Dal Manuale di Storia
di Alberto Torresani
La forza culturale nuova destinata a divenire fondamento dei secoli successivi è il cristianesimo, ossia l’insegnamento di Gesù affidato oralmente a un piccolo numero di discepoli che lo diffusero nell’impero romano, soprattutto per merito di Paolo di Tarso che rispetto agli altri apostoli aveva il vantaggio di essere colto e di possedere la cittadinanza romana.
L’Impero romano si sentiva minacciato dal cristianesimo e per tre secoli lo combattè attivamente; nell’epoca di Costantino, invece, l’atteggiamento cambiò e fu operato il tentativo di servirsi dei cristiani per rafforzare l’unità dello Stato. Quando l’eresia minacciò l’unità dei cristiani, per decisione di Costantino fu convocato il primo concilio ecumenico della Chiesa, per ristabilire l’unità dottrinale e pastorale.
Nel corso del IV secolo il cristianesimo passò dalla condizione di religione tollerata a quella di religione di Stato, conoscendo una notevole fioritura culturale in grado di soppiantare la cultura pagana ridotta a manifestazioni marginali.
Notevole importanza assunsero le eresie che ben presto acquistarono anche una colorazione politica: le Chiese dell’Oriente difesero tenacemente le loro tradizioni peculiari, il loro stile ascetico e anche i loro interessi materiali, rivelando una tenace volontà centrifuga rispetto al potere centrale di Costantinopoli.Nel IV e nel V secolo la Chiesa fu illustrata dall’opera di autentici geni la cui riflessione teologica fu tanto importante da farli proclamare Padri della Chiesa: in Oriente san Basilio di Cesarea e in Occidente sant’Agostino dettero profondo impulso alla cultura cristiana che seppe assimilare alcuni aspetti della cultura pagana, oggetto ancor oggi di fruttuosa considerazione.
2. 1 Il fondamento giuridico delle persecuzioni
Rimarrà per sempre un mistero il meccanismo che condusse lo Stato romano a un atteggiamento di intolleranza verso i cristiani. Il documento fondamentale per giustificare la persecuzione risale al tempo di Traiano e fu sollecitato da Plinio il Giovane intorno al 112, quando era procuratore della provincia del Ponto e della Bitinia, una zona dell’Asia Minore che si affaccia sul Mar Nero.
L’inchiesta di Plinio e il rescritto di Traiano Lo scrupoloso e letteratissimo Plinio aveva fatto condannare alcuni cristiani, ma si era reso conto di aver toccato un terreno minato e che non poteva procedere a una strage. Plinio si era informato e aveva saputo che i cristiani non si distinguevano in nulla dagli altri abitanti, se non per il fatto che il primo giorno della settimana si riunivano, cantavano inni spirituali, prendevano un pasto in comune e poi tornavano nelle loro case. Si era accorto che i templi pagani erano vuoti e che le cerimonie pagane del culto ufficiale erano disertate dai cristiani che così non adoravano l’imperatore o le aquile delle legioni. Per tutto il resto, tuttavia, i cristiani apparivano cittadini esemplari. Plinio conosceva l’Institutum Neronianum: “Non è lecito essere cristiani”, ma si rendeva conto che occorrevano nuove norme giuridiche. La risposta di Traiano, considerato dalla tradizione come il più giusto degli imperatori, così ordinava: “Non bisogna ricercare i cristiani, ma se essi sono denunciati e confessano di esserlo, siano castigati. Se qualcuno tuttavia nega di essere cristiano e lo prova supplicando i nostri dèi, ottenga il perdono”.
Il reato di cristianesimo È interessante la sorprendente semplicità con cui fu liquidato il massimo problema del mondo antico. Ne possiamo ricavare alcune deduzioni: a) il delitto di cristianesimo è speciale perché basta ritrattarlo per esserne assolti. b) Implicitamente si assolvono i cristiani da tutti gli altri delitti che la voce popolare attribuiva loro (incesto, riti cannibalici, ateismo). c) L’iniziativa del procedimento giudiziario non devono prenderla le autorità, bensì i privati cittadini mediante regolare denuncia di almeno due persone. d) L’apostasia basta a determinare il non luogo a procedere.
Si comprende subito che si tratta di un espediente giuridico, ambiguo ed equivoco, che permise a Tertulliano di fare dell’ironia: “Il cristiano deve essere punito non perché è colpevole, ma perché viene scoperto, sebbene non si sarebbe dovuto ricercarlo”. Su questo fragile fondamento si appoggiano le persecuzioni durate circa tre secoli con molti martiri della fede e drammi di coscienza di chi, di fronte alla prospettiva della morte, cedeva per poi trascorrere gli anni successivi nella tristezza di non aver saputo superare la prova.
La libertà delle coscienze Lo Stato antico non comprese il fatto nuovo avvenuto con san Paolo, che incarnò la libertà portata da Cristo, la libertà delle coscienze, un uomo che è al tempo stesso suddito dell’impero romano al quale obbedisce in tutto ciò che non contrasta con l’obbedienza a Cristo. Lo Stato antico si riteneva padrone delle coscienze dei cittadini, concepiva il rapporto con la divinità in modo magico, superstizioso, esigeva il sincretismo e quindi un omaggio agli dèi di Roma, al genio dell’imperatore e all’aquila delle legioni come segno esterno di sudditanza. La legge romana, pur con la sua perfezione formale e la sua sapienza non si era liberata dalla sua origine sacrale.
La demitizzazione della natura In questo senso il cristianesimo è davvero la più grande demitizzazione della natura: non ci sono ninfe nei boschi e nel mare, non ci sono divinità nei fiumi, il mondo è fatto di cose, create da Dio, in possesso di una completa autonomia esistenziale. Dio è totalmente trascendente il mondo, e l’uomo è padrone del creato. Perciò una delle accuse più gravi rivolte ai cristiani era proprio quella di ateismo perché l’ateo era anche per i pagani un potenziale eversore dell’ordine costituito.
Fallimento delle persecuzioni Come disse Tertulliano, “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”: i pagani non riuscivano a spiegarsi il fatto che, nonostante mandassero a morte i capi delle comunità, la setta rinasceva dalle sue ceneri. La persecuzione non fu mai sistematica in tutto l’impero: divampava qua e là, all’improvviso, utilizzata talvolta come valvola di sfogo del malumore popolare. Se il Nilo non straripava e seguiva la carestia, o se il Tevere straripava e inondava Roma, la colpa era dei cristiani.
La persecuzione di Diocleziano Chi, invece, ordinò la persecuzione totale estesa a tutto l’impero fu Diocleziano nel 303. Le comunità cristiane erano ormai molto diffuse, tanto che intere legioni erano composte di cristiani come quella comandata da Maurizio e decimata in Savoia dove era stata inviata per domare una rivolta di contadini. La persecuzione più feroce e sanguinosa di tutte è descritta dal primo grande storico della Chiesa, Eusebio di Cesarea, che assistette anche al grande evento accaduto nel 313, quando Costantino con l’Editto di Milano fece proclamare il cristianesimo religio licita e ordinò la restituzione delle proprietà confiscate ai cristiani o il risarcimento di quelle che non si potevano più recuperare.
2. 2 L’incontro del cristianesimo con la cultura
La Chiesa di quell’epoca appariva l’istituzione più forte dell’impero perché radunava tra i suoi ranghi gli scrittori più vivaci, gli intellettuali più seri, ossia aveva davanti a sé l’avvenire: per tutti questi motivi fu un atto politico di estrema importanza la decisione di ammettere i cristiani alla direzione dello Stato. Il grande trapasso era avvenuto nel corso del III secolo, quello che per Roma rappresentò la crisi più acuta, l’epoca che va dai Severi fino al termine della grande anarchia militare e delle guerre civili durate fino al tempo di Claudio II il Gotico (268). Fu un tempo di invasioni di barbari per cui si resero necessarie intorno alle città le cinte murarie.
La cultura classica e il cristianesimo In questo secolo così difficile avvenne l’incontro del cristianesimo con la cultura classica, soprattutto nelle due città sedi delle più antiche comunità, Antiochia e Alessandria, in cui fiorirono due scuole cristiane. Nella seconda operò Origene, che dette vita a iniziative culturali come la Bibbia esapla comprendente il testo ebraico di tutta la Bibbia, la sua trascrizione fonetica in lettere greche e poi, in quattro colonne affiancate, la traduzione greca dei Settanta, di Aquila, di Simmaco, di Teodozione. In tutto formavano sei colonne che permettevano una lettura sinottica alla ricerca del senso più preciso del testo sacro.
A Roma era avvenuto il passaggio al latino come lingua liturgica, segno dell’ espansione del cristianesimo in seno a una maggioranza di fedeli non più in grado di comprendere il greco. Il fatto avvenne al tempo di papa Callisto, un ex schiavo, divenuto poi liberto, banchiere e amministratore delle proprietà cristiane e infine eletto papa.
Le eresie La Chiesa aveva dovuto superare il problema ancor più insidioso delle eresie interne, delle diverse interpretazioni del messaggio di Cristo. La più sottile di tali eresie rimase la gnosi.
Gnosi e manicheismo Valentino, Basilide e gli altri gnostici sostenevano che tra Antico e Nuovo Testamento esisteva una netta cesura, per cui andava abolito tutto ciò che apparteneva all’Antico Testamento. Cristo era inteso come portavoce di una conoscenza segreta che solo gli eletti potevano interpretare mediante un sapere esoterico in cui avevano grande importanza elementi tratti dalle scienze occulte, in gran voga in quei secoli di torbidi e di attese escatologiche. L’altra grande matrice di eresie era la tradizione dualistica di origine persiana e codificata da Mani: esistono un Dio del male e delle tenebre, e un Dio del bene e della luce, in perenne contrasto tra loro. Il campo di battaglia dei due princìpi opposti è l’uomo, composto di un’anima che anela alla luce e di un corpo che si trova avviluppato nel fango. Da questa strana dottrina sincretistica che univa la religione persiana alla morale cristiana nacque un movimento che disprezzava il corpo, il matrimonio, la procreazione come fatti indegni dell’anima. Per un curioso ribaltamento di prospettiva, molti di questi spiritualisti che disprezzavano il corpo si abbandonavano a gravi disordini morali perché affermavano che il male compiuto si doveva ascrivere al solo corpo, al principio del male, ma che la loro anima rimaneva pura e incontaminata.
La svolta costantiniana Dopo la pace religiosa del 313 la maggiore sicurezza permise l’ingresso nella Chiesa di molte persone che non passavano più attraverso il lungo periodo di catechesi catecumenale, che non arrivavano al cristianesimo mediante una conversione che trasformasse tutta l’esistenza del neofita. Nella Chiesa giunse il tempo della elaborazione delle dottrine cristiane per fissare le dottrine mediante formule che esigevano l’adesione dei fedeli.
2. 3 La svolta costantiniana e lo sviluppo delle eresie
La data dell’editto di Milano, il 313, è significativa per molti aspetti. Non solo il cristianesimo diveniva religio licita, bensì appariva come l’unica religione che avesse davanti a sé un avvenire: infatti non esisteva più una letteratura pagana vitale, una filosofia capace di rinverdire la concezione del mondo classico, un’arte in grado di ridare vita ai miti greco-pagani senza cadere nel manierismo. Il cristianesimo riusciva, al contrario, ad assimilare qualunque cosa vera, bella e buona fosse apparsa nel mondo classico, dando vita a una letteratura cristiana di straordinaria vitalità, a una filosofia cristiana che con sant’Agostino incontrò un grande pensatore, a un’architettura che canonizzò nelle basiliche, nelle icone e nel canto liturgico i risultati più cospicui della cultura classica, assicurandone la conservazione.
Nuove responsabilità dei cristiani I cristiani stavano assumendo responsabilità enormi: sul piano politico dovevano assicurare la sopravvivenza dell’impero romano, perché ora avevano posizioni di comando, e dovevano garantire allo Stato la continuità; sul piano culturale dovevano elaborare una dottrina teologica che raggiungesse tutti gli uomini, di qualunque ceto e nazione; sul piano sociale e assistenziale dovevano superare le contraddizioni in cui era caduta la società pagana. Come si vede non erano compiti facili da realizzare: ci furono incertezze e anche batture d’arresto, dovute alle contraddizioni interne alla società antica e a quegli avvenimenti esterni che la cultura tedesca denomina “movimento dei popoli” e che noi chiamiamo invasioni barbariche.
Espansione numerica dei cristiani La libertà religiosa accordata ai cristiani favorì una crescita in seno alla Chiesa. Si può affermare che l’aumento numerico dei cristiani andò a scapito dell’impegno di vita cristiana delle varie comunità. Fin quando l’esser cristiano comportava pericoli il numero degli opportunisti, dei tiepidi, dei mediocri risultò basso. Dopo la fine delle persecuzioni cominciò la penetrazione del cristianesimo negli ambienti rurali, in una situazione molto diversa da quella delle città in cui prevalevano le persone colte. Anche il clero risultò meno selezionato, meno capace di opporsi ai casi di sincretismo tra le tradizioni pagane e il Vangelo cristiano.
Autorità crescente del vescovo di Roma Nel corso del IV e del V secolo l’autorità e il prestigio del vescovo di Roma si accrebbero, nonostante la decadenza politica della città. Il trasferimento della capitale a Costantinopoli (Nuova Roma) avvenuto nel 330, mise in posizione di primo piano il vescovo di quella città, al quale l’autorità dell’imperatore finì per attribuire un’importanza pari a quella dei patriarcati più antichi e prestigiosi di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Roma. Anche questo fatto sarà causa in futuro di notevoli problemi disciplinari.
Le eresie La pace religiosa fu turbata dal sorgere di eresie. Il termine “eresia” deriva da airesis che significa “setta”, “divisione”, “partito”. Poiché la Chiesa è una società di uomini liberi, che hanno ricevuto il battesimo e si sono impegnati ad amarla e a obbedire alla sua dottrina, quando viene meno l’unità e la fedeltà alla dottrina, si forma un “partito” di dissidenti. Gli eretici proclamano una nuova Chiesa, accusando gli antichi fratelli di deviazioni morali e dottrinali, cercando di stabilire una propria gerarchia e affermando di essere la vera Chiesa. Spesso tali secessioni erano favorite da problemi locali vivamente avvertiti che la setta eretica faceva propri acquistando vasto seguito. L’Africa mediterranea nel III e IV secolo fu grande matrice di eresie. Fin dai tempi di Tertulliano le comunità di quella regione erano caratterizzate da un rigorismo esasperato, da zelo implacabile verso i peccatori, soprattutto i lapsi, ossia coloro che non avevano avuto la forza di affrontare i patimenti del martirio, che avevano obbedito al bando imperiale sacrificando agli dei o consegnando i libri sacri, divenendo così traditores.
Lapsi e donatismo Passata la bufera quei cristiani tiepidi ponevano un difficile problema pastorale perché spesso chiedevano di ritornare nella comunità dei fedeli. Che fare? Nacquero discussioni fierissime: gli estremisti affermavano che non si dovevano riammettere e in un primo tempo la pensava così anche Cipriano, vescovo di Cartagine. Il papa Stefano decise, invece, la loro riammissione nella comunità dei fedeli dopo un periodo di prova. Cipriano accettò la decisione di Roma, non così gli oltranzisti. Se tra i lapsi c’erano presbiteri, si disse che i sacramenti da loro amministrati non erano validi: per esempio inquietavano i battezzati dicendo loro: non baptizatus es, sed intinctus (da ciò deriva l’espressione siciliana “tintu” che significa malvagio). Ne derivò uno scisma iniziato al tempo di Donato nel 316 e durato più di un secolo, fino al tempo di sant’Agostino che seppe elaborare la classica dottrina sacramentaria del valore ex opere operato dei sacramenti, indipendenti dalla santità personale del ministro, dipendendo solo dai meriti di Cristo. I donatisti ebbero ampio seguito tra il proletariato rurale africano, che in diverse occasioni si sollevò saccheggiando le dimore signorili di campagna (circumcelliones). Inseguiti dai soldati, ci furono casi di suicidio che nelle intenzioni dei donatisti erano una specie di martirio volontario per la loro causa.
L’arianesimo All’inizio il donatismo era uno scisma più che una vera e propria eresia. Non così l’arianesimo che nacque come eresia antitrinitaria. Ario era un prete di Alessandria in Egitto. La sua tesi, come spesso capita agli eretici, partiva da un nucleo di verità, ossia l’assoluta trascendenza di Dio, ingenerato, “colui che è”, eterno, onnipotente, incomunicabile: “Dio è incomunicabile perché, se può comunicarsi, bisogna ammetterlo composto, suscettibile di divisioni e di mutamenti”. Con logica ferrea Ario proseguiva affermando che se Dio fosse composto, mutevole, divisibile, sarebbe stato più o meno corporeo e ciò è impossibile; dunque Dio è incomunicabile e al di fuori di lui tutto è creatura, compreso Gesù. Ario si oppose alla divinità di Gesù, posseduta fin dall’inizio, alla consustanzialità col Padre. Cristo sarebbe il mirabile esempio di un uomo che è giunto alla perfezione mediante la sua santità, il suo eroismo, i suoi meriti. Se accettata, questa eresia avrebbe distrutto l’Incarnazione e la Redenzione, anche se la dottrina sarebbe risultata più facile, più accessibile ai pagani i quali conoscevano nelle loro mitologie la figura dell’eroe, un uomo che per i suoi meriti veniva divinizzato (la teoria dell’apoteosi, fondamento dell’ideologia imperiale a partire da Cesare e da Augusto). Ario aveva dei partigiani: poteva rifarsi all’insegnamento di Luciano di Antiochia, che peraltro fu canonizzato perché morto martire. Aveva dalla sua parte Eusebio di Nicomedia, il vescovo che battezzò Costantino sul letto di morte nel 337. Anche il primo storico della Chiesa, Eusebio di Cesarea, era filoariano.
Condanna di Ario Un sinodo convocato ad Alessandria condannò Ario quasi all’unanimità. Ci furono momenti drammatici quando Ario affermò che Cristo, poiché era solo una creatura, avrebbe potuto peccare: l’assemblea inorridì. Ario fu condannato con alcuni seguaci e invitato a sottomettersi o andarsene. Preferì andarsene per difendere le sue opinioni. Si presentò a Eusebio di Nicomedia esponendogli la sua versione del sinodo alessandrino ed Eusebio accordò ad Ario una piena protezione. Alessandro, vescovo di Alessandria, dovette redigere una lettera circolare a tutti i colleghi nell’episcopato per informarli del reale andamento dei fatti. Eusebio di Nicomedia si trovava nella posizione privilegiata di consigliere di Costantino per gli affari ecclesiastici: nel tentativo di far riabilitare Ario, indusse l’imperatore a convocare, a spese dell’erario, un’assemblea di tutti i vescovi, nel primo dei concili chiamati perciò ecumenici (universali), a Nicea nel 325.
2. 4 I concili di Nicea e di Costantinopoli
Nella lettera di convocazione Costantino scriveva: “Riflettendo sull’origine della vostra divisione, giudico che la causa è debole e punto degna di sconvolgere tanto le anime…In certe questioni è tanto inutile interrogare quanto rispondere. Quante persone possono in sì difficili argomenti comprendere e avere un’opinione?…In fondo voi pensate allo stesso modo, voi potete facilmente tornare alla stessa opinione. Restate uniti, ritornando alla vicendevole carità! Voi non discutete un punto essenziale della fede: nel culto di Dio nessuno pensa di introdurre un dogma nuovo”.
Riflesso politico dell’eresia Da questo documento si può dedurre quanto grande fosse la preoccupazione dell’imperatore per una possibile frattura della cristianità con effetto centrifugo delle aree più delicate del suo impero, Egitto e Siria, che avrebbero potuto imboccare la via dell’indipendenza politica. Costantino voleva una sola confessione tra i cattolici, così come voleva essere egli stesso “vescovo di quelli di fuori”, ossia dei pagani: un altro effetto della libertà religiosa sarebbe stata l’intromissione dello Stato nella vita interna della Chiesa, i cui problemi assumevano in certi casi valenze politiche. Costantino era certo di riuscire a mettere d’accordo coloro che affermavano la divinità di Cristo e coloro che la negavano, e perciò accettò il consiglio di convocare e presiedere un concilio che ponesse fine a ogni contrasto.
Il concilio di Nicea La sede prescelta fu Nicea, vicina al Mar di Marmara e non lontana da Nicomedia e da Costantinopoli. I vescovi occidentali erano sette, gli orientali più di trecento. Il vescovo di Roma fu rappresentato da due prelati, che firmarono per primi i documenti finali, per conto del papa Silvestro I. Molti padri conciliari erano confessori della fede che recavano sul proprio corpo i segni dell’ultima persecuzione terminata circa vent’anni prima. Il concilio durò un mese. Ario non aveva il diritto di parteciparvi, ma guidò gli interventi dei suoi partigiani. Dopo le schermaglie iniziali, Atanasio, il futuro vescovo di Alessandria, pose l’accento sulla Redenzione, affermando che se Cristo non è anche vero Dio, la Redenzione non è avvenuta. Se invece si ammette la Redenzione, allora Cristo non è una mera creatura bensì è sempre esistito come Seconda Persona della Trinità, è sempre stato a lato del Padre, unito a Lui, distinto ma inseparabile, infallibile e perfetto.
Documento finale del concilio Il concilio affermò tutto ciò dicendo che Cristo è consustanziale al Padre. Poiché la parola greca che significa “consustanziale” è omousios, gli ariani irriducibili proposero la formula omoiusios, che differisce dalla precedente solo per una iota, ma che significa “di sostanza simile” invece che di “sostanza uguale”.
Il concilio di Costantinopoli La vicenda tuttavia non si esaurì. Alcuni vescovi ritirarono la loro firma agli atti del concilio, come fece Eusebio di Nicomedia, e poi cominciarono a brigare per mettere in cattiva luce e far destituire i vescovi ortodossi che si erano maggiormente messi in luce. Lo stesso Costantino finì per entrare in urto con i difensori dell’ortodossia, accusati di ostinazione. Arrivò a esiliare Atanasio, nuovo vescovo di Alessandria, e a far richiamare Ario che, proprio quando stava per trionfare, morì. I disordini durarono fino al concilio di Costantinopoli del 381, quando Teodosio, riprendendo l’opera di Costantino, farà trionfare l’ortodossia di Nicea e dichiarerà proscritto il paganesimo innalzando il cristianesimo a religione di Stato.
Se quei cinquant’anni furono turbolenti, per altri versi furono tra i più fulgidi della storia del cristianesimo. Atanasio fu cacciato in esilio e richiamato cinque volte ad Alessandria: quando morì, nel 373, era il vescovo più celebre della cristianità. Egli fu il modello di quei giganti del pensiero che poi furono chiamati Padri della Chiesa.
I Padri della Chiesa Per gusto di simmetria e di equilibrio gli scrittori successivi indicarono due gruppi di Padri della Chiesa che scrissero in lingua greca e in lingua latina, quasi per bilanciare gli apporti delle due parti fondamentali della cristianità. Al gruppo greco vengono ascritti san Basilio, san Gregorio di Nazianzo, san Gregorio di Nissa, san Giovanni Crisostomo. Al gruppo latino, sant’Ilario di Poitiers, sant’Ambrogio, sant’Agostino e san Girolamo.
Con le opere di questi scrittori l’edificio dottrinale della Chiesa a metà del V secolo appariva pressoché completo, ma all’orizzonte si affacciavano ormai i problemi angosciosi della paralisi dell’organismo politico romano e dei barbari che premevano alle frontiere in attesa di occupare i territori occidentali dell’impero.
2. 5 Cronologia essenziale
112 Plinio il Giovane, governatore di Bitinia, sollecita un rescritto per definire la posizione dei cristiani nei confronti della legge imperiale.
303 Inizia la persecuzione generale contro i cristiani da parte di Diocleziano.
313 Con l’Editto di Milano Costantino proclama il cristianesimo religio licita.
316 In Africa inizia lo scisma di Donato sulla questione dei lapsi.
325 Costantino presiede il primo concilio ecumenico a Nicea che condanna l’eresia ariana.
330 È inaugurata la nuova capitale dell’impero, Costantinopoli, edificata sulla più antica Bisanzio.
380 Con l’editto di Tessalonica il cristianesimo assurge a religione ufficiale dell’impero per iniziativa di Teodosio.
381 Secondo concilio ecumenico a Costantinopoli che conclude il grande dibattito con gli ariani; è redatto il Simbolo niceno-costantinopolitano (il Credo).
387 A Milano Agostino riceve il battesimo dalle mani di Ambrogio.
395 Muore Teodosio. L’impero è diviso definitivamente in due parti tra i due figli Arcadio e Onorio.
2. 6 Il documento storico
I due documenti che seguono spiegano il fondamento giuridico delle persecuzioni dell’impero romano nei confronti della nuova setta cristiana che sembrava turbare l’ideologia imperiale della pax deorum. L’inchiesta di Plinio, avvenuta intorno al 112 d.C., faceva cadere le altre accuse rivolte ai cristiani dal momento che non emersero indizi contro la loro moralità.
“C. Plinio a Traiano imperatore. È mia usanza, signore, riferirti di tutto ciò di cui sono dubbioso: chi infatti può meglio di te reggere la mia incertezza o illuminare la mia ignoranza? Io non fui mai presente a processi fatti contro i cristiani, e perciò ignoro in che, e sin dove vogliasi castigarli o inquisirli. E fui anche molto incerto se sia da ammettersi qualche differenza tra le diverse età, e se i fanciulli, per quanto ancor teneri, debbano esser trattati come i più forti; se si debba perdonare a chi si pente, o se a chi fu realmente cristiano nulla giovi il non esserlo più; se si punisca il solo nome, anche se non vi siano delitti, o se siano soggetti al castigo delitti inseparabili da quel nome. Frattanto con quelli che mi sono stati denunciati come cristiani, io ho agito in questo modo. Li interrogai se fossero cristiani; se confessavano che sì facevo due o tre volte la stessa richiesta minacciandoli del castigo, se persistevano li condannavo. Poiché io non dubitavo, checché fosse ciò che essi confessavano di essere, doversi certo punire quella caparbietà e ostinazione invincibile. Vi furono altri ugualmente pazzi, i quali, perché erano cittadini romani, ho stabilito d’inviare a Roma. Quindi, come suole succedere, diffondendosi questa colpa, sorsero vari casi speciali. Mi fu consegnato un libello anonimo, dove erano scritti i nomi di molti, i quali negavano poi di essere o di essere stati cristiani, poiché, seguendo il mio esempio, invocarono gli dei, offersero vino e incenso alla tua immagine che a tal fine avevo fatto recare insieme ai simulacri dei numi, e di più maledissero Cristo, tutte cose alle quali dicesi non possano essere piegati quelli che sono cristiani davvero. Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, poi lo negarono: tali esserlo stati, ma non esserlo più, chi da tre chi da parecchi, qualcuno fin da vent’anni. Anche costoro adorarono tutti la tua immagine, i simulacri degli dei e maledissero a Cristo. Affermavano poi che questa in fondo era la loro colpa o il loro errore, cioè di essere soliti adunarsi un dì stabilito, innanzi giorno, cantare alternativamente fra loro inni a Cristo, come a un dio, obbligarsi con giuramento, non già di commettere qualche delitto, ma di astenersi da ruberie, assassinii, adulterii, di mantenere la fede data e, richiesti, di restituire il deposito. Dopo di che era loro costume di andarsene per raccogliersi poi di nuovo e fare insieme un pasto, ma ordinario e innocente. Da tutte queste cose si erano tuttavia astenuti dopo il mio editto che, secondo i tuoi ordini, aveva vietato le associazioni. Tanto più stimai necessario di ricercare anche per mezzo della tortura che cosa vi fosse di vero, da due schiave che si dicevano ministre. Non trovai niente altro che una prava e sfrenata superstizione. Perciò, sospeso il processo, ricorsi a te per consiglio, perché la cosa mi parve degna di consulto specialmente per il grande numero di accusati, giacché molti di ogni età, di ogni ordine, di ogni sesso sono o saranno chiamati in giudizio. Né solo per le città ma anche per le borgate e le campagne si è diffuso il contagio di questa superstizione, la quale sembra si possa arrestare o correggere. Certo già si vede che ricominciano ad essere frequentati i templi, prima quasi deserti, a celebrarsi i solenni sacrifizi da lungo tempo dismessi, ed a vendersi da per tutto le vittime di cui erano finora rarissimi i compratori. Dal che è facile dedurre quanta gente si possa emendare ove abbia luogo a pentirsi.”
Risposta di Traiano: “ Traiano imperatore a Plinio salute.
Tu hai agito come dovevi, o mio Secondo, nell’esaminare le cause di coloro che ti furono denunciati come cristiani. Perché non è possibile stabilire una norma universale e direi quasi invariabile: non si debbono cercare, ma se saranno accusati e convinti, è doveroso punirli, in modo però che se alcuno neghi di essere cristiano e lo dimostri col fatto, adorando cioè i nostri dèi, benché sospetto per l’addietro, in causa del suo pentimento ottenga il perdono. Quanto poi ai libelli anonimi, in qualsiasi specie di accusa non debbono essere accolti, perché ciò è di pessimo esempio e indegno dei nostri tempi.”
Fonte: P. BREZZI, Fonti e studi di storia della Chiesa, Marzorati, Milano 1962, pp. 296-98; p. 345.
2. 7 In biblioteca
Per la storia generale della Chiesa si consiglia di J. LORTZ, Storia della Chiesa nello sviluppo delle idee, 2 voll., Ed. Paoline, Roma 1980.
Più breve di A. TORRESANI, Storia della Chiesa, ARES, Milano 1999.
Assai completa l’esposizione dei contenuti della letteratura cristiana antica in B. ALTANER, Patrologia, Marietti, Torino 1977.
Per la funzione svolta dal cristianesimo nella storia della civiltà, si consulti il libro suggestivo di C. DAWSON, Religione e cristianesimo nella storia della civiltà, Ed. Paoline, Roma 1984.
Per il conflitto tra paganesimo e cristianesimo si consulti di AA.VV., Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo, a cura di A. Momigliano, Einaudi, Torino 1968.
Di importanza fondamentale come fonte per la storia del monachesimo orientale è di ATANASIO, Vita di Antonio, a cura di C. Mohrmann, Fondazione Valla-Mondadori, Milano 1987.
Una interessante storia generale del monachesimo occidentale si trova in M. PACAUT, Monaci e religiosi nel medioevo, il Mulino, Bologna 1989.
Il primo storico della Chiesa è EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica, a cura di M. Ceva, Rusconi, Milano 1979.
Per la storia degli ariani rimane fondamentale di J. H. NEWMAN, Gli ariani del quarto secolo, Jaca Book, Milano 1981.