctum concilium, n.14). Piena partecipazione significa certamente che tutti i membri della comunità hanno un ruolo da svolgere nella liturgia e a questo proposito si è ottenuto molto nelle parrocchie e nelle comunità nel vostro Paese. Tuttavia piena partecipazione non significa che tutti possono fare tutto, poiché ciò condurrebbe a una clericalizzazione del laicato e a una laicizzazione del sacerdozio e questo non era nelle intenzioni del Concilio. La liturgia, come la Chiesa, deve essere gerarchica e polifonica e rispettare i diversi ruoli assegnati da Cristo, permettendo a tutte le differenti voci di fondersi in un unico grande inno di lode.


 Partecipazione attiva significa certamente che nei gesti, nelle parole, nei canti e nei servizi, tutti i membri della comunità prendono parte a un atto di culto che non è affatto inerte o passivo. Tuttavia, una partecipazione attiva non impedisce la passività attiva del silenzio, dell’immobilità e dell’ascolto: di fatto la richiede. I fedeli non sono passivi, per esempio, quando ascoltano le letture o l’omelia o seguono le preghiere del celebrante e i canti e la musica della liturgia. Queste sono esperienze di silenzio e d’immobilità, ma sono a modo loro anche profondamente attive. In una cultura che non favorisce né promuove la quiete meditativa, l’arte dell’ascolto interiore si apprende solo con difficoltà. Comprendiamo allora come la liturgia, sebbene debba essere sempre inculturata correttamente, deve anche essere controculturale.


La partecipazione consapevole esige che la comunità venga correttamente istruita sui misteri della liturgia per evitare che l’esperienza del culto degeneri in una forma di ritualismo. Tuttavia, questo non è un tentativo costante nell’ambito della liturgia stessa di trasformare l’implicito in esplicito, poiché ciò porta spesso a una verbosità e a un’informalità estranee al Rito Romano e finisce per banalizzare l’atto di culto. Non è neanche la soppressione di tutta l’esperienza subcosciente che è vitale in una liturgia alimentata da simboli che parlano al subconscio proprio come alla dimensione cosciente. L’uso del vernacolo ha certamente aperto i tesori della liturgia a quanti vi partecipano, ma ciò non significa che la lingua latina, in particolare nei canti che sono così superbamente adatti alla natura del Rito Romano, debba essere completamente abbandonata.


Se nel culto si ignora l’esperienza inconscia, si crea un vuoto affettivo e devozionale e la liturgia può diventare non solo troppo verbale, ma anche troppo cerebrale. Tuttavia, il Rito Romano trova il giusto equilibrio fra frugalità e ricchezza di emozioni: nutre il cuore e la mente, il corpo e l’anima.


Si è scritto giustamente che nella storia della Chiesa tutto il vero rinnovamento è stato collegato a una rilettura dei Padri della Chiesa. Ciò che è vero in generale, è vero per la liturgia in particolare. I Padri erano Pastori con uno zelo ardente per il compito di diffondere il Vangelo; e quindi erano profondamente interessati a tutte le dimensioni del culto e ci hanno lasciato alcuni dei più significativi e validi testi della tradizione cristiana che non sono affatto il risultato di un mero estetismo. I Padri erano predicatori ardenti ed è difficile immaginare che possa esserci un effettivo rinnovamento della predicazione cattolica, così come auspicava il Concilio, senza una familiarità sufficiente con la tradizione patristica. Il Concilio promosse un movimento verso una predicazione simile all’omelia che, come i Padri, avrebbe spiegato il testo biblico in modo da offrire ai fedeli ricchezze inesauribili. L’importanza che la predicazione ha assunto nel culto cattolico a partire dal Concilio indica che i sacerdoti e i diaconi dovrebbero essere formati a fare un buon uso della Bibbia. Tuttavia, ciò implica una familiarità con tutta la tradizione patristica, teologica e morale così come una conoscenza profonda delle loro comunità e della società in generale. Altrimenti si darebbe l’impressione di un insegnamento privo di radici e di applicazione universale inerente al messaggio evangelico. La sintesi eccellente della ricchezza dottrinale della Chiesa, contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica, deve essere percepita ancor più come uno strumento di predicazione cattolica.


 4. È essenziale tenere bene a mente che la liturgia è intimamente legata alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Se non procederanno di pari passo, vacilleranno entrambe.


Fino a quando gli sviluppi nel rinnovamento liturgico saranno superficiali e squilibrati, le nostre energie rivolte alla nuova evangelizzazione ne risulteranno compromesse e fino a quando le nostre concezioni saranno inferiori alle aspettative della nuova evangelizzazione, il nostro rinnovamento liturgico si ridurrà a un adattamento esterno e probabilmente anche erroneo. Il Rito Romano è stato sempre una forma di culto rivolta alla missione. È per questo che è relativamente breve: c’era tanto da fare al di fuori della chiesa! È per questo che utilizziamo l’espressione finale «Ite, missa est», che ci dà il termine «Messa»: la comunità viene mandata avanti per evangelizzare il mondo nell’obbedienza al comando di Cristo (cfr. Mt 28, 19-20).


In quanto Pastori, siete pienamente consapevoli dell’ardente sete di Dio e del desiderio di preghiera del Popolo di oggi. La Giornata Mondiale della Gioventù a Denver è la prova del fatto che anche le generazioni più giovani di americani anelano a una fede profonda ed esigente in Gesù Cristo. Desiderano svolgere un ruolo attivo nella Chiesa, ed essere inviati in nome di Cristo a evangelizzare e a trasformare il mondo che li circonda. I giovani sono pronti a impegnarsi nel messaggio evangelico se viene presentato loro in tutta la sua nobiltà e la sua forza liberatrice. Continueranno a partecipare attivamente alla liturgia se comprenderanno che essa può condurli a un profondo rapporto personale con Dio. È proprio da questa esperienza che scaturiranno vocazioni sacerdotali e religiose, caratterizzate da un’autentica energia evangelica e missionaria. In questo senso i giovani chiamano tutta la Chiesa a fare il prossimo passo nella realizzazione dell’idea di culto che il Concilio ci ha trasmesso. Privi del peso delle ideologie di un tempo, sono in grado di parlare semplicemente e direttamente del loro desiderio di vivere Dio, in particolare nella preghiera, sia pubblicamente sia privatamente. Nell’ascoltarli, cari Fratelli, potremo udire «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2, 11).


 5. Nel corso della nostra preparazione al Grande Giubileo dell’Anno 2000, l’anno 1999 sarà dedicato alla persona del Padre e alla celebrazione del suo amore misericordioso.


Le iniziative del prossimo anno dovrebbero sottolineare in particolare la natura della vita cristiana quale «grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l’amore incondizionato per ogni creatura umana, ed in particolare per il figlio perduto» (Tertio Millennio adveniente, n. 49). Al centro dell’esperienza del pellegrinaggio si trova il nostro viaggio di peccatori nelle profondità insondabili della liturgia della Chiesa, la liturgia della Creazione, la liturgia del Cielo, che alla fine sono tutte culto di Gesù Cristo, il Sacerdote Eterno, nel quale la Chiesa e tutto il creato sono condotti alla vita della Santissima Trinità, nostra vera dimora.


Questo è lo scopo di tutto il nostro culto e di tutta la nostra evangelizzazione.


Al centro della comunità di culto, troviamo la Madre di Cristo e la Madre della Chiesa che, dalle profondità della sua fede contemplativa, presenta la Buona Novella, che è Gesù Cristo stesso. Prego con voi affinché i cattolici americani, nel celebrare la liturgia, abbiano nel cuore lo stesso suo canto: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore… grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome» (Lc 1, 46-50). Affidando i sacerdoti, i religiosi e i fedeli laici delle vostre Diocesi all’amorevole protezione della Beata Madre, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.


 


© L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 11 Ottobre 1998