II patriarca dei Cistercensi nacque verso il 1024 nella Champagne (Francia), forse a Troyes o nei dintorni di questa città, da ricchi e nobili genitori. Per ottenere da Dio la remissione delle loro quotidiane fragilità, essi facevano ai poveri abbondanti elemosine. Poco tempo prima che il santo nascesse, la madre, Ermengarda, vide in sogno la SS. Vergine che le offriva un anello d’oro dicendo: “Io voglio per fidanzato il figlio che tu hai concepito; ecco l’anello del contratto”.
I genitori furono solleciti dell’educazione del figlio. A quindici anni lo affidarono alle cure dei Benedettini di Moutier-la-Celle, presso Troyes, dove fu il modello dei novizi e l’emulo dei più ferventi religiosi. Anima candida e affettuosa, d’una mirabile docilità agli impulsi della grazia, Roberto era più incline alla soavità della contemplazione che alla febbrile attività. L’assidua meditazione di Gesù crocifisso lo spingeva ad affliggere la sua carne con prolungati digiuni e ad intrattenersi con Dio giorno e notte. I monaci, pieni di stima per il loro confratello tanto pio e osservante della regola, lo nominarono, poco dopo la sua uscita dal noviziato, loro Priore. Dopo qualche anno i monaci di San Michele de Tonnerre, nella diocesi di Langres (Haute-Marne), lo scelsero per loro abate, tanto numerose erano state le prove che aveva dato di capacità nell’arte del governo.
In quel nuovo ambiente, il santo concepì il desiderio di riportare i monaci all’osservanza della regola, ma incontrò degli ostacoli nell’irrigidimento e nell’ostinazione di molti di essi. Vedendo con tristezza che i suoi sforzi restavano inutili, li abbandonò. Non lontano da Tonnerre, in un bosco della solitudine di Collan, vivevano sette eremiti, là convenuti da diverse parti per darsi alla penitenza. Non avendo un superiore, quando intesero parlare della santità di Roberto, lo scongiurarono a volersi mettere alla loro testa. Vedendo in essi le migliori disposizioni per seguire Gesù povero e sofferente, il santo si lasciò commuovere dalle loro insistenze e accettò l’invito, ma il Priore di San Michele vi si oppose. Considerando quella preferenza come un affronto alla propria comunità, egli spinse i monaci a trattenere Roberto presso di loro promettendogli più deferenza e ubbidienza. Essi però gli dimostrarono presto di non volersi correggere, e Roberto finì con il lasciarli, per rientrare nel suo primo monastero di Moutier-la-Celle. Colà, libero da impegni di governo, nella calma e nella solitudine del chiostro, gustò le delizie della contemplazione divina e ricevette delle grazie speciali per l’esecuzione dei disegni che Dio aveva sopra di lui.
Tuttavia, l’ubbidienza lo costrinse ben presto a prendere la direzione del Priorato di St-Ayoul, alle dipendenze di Moutier-le-Celle, ma gli eremiti di Collan, ammaestrati dal loro primo insuccesso, tentarono di nuovo di farsi assegnare Roberto come superiore. Questa volta si rivolsero direttamente al papa Alessandro II, gli fecero approvare la loro società e ottennero da lui un Breve che ordinava all’abate di Moutier-la-Celle d’inviare loro il Priore di St-Ayoul. Roberto accettò con gioia l’incarico perché si riprometteva di conseguire presso di loro i vantaggi e della vita solitaria e della disciplina cenobitica. Egli fu ricevuto come un inviato del cielo, ma siccome la solitudine di Collan era troppo malsana, egli condusse i tredici eremiti nella foresta di Molesme (Còte d’Or).
Presso un piccolo fiume, sul declivio di una collina, Roberto fece costruire delle piccole celle con tronchi d’albero e rami, oltre un oratorio in onore della SS. Trinità (1075). Governava allora la Chiesa di Dio S. Gregorio VII (+1085), impegnato nella lotta per le investiture e nella estirpazione della simonia e del concubinato tra il clero. Roberto, eletto abate, diede ai monaci da osservare la regola benedettina. Essi presero a servire Dio con una emulazione e un ardore incredibile: nella fame e nella sete, nei rigori dell’inverno e nella calura dell’estate, sostenuti dalla speranza che avrebbero raccolto un giorno con gioia i frutti di un seme gettato nelle lacrime della penitenza. Il loro genere di vita povera e mortificata destò l’ammirazione delle popolazioni vicine. Il vescovo di Troyes, di passaggio nelle vicinanze di Molesme, volle recarsi a visitare il monastero. Egli rimase sorpreso e nello stesso tempo edificato dello spirito di penitenza di quei religiosi nello spogliamento totale di quanto poteva essere loro di conforto, dopo le fatiche del giorno nei campi e nel coro, e fece donare ad essi gli oggetti più indispensabili alla vita. Diversi signori dei castelli vicini ne imitarono l’esempio.
Le elemosine e le donazioni se furono di grande merito per gli offerenti, divennero a poco a poco perniciose per coloro che ne percepivano i frutti. L’abbondanza, che successe alle privazioni, non tardò a distruggere in quei monaci l’amore alla povertà e alla mortificazione, i due principali sostegni di ogni vita religiosa. Il grande numero di coloro che si presentavano per servire Dio servì ad essi di pretesto per ingrandire la costruzione e dare al monastero un aspetto regolare. Alla prosperità fece dunque seguito il rilassamento. I religiosi, nonostante le raccomandazioni e le proteste dell’abate, non vollero più assoggettarsi al lavoro manuale perché la pietà dei fedeli li aveva ormai liberati dal bisogno. Vedendo che i tentativi di riportare quella comunità monastica all’osservanza integrale della regola riuscivano infruttuosi, Roberto l’abbandonò per ritirarsi a piangerne i disordini nella solitudine. Dio però gli fece conoscere, con diversi segni sensibili, che non doveva scoraggiarsi perché si sarebbe santificato nella misura con cui avrebbe lavorato per la salvezza delle anime.
Con il santo abate presero la fuga anche i migliori monaci, tra cui il Priore Alberto e Stefano Harding. di ricca famiglia inglese. La discordia s’impossessò della comunità e le elemosine dei fedeli cominciarono a scarseggiare. Vergognosi di avere contristato il loro fondatore e padre, i monaci di Molesme gli mandarono alcuni loro rappresentanti a pregarlo di ritornare, con la promessa di una più perfetta sottomissione ai suoi ordini. Scrissero pure al papa e ottennero un Breve che ingiungeva a Roberto di riprendere il governo dell’abbazia abbandonata. Al vescovo di Langres ne fu affidata la pronta esecuzione. Roberto, che nella sua vita non ricercava altro che la volontà di Dio per seguirla, senza chiedere scuse per il passato od esigere promesse per l’avvenire, ritornò a Molesme con quanti ne erano usciti od erano stati espulsi dopo la sua partenza. Per un anno i monaci sopportarono con pazienza i rimedi che il santo abate applicava ai loro mali, ma questa buona disposizione non durò. Il pentimento era causato in essi da preoccupazioni di ordine temporale: speravano infatti che con Roberto le persone caritatevoli avrebbero fatto affluire le loro elemosine. Ancora una volta il santo si ritirò in compagnia di Alberico, Stefano e altri due monaci che deprecavano la larghezza con cui la regola benedettina veniva interpretata e applicata. Nelle solitudine di Vinic concepirono e sperimentarono un piano di riforma dell’Ordine monastico in Occidente: si trattava cioè di ristabilire l’osservanza della regola di S. Benedetto in tutto il suo primitivo rigore. Ancora una volta il vescovo di Langres intervenne e minacciò di scomunica i fuggitivi.
Questa volta Roberto e i suoi compagni, vedendo che la riforma di Molesme continuava a rimanere infruttuosa, di comune accordo decisero di costruire un’abbazia in cui la regola benedettina sarebbe stata osservata senza dispense. Dopo avere molto riflettuto e pregato, essi vollero prevenire tutte le difficoltà assicurandosi l’autorizzazione della Santa Sede. All’inizio del 1098, Roberto andò a trovare Ugo, arcivescovo di Lione e legato di Urbano II in Francia, e ottenne lettere patenti che lo autorizzavano a dare principio alla sua opera, nel fervore e nella pace del Signore. A Molesme il santo manifestò i suoi disegni ai monaci e dopo averli sciolti dall’ubbidienza che gli avevano promesso, con ventun confratelli uscì dall’abbazia non portando con sé che un libro degli uffici divini per ricopiarlo, le vesti e i vasi sacri necessari alla celebrazione della Messa.
Il luogo da lui scelto per la fondazione dell’abbazia fu Cìteaux, nella diocesi di Chalon-sur-Saóne (Saòne-et-Loire). Il terreno paludoso, che faceva parte di una foresta, gli fu donato dal conte di Beaune. Roberto, eletto abate all’unanimità dei confratelli, ricevette il bastone pastorale dalle mani del vescovo della diocesi. Davanti a lui i monaci rinnovarono la loro professione solenne, s’impegnarono alla stabilità del luogo e all’osservanza della regola senza addolcimenti. La cerimonia ebbe luogo il 21-3-1098, domenica delle Palme.
I monaci rimasti a Molesme ancora un volta fecero di tutto per riavere tra loro il fondatore. Ricorsero quindi a Urbano II il quale affidò la trattazione dell’affare all’arcivescovo di Lione, suo legato (1099). Costui, ritenendo la fondazione di Cìteaux ben consolidata, ordinò a Roberto di ritornare ad assumere la direzione di Molesme. Il santo sacrificò generosamente i propri gusti alla volontà del papa, e ritornò all’antica abbazia dopo avere eletto come abate di Cìteaux Alberico, e come Priore Stefano Harding. Dio benedisse la sua sottomissione perché nell’animo dei monaci ribelli si operò una salutare rivoluzione. L’abbazia di Molesme accettò la rigorosa osservanza della regola di S. Benedetto, e prosperò sotto la guida di Roberto benché non l’abbia governata che per nove anni.
Alla sua morte, avvenuta il21-3-lllla Molesme, il B. Alberico (+1109) gli successe nella carica di abate e ottenne da Pasquale II la conferma dell’Ordine, al quale diede le prime costituzioni, ne fissò l’abito, il vitto, gli usi, ecc. Dopo di lui S. Stefano Harding (+1134) introdusse la più rigorosa osservanza a Cìteaux e nei monasteri affiliati, eliminando da essi le ingerenze dei secolari.
Durante il suo governo abbaziale (1108-1134) la riforma cistercense raggiunse il culmino. In tale periodo l’Ordine, fondato da Roberto, accolse uno dei suoi maggiori luminari: S. Bernardo di Chiaravalle, che iniziò la fondazione di altri monasteri in valli malsane, in foreste incolte, in luoghi melmosi. Nel 1184 esistevano già ottanta abbazie cistercensi nelle quali i monaci, vestiti di bianco, praticavano l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, la pesca, la tessitura, la metallurgia, la scultura, la pittura, le scienze sacre. Stefano scrisse l’Exordium parvum in cui sono descritti gli inizi dell’austera vita di Cìteaux, e la Charta Charitatis, in cui sono fissati i rapporti fra gli abbati dell’Ordine.
Per i miracoli avvenuti sulla tomba dell’abate Roberto, Onorio III concesse ai monaci di Molesme di venerare “come santo” il loro fondatore (1222).
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 360-364.
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