La confidente dell’Immacolata nacque a Lourdes il 7-1-1844, primogenita dei nove figli del mugnaio Francesco Soubirous. A dieci anni conobbe la miseria perché il babbo, per eccessiva bonomia e indolenza, trovandosi nell’impossibilità di pagare l’affitto del mulino Boly, dovette occuparsi come operaio, e stabilire la sua dimora in una stamberga di un suo parente che, tempi addietro, era servita da prigione. Bernarda, fin dai sei anni colpita da asma, dovette vegetarvi a lungo senza scuola e catechismo, senza luce e cibo sufficiente, A tredici anni non sapeva che il Pater, l’Ave e il Credo, che recitava forte la sera coi familiari dopo la magra cena. Quando la domenica andava a Messa faceva uso di un rosaio di corda, da due soldi, dono di sua madre, e si distraeva come le altre ragazze.
Verso la metà del 1857, la sua balia di Bartrès, la richiese come custode dei suoi figli, ma in pratica la occupò da mane a sera a pascolare il gregge. In mancanza del curato, nelle lunghe sere invernali s’ingegnò di insegnarle il catechismo, ma Bernadetta, che non sapeva leggere ed era stanca per le fatiche del giorno, non apprendeva nulla. L’improvvisa maestra, talvolta buttava via il libro indispettita e gridava: “Vattene, tu non sarai mai altro che una sciocca e una ignorante”. Pur di frequentare la scuola e il catechismo, la Soubirous, alla fine di gennaio 1858, preferì ritornare a soffrire nel malsano bugigattolo dell’antica prigione. La miseria della sua famiglia dovette raggiungere punte estreme, se il padre fu imprigionato per un settimana perché sospettato del furto di due sacchi di farina.
Umanamente parlando Bernadetta, povera, ignorante, malaticcia era la più infelice fanciulla di Lourdes. Eppure il cielo aveva stabilito su di lei la sua scelta. Si era appena iscritta tra le future comunicande che frequentavano l’ospizio delle Suore della Carità e dell’Istruzione Cristiana di Nevers, quando la SS. Vergine la scelse come strumento delle sue rivelazioni. Per diciotto volte le apparve nella stessa maniera, nella grotta di Massabielle, dove si era recata con le amiche a fare legna e a raccogliere ossi. (Cf. 11 febbraio). L’ultima volta che la vide (16 luglio) le era sembrata più bella del solito, forse perché il 3 giugno era stata ammessa alla prima Comunione, nonostante gli scarsi progressi fatti nell’apprendere i primi rudimenti della fede. Finché rimarrà nel mondo, suo compito sarà quello di rendere testimonianza a tutti di quanto ha visto e udito, specialmente alla commissione incaricata dal vescovo (28-7-1858) di costatare l’autenticità e la natura dei fatti avvenuti alla Grotta di Massabielle.
La gente che accorreva Lourdes sapeva che la veggente era molto povera. Per farla parlare, o carpirle magari i segreti che la Madonna le aveva confidato, c’era chi le faceva scorrere monete d’oro nelle mani o nella tasca del grembiule. Bernadetta le restituiva immediatamente. Lo stesso distacco dai beni terreni lo comunicò a tutta la sua famiglia, sempre travagliata dalla povertà, nonostante che, con l’aiuto del parroco, Mons. Peyramale, fosse venuta in possesso di un mulino. Cadeva così nel ridicolo il tentativo fatto dal commissario di polizia, Jacomet, di dimostrare che le apparizioni di Lourdes erano soltanto “una ciurmeria interessata” dei Soubirous.
Nell’ottobre del 1858 Bernadetta potè frequentare le scuole dell’ospizio, e nel 1860 esservi ricevuta come pensionante. Era intelligente, arguta nelle risposte, ma di corta memoria. Non riuscì mai a scrivere correttamente il francese perché tormentata dalle malattie e importunata dai visitatori. Nota dominante di tutta la sua vita fu l’attaccamento alla proprie idee. Più tardi confesserà: “Sono sempre stata testarda; anche la SS. Vergine mi ha punita di ciò facendomi domandare tre volte di seguito come si chiamava”. Viva ed allegra non rifuggì dalle birichinate proprie dell’età. Obbligata dal medico a fare uso del tabacco da fiuto per fronteggiare meglio l’asma, fece più volte starnutire tutta la classe dandone una presa alle sue compagne. Un giorno fu tanto lo sdegno che ne provò la sua maestra, che non seppe trattenersi dal sottoministrarle un ceffone. Raggiungerà, sì, la perfezione, ma soltanto dopo molte lotte e tanto patire.
La profondità della sua vita inferiore era rivelata dalla comunione, dal rosario e dal segno di croce che la Madonna le aveva insegnato a fare con un gesto largo e solenne. Chi la determinò a chiedere di essere ammessa tra le Suore della Carità e dell’Istruzione di Nevers fu il vescovo di quella diocesi, Mons. Agostino Forcade. Le superiore, però, non desideravano accoglierla perché prevedevano che sarebbe stata “una colonna d’infermeria” ed erano persuase che non fosse capace di grandi cose. Ricevette infatti la santa unzione la prima volta nel 1862 dopo una ricaduta nella polmonite. Mentre si temeva di perderla, Bernadetta chiese da bere un po’ d’acqua della sorgente che era sgorgata in modo miracoloso ai piedi della Madonna. Appena ne ingerì un sorso sentì come una montagna staccarsi dal suo petto. Era guarita. Il 19-5-1866 fu inaugurata la cripta sulla quale sarebbe sorta, nel 1872, la cappella richiesta dall’Immacolata, e alla Grotta di Massabielle ebbe inizio il culto tra il tripudio di migliaia di pellegrini. In quella circostanza anche la veggente comparve in processione col velo bianco delle Figlie di Maria. La sera la folla prese d’assalto l’ospizio nella speranza d’intravedere la confidente della Vergine SS. Per soddisfare la curiosità dei pellegrini fu giocoforza farla passeggiare su e giù sotto il portico, protetta da una scorta di soldati. La poverina, infastidita di tante ovazioni, ogni tanto sospirava confusa: “Mi fate vedere come una bestia strana”.
La missione di Bernadetta nel mondo era ormai terminata. Il 7-7-1866 potè entrare a Nevers tra le Suore della Carità e dell’Istruzione, dopo che era stata accettata gratuitamente dalla maestra delle novizie, Madre Teresa Vauzou (+1907). Per desiderio della Superiora Generale, Madre Giuseppina Imbert (+1878), davanti a tutta la comunità, la veggente fece il racconto delle apparizioni dell’Immacolata, e ne ripetè con semplicità i gesti e le parole. Il vescovo le proibì di parlare in seguito dei fatti prodigiosi di Lourdes alle consorelle. La santa non venne mai meno a quell’ingiunzione. Quando apprese che taluni l’accusavano di aver violato i segreti, protestò: “No, io non ne ho parlato mai a nessuno. La SS. Vergine mi ha affidato tre segreti, e io li ho fedelmente custoditi. Ella mi ha anche insegnato una preghiera che dico tutti i giorni e nessuno la conosce”. Alla gente non fu permesso di avvicinare Suor Maria Bernarda la quale, nel giorno della sua vestizione, aveva promesso: “Sono venuta qui per nascondermi; voglio essere stimata un nulla; voglio farmi dimenticare”. Andrà al parlatorio con estrema ripugnanza e con grande sollecitudine solamente per compiere la volontà dei superiori.
II grande mezzo di cui Dio si servì per condurla alla santità fu la sofferenza corporale e spirituale. A poco a poco il suo corpo, già oppresso dall’asma e dalla tosse, divenne il ricettacolo di reumatismi, tisi, palpitazioni di cuore, carie alle ossa, ascessi e, infine, di un enorme tumore al ginocchio destro anchilosato, che la costrinsero a letto la maggior parte degli ultimi tredici anni di vita. Quando aveva le sue crisi d’asma faceva pietà. Appena cessavano, esclamava: “Grazie, buon Dio!”. Talvolta sembrava morta, ma appena riprendeva i sensi, mormorava: “Mio Dio, te l’offro; mio Dio, ti amo!”. Era di edificazione a quante religiose ravvicinavano perché capivano che non si poteva soffrire né maggiormente, né meglio di lei. Sovente, a causa della tosse e degli sbocchi di sangue, fu costretta a passare la nottata sulla sponda del letto coi piedi appoggiati sopra una sedia. Fissando ogni tanto lo sguardo sul crocifisso mormorava; “Gesù mio!”. Suor Vincenza Garros, sua compagna di birichinate all’ospizio di Lourdes, un giorno le chiese: “Soffri molto, vero?”. “Che vuoi? – le ripose la veggente – la SS. Vergine non mi ha promesso di farmi felice in questo mondo, ma nell’altro”.
Durante il noviziato peggiorò talmente che il cappellano le amministrò la santa unzione, e il vescovo ne ricevette la professione religiosa in articulo mortis. La sua convalescenza durò quattro mesi, ma quando potè riprendere la vita comune, Iddio permise che non fosse compresa dalle superiore. Madre Teresa, autoritaria e sovente di un’estrema sensibilità, si lasciò dominare da una forte antipatia per Suor M. Bernarda perché, ricusando di saltarle al collo come facevano le altre, considerò come indifferenza verso di lei quello che in fondo era soltanto virtù e distacco dalle creature. Perciò considerò “suo dovere premunirla contro le tentazioni di orgoglio e di vanagloria”, e si credette ingiustamente autorizzata a “fare uso di una severità tutta particolare” nei suoi riguardi. Ella non cercò mai di scoprire i tesori di vita soprannaturale nascosti nell’anima della sua diretta. “Adesso che siete con noi – le disse sprezzante un giorno – possiamo colpirvi”. “O madre mia – le rispose timida la figlia del mugnaio – spero lo farete con dolcezza “. La novizia accettò il trattamento duro che le era stato riservato ma, verso colei che non era capace di dirle una parola senza asprezza, il suo cuore rimase chiuso per sempre. Davanti alle sue umiliazioni, una compagna diceva dentro di sé: “Che fortuna non essere Bernadetta!”. A chi le manifestava la propria sorpresa per i cattivi trattamenti, rispondeva: “Madre Maestra ha ragione. Io sono tanto orgogliosa”. Oppure: “Io le devo molta riconoscenza per il bene che ha fatto all’anima mia”. Sovente Madre Teresa le diceva: “Siete una buona a nulla”. Suor M. Bernarda ne rimaneva profondamente addolorata, ma diceva a chi cercava di consolarla: “Non bisogna fermarsi alle creature; bisogna andare direttamente a Dio; Egli solo conosce le mie intenzioni”. Durante il giorno fu vista sovente triste, piangere qualche volta, lamentarsi mai. Fu udita invece ripetere frequentemente con devozione: “Dio solo! Dio solo!”
Al termine del noviziato (30-10-1867) Mons. Forcade consegnò alle neoprofesse le lettere d’ubbidienza. Quando giunse il turno di Suor M. Bernarda, Madre Imbert disse: “Siamo imbarazzate, Monsignore, non è buona a niente”. Il vescovo le raccomandò di pregare. “Se vorrete – rincalzò la Madre generale – proveremo ad utilizzarla come aiutante della suora infermiera. E tutto quello che può fare”. La santa sentì vivamente quella pubblica umiliazione, ciò nonostante nella ricreazione che seguì si mostrò allegra come al solito. Adempì l’ufficio che le era stato assegnato con ordine e amore e quando morì l’infermiera della comunità (1872), la sostituì per un anno, con grande soddisfazione del dottore. Costui vide qualche pericolo a lasciarla vegetare nell’ambiente chiuso dell’infermeria e allora, la santa, che sapeva ubbidire ciecamente, divenne seconda sacrestana. Si conservano ancora scapolari, camici, immagini sacre o dipinte da Suor M. Bernarda. Con la sua abilità nei lavori femminili mostrò di quanta utilità avrebbe potuto essere alla Congregazione se Iddio non l’avesse costituita vittima dei peccatori. Difatti, dall’ottobre del 1875 fino alla morte, Suor M. Bernarda non avrà più altro incarico che quello di essere malata. Invece di lamentarsene, a chi l’assiste dirà: “La Vergine benedetta si è servita di me; poi mi ha messa in un canto come una scopa. E il mio posto e sono contenta di rimanervi”.
Molto ardente di temperamento, la santa si tormentava di non poter agire. Spiacente che l’Istituto dovesse sostenere per lei delle spese per l’acquisto delle medicine e del tabacco, spinse il suo spirito di povertà fino a non ricercare gli oggetti di suo uso, a servire le altre inferme, a cucire, a lavorare all’uncino appena poteva alzarsi. Dalla maggior parte delle consorelle era considerata “la regola vivente”. Ella fu particolarmente fedele agli esercizi di pietà, alla recita del rosario, al quotidiano esercizio della Via Crucis in suffragio delle anime del Purgatorio, all’uso frequentissimo delle giaculatorie, alla continua offerta dei suoi patimenti per i peccatori. Negli ultimi sei mesi di vita la tumefazione del ginocchio non le permise più di muoversi. Quando non poteva prendere sonno, contemplava la Passione di Gesù, o in spirito assisteva alle Messe che in quel momento si celebravano nel mondo. Dopo una delle sue solite crisi, alle compagne d’infermeria ella disse: “Non badate alle mie contorsioni; io sono felice di soffrire”.
Ridotta ad una magrezza spaventosa, Suor M. Bernarda si preparò alla morte con un fervore e una rassegnazione gioiosa. Pochi giorni prima della fine, il demonio tentò di gettarsi su di lei, ma fu messo in fuga con l’invocazione del nome di Gesù. Madre Eleonora Cassagnes le disse un giorno: “Sorella mia, voi siete in questo momento sulla croce”. “Gesù mio! – mormorò la santa allargando le braccia – Oh quanto io l’amo!”. Non potendo più stringere tra le mani il crocifisso, volle che glielo appuntassero al petto. Verso le undici del 16-4-1879, per attenuarle la soffocazione che l’opprimeva, fu adagiata sopra un seggiolone. Era in preda ad una sofferenza così grande che le infermiere ritennero opportuno aspergerla continuamente con l’acqua benedetta, mentre le suggerivano pie invocazioni, Morì nel primo pomeriggio dopo aver baciato lentamente ad una ad una le piaghe del crocifisso, e ripetuto per due volte con profonda umiltà: “Santa Maria, Madre di Dio, pregate per me povera peccatrice, povera peccatrice!”.
Pio XI beatificò Maria Bernarda il 14-6-1925 e la canonizzò i8-12-1933. Il suo corpo, mummificato, ma integro, è venerato nella cappella dell’Istituto. Sulla base del sarcofago che custodisce le sue spoglie, le strisce blu-turchese simboleggiano la fonte miracolosa di Lourdes e recano, in lettere dorate, le parole dell’Immacolata alla sua messaggera: “Io non ti prometto che sarai felice in questo mondo, ma nell’altro”.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 210-216.
http://www.edizionisegno.it/