Dal Manuale di Storia
di Alberto Torresani
Verso la metà del V secolo l’impero d’Oriente, che aveva trascorso mezzo secolo all’insegna del potere esercitato da donne – Eudossia, Pulcheria, Eudocia – mentre gli imperatori erano intenti a discussioni teologiche e giuridiche, con l’avvento dell’imperatore Marciano riuscì a scrollarsi di dosso la tutela dei magistri militum barbari. Le invasioni barbariche diminuirono perché l’Occidente fungeva da valvola di sfogo: la prosperità ridette slancio all’economia anche se la pressione fiscale continuava a risultare eccessiva, specie in Siria e in Egitto, che anche per questo motivo accrebbero la tendenza a sostenere con caparbietà le proprie tradizioni teologiche in funzione antimperiale.
Gli imperatori Zenone e Anastasio cercarono con un atto d’imperio l’unione religiosa, ma si trattava di compromessi che la Chiesa di Roma respinse. Con gli imperatori Giustino e Giustiniano, invece, si tornò all’ortodossia, e l’impero, dopo aver acquistato da Armenia e Persia la pace lungo i confini orientali, trovò la forza di riconquistare l’impero romano d’Occidente: i risultati furono nel complesso mediocri nonostante le spese sostenute. L’insuccesso del sogno imperiale, finché visse Giustiniano, non apparve all’esterno, perché l’impero si ammantò di splendide costruzioni, dandosi un’immagine maestosa per l’avvenuta codificazione del diritto romano. Ma il prezzo pagato dalle province risultò eccessivo: l’Italia andò in gran parte perduta in seguito all’invasione dei Longobardi, mentre si restringevano i possessi bizantini in Africa e in Spagna.
Infine riaffiorarono le non sopite differenze religiose che indussero la Chiesa d’Oriente ad assumere sul piano dottrinale e liturgico le caratteristiche che, col passare del tempo, l’avrebbero differenziata dalla Chiesa romana: quest’ultima, dal canto suo, aveva trovato nel diritto romano un modello per amministrare, nell’unità sostanziale, le legittime differenze liturgiche e pastorali insorte presso le Chiese locali. Una serena valutazione dell’opera di Giustiniano, pur tenendo presenti gli indubbi meriti dell’imperatore, deve sottolineare la sua sordità ai bisogni dei più umili tra i sudditi, ridotti al punto di acclamare gli Arabi perché diminuivano le tasse.
4. 1 I problemi dell’Oriente da Arcadio a Giustiniano
Alla morte di Teodosio il Grande nel 395, le province dell’Oriente furono devastate dagli Unni che percorsero Siria e Asia Minore, mentre i Visigoti di Alarico saccheggiavano la penisola balcanica. Abbiamo visto che, mentre Stilicone si apprestava a schiacciare i Visigoti, il prefetto al pretorio Rufino gli ordinò di lasciare le truppe e di tornare in Occidente. Quest’ordine provocò la rovina di Rufino, ucciso dai soldati.
Influenza dei comandanti barbari La posizione influente tenuta da Rufino fu ereditata da Eutropio, magister officiorum. Ma, a sua volta, anche Eutropio fu rovesciato dal nuovo magister militum Gaina che esercitava nei confronti di Arcadio la funzione assunta da Stilicone nei confronti di Onorio.
Caduta di Gaina Tuttavia il progetto di Gaina di imitare Stilicone non si realizzò. Gaina e le sue truppe visigote erano odiate a Costantinopoli per il loro arianesimo e, inoltre, dopo la caduta di Eutropio, a corte prevaleva il partito antibarbaro, guidato dall’imperatrice Eudossia. Arcadio fece venire a Costantinopoli un contingente di soldati isaurici, ugualmente pericolosi per la popolazione, ma che non potevano stabilire accordi con le tribù germaniche d’oltre confine. Questo fu il primo tentativo di creare un esercito nazionale in luogo delle più economiche ma più pericolose tribù germaniche.
Conflitto tra Eudossia e Giovanni Crisostomo La potenza di Eudossia crebbe dopo l’eliminazione di Eutropio, ma incorse nella severità di Giovanni Crisostomo, vescovo della capitale, che pronunciò discorsi contro la stravaganza e il lusso eccessivo dell’imperatrice. Nel 404 Eudossia riuscì a far deporre Giovanni Crisostomo che tre anni dopo morì in esilio.
Morte di Arcadio Nel 408 Arcadio morì dopo un regno infelice nel corso del quale si era praticata una rovinosa politica fiscale, con vendita delle cariche al miglior offerente. Egli lasciava un figlio di sette anni, Teodosio II.
Reggenza di Pulcheria Nel 414 la sorella maggiore di Teodosio II, Pulcheria, fu nominata augusta e reggente per il fratello. In quel secolo di donne spesso terribili, Pulcheria fu una delle più sensate e resse di fatto l’impero. Infatti Teodosio II ricevette una buona educazione in retorica, conosceva il cerimoniale di corte, giudicava in modo sensato le questioni religiose, ma non aveva molte altre qualità. Perfino la moglie fu scelta da Pulcheria. La sua scelta cadde su Atenaida, figlia di un filosofo di Atene, colta e ancora pagana. Teodosio accettò di sposarla e perciò essa ricevette il battesimo, assumendo il nome cristiano di Eudocia. Per qualche anno fu prudente, poi anche la nuova imperatrice volle il titolo di augusta e si emancipò dalla tutela di Pulcheria. Nel corso di un pellegrinaggio a Gerusalemme Eudocia fu implicata in un grave scandalo personale e perciò fu costretta a lasciare la corte. Il potere a corte passò nelle mani di Crisafio, che tornò ai sistemi corrotti di Eutropio.
Teodosio II Durante il regno di Teodosio II, terminato nel 450, ci furono guerre con la Persia e scorrerie di Unni. La guerra persiana scoppiò nel 421 a seguito di una persecuzione di cristiani presenti in quel paese e fu conclusa vittoriosamente l’anno seguente. Nei confronti degli Unni, invece, l’impero d’Oriente non fu fortunato. Fin dal 424 il re unno Rua, partendo dalla Pannonia, aveva chiesto all’impero un tributo annuo. Quando nel 443 a Rua successero Attila e il fratello Bleda, il tributo fu aumentato fino alla somma di 700 libbre d’oro l’anno. Nel 441-442 gli Unni dilagarono nei Balcani sconfiggendo l’esercito imperiale; le condizioni di pace dettate da Attila furono il pagamento di un’indennità di 6000 libbre d’oro e la triplicazione del tributo annuo portato a 2100 libbre d’oro. Nel 447 le ostilità ripresero, ma seguì un nuovo insuccesso imperiale: Attila pretese di esser riconosciuto come signore di Teodosio. L’impero temeva un attacco a fondo: Attila, invece, si volse verso Occidente col risultato che conosciamo.
L’eresia monofisita Il regno di Teodosio fu importante per altri motivi. Egli, infatti, pur risultando un inetto sul piano militare e amministrativo, vide giustamente sul piano della politica religiosa e superò la crisi provocata da una nuova eresia riguardante la natura di Cristo, chiamata monofisismo (i monofisiti si posero al centro delle più aspre discussioni religiose che sconvolsero l’Oriente per alcune generazioni: il problema verrà affrontato nel paragrafo successivo).
Le nuove mura di Costantinopoli Per difendere la capitale apparve necessaria nel 413 la costruzione di una nuova cinta muraria tra il Mar di Marmara e il Corno d’Oro, per proteggere anche i sobborghi sorti fuori delle mura di Costantino. In seguito le mura furono innalzate anche lungo la costa delle penisola su cui sorge Costantinopoli, facendone un complesso inespugnabile.
La nuova università Sul piano culturale, per combattere l’influsso pagano di Atene, fu fondata una grande università nella capitale: ben 28 professori di letteratura latina e greca contro due maestri di diritto e un solo filosofo. Nel 438 Teodosio fece pubblicare il già ricordato Codice Teodosiano che raccoglieva le leggi ancora in vigore da Costantino al suo tempo; si tratta del primo nucleo del futuro Codice di diritto civile pubblicato da Giustiniano nel secolo successivo.
Marciano interrompe il tributo agli unni Teodosio II morì in seguito a una caduta da cavallo (450). Pulcheria dopo l’allontanamento da corte della cognata Eudossia aveva ripreso il potere: essa scelse il nuovo imperatore nella persona di Marciano, un veterano dell’esercito e lo sposò. Marciano rifiutò di continuare a pagare il tributo agli Unni di Attila che proprio in quel momento stava organizzando il grande attacco contro la Gallia e l’Italia. Quando Attila morì all’improvviso, nel 453, stava progettando un grande attacco contro l’impero d’Oriente per compensare lo scacco subito in Occidente.
Leone I Morto Marciano nel 457, il titolo imperiale fu conferito a un rude soldato, Leone I. In seguito a difficoltà finanziarie Leone I abolì il sussidio agli Ostrogoti che in ritorsione saccheggiarono l’Illirico: per ottenere la pace il loro re dette in ostaggio il giovanissimo figlio Teoderico che così poté compiere a Costantinopoli un importante apprendistato politico durato dieci anni.
Zenone Nel 473 Leone I, non potendo nominare Zenone come successore a causa dell’odio popolare che le malversazioni della guardia isaurica gli avevano attirato, elevò al rango di cesare con diritto di successione il figlio di Zenone e di Arianna, Leone II, un bambino malaticcio di appena cinque anni che morì poco dopo, giusto in tempo per trasmettere la corona al padre.
Il regno di Zenone (474-491) fu caratterizzato da guerre continue contro i Goti di Tracia e contro tentativi di usurpazione. Durante la rivolta principale condotta da un cognato dell’imperatore, Zenone fu aiutato da Teoderico l’Amalo che nel 483 ottenne la carica di magister militum per le province di Dacia e Mesia. Zenone morì nel 491.
Anastasio La vedova Arianna scelse come imperatore e marito un funzionario di corte, Anastasio: fu una scelta felice. Anastasio per prima cosa allontanò da Costantinopoli le truppe isauriche con i loro ufficiali. La risposta fu una lunga insurrezione dell’Isauria, durata fino al 498, quando finalmente lo strapotere isaurico fu spezzato per sempre perché i capi furono imprigionati e parte della popolazione fu deportata in Tracia.
Scorrerie di Geti e Bulgari Al posto degli Ostrogoti apparvero sul Danubio popolazioni slave, Geti e Bulgari, che saccheggiarono i Balcani, rinnovando nella capitale il terrore degli Unni e inducendo Anastasio a far riparare le mura danneggiate dal terremoto. La guerra riesplose sul fronte orientale quando nel 502 i Persiani invasero l’Armenia giungendo fino in Mesopotamia. Il conflitto durò quattro anni e agli inizi fu vittorioso per i Persiani, ma alla fine fu ristabilita la pace senza perdite di territorio.
Morte di Anastasio Il punto debole del governo di Anastasio fu la sua personale simpatia per il monofisismo, avversata fino al punto che le più grandi città dell’impero si ribellarono. La rottura avvenne quando Anastasio cercò di insediare un monofisita sulla cattedra episcopale della capitale. Il tentativo, considerato empio da Vitaliano, comandante dei foederati bulgari stanziati in Tracia, lo indusse a muovere contro la Capitale. Vitaliano fu tacitato con la concessione di 5000 libbre d’oro, ma due anni dopo, nel 515, rinnovò il tentativo. Questa volta le sue truppe furono sconfitte e la ribellione si esaurì. Anastasio aveva cercato di tenere uniti all’impero i monofisiti di Egitto e Siria, minaccianti una secessione. Anastasio morì nel 518, lasciando un tesoro pubblico ben fornito, segno dell’intelligenza con cui aveva affrontato i problemi economici. Aveva abolito la tassa chiamata chrysargyrium che aveva ostacolato artigianato e commercio obbligando molte industrie a chiudere i loro laboratori con danno per le finanze statali. Impose una tassa fondiaria più pesante e soprattutto esentò i curiales delle città dall’obbligo di pagare di tasca propria quanto mancava alla somma stabilita dall’autorità centrale.
Giustino Fu eletto imperatore Giustino (518-527), già comandante della guardia del corpo. Costui era un buon soldato, ma come amministratore sembrava un incapace e perciò bisognoso di affidarsi al nipote Giustiniano, ben presto cooptato all’impero: il regno di Giustino fa da introduzione dell’impero di Giustiniano, sotto il quale l’antica grandezza sembrò rinverdire.
4. 2 La Chiesa d’Oriente nell’età dei concili
Mentre in Occidente infuriavano invasioni di popoli ritenuti in grado di spazzare via tutto, la Chiesa bizantina produsse le sintesi dottrinali dei concili di Efeso (431) e di Calcedonia (451) che completarono la formulazione delle dottrine trinitarie e cristologiche.
La scuola teologica di Alessandria Le scuole teologiche fondamentali furono quelle di Alessandria e di Antiochia. La prima si fondava sull’impiego del metodo allegorico-figurale che scorgeva in tutte le vicende dell’Antico Testamento il tipo cui doveva corrispondere nel Nuovo Testamento l’antitipo, ossia da una parte la prefigurazione e dall’altra la realizzazione. L’uso eccessivo del metodo allegorico condusse a forzare il senso letterale della Bibbia che talora sembrò secondario rispetto alla ricerca dell’allegoria. Il maestro indiscusso di questa scuola fu Origene, vissuto ad Alessandria nel III secolo.
La scuola teologica di Antiochia La scuola teologica antiochena, invece, privilegiava il senso letterale della Bibbia e quindi una lettura degli eventi storici interpretati in senso proprio. Egitto e Siria tendevano dunque a percorrere due strade diverse e in qualche caso opposte, spesso in contrasto col patriarcato di Costantinopoli, che non aveva fondazione apostolica e quindi mancava di una tradizione propria, ma si trovava nella capitale dell’impero.
La crisi monofisita Ario aveva negato la divinità di Cristo e i vescovi di Alessandria, nella polemica successiva, in qualche caso passarono il segno approdando al monofisismo, ossia all’eresia praticamente opposta secondo cui in Cristo la vera natura umana sarebbe stata assorbita dalla natura divina. La scuola antiochena, rimanendo più aderente ai testi del Vangelo che parlano di Gesù come vero Dio ma anche come vero uomo e quindi dotato di tutti i sentimenti umani, volendo ribadire l’umanità di Cristo approdò anch’essa in qualche caso all’eresia, come avvenne a Nestorio che, trovando eccessivo il titolo attribuito alla Madonna di Theotokos “Madre di Dio”, affermava che si poteva dire solo Christotokos ossia “Madre di Cristo”. Nestorio fu deposto dalla sede di Costantinopoli e nel successivo concilio di Efeso fu riaffermato il titolo di “Madre di Dio”. Cristo è vero Dio e vero uomo in forza dell’unione nella persona del Verbo incarnato: non vi sono dunque in Cristo due persone, quella umana e quella divina, unite transitoriamente dalla nascita fino alla sua morte. Passarono venti anni tumultuosi prima di arrivare alla soluzione del problema. La indicò il concilio di Calcedonia, il quarto ecumenico, dominato dal Tomo a Flaviano composto dal papa Leone Magno, il quale affermò che in Cristo c’è una sola persona, ma in quest’unico soggetto ci sono due nature, la divina e l’umana, e ciascuna conserva le proprie facoltà e le proprie qualità. Il concetto di persona fu il guadagno filosofico che permise di spiegare come Cristo poté operare allo stesso tempo come Dio e come uomo.
4. 3 L’epoca di Giustiniano
Tra i protagonisti della storia Giustiniano appare tra i più inafferrabili e controversi. Il suo fu un regno lungo, durato quasi quarant’anni, cui si possono aggiungere i nove anni dell’impero di Giustino perché, di fatto, chi prendeva le decisioni era Giustiniano. Abbiamo un suo ritratto stilizzato in San Vitale di Ravenna e, di fronte, quello della moglie Teodora, una donna volitiva e implacabile che fino alla morte, avvenuta nel 548, fu il motore dell’attività di governo.
Giustiniano e Teodora Giustiniano e Teodora ebbero in grado estremo quella che potremmo definire una visione autocratica: l’imperatore che, essendo certo di fare la volontà di Dio, non deve incontrare alcun limite al suo potere.
L’imperatore insonne Giustiniano fu definito “l’imperatore insonne” perché dedicava agli affari di Stato tutta la giornata e gran parte della notte: era minuzioso, perfino pedante, poiché voleva conoscere ogni tipo di affare diplomatico, politico, militare, amministrativo, teologico. Ma era anche sospettoso e finiva per mettere gli uni contro gli altri i collaboratori più vicini: Belisario, il suo migliore generale, cadde spesso in disgrazia perché sospettato di complottare contro l’imperatore. Eppure, sotto l’apparenza di una volontà inflessibile, spesso Giustiniano si dimostrava debole ed esitante e in qualche occasione addirittura codardo.
Teodora e il monofisismo Teodora aveva avuto un passato di attrice di circo, attività considerata infamante. Tuttavia era dotata di temperamento eccezionale: Giustiniano, per poterla sposare, indusse lo zio Giustino ad abrogare una legge che vietava il matrimonio di un senatore con una donna di rango inferiore. Ad Alessandria Teodora si convertì per opera di alcuni monofisiti in un momento difficile della sua vita. È un fatto che da allora protesse con ogni mezzo i monofisiti, anche a costo di sfidare il marito che, almeno in questioni religiose, riteneva di avere un’assoluta capacità di giudizio.
Le frontiere orientali Nei primi anni di regno Giustiniano, prima di dar corso ai suoi piani dovette superare notevoli difficoltà. In primo luogo la guerra contro la Persia che sui confini orientali -Caucaso, Armenia, Mesopotamia- premeva continuamente. Giustiniano non comprese che la sorte del suo regno si giocava in Oriente: anzi era infastidito dal fatto di dover mantenere quasi tutte le sue forze mobili su quel settore. Fece di tutto per concludere una pace di compromesso, ossia pagare un forte tributo ai Persiani perché si astenessero dalla guerra (532).
Verdi e Azzurri Nella capitale c’erano due partiti, i “verdi” e gli “azzurri”. I primi avevano notevoli propensioni verso il monofisismo e radunavano i sostenitori di due nipoti di Anastasio, divenuti i capi di una forte opposizione legittimista: in un certo senso formavano il partito aristocratico. Gli “azzurri”, invece, formavano il partito popolare e furono favoriti in ogni modo da Giustiniano, al punto di poter compiere impunemente i peggiori atti di arbitrio. Questi due partiti derivavano dagli omonimi gruppi di tifosi nelle gare dell’ippodromo.
I collaboratori di Giustiniano I principali ministri di Giustiniano furono Triboniano, un giurista eminente, grande studioso, ma anche un personaggio avido di denaro e privo di scrupoli; e Giovanni di Cappadocia, praefectus praetorio per Orientem, un grande statista, ma anche crudele quando si trattava di estorcere denaro per l’erario.
Rivolta della Nika I disordini della capitale, passati alla storia col nome di Nika, cominciarono nel gennaio 532 quando l’imperatore fu fischiato all’ippodromo. In quell’occasione “verdi” e “azzurri” fecero causa comune contro l’eccessivo fiscalismo del governo. Furono abbattuti i cancelli del palazzo imperiale e fu richiesta a gran voce la cacciata dei due odiati ministri. Giustiniano dapprima resistette all’assedio del suo palazzo, poi cedette alle richieste della folla, ma la concessione arrivava tardi perché ora i rivoltosi volevano la sua destituzione proclamando imperatore il nipote Ipazio. L’impero sembrava sull’orlo della guerra civile e Giustiniano si apprestava alla fuga quando la moglie, prendendo la parola in seno al consiglio, affermò che sarebbe rimasta al suo posto, pronta anche a morire. Il discorso fece effetto e perciò fu deciso di resistere. Giustiniano ricorse al mezzo abituale in simili occasioni: fece distribuire denaro per seminare la discordia tra gli oppositori. Belisario era alle porte della città, reduce dalla guerra persiana con molti mercenari: essi irruppero nell’ippodromo compiendo una strage di oltre 30.000 persone. Dopo sei giorni di disordini il potere centrale aveva trionfato, sia pure in modo orribile.
Crisi dei Goti La diplomazia imperiale divenne attiva in Occidente, soprattutto in Africa e in Italia. In Africa era forte l’opposizione contro i Vandali ariani. Giustiniano comprese la doppia crisi dei regni romano-barbarici d’Occidente, incapaci di risolvere il dualismo interno tra romani e barbari, e di far fronte comune contro l’impero: rimase in attesa di un pretesto per intervenire. Nel 531 in Africa il pretesto fu colto con la destituzione di Ilderico da parte di Gelimero. Subito Giustiniano si presentò come il campione del sovrano legittimo. Gelimero rifiutò ogni ingerenza imperiale all’interno del suo Stato e sfidò l’impero.
L’esercito imperiale L’esercito imperiale era a questo punto lo strumento più importante della politica di Giustiniano. Era un esercito formato di mercenari barbari che funzionava a patto di venir regolarmente pagato e rifornito. La disastrosa politica finanziaria dell’impero spesso comportava ritardi nel pagamento del soldo e perciò gli eserciti si sbandavano per darsi al saccheggio delle città, amiche e nemiche, oppure rifiutavano i combattimenti risolutivi per continuare le razzie.
La riconquista dell’Africa L’intervento in Africa iniziò nel 533. I Vandali si trovavano in crisi e non avevano più quei guerrieri impavidi che nel secolo precedente avevano respinto ogni invasione. Cartagine fu occupata. Poco dopo Gelimero, la sua famiglia e il suo tesoro caddero nelle mani di Belisario, subito richiamato a Costantinopoli per il trionfo, ma anche per non dargli la possibilità di affermare un suo potere personale. In Africa furono ristabilite le istituzioni romane e una schiera di funzionari cominciarono a estorcere tasse dai cittadini impoveriti: il malcontento si sviluppò sotto forma di rivolte in tutta la provincia. Occorsero anni per avere ragione dei rivoltosi e solo nel 548 la regione risultò pacificata, ma ciò che rimaneva non era più l’Africa granaio dell’impero, bensì una regione spopolata. L’arianesimo fu stroncato, ma le tasse resero odioso il governo bizantino.
La conquista dell’Italia La conquista dell’Africa permise d’avere un’ottima base di operazioni per la riconquista d’Italia. Anche qui il pretesto fu trovato senza difficoltà. Amalasunta aveva suscitato risentimento tra gli Ostrogoti per la sua politica filoromana: essi volevano un cambiamento radicale di indirizzo. Atalarico morì nel 534 e la madre cercò di rafforzare la sua posizione sposando il cugino Teodato. Pochi mesi dopo, una rivoluzione nazionalista depose Amalasunta, confinata nell’isola del lago di Bolsena e strangolata nel 535. Giustiniano chiese soddisfazione per la morte della regina che godeva della protezione imperiale. Teodato era una nullità politica: offrì la Sicilia e si proclamò vassallo di Bisanzio, pronto a offrire l’Italia in cambio di un titolo onorifico e di una buona somma di denaro. Nel maggio 536 l’esercito bizantino passò lo stretto di Messina e a dicembre occupò Roma. A seguito di questi insuccessi Teodato fu destituito e gli Ostrogoti elessero re Vitige dotato di maggiori capacità e di vera audacia. Vitige fermò i Franchi concedendo loro la Provenza e poi riuscì ad assediare in Roma Belisario che non aveva truppe sufficienti per passare all’offensiva. Nel 538 un esercito imperiale sbarcò sulle coste del Piceno tentando di tagliare le linee di comunicazione tra Ravenna e Roma. Vitige dovette abbandonare l’assedio di Roma, mentre un nuovo esercito imperiale comandato da Narsete operava intorno a Rimini. Nel 539 Vitige fu rinchiuso in Ravenna. L’imperatore era disposto a cedere a Vitige l’Italia posta a nord del Po, ma Belisario si oppose. Sembrava che la guerra fosse terminata tanto che Belisario fu richiamato in Oriente e la solita folla di funzionari bizantini si precipitò in Italia per arraffare ciò che rimaneva. Gli Ostrogoti si ripresero ed elessero, al posto di Vitige, il giovane e brillante Totila che per undici anni riuscì a vanificare i tentativi bizantini di pacificare l’Italia. Totila attraversò il Po, poi giunse vittorioso fino a Napoli e infine assediò Otranto. La popolazione romana fu trattata bene per evitare che rimpiangesse la presenza bizantina. Giustiniano si trovò costretto a rimandare in Italia Belisario. Con forze insufficienti Belisario rifornì Otranto e si chiuse in Ravenna (545). In seguito Belisario riuscì a riprendere Roma che rimase semispopolata, infine, mal sostenuto nei suoi sforzi, chiese l’esonero dal comando (548).
Termine delle guerre gotiche Dopo la partenza di Belisario l’impero conservava in Italia quattro città: Ravenna, Otranto, Ancona e Crotone. Nell’anno successivo (550) Totila riconquistò la Sicilia, la Sardegna, la Corsica devastando Dalmazia ed Epiro. Fu mobilitato finalmente un grande esercito bizantino agli ordini di Narsete che sbarcò nell’Italia settentrionale, si diresse a Ravenna e poi a sud, dopo la vittoria di Gualdo Tadino. Totila morì e il suo esercito si sbandò. L’ultima resistenza fu opposta da Teia nella zona presso il Vesuvio, ma alla fine gli Ostrogoti furono sconfitti. Nel 555 cadde l’ultimo caposaldo ostrogoto: il prezzo della guerra apparve spaventoso. La peste, infatti, aveva spopolato il paese.
La conquista della Spagna L’ultima campagna di Giustiniano fu l’intervento in Spagna, il solo regno ariano rimasto in Occidente. Anche qui il pretesto fu offerto dalle persecuzioni di Agila contro i cattolici: Atanagildo si sollevò contro il re e chiese l’intervento bizantino. Agila fu sconfitto: in poche settimane le truppe imperiali si impadronirono di Cartagena, Malaga e Cordova. I Visigoti però compresero il pericolo bizantino e si misero d’accordo per offrire la corona ad Atanagildo (554) che per prima cosa si mise ad avversare i precedenti alleati per impedire che si rafforzassero. I bizantini mantennero ciò che avevano occupato per tre quarti di secolo. Ai Longobardi l’imperatore concesse di insediarsi in Pannonia e nel Norico, sussidiandoli in cambio di reclute.
L’Italia ridotta a provincia Giustiniano sembrava aver realizzato il suo sogno: il Mediterraneo era tornato il Mare nostrum di un tempo e l’impero aveva conseguito grande prestigio. Nel 554 fu pubblicata la Prammatica Sanzione, una legge che annullava tutti gli atti che avevano modificato l’antica struttura dell’impero in Italia. Furono separate l’autorità civile da quella militare, con un prefetto al pretorio preposto all’amministrazione civile. Narsete, finché visse, ebbe entrambi i poteri, col compito di cancellare ogni traccia lasciata dalla dominazione ostrogota.
Crisi economica È certo che l’Italia e l’Africa uscirono esauste dalla guerra seguita da una rovinosa crisi economica. Le principali città italiane come Milano, Napoli e Roma rimasero spopolate. Non esistevano attività economiche di vasto respiro e la burocrazia bizantina, per vivere, estorceva non i frutti del capitale, ma il capitale stesso, tanto da far rimpiangere i tempi della dominazione barbarica. Anche in Occidente Giustiniano fece erigere alcuni sontuosi edifici: San Vitale e Sant’Apollinare in Classe di Ravenna testimoniano la grandezza con cui si concepiva l’architettura, ma per l’Italia la riconquista bizantina segnò l’inizio di una decadenza durata secoli.
4. 4 La politica orientale di Giustiniano
Mentre la politica di riconquista dell’Occidente sembra sia stata dettata da Giustiniano, quella rivolta all’Oriente sembrerebbe dettata da Teodora, più attenta del marito alle implicazioni del monofisismo. Teodora, infatti, era un’orientale e comprendeva che in Oriente andava cercato il vero fondamento dell’impero. Asia Minore, Siria, Egitto formavano la spina dorsale dell’impero, una realtà che non aveva più legami con l’Occidente. Teodora morì nel 548 e da allora iniziò la reale decadenza del governo di Giustiniano.
Le guerre persiane Il pericolo maggiore per l’imperoera la Persia, desiderosa di raggiungere uno sbocco sul Mar Nero a sud della catena del Caucaso, nella regione della Lazica e della Iberia-Georgia. Giustiniano comprese la necessità di difendere quella vitale regione. Nel 530 Belisario conseguì una chiara vittoria, mentre un altro generale operava vittoriosamente in Armenia. I Persiani assalirono la Siria sconfiggendo Belisario nel 531, mentre gli Unni si spingevano fin sotto le mura di Antiochia. Nel settembre di quell’anno il re persiano Kawad morì: il figlio Cosroe I, per difficoltà interne accettò di stipulare nel 532 un trattato ironicamente chiamato “pace perpetua”. Giustiniano accettò di sottoscrivere una pace a condizioni rovinose, impegnandosi a pagare la somma enorme di 110.000 libbre d’oro purché i Persiani si assumessero l’onere di difendere i passi del Caucaso contro i barbari del nord. Giustiniano si adattò a cedere il protettorato sull’Iberia-Georgia, mentre conservava il protettorato sulla Lazica, dalla quale i Persiani dovevano andarsene. Cosroe I, tuttavia, aveva in mente grandi progetti. Ricostituì l’esercito e riprese le operazioni militari nel 540, penetrando in Siria dove rase al suolo Antiochia. Nel 541 Giustiniano fu costretto a richiamare dall’Italia Belisario, mentre Cosroe I sottometteva l’Iberia.
La frontiera del Caucaso La situazione nella zona del Caucaso era sempre fluida, con frequenti passaggi delle bellicose popolazioni locali dall’uno all’altro dei contendenti. Cosroe comprese che quella guerra di frontiera logorava eccessivamente anche il suo Stato: nel 561 firmò una pace prevista per cinquant’anni, al prezzo di 30.000 solidi aurei all’anno. Giustiniano inoltre si impegnava a non inviare missionari in Persia, conservando però la Lazica che impediva ai Persiani l’accesso al Mar Nero.
La frontiera del Danubio Anche la frontiera del Danubio non era sicura: i Longobardi, gli Eruli, i Gepidi nell’alto corso del fiume; gli Slavi, i Bulgari, gli Anti nel basso corso, e gli Avari in mezzo, erano in continuo movimento, sembrando che non avessero altra aspirazione che di passare il fiume, per prendere con la forza ciò che veniva negato dai negoziati. Nel 534 Slavi e Bulgari compirono una scorreria in Tracia. Nel 539 gli Unni invasero Scizia e Mesia; l’anno dopo saccheggiarono l’Illirico arrivando fin in Grecia. Nel 547 gli Slavi arrivarono fin nell’Epiro. Nel 558 gli Unni si spinsero fino a Costantinopoli, fermati solo dal coraggio del vecchio Belisario. Quando morì Giustiniano i nemici più pericolosi erano gli Avari. Nessuna di queste invasioni fu seguita da uno stanziamento, ma appare evidente che ogni attività economica diveniva precaria. Procopio afferma che almeno 200.000 persone perirono a seguito di quelle invasioni.
Apprestamenti difensivi
Il progetto di Giustiniano di coprire tutto il confine con un sistema di fortezze collegate tra loro e difese in profondità era ottimo, perché i barbari non avevano macchine d’assedio. Tuttavia, per realizzare una politica del genere occorreva tenere in armi un numero enorme di soldati da stipendiare regolarmente. Inoltre, sarebbe stato necessario ridurre l’estensione dell’impero, ossia abbandonare l’Occidente: alcuni regni vassalli tenuti a bada dalla diplomazia imperiale forse sarebbero stati una formula migliore rispetto all’amministrazione diretta.
Fiscalismo opprimente
All’interno dell’impero il sistema fiscale appariva pesante e spesso ingiusto perché i funzionari si abbandonavano a estorsioni suppletive. Nello Stato bizantino non c’era molta sicurezza: predoni e pirati infestavano l’impero. Giustiniano sapeva che solo un terzo delle tasse raggiungevano la sua corte, mentre il resto serviva a mantenere la burocrazia. La miseria era diffusa nonostante le buone intenzioni dell’imperatore: appare stupefacente che abbia potuto compiere ciò che fece.
La costruzione di Santa Sofia Un accenno particolare meritano le costruzioni di Giustiniano nella capitale. Nel 532, dopo gli incendi della Nika, Costantinopoli fu ricostruita splendidamente. Il gioiello fu la chiesa di Santa Sofia, dedicata all’eterna sapienza di Dio, con una pianta che appare la sintesi tra l’impianto centrico e l’impianto basilicale, con navate e transetto, il tutto collegato da una ardita cupola centrale traforata da innumerevoli finestre. Le fonti ci dicono che gli architetti Isidoro di Mileto e Antemio di Tralle operarono sotto la supervisione di Giustiniano. Il sacro palazzo, la residenza dell’imperatore, aveva il vestibolo di bronzo ed era decorato di marmi e mosaici che proprio in quell’epoca raggiunsero uno splendore mai più superato. Poi c’era l’Augusteum la grande piazza con la statua equestre dell’imperatore; la chiesa dei Santi Apostoli riedificata da Teodora e altri edifici come ospedali e locande, basiliche e palazzi. Per rifornire l’acquedotto fu costruita una cisterna, ancora esistente, sostenuta da mille e una colonne. Nonostante tutte le difficoltà il commercio dell’impero rimaneva imponente per la felice ubicazione della capitale. Per di più, si racconta che due missionari riuscirono a portare a Costantinopoli i preziosi bachi da seta permettendo lo sviluppo di un’industria della massima importanza. Alessandria era il porto del grano, la Siria era la regione manifatturiera: ma per prosperare il commercio e l’industria avevano bisogno di pace interna, di unità e di sicurezza, proprio ciò che la politica di Giustiniano non riuscì a procurare.
I problemi religiosi Tuttavia il fallimento più grave dei progetti di Giustiniano avvenne nel settore che egli giudicava più delicato e più suo, quello religioso. Fin dal tempo di Giustino l’impero sembrò tornato all’ortodossia, sia per motivi di autentico zelo religioso, sia per motivi politici. A partire dal riavvicinamento al papa con la fine dello scisma di Acacio, la simpatia dell’elemento romano in Italia e in Africa si rivolse all’impero, rendendo possibile la conquista di quelle regioni. Ma questo deciso orientamente verso l’ortodossia obbligava Giustiniano a fare i conti con i monofisiti i quali, nonostante le persecuzioni subite al tempo di Giustino, continuavano ad aver posti di responsabilità in Armenia, in Palestina, in Siria, in Mesopotamia e soprattutto in Egitto. Da un punto di vista politico, era opportuno sacrificare il legame con Roma e orientalizzare l’impero, come avevano fatto Zenone e Anastasio, e come suggeriva Teodora. Giustino e Giustiniano, invece, avevano preferito l’ortodossia e il ritorno a Occidente dell’impero. Teodora però non demordeva e alla fine spinse Giustiniano a modificare il suo atteggiamento nei confronti dei monofisiti.
Ricerca di compromesso con i monofisiti Fin dal 530 Giustiniano richiamò i monaci monofisiti mandati in esilio, poi fece venire a corte Severo, l’ex patriarca di Antiochia, per il quale Teodora aveva molta venerazione. Nel 535 si rese vacante la cattedra di Costantinopoli e a ricoprirla fu chiamato un monofisita. Il papa Agapito raggiunse Costantinopoli e con grande energia affrontò il problema scomunicando e deponendo il patriarca. Anche in Egitto fu scomunicato e deposto un protetto dall’imperatrice: nel 540 si poteva dire che l’eresia era stata sradicata dall’impero, ma Teodora non si dette per vinta. Il successore di Agapito fu il papa Silverio che aveva contrastato vittoriosamente l’altro candidato gradito a Teodora, Vigilio. Subito la corte imperiale ordinò l’arresto e la deposizione di Silverio, accusato di tradimento. Per volere dell’imperatore fu eletto papa Vigilio, che non poté accettare le vedute di Teodora la quale nel frattempo aveva richiamato nelle loro sedi i vescovi monofisiti esiliati.
Condanna dei Tre Capitoli Questa rinascita vigorosa dei monofisiti sconvolse i piani di Giustiniano tendenti a promuovere una sola confessione religiosa e perciò egli cercò il modo di venire incontro ai monofisiti. C’era un teologo del secolo precedente particolarmente inviso a costoro, Teodoro di Mopsuestia, il quale era stato maestro e amico di Nestorio. A Teodoro furono uniti anche i teologi Teodoreto di Ciro e Iba di Edessa: dalle loro opere fu ricavata una silloge denominata Tre Capitoli. Bisognava ottenere l’approvazione dal papa. Giustiniano impiegò i mezzi forti: fece rapire il papa Vigilio nel 545 e lo fece condurre a Costantinopoli. Con esitazioni e ripensamenti, Vigilio emanò un Judicatum conforme alla volontà dell’imperatore. Fu l’ultima vittoria di Teodora che così aveva ottenuto di umiliare il papato esaltando i monofisiti, ma nel giugno del 548 morì.
La vicenda di papa Vigilio Quando in Occidente si diffuse la notizia degli avvenimenti la protesta che si levò in Africa, in Dalmazia e in Italia fu tale da indurre il papa Vigilio a insistere per la convocazione di un concilio. Nell’agosto 551 Vigilio si rifugiò in una chiesa di Costantinopoli, ma Giustiniano fece entrare i suoi soldati che misero le mani sul pontefice aggrappato ai pilastrini dell’altare. Il papa era prigioniero dell’imperatore, circondato da ostilità e disprezzo. A dicembre papa Vigilio riuscì a fuggire, rifugiandosi a Calcedonia. L’imperatore comprese di aver esagerato e si piegò all’idea di convocare per il maggio 553 il secondo concilio di Costantinopoli. Il papa Vigilio non partecipò ai lavori, terminati secondo i desideri di Giustiniano: i Tre Capitoli furono condannati da vescovi scelti da Giustiniano perché agissero secondo la sua volontà.
Umiliazione del papato Il papato uscì dalla vicenda umiliato. Dopo la morte di Vigilio, i suoi successori Pelagio e Giovanni III furono eletti dietro pressioni di Giustiniano e non poterono far nulla contro la sua volontà. Con la violenza furono piegati i vescovi di Africa e Dalmazia, ma nulla si poté contro i vescovi di Milano e di Aquileia che rifiutarono la condanna dei Tre Capitoli. Per colmo di ironia i monofisiti non furono punto soddisfatti dalle concessioni ottenute e proseguirono per la loro via di netta separazione dalla comunione ecclesiale.
Attività legislativa È da tutti ammesso che il diritto sia stato il più grande contributo del genio romano all’umanità. Dalle leggi delle XII tavole del V secolo a.C. fino alla codificazione del diritto romano voluta da Giustiniano e realizzata da Triboniano, passarono circa mille anni. Molte leggi erano cadute in desuetudine, altre erano state rese inutili dal progresso legislativo. Occorreva mettere ordine e soprattutto condensare quella immensa congerie di leggi che ormai nessun giurista era in grado di possedere e di interpretare.
Codificazione del diritto romano Il lavoro di Triboniano era stato preceduto da altre parziali codificazioni tra cui la più importante era il Codex Theodosianus del 438, promulgato da Teodosio II. Il Codex Theodosianus, tuttavia, raccoglieva solo le leggi emanate da Costantino e dai suoi successori. Tra i giurisperiti del passato spiccava Gaio, vissuto nel II secolo, autore di un fortunato manuale di avviamento agli studi giuridici intitolato Institutiones: tale manuale fu trovato ancora rispondente alle necessità per cui fu inserito nel Codex Justinianeus; poi Papiniano, le cui sentenze erano adottate a preferenza delle opinioni di qualunque altro giurista; Paolo che veniva subito dopo di lui e Ulpiano, vissuti nel III secolo, e infine Modestino, un giurista che aveva scritto in lingua greca. Fu fatta una silloge delle principali opere di questi giuristi chiamata Digesta o Pandectae. La terza parte del codice era composta dalle Leges, ossia era l’ampliamento del Codice Teodosiano comprendente le leggi ancora in vigore, opportunamente adattate le une alle altre per evitare contraddizioni tra leggi diverse. Più tardi fu aggiunta una nuova parte intitolata Novellae (sottinteso Leges) includente la legislazione propria di Giustiniano.
Successo della codificazione L’impressione provata dai contemporanei davanti a quel lavoro fu enorme, e la fama che ne venne a Giustiniano fu tale da cancellare nel ricordo dei posteri l’elenco degli errori che commise.
4. 5 Cronologia essenziale
395 Alla morte di Teodosio riprendono le invasioni dei barbari.
431 Il concilio di Efeso condanna Nestorio.
451 Il concilio di Calcedonia decreta che Cristo è una sola persona in cui si uniscono la natura umana e la natura divina.
484-519 Scisma di Acacio: la Chiesa d’Oriente rimane separata dalla Chiesa di Roma.
527 L’imperatore Giustiniano inizia il suo regno proponendosi la ricostituzione dell’impero in tutta l’antica estensione.
533 Inizia la campagna militare contro i Vandali d’Africa. A Costantinopoli è pubblicato il Codex Juris Civilis.
535 Inizia la campagna militare contro gli Ostrogoti in Italia.
553 È convocato a Costantinopoli un concilio ecumenico nel tentativo di far accettare al papa la condanna dei Tre Capitoli.
554 Giustiniano pubblica la Prammatica Sanzione, che annulla le leggi dei regni romano barbarici modificanti l’antica struttura dell’impero.
561 Giustiniano stipula con i Persiani una pace di 50 anni.
565 Morte di Giustiniano.
4. 6 Il documento storico
Un drappello di Longobardi giunse in Italia, al tempo delle guerre gotiche, assoldato da Narsete, che ben presto si pentì di quella decisione, perché i danni prodotti dai Longobardi furono superiori ai benefici arrecati. Riportiamo qui di seguito due brevi passi di Paolo Diacono e di Procopio che rivelano una differente valutazione dello stesso fatto.
“Mentre si spargeva ovunque la fama delle ripetute vittorie dei Longobardi, Narsete, cartulario imperiale, che era a capo dell’Italia e preparava la guerra contro Totila, re dei Goti, mandò ambasciatori ad Alboino – giacché da tempo i Longobardi erano suoi federati – perché gli fornisse aiuto quando avesse mosso guerra ai Goti. Allora Alboino stesso guidò una scelta schiera dei suoi, per portare aiuto ai Romani contro i Goti. Giunti attraverso il mare Adriatico in Italia e unitisi ai Romani, i Longobardi cominciarono a combattere contro i Goti. Battuti i nemici, compreso il loro re Totila, fino alla completa distruzione, furono onorati con molti doni e ritornarono vittoriosi in patria. Per tutto il tempo in cui i Longobardi furono padroni della Pannonia, rimasero alleati dello Stato romano”.
Fonte: PAULI DIACONI, Historia Langobardorum, Electa, Milano 1985, p. 79.
Il racconto di Procopio:
“Narsete, esultante per l’avvenuto, non cessava di tutto riferire a Dio, come infatti era vero, e dava ordine alle cose più urgenti. In primo luogo volle redimersi della brutta licenza dei Longobardi, suoi seguaci i quali, oltre alle altre indegnità del viver loro, incendiavano quanti edifici incontrassero e facevano violenza alle donne che si erano rifugiate nei templi. Fatto loro dono di gran somma di denaro, li rimandò alla patria loro sede, commettendo a Valeriano e al suo nipote Damiano col loro seguito di accompagnarli per la via fino al confine romano, perché lungo il cammino non avessero a far male ad alcuno”.
Fonte: PROCOPIO DI CESAREA, La guerra gotica, IV, 33, Trad. D. Comparetti, Roma 1898.
Durante la guerra gotica la carestia e la peste accrebbero i disastri della guerra. Il racconto che segue, sempre di Procopio, appare agghiacciante.
“Si dice che nel Piceno morissero di fame non meno di 50.000 coloni romani, e ancora di più al di là del Golfo Ionio (Mar Adriatico). Come diventavano nell’aspetto esteriore e in che modo morivano, l’ho visto coi miei occhi e desidero raccontarlo. Diventavano tutti smunti e pallidi, poiché la carne, per la denutrizione, intaccava, come suol dirsi, se stessa, e l’eccesso di bile, avendo ormai il sopravvento sul corpo, vi lasciava sopra una patina giallognola. Col progredire del morbo veniva meno ogni umore vitale, e la pelle, tutta rinsecchita, pareva cotenna, e dava l’impressione d’essere attaccata alle ossa, mentre il colorito bruno si cangiava in nero, facendoli somigliare a fiaccole troppo bruciate. Avevano poi sempre il viso attonito, lo sguardo sempre paurosamente spiritato, e morivano, alcuni per mancanza di nutrimento, altri per eccesso di sazietà. Perché, quando tutto il calore che ardeva naturalmente le viscere s’era spento, se taluno li faceva mangiare troppo e non a piccole dosi come i neonati, non riuscivano più a digerire il cibo e morivano molto più in fretta. Alcuni per i violenti stimoli della fame, si mangiavano l’un l’altro. E si dice che due donne, in una campagna oltre Rimini, mangiarono diciassette persone. S’era dato il caso che fossero rimaste le sole superstiti del villaggio; perciò gli stranieri che passavano di lì andavano a stare nella casa dove loro abitavano; e loro li uccidevano nel sonno e li mangiavano. Si racconta però che il diciottesimo ospite, svegliatosi dal sonno mentre quelle donnacce stavano per fargli la festa, balzò su, apprese da loro tutta la faccenda e le uccise entrambe”.
Fonte: EUSEBIO DI CESAREA, La guerra gotica, II, 20, Trad. F.M. Pontani, Newton Compton, Roma 1974.
4. 4. 7 In biblioteca
La storia bizantina risulta molto complessa. L’opera generale più nota è quella di G. OSTROGORSKY, Storia dell’impero bizantino, Einaudi, Torino 1968. Una sintesi ampia della cultura bizantina si trova in H.W. HAUSSIG, Storia e cultura di Bisanzio, il Saggiatore, Milano 1964. Per le vicende della codificazione del diritto si può consultare di G.G. ARCHI, Giustiniano imperatore, il Mulino, Bologna 1970. Sempre valida rimane l’opera del grande bizantinologo C. DIEHL, I grandi problemi della storia bizantina, Laterza, Bari 1957. Notevole il libro di D. OBOLENSKY, Il Commonwealth bizantino. L’Europa orientale dal 500 al 1453, Laterza, Bari 1971. Molto interessante anche il libro di F. COGNASSO, Bisanzio. Storia di una civiltà, Dall’Oglio, Milano 1976. Più recente la messa a punto da parte di AA. VV., I bizantini in Italia, Scheiwiller, Milano 1982