Santa Kinga, dell’Ordine di S. Chiara, madre della Nazione polacca

Vissuta nel XIII secolo, Kinga è un personaggio straordinariamente attuale per i nostri tempi.


Ha saputo coniugare contemplazione e azione


di RYSZARD BANACH


Durante il pellegrinaggio Giovanni Paolo II proclamerà santa la beata Kinga. È il coronamento dell’incontro di «Pietro dei nostri tempi» con la sua Patria alla vigilia del Giubileo del 2000. La beata Kinga, vissuta nel XIII sec., è un personaggio sotto molti aspetti straordinariamente attuale per i nostri tempi. Faceva parte di coloro che detenevano il potere e governavano nello spirito di fede come fossero al servizio degli uomini. È passata alla storia come la Madre del popolo. Da secoli nella terra di Sàdecczyzna si dice «santa Madre Kinga».

La beata Kinga nacque dalla famiglia reale nel 1234 a Esztergom in Ungheria. Fu la figlia del re Bela (Adalberto) IV e di Maria della stirpe dei bizantini Laskaris. La famiglia reale diede vita a 10 figli, oltre a Kinga questi erano: Stefano, Bela, Anna, Costanza, Iolanda, Elisabetta, Caterina, Margherita (I) e la più giovane St. Margherita. Il nome di battesimo di Kinga è Cunegonda, il nome della sua patrona, la santa imperatrice Cunegonda (+1033). Il diminutivo ungherese Kinga del nome «Cunegundis» divenne il suo nome proprio. Durante i primi cinque anni fu educata nello spirito dei principi cristiani alla corte di suo padre Bela IV. Nel 1239 si fidanzò con il principe di Sandomierz, Boleslao, il figlio di Leszek il Bianco a Wojnicz.


Della sua educazione si prese cura la duchessa Grzymislawa, la madre di Boleslao, prendendo Kinga alla corte di Sandomierz. Già in età giovanile Kinga si fece notare per le sue doti intellettuali, la bontà e la devozione nella preghiera.


Malgrado gli sforzi del re ungherese Bela IV che fece sposare le sue figlie per creare una coalizione contro l’espansione dei Mongoli chiamati Tartari, nel 1241 sia la Polonia che l’Ungheria furono devastate da essi. Kinga fu costretta a fuggire insieme con Grzymislawa e Boleslao, provando le molte fatiche della vita raminga. Dopo il ritiro dei Tartari cominciò nella Polonia la lotta, per la regione principale di Cracovia, fra i figli del re Enrico il Pio, caduto a Liegnitz (1241) e Corrado di Masovia, il fratello di Leszek il Bianco (+1227). Solamente nel 1243, dopo l’allontanamento di Corrado di Masovia (+1247), gli alleati di Boleslao offrirono a lui il trono a Cracovia. Kinga tornò nella Piccola Polonia insieme con Boleslao e la sua madre Grzymislawa per stabilirsi a Nowy Korczyn (a metà strada fra Cracovia e Sandomierz) che divenne la loro residenza preferita.


Kinga rimase affascinata dagli ideali di san Francesco d’Assisi e di santa Chiara. Entrò nel Terz’Ordine di san Francesco e con il permesso di Boleslao decise di mantenere la verginità nel matrimonio. Accanto al marito cominciò un’animata attività per il bene del Paese. Col casto matrimonio Dio ha voluto unire nuovi doni alla sua grazia, attraverso i quali riesplose la maternità spirituale di Kinga nei confronti della società polacca.


Destinò tutta la sua dote del valore di oltre 7 tonnellate d’argento per la ricostruzione del Paese distrutto. In cambio di tutto ciò ricevette la proprietà della terra di Sàdecczyzna (1257).


Si dedicò alla cura degli ammalati, portò aiuto e consolazione ai bisognosi, divulgò la giustizia sociale e le virtù nelle famiglie. Interveniva per ristabilire l’accordo fra i principi in conflitto e per riportare la pace. A lei la tradizione attribuisce l’organizzazione delle miniere di sale nella Piccola Polonia.


Un significativo segno della fede di Kinga, Dio divenne la sua sollecitudine per la canonizzazione del Vescovo di Cracovia san Stanislao e la principessa di Slesia Santa Edvige.


Dopo la morte di Boleslao (7 dicembre 1279) Kinga lasciò Cracovia dove in base al precedente accordo assunse il potere Leszek il Nero, nipote di Corrado di Masovia, sposato con Gryfina, nipote di Kinga. Kinga si stabilì a Sàcz, dove si dedicò alla questione di tutta la regione. Fondò nuovi villaggi e città, organizzò le parrocchie, costruì le chiese e le rifornì delle suppellettili necessarie. La sua opera più devota fu la fondazione del monastero dei Francescani Conventuali e delle suore Clarisse a Sàcz. Secondo il consiglio del Vescovo Pawel destinò tutto il suo retaggio al monastero delle Clarisse, che nel 1281 arrivarono a Sàcz da Skala, vicino Cracovia. Questo provocò ostilità dell’erede al trono di Cracovia Leszek il Nero. A difesa della sua fondazione Kinga chiese il protettorato al Papa Martino IV e si occupò da sola anche della amministrazione dei beni del monastero. Nel 1288 (dopo la morte di Leszek il Nero e la terza invasione dei Tartari) Kinga entrò nel noviziato e il 24 aprile 1289 prestò la professione religiosa secondo la regola di santa Chiara.


Mantenne i suoi voti religiosi in modo esemplare, servendo umilmente le sue consorelle nello spirito di sacrificio e premurosità, senza esercitare la funzione della superiora. Voleva aiutare le sorelle a capire le preghiere traducendo i testi dei Salmi latini nella lingua polacca e le invogliava a cantare nella loro lingua. Così creò la culla della cultura polacca.


Venne colpita nel settembre 1291 dalla malattia che per tanti mesi la inchiodò nel letto. Sopportò le sofferenze nello spirito della totale sottomissione alla volontà di Dio. Morì 24 luglio 1292 a Sàcz. Venne sepolta nella cappella della Beata Vergine Maria del monastero di Sàcz da lei fondato.


Kinga non ha lasciato di sé nessun appunto riguardante le sue vicissitudini spirituali. Tuttavia la più antica biografia e anche altre fonti permettono di conoscere le note caratteristiche della sua personalità e della sua spiritualità. Nella vita della beata Kinga è visibile la preghiera e il misticismo; contemporaneamente, viene caratterizzata da intraprendenza, attivismo, buona amministrazione e tenacia nella realizzazione dei propositi riguardanti sia la vita religiosa che il bene di tutti, una straordinaria armonia delle sue note caratteristiche che sembrerebbero opposte. Da una parte misericordiosa, pietosa, sensibile alla povertà umana, Madre col cuore in mano, e nello stesso tempo intransigente, con il coraggio virile disobbediente al male. Nel vortice della vita di corte si comportava da monaca e nel monastero era la signora che destava rispetto. Cercava il silenzio e il raccoglimento monastico ma era anche amante della musica, del canto e della bellezza della lingua polacca, diventando benemerita messaggera della cultura nazionale. Sofferente all’estremo era anche innamorata della bellezza della liturgia, delle opere d’arte e della natura. Rifiutò di unirsi al marito e rinunziò alla propria prole, ma divenne tenera protettrice delle famiglie, dei bambini e dell’unità matrimoniale. Sembrerebbe che cercava solamente la propria tranquillità e santificazione, invece era premurosa per il popolo del suo principato, per l’unità del Regno polacco e la dinastia dei Piast. Si interessò molto della sorte della sua patria, l’Ungheria, dell’unità della Chiesa, in quel tempo di divisione e delle crociate, delle questioni di Rutenia e intervenne ad unire alla Chiesa i pagani Jadzwinghi e i Lituani. Sembrerebbe così profondamente polacca ma nello stesso tempo tutta per gli altri, per tutti…


È una personalità straordinaria che ha avuto nella storia polacca un ruolo molto importante. Le testimonianze si trovano non soltanto nella storiografia ufficiale, ma anche nel mondo delle leggende innumerevoli che uniscono la persona di Kinga con i diversi avvenimenti della vita sociale polacca.


Il culto spontaneo che circonda Kinga dal momento della sua morte venne approvato l’11 giugno 1690 dal Papa Alessandro VIII dopo la verifica delle condizioni che esige la legge canonica. Sebbene l’idea di condurre un processo di canonizzazione venne decisa subito dopo la beatificazione, ci furono ostacoli esterni come le guerre, l’ostilità delle autorità politiche durante le spartizioni della Polonia, l’assenza delle persone competenti e impegnate nella causa.


Il processo condotto attraverso i secoli termina felicemente negli anni 1990-1996 grazie all’impegno e alla competenza del vicepostulatore del processo di canonizzazione, Padre Izydor Borkiewicz O.F.M. Conv., in collaborazione con la Commissione storica, creata dal Vescovo di Tarnów Józef Zyciñski. Lo stesso Mons. Wiktor Skworc, subito dopo aver preso possesso della diocesi di Tarnów (1998), ha seguito le procedure finali del processo. Il 3 luglio 1998 veniva letto il «Decreto sull’esercizio eroico delle virtù» che apriva la strada alla canonizzazione. Per volontà del Santo Padre Giovanni Paolo II la canonizzazione avrà luogo a Stary Sàcz il 16 giugno.


 


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L’OSSERVATORE ROMANO, Giovedì 17 Giugno 1999


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L’omelia di Giovanni Paolo II in occasione della canonizzazione di suor Kinga davanti al monastero delle clarisse a Stary Sàcz


Kinga ha espresso l’amore verso il divino Sposo con tanti atti di amore verso il prossimo


Che la famiglia polacca mantenga la fede a Cristo! Perseverate con fermezza accanto a Cristo, perché Lui rimanga in voi!


Non permettete che nei vostri cuori si spenga la luce della santità! Non abbiate paura di aspirare alla santità! Non abbiate paura di essere santi!


Del secolo che volge al suo termine e del nuovo millennio fate un’era di uomini santi! Santa Kinga insegna che sia il matrimonio che la verginità vissuta in unione con Cristo possono diventare una via di santità. Oggi santa Kinga si pone a salvaguardia di questi valori. Ricorda che in nessuna circostanza il valore del matrimonio, questa indissolubile unione d’amore di due persone, può essere messa in dubbio. Insieme con santa Kinga chiedo in modo particolare a voi giovani: difendete la vostra libertà interiore!


Il mondo di oggi ha bisogno della santità di cristiani che nelle ordinarie condizioni di vita familiare e professionale assumono i propri doveri quotidiani


 


Giovanni Paolo II ha presieduto, nella mattina di mercoledì 16 giugno, la Concelebrazione Eucaristica per la canonizzazione di suor Kinga, nella spianata davanti al Monastero delle Clarisse a Stary Sàcz, dove la religiosa è vissuta ed è sepolta. All’inizio della Santa Messa, il Vescovo di Tarnów, Mons. Wiktor Skworc, ha rivolto al Papa un indirizzo di omaggio. L’omelia di Giovanni Paolo II è stata letta dal Cardinale Franciszek Macharski, Arcivescovo di Kraków.


Pubblichiamo una nostra traduzione italiana dell’omelia:



1. «I Santi non passano. I Santi vivono dei Santi e hanno sete di santità».


Diletti Fratelli e Sorelle! Quasi trentatré anni fa pronunciai queste parole a Stary Sàcz, durante le celebrazioni del Millennio. Lo feci ricollegandomi ad una circostanza particolare. Ecco, nonostante il maltempo, giunsero in quella città gli abitanti della Terra di Sàcz e dei dintorni, e tutta quella grande assemblea del Popolo di Dio sotto la presidenza del Cardinale Primate Stefan Wyszyñski e del Vescovo di Tarnów, Jerzy Ablewicz, pregava Dio per la canonizzazione della beata Kinga. Come, dunque, non ripetere queste parole il giorno in cui, per disposizionedella Divina Provvidenza, mi viene dato di procedere alla sua canonizzazione, come due anni fa mi fu dato di proclamare santa la Regina Edvige, Signora di Wawel? L’una e l’altra giunsero da noi dall’Ungheria, entrarono nella nostra storia e rimasero nella memoria della Nazione. Come Edvige così Kinga ha resistito alla legge inesorabile del tempo che tutto cancella. Sono passati i secoli, e lo splendore della sua santità non soltanto non si spegne, ma brilla ancor più per legenerazioni che si susseguono. Non hanno dimenticato questa figlia del re ungherese, la Principessa di Maropolska, Fondatrice e Monaca del convento di Sacz. E questo giorno della sua canonizzazione ne è la più magnifica prova. Sia lodato Dio nei suoi santi!


2. Prima di percorrere spiritualmente le vie della santità della Principessa Kinga, per rendere grazie a Dio per l’opera della sua grazia, voglio salutare tutti coloro che sono qui riuniti e tutta la Chiesa della bella Terra di Tarnów, insieme al Vescovo Wiktor e ai Vescovi Ausiliari Wadysaw e Jan, ed il caro Vescovo emerito Piotr. Saluto i Vescovi ungheresi con il Primate, Cardinale Laszlo Paskai, come anche il Presidente della Repubblica di Ungheria Signor Arpad Göncz e le persone al suo seguito. Saluto il Signor Presidente d’Ungheria e le persone al suo seguito. Saluto tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose, e in modo particolare le Suore Clarisse. Rivolgo un cordiale saluto ai nostri padroni di casa – gli abitanti di Stary Sàcz. So che questa città è famosa per il suo attaccamento a santa Kinga. Tutta la vostra città sembra essere il suo santuario. Saluto anche Nowy Sàcz, una città che sempre mi ha affascinato con la sua bellezza e con il suo buon funzionamento. Abbraccio col cuore tutta la comunità diocesana, ogni famiglia e le persone sole, tutti i malati, come anche coloro che partecipano a questa liturgia per mezzo della radio e della televisione. Sia con voi ogni grazia di Colui che è fonte e fine di tutta la nostra santità!


3. «I Santi vivono dei Santi». Nella prima Lettura abbiamo udito un annuncio profetico: «Come luce splendida brillerai sino ai confini della terra; numerose nazioni verranno a te da lontano; gli abitanti di tutti i confini della terra verranno verso la dimora del tuo santo nome» (Tb 13, 13). Queste parole del Profeta si riferiscono anzitutto a Gerusalemme, la città segnata dalla particolare presenza di Dio nel suo tempio. Sappiamo tuttavia che da quando, mediante la morte e la risurrezione «Cristo (…) non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo figura di quello vero [tempio], ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Rm 9, 24), questa profezia si compie su tutti coloro che seguono Cristo sulla stessa via verso il Padre. D’ora in poi non più la luce del tempio di Gerusalemme, ma lo splendore di Cristo, che illumina i testimoni della sua resurrezione, attira al santo nome di Dio le numerose nazioni e gli abitanti di tutti i confini della terra. Santa Kinga sin dalla nascita aveva sperimentato, in modo mirabile, questo salvifico irradiamento della santità. Venne, infatti, al mondo nella famiglia reale ungherese di Bela IV, della dinastia degli Arpadi. Questa stirpe regale con grande fervore coltivava la vita di fede e diede grandi santi. Da essa proviene santo Stefano, il Patrono principale dell’Ungheria, ed il figlio sant’Emerico. Un posto particolare tra i santi della famiglia degli Arpadi occupano le donne: santa Ladislaa, santa Elisabetta di Turingia, santa Edvige di Slesia, sant’Agnese di Praga e, infine, le sorelle di Kinga – santa Margherita e la beata Jolanda. Non è ovvio che la luce della santità della famiglia ha condotto Kinga al santo nome di Dio? Poteva rimanere senza alcuna orma nella sua anima l’esempio dei santi genitori, dei fratelli e delle sorelle e dei parenti? Il seme di santità sparso nel cuore di Kinga nella casa paterna trovò in Polonia un buon terreno per svilupparsi. Quando, nel 1239, giunse prima a Wojnicz, e poi a Sandomierz, stabilì un cordiale legame con la madre del suo futuro sposo, Grzymislawa, e con sua figlia Salomea. Entrambe si distinsero per una profonda religiosità, per una vita ascetica e per l’amore all’orazione, per la lettura della Sacra Scrittura e delle vite dei santi. La loro cordiale compagnia, specialmente nei primi difficili anni del soggiorno in Polonia, ebbe un grande influsso su Kinga. L’ideale della santità maturò sempre più nel suo cuore. Cercando modelli da imitare, rispondenti al suo rango, scelse come speciale patrona la sua santa parente, la principessa Edvige di Slesia. Volle altresì indicare alla Polonia un santo che potrebbe diventare per tutti gli stati e per tutte le regioni un maestro d’amor di Patria e della Chiesa. Per questo, insieme col Vescovo di Kraków, Prandota di Bia³aczew, si impegnò con intensi sforzi per la canonizzazione del martire di Kraków, il Vescovo Stanislao di Szczepanów. Indubbiamente una grande influenza sulla sua spiritualità esercitarono san Giacinto, vissuto in quel tempo, il beato Sadok, la beata Bronislawa, la beata Salomea, la beata Jolanda, sorella di Kinga, e tutti coloro che formarono un particolare ambiente di fede nella Kraków di allora.


4. Se oggi stiamo parlando della santità, del desiderio di e del conseguimento della santità, bisognerebbe domandarsi in quale modo formare ambienti che ne favoriscano l’aspirazione. Che cosa fare affinché la famiglia, la scuola, l’ambiente di lavoro, l’ufficio, i villaggi e le città, ed infine il paese intero diventino una dimora di santi, che influiscano mediante la loro bontà, la fedeltà all’insegnamento di Cristo, la testimonianza della vita quotidiana, alimentando la crescita spirituale di ogni uomo? Santa Kinga e tutti i santi e i beati del XIII secolo rispondono: occorre la testimonianza. Occorre il coraggio, per non mettere la propria fede sotto il moggio. Occorre, infine, che nei cuori dei credenti dimori quel desiderio di santità, che forma non soltanto la vita privata, ma influisce sull’intera società. Nella Lettera alle Famiglie ho scritto che «attraverso la famiglia fluisce la storia dell’uomo, la storia della salvezza dell’umanità. La famiglia si trova al centro del grande combattimento tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra l’amore e quanto all’amore si oppone. Alla famiglia è affidato il compito di lottare prima di tutto per liberare le forze del bene, la cui fonte si trova in Cristo Redentore dell’uomo. Occorre far sì che tali forze siano fatte proprie da ogni nucleo familiare, affinché, come è stato detto in occasione del millennio polacco del cristianesimo, la famiglia sia «forte di Dio»» (n. 23). Oggi, basandomi sull’esperienza perenne di santa Kinga, ripeto queste parole qui, tra gli abitanti della Terra di Sàcz, i quali per i secoli, spesso a costo di rinunzie e di sacrifici, dettero prove di sollecitudine per la famiglia e di grande amore per la vita familiare. Insieme alla Patrona di questa terra, chiedo a tutti i miei Connazionali: che la famiglia polacca mantenga la fede a Cristo! Perseverate con fermezza accanto a Cristo, perché Lui rimanga in voi! Non permettete che nei vostri cuori, nei cuori dei padri e delle madri, dei figli e delle figlie, si spenga la luce della santità! Che lo splendore di essa formi le future generazioni di santi, per la gloria del nome di Dio! Tertio Millennio adveniente. Fratelli e Sorelle, non abbiate paura di aspirare alla santità! Non abbiate paura di essere santi! Del secolo che volge al suo termine e del nuovo millennio fate un’era di uomini santi!


5. «I Santi hanno sete di santità». Questa sete fu viva nel cuore di Kinga. Con questo desiderio, meditava le parole di san Paolo che abbiamo udito oggi: «Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia e merita fiducia. Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così» (1 Cor 7, 25-26). Ispirata da tale indicazione, volle consacrarsi a Dio con tutto il cuore mediante il voto di verginità. Perciò quando in considerazione delle circostanze storiche dovette sposare il principe Boleslao, lo convinse alla vita verginale per la gloria di Dio e dopo una prova di due anni gli sposi fecero il voto di perpetua castità nelle mani del Vescovo Prandota.


Questo modo di vita, oggi forse difficile da comprendere, ma radicato profondamente nella tradizione della Chiesa primitiva, diede a santa Kinga questa libertà interiore, grazie alla quale con tutta la dedizione poté preoccuparsi prima di tutto delle cose del Signore, conducendo una profonda vita religiosa. Oggi rileggiamo questa grande testimonianza. Santa Kinga insegna che sia il matrimonio che la verginità vissuta in unione con Cristo possono diventare una via di santità. Oggi santa Kinga si pone a salvaguardia di questi valori. Ricorda che in nessuna circostanza il valore del matrimonio, questa indissolubile unione d’amore di due persone, può essere messa in dubbio. Qualunque difficoltà nasca, non si può rinunciare alla difesa di questo amore originale, che ha unito due persone e che viene incessantemente benedetta da Dio. Il matrimonio è la via della santità, perfino quando diventa la via della croce.


Le mura del convento di Stary Sàcz, a cui santa Kinga diede inizio e nel quale terminò la sua vita, sembrano oggi testimoniare quanto essa apprezzasse la castità e la verginità, vedendo giustamente in un tale stato un dono straordinario, grazie al quale l’uomo sperimenta in un modo speciale la propria libertà. E di questa libertà interiore può fare luogo d’incontro con Cristo e con l’uomo sul cammino della santità. Ai piedi di questo convento, insieme con santa Kinga chiedo in modo particolare a voi, giovani: difendete la vostra libertà interiore! Che una falsa vergogna non vi distolga dal coltivare la castità! E i ragazzi e le ragazze chiamati da Cristo a conservare la verginità per tutta la vita, sappiano che questo è uno stato privilegiato, attraverso il quale si manifesta nel modo più chiaro l’azione della potenza dello Spirito Santo.


C’è ancora un’altra caratteristica dello spirito di santa Kinga, unita al suo desiderio di santità. Come principessa seppe occuparsi delle cose del Padre anche in questo mondo. A fianco del marito partecipò al governo, dimostrando fermezza e coraggio, generosità e sollecitudine per il bene del paese e dei sudditi. Durante le turbolenze all’interno dello stato, durante la lotta per il potere in un regno diviso in regioni, durante le devastanti invasioni dei Tartari, santa Kinga seppe far fronte alle necessità del momento. Con zelo si adoperò per l’unità dell’eredità dei Piast, e per rialzare il paese dalle rovine non esitò a donare quanto aveva ricevuto in dote dal proprio padre. Al suo nome sono legate le miniere di salgemma di Wieliczka e di Bochnia nei pressi di Kraków. Soprattutto però tenne in considerazione i bisogni dei suoi sudditi. Lo confermano le sue antiche biografie testimoniando che il popolo la chiamava: «consolatrice», «medico», «nutrice», «santa madre». Avendo rinunciato alla maternità naturale, divenne vera madre di tanti.


Curò anche lo sviluppo culturale della nazione. Alla sua persona e al locale convento è unita la nascita di veri monumenti della letteratura, come il primo libro scritto in lingua polacca: Zostarz Dawidów – Salterio di Davide. Tutto ciò si inscrive nella sua santità. E mentre oggi domandiamo: come apprendere ad essere santi e come attuare la santità, santa Kinga sembra rispondere: bisogna occuparsi delle cose del Signore in questo mondo. Testimonia che la realizzazione di tale compito consiste in un incessante adoperarsi per conservare l’armonia tra la fede professata e la vita. Il mondo di oggi ha bisogno della santità dei cristiani, che nelle ordinarie condizioni di vita familiare e professionale assumono i propri doveri quotidiani; e che avendo il desiderio di compiere la volontà del Creatore e servire ogni giorno gli uomini, rispondono al suo eterno amore. Ciò riguarda i vari settori della vita come la politica, l’attività economica, sociale e legislativa (cfr Christifideles laici, 42). Non manchi in questi campi lo spirito di servizio, l’onestà, la verità, la premura per il bene comune anche a prezzo di una magnanima abnegazione al proprio, sull’esempio della santa Principessa di queste terre! Che anche in questi settori non manchi la sete di santità, conseguita mediante il servizio svolto con competenza in spirito d’amore di Dio e del prossimo!


 6. «I Santi non passano». Mentre fissiamo lo sguardo sulla figura di Kinga, sorge un interrogativo essenziale: Che cosa fece di lei una figura che, in un certo senso, non passa? Che cosa le permise di sopravvivere nella memoria dei Polacchi e, in modo particolare, in quella della Chiesa? Quale è il nome di quella forza che resiste alla legge inesorabile del «tutto passa»?


Il nome di questa forza è l’amore. L’odierno Vangelo, concernente le dieci vergini sagge, parla proprio dell’amore. Kinga fu certamente una di loro. Come loro andò incontro allo Sposo divino. Come loro, vegliò con la lampada d’amore accesa, per non perdere il momento della venuta dello Sposo. Come loro, lo incontrò mentre egli stava venendo e fu invitata a partecipare al banchetto di nozze. L’amore del divino Sposo nella vita della principessa Kinga si espresse con tanti atti d’amore del prossimo. Fu proprio quell’amore a far sì che il passare, a cui è soggetto ogni uomo sulla terra, non ha cancellato la sua memoria. Dopo tanti secoli, oggi lo esprime la Chiesa in terra polacca. «I Santi vivono dei Santi e hanno sete di santità». Ripeto ancora una volta queste parole qui, in terra di Sàcz. Kinga la ricevette in dono in cambio della dote che destinò al soccorso del paese e questa terra non ha mai cessato di essere sua particolare proprietà. Essa ha sempre cura del popolo fedele che vive qui. Come non ringraziarla per la protezione sulle famiglie, specialmente sulle tante famiglie di qui con numerosa prole, che guardiamo con ammirazione e con rispetto? Come non ringraziarla perché essa impetra per questa comunità ecclesiale la grazia di così numero- se vocazioni sacerdotali e religiose?


Come non ringraziarla perché oggi ci ha radunati qui, unendo nella comune preghiera fratelli e sorelle dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, della Slovacchia, dell’Ucraina, ridestando la tradizione dell’unità spirituale, che lei stessa ha formato con tanta dedizione? Colmi di gratitudine lodiamo Dio per il dono della santità della Signora di questa terra e lo preghiamo affinché lo splendore di questa santità continui in tutti noi. Nel nuovo millennio, questa magnifica luce irradi su tutti i confini della terra, affinché vengano da lontano al santo nome di Dio (cfr Tb 13, 13) e vedano la sua gloria.


«I Santi non passano».


I Santi invocano la santità.


Santa Kinga,


Signora di questa terra,


impetraci la grazia della santità!