Santa Genoveffa (Geneviève) sembra inaugurare la serie delle sante francesi, come inaugura il calendario dei santi, poiché è festeggiata il 3 gennaio, data tradizionale della sua morte; la venerazione più che millenaria di cui la circondano i parigini ha origine nell’episodio della sua vita che, nel 451, la mostra mentre rassicura i suoi compatrioti terrorizzati dall’approssimarsi degli unni; persuade a non lasciare la città la popolazione che sta per correre verso la catastrofe, riesce a bloccare l’esodo; e in effetti il terribile Attila, che aveva distrutto Metz e minacciato Troyes e Orléans dove l’energia dei vescovi san Lupo e san Tranquillo lo aveva convinto a tornare indietro, si ritirava senza avere attaccato Parigi Ogni volta che la città si è sentita minacciata, i suoi abitanti si sono raccolti presso la cassa che contiene le reliquie di santa Genoveffa: così nell’886, quando Parigi viene assediata dai normanni, e anche nel nostro secolo, nel mese di settembre del 1914.
Con quanta forza Genoveffa è legata alle radici francesi! La “Montagna” che porta il suo nome ha visto elevarsi una basilica sopra la sua tomba, nel VI secolo: Clodoveo, morto nel 511, desidera essere sepolto vicino a lei. e verso il 630 lo stesso sant’Eligio fabbrica la cassa dove riposa, un sarcofago di gesso; i pellegrini avevano la spiacevole abitudine di grattarne via i pozzetti, tanto che non ne rimaneva quasi nulla quando i resti della santa furono trasferiti a Saint-Étienne-du-Mont, nel 1807, e rinchiusi in una nuova cassa.
Lavori recenti e molto notevoli oggi permettono di conoscere meglio questa santa Genoveffa così mirabilmente avvicinata a Giovanna d’Arco nel poema di Péguy. Non è una monaca di clausura, ma una vergine consacrata, quali ce ne furono fin dai primissimi tempi del cristianesimo; la sua Vita è stata scritta diciotto anni dopo la sua morte, che forse avvenne intorno all’anno 500; aveva allora più di ottant’anni, e la venerazione da cui era circondata si estendeva molto lontano, fino in Oriente; poiché è un fatto storicamente riconosciuto che il famoso Simeone lo Stilita avesse incaricato mercanti siriani di portare il suo saluto a santa Genoveffa.
Nacque forse a Nanterre, come vuole la tradizione; ma qui si constata una specie di rovesciamento degli usi dell’agiografia, almeno quali si sono voluti definire; in genere si attribuiscono ai santi e alle sante nobili natali, come abbiamo notato; ci si prende cura di dimostrare che i loro genitori erano alti personaggi, al fine di aumentarne il prestigio. Ora nel caso di Genoveffa accade l’opposto: si è detto che era una ” pastora “, mentre al contrario suo padre Severo e la madre Geronzia avevano vasti possedimenti a est di Parigi, nella regione di Meaux, Marizy-sur-Ourcq, e persino Troyes. Dopo la loro morte Genoveffa si incaricò di amministrarli, ed è probabilmente grazie alle risorse che ne traeva che, durante una carestia, potè nutrire la popolazione di Parigi.
E il suo biografo anonimo ha ricordato alcuni fatti, di cui uno è datato esattamente all’anno 429: il vescovo di Auxerre Germano, accompagnato da colui che sarebbe diventato san Lupo di Troyes, sostò allora a Nanterre; tra coloro che si accalcavano per vederli passare c’erano Severo, Geronzia e la loro figlia Genoveffa. Germano la notò e la benedisse; Genoveffa fece voto di verginità, e quando, più tardi, Germano d’Auxerre ripassò per Parigi, potè constatare che la sua benedizione aveva fruttificato.
Si attribuiscono a Genoveffa parecchi miracoli; una volta (come già san Martino) fece resuscitare un bambino nella sua cella; fu chiamato Cellomaris. È anche certo che fece costruire una basilica sulla tomba di san Dionigi che aveva subito il martirio a qualche distanza da Parigi, nel ” vicus Catulliacus “, che oggi è chiamato Saint-Denis.
Genoveffa è contemporanea, o quasi, di Brigida di Cill-dara ( Brigit of Kildare), morta verso il 525; a lei è dovuta la prima creazione di un monastero duplice, che è pienamente nello spirito della cristianità celtica, e la cui disposizione è stata descritta nel VII secolo, nel momento in cui si ricostruiva già il primissimo monastero; infatti comprendeva tre chiese, o piuttosto tre oratori, dove la navata separava i monaci, dal lato destro, e le religiose, a sinistra. All’inizio del VI secolo, verso il 513, è anche stata redatta la prima regola concepita esplicitamente e appositamente per un monastero femminile, da san Cesarie di Arles; e questa regola è probabilmente quella che sarà ripresa da Radegonda per il monastero di Sainte-Groix di Poitiers; verso il 570.
Ma la cristianità del VII secolo è caratterizzata, in Francia, in Inghilterra, in Spagna, da questi monasteri duplici sorti in Irlanda e segnati da una profonda originalità, in cui la vita monastica femminile si può ampiamente sviluppare, dal momento che le donne vi sono assecondate, servite e all’occorrenza difese grazie al monastero maschile situato accanto; solo in Spagna si nota che le religiose sono subordinate ai monaci; altrove vige il rapporto inverso, e la badessa regge l’insieme della doppia comunità. Come sappiamo, questo fenomeno ricomparirà a Fontevraud, agli inizi del XII secolo, una volta tornata la pace dopo i disordini che hanno segnato la vita interna della Chiesa nel X secolo, e le distruzioni operate ancora nel secolo precedente dalle invasioni normanne e saracene.
E questi monasteri duplici si formano essenzialmente sulla scia di san Colombano. Come nel caso di santa Genoveffa, un primo incontro decide tutta una vocazione: quella di santa Burgonfara (Fara).
Si è visto come Colombano, scacciato da Luxeuil dall’odio nutrito contro di lui da Brunechilde e dai suoi nipoti, fosse stato ricevuto, di passaggio, da un nobile burgundo di nome Agnerico. Si conosce bene la sua famiglia: il padre aveva fatto parte della scorta reale incaricata di accompagnare la giovane sposa di Clodoveo, la futura santa Clotilde. Era dunque un leudo, un signore che aveva possedimenti importanti in un luogo chiamato Pipimissiacum, vicino a Meaux; Agnerico è cristiano, e, se riceve a casa sua Colombano e i suoi compagni, è perché tra questi si trova il proprio figlio, Cagnoaldo; con lui vive ancora una figlia giovanissima, Burgonfara, che ha forse dieci anni; si suppone che sia nata l’anno 600, e il passaggio di Colombano ha luogo nel 610. Quest’ultimo benedice la casa, e anche la bambina, in maniera particolare; e Burgonfara da questo momento si vota a Dio. Non sarà senza difficoltà e lotte: suo padre si oppone alla vocazione; Burgonfara si ammala al punto da perdere la vista; sarà guarita dall’intervento di un discepolo di Colombano, Eustasio, che gli è succeduto a Luxeuil; ma l’ostinatissimo Agnerico rifiuta ugualmente a Burgonfara l’autorizzazione a consacrarsi a Dio; Burgonfara fugge, e occorre un nuovo intervento di Eustasio perché infine l’ostinazione paterna ceda. Finalmente Agnerico dona alla figlia uno dei suoi possedimenti, Eboriaco, situato tra due fiumi (oggi il Grand Morin e l’Aubetin); essa riceve il velo delle vergini dalle mani di un vescovo di Meaux, Gondoaldo, e ben presto a Eboriaco si erge il monastero che più tardi sarà chiamato Faremoutiers. Tutti questi dettagli sono legati alla linea di Colombano al punto che si incontrano nella vita stessa del santo, scritta poco dopo la sua morte dal suo discepolo Giona.
E un monastero duplice quello costruito, probabilmente verso il 620, nella regione della Brie; lo stesso Giona è stato monaco a Eboriaco; chiama la badessa ” mater monasterii “; a lei compete la direzione non solo delle monache ma anche della comunità dei frati che le assistono sia dal punto di vista materiale che da quello spirituale, per la messa e i sacramenti in genere. Il fratello di Burgonfara, Cagnoaldo, è il primo priore della fondazione; ben presto diventerà vescovo di Laon.
Le religiose seguono la Regola di san Colombano, con adattamenti: a questo proposito si è fatto notare come la forza delle tradizioni e del costume locale facesse sì che in Gallia ogni monastero seguisse usi diversi. Comunque la preghiera riunisce sempre tutte le monache tre volte al giorno, e anche tre volte ogni notte, per i vespri (dunque alla sera), per le veglie di mezzanotte, e per le laudi o i mattutini al canto del gallo; il resto del tempo – a parte le ore destinate al riposo – è diviso tra la ” lectio divina “, studio e meditazione della Sacra Scrittura, e il lavoro manuale, poiché (e la Regola di san Cesarlo d’Arles ci dice la stessa cosa) nei conventi non ci sono converse, e tutte le religiose si occupano, a turno, della cucina e dei lavori domestici in genere che sono necessari al monastero. Le religiose consumano un pasto al giorno, la carne è loro vietata, ma la regola consente le uova, il pollame, il pesce; tutte digiunano due volte alla settimana, il mercoledì e il venerdì. Infine – ed è una caratteristica delle comunità femminili – istruiscono nel monastero un certo numero di bambini che talvolta sono allevati nella stessa comunità e talvolta vengono dall’esterno.
Faremoutiers sarà, a partire dal VII secolo, il centro di una grande irradiazione.
Sono tanti i ricordi lasciati dal monastero in questi primi tempi; tra l’altro rimane il testamento autentico di santa Burgonfara, con cui distribuisce i beni che possiede nella vita secolare – e in particolare nomina due fariniers, due mulini, uno sulla Marna, l’altro sull’Aube, di cui fa dono al monastero; ricordiamo anche i passi della Vita di san Colombano scritta da Giona di Bobbio, nei quali si parla di Faremoutiers; ci sono parecchi aspetti poetici, per esempio i canti celesti uditi dalle religiose nel momento della morte di una di loro, Sisetrude, o la viva luce percepita nella stessa circostanza (al momento della sua morte) da un’altra monaca, Ercantrude; e Giona non nasconde le sventure che colpiscono religiose che hanno voluto fuggire, lasciare il convento, o altre due che si sottraevano alla confessione sincera voluta dalla Regola di san Colombano, tre volte al giorno.
Ma la storia del monastero è ancora arricchita dalla presenza nei dintorni di un altro irlandese il cui destino sarà sorprendente, in Francia, e che si chiama san Fiacrio (Fiacre). Quest’ultimo è attirato nella regione dalla fama di santità di cui gode il vescovo di Meaux, san Farone, un altro fratello di santa Burgonfara. ” Numerose persone della nazione degli scoti, attratte dalla pietà di san Farone, si affrettavano verso questa regione di Meaux, ed è così che, grazie alla generosa ospitalità di quel paese e del suo padre spirituale, quella pratica monastica che aveva la sua fonte negli scoti, e il suo esito nella santità, venne a essere inaugurata e insegnata nella nazione dei franchi “: così si esprime la Vita di san Farone, composta da Ildegario nel IX secolo. È dunque Farone ad accogliere san Fiacrio giunto dall’Irlanda; quest’ultimo desidera condurre la vita di un eremita, e Farone gli indica un bosco dove si potrà stabilire; ma Fiacrio vuole anche un orto; allora Farone gli concede tutto quanto potrà circondare con un fosso scavato in un giorno; ora Fiacrio si accontenta di spostare per terra un bastone, e il fossato si scava da solo; una donna che lo vede lo accusa di stregoneria e lo insulta, ma Fiacrio, tranquillo, si siede aspettando che abbia finito, e la pietra su cui è seduto si scava ” al fine di procurargli un sedile migliore”; il vescovo, sopraggiunto, constata i due miracoli, approva Fiacrio e gli concede tutta la terra sulla quale fonda il monastero di Breuil; quanto alla pietra, in seguito i pellegrini si verranno a sedere su di essa per guarire ulcere, cancri, eccetera; è tuttora conservata nella chiesa dedicata ai santi Giovanni Battista e Fiacrio, nella diocesi di Meaux.
Il santo godrà di una popolarità straordinaria; è il patrono degli ortolani, e in genere è raffigurato con una vanga. È per questo che è così popolare in Francia, dove è vivo il gusto per il poderetto in cui coltivare ravanelli e piselli? In ogni caso san Fiacrio conta, in questo paese, non meno di cinquecentoventidue statue, di cui centoventinove sono anteriori al XVII secolo! Per due volte godrà di una pubblicità inattesa: dapprima quando un giovane prete chiamato Oddone, entrato come novizio nell’abbazia di Santa Geneviève, a Parigi, sarà miracolosamente guarito dalla sciatica dopo avere invocato san Fiacrio, poi – e soprattutto – quando un noleggiatore di diligenze, Nicolas Sauvage, nel 1650 aprirà la sua agenzia nella rue Saint-Martin, di fronte all’ “Hotel saint Fiacre”.
Da allora è stato dato alle vetture a nolo il nome del santo irlandese, fiacre.
Alla persona di san Farone è anche legata la vita di san Chiliano (Kilian), che è ospitato dal vescovo di Meaux circa nella stessa epoca di Fiacrio; andrà a evangelizzare l’Artois dopo essersi fermato da Fiacrio.
Il testamento di santa Burgonfara dedica la chiesa sia a santa Maria che a san Pietro; ma in seguito il monastero di Faremoutiers conserva solo il nome di Maria Vergine, Notre Dame. Ci sorprende constatare che colei che succede alla ” nobilissima badessa Burgonfara ” sia un’inglese, Setrida, figlia di Eresvida, regina dell’Anglia Orientale; ma a questo proposito si devono constatare gli stretti legami che sussistono fra i conventi della regione della Brie e dintorni, e quelli dell’Inghilterra. Lo storico Beda ce lo spiega osservando come nel suo paese i monasteri allora fossero pochi, e i nobili avessero l’abitudine di mandare a educare le loro figlie nei conventi della Gallia; e si moltipllcheranno gli scambi e le visite reciproche fra l’Inghilterra e il continente, specialmente fra tre abbazie tradizionalmente associate: ” Faremoutiers la santa, Jouarre la ricca e Chelles la nobile “.
Chelles resterà un convento di monache di clausura; è fondato da Clotilde in una villa reale che le appartiene; la sua prima badessa è Bertilia, che è stata educata a Jouarre, e riceve lustro dall’ingresso della regina Batilde, di cui si parla altrove; e anche e non meno dall’anno che vi trascorre la principessa Ilda, nel 647; Ilda è la sorella di Eresvida, che è entrata a Chelles come monaca, dopo essere rimasta vedova; ritornerà in Inghilterra e diventerà badessa di Hartiepool, e poi di Whitby; e anche Whitby è un monastero duplice. Si può considerare come in questo monastero, distrutto all’epoca della Riforma, ma le cui rovine restano così impressionanti, sulla costa selvaggia dello Yorkshire, fosse stata realizzata, con gli auspici della badessa Ilda, l’unione, l’osmosi di tre mondi: sassone, celtico e romano; questo a causa del sinodo del 664, che vede i celti aderire alla liturgia di Roma (nonostante le proteste vivaci di Colombano, a suo tempo!). Una donna aveva dunque il privilegio di unificare completamente quella Chiesa così originale e così fiera delle sue peculiarità; ricordiamo anche la durevole influenza esercitata da Ilda sul canto e sulla poesia liturgici, destinati, in Inghilterra, a svilupparsi così ampiamente. È nota la storia del palafreniere del convento di Whitby, Caedmon, il quale, in seguito a un sogno, fu da Ilda incoraggiato a coltivare il canto e la poesia per cui era dotato (e quindi anche la musica), e a farne beneficiare il suo convento.
Infine esistono vestigia importanti di Jouarre, oggi benissimo studiate a valorizzate, come la celebre cripta dove si trovano le tombe di Agilberto e della badessa Teodechilde (Telchilde), famosi testimoni di quell’epoca e dell’arte dei suoi scultori. Ora anche il monastero di Jouarre si colloca sulla linea di Colombano, sempre nel contesto della vita errante che deve condurre dopo essere stato scacciato da Luxeuil. È ricevuto nella famiglia di Autario e Aiga a Vulcacium ( Ussy-sur-Marne), incontra i loro figli Dado, più noto col nome di sant’Audoeno (Aldoeno, Ouen), che finirà vescovo di Rouen dopo avere fondato il monastero di Rebais, e Adone, che, verso il 635, fonda il primo monastero di Jouarre. Vi si riuniscono monaci, e ben presto anche religiose; e, come dice la marchesa de Maillé che ha scritto la storia del monastero, “sono le donne a prevalere sugli uomini “. Jouarre sarà un monastero duplice come tanti altri, posto sotto la direzione e l’autorità della badessa; ciò accade quando la prima di queste badesse, Teodechilde, domiciliata nelle dipendenze del monastero, si vede offrire dal fratello Agilberto l’edificio principale con il chiostro, mentre egli stesso si ritira con i suoi monaci nelle dipendenze. La Regola di san Colombano governerà la duplice comunità, specialmente dopo il soggiorno in Irlanda effettuato da Agilberto (che più tardi diventerà vescovo di Parigi). Aggiungiamo che le due cripte di Jouarre, San Paolo e Sant’Ebregesilo, una delle rare vestigia dell’architettura merovingia sul suolo francese, col muro costruito in una forma reticolata (le pietre tagliate disposte a losanga, come se ne vedono spesso, per esempio a Roma), meritano una visita non solo a causa delle tombe prima menzionate, ma anche per la statua giacente di sant’Osanna, la quale, sebbene nettamente posteriore, con l’ammirevole purezza del tipo femminile che rappresenta, sembra tuttavia impersonare, da sola, tutte le badesse e le regine che hanno fondato e animato i monasteri più antichi.
Così si sono formati quei monasteri duplici che illustrano in un modo tanto suggestivo la vita della cristianità del VII secolo, e anche oltre. Se ne è potuto ricostruire l’aspetto, con le loro recinzioni generalmente di legno e spesso vastissime – per esempio a Laon, dove si estendevano oltre il bastione. Talvolta avevano anche una forma circolare, come a Solignac, dove è stato accertato. I dormitori e le celle – queste ultime riservate ai malati o alle suore anziane – comunicavano comunque con la chiesa tramite una scala, in maniera da facilitare la partecipazione alle funzioni; ricordiamo gli orti dove i monaci si dedicano ai lavori agricoli; e soprattutto la chiesa, dove gli stessi monaci celebrano la liturgia e tutti cantano l’ufficio. Talvolta – come a Remiremont che ha preso il nome dal monaco Romarico (in origine si chiamava Habendum) -, i cori delle religiose si succedono in maniera che giorno e notte vengono cantate le lodi del Signore: è la ” laus perennis”. C’erano così sette cori di dodici monache, secondo un costume che era stato istituito ad Agaune e che caratterizza questo monastero, come più tardi quello di Saint-Marcel-les-Chalon.
Infine, e soprattutto, ognuno ha conservato il ricordo delle sante badesse che vi vissero: a Laon santa Salaberga, e Nivelles (Belgio) santa Gertrude, a Pavilly, non lontano da Jumièges, santa Austreberta.
Ma forse uno dei più conosciuti e tuttora più visitati di questi monasteri duplici è la cattedrale di Ely, dove rimane qualcosa di colei che l’animò, santa Eteldreda (Audrey in inglese moderno).
Era la seconda figlia della già ricordata Eresvida e del marito Anna, re dell’Anglia Orientale. Nata verso il 630, di grande bellezza e grande pietà, Eteldreda (come era chiamata al suo tempo) fu chiesta in sposa da un nobile giovane, Tomberto, i cui possedimenti comprendevano una vasta zona quasi completamente occupata da paludi; in mezzo si trova l’isola di Ely, su cui si erge – come su un verde prato – la cattedrale; durante i secoli le folle vi sono affluite, ma nel VII secolo il luogo dove si erge la Norman Lady (è il soprannome della cattedrale: la Dama normanna, contrapposta a Durham che è il Signore normanno, Norman Lord) non era che una solitudine desolata e quasi inaccessibile. Dunque Eteldreda sposa Tomberto nel 652; si dice che abbia ottenuto dal suo sposo la promessa che il loro matrimonio sarebbe restato bianco, poiché Eteldreda desidera rimanere vergine e votarsi al Signore. L’unione dura solo tre anni; Tomberto muore, ma poco dopo Eteldreda è nuovamente chiesta in moglie e viene infine convinta ad accettare come sposo il giovane Egfrido, figlio del re di Northumbria Oswy: ella ha ventotto anni, lui solo quindici o sedici; ottiene nuovamente di vivere in castità. Finalmente i due sposi si separano ed Eteldreda entra nel monastero di Coldingham, la cui badessa – Elba – è d’altronde la zia di Egfrido. Tuttavia, diventato re nel 670, Egfrido rimpiange di avere lasciato la sua sposa; sappiamo che parte per Coldingham con l’intenzione di prenderla con sé, all’occorrenza con la forza, tanto che la badessa Elba facilita la partenza di Eteldreda, che, con altre due religiose, si reca verso l’isola di Ely, ancora deserta. Egfrido la insegue, ma un’inondazione improvvisa lo distanzia dalle tre religiose; Egfrido vi vede un segno del cielo, e rinuncia a colei che decisamente ha scelto le nozze mistiche con Cristo.
Con l’aiuto di Vilfredo, arcivescovo di York, e di suo fratello Aldvulfo, re dell’Anglia Orientale, nel 673 Eteldreda comincia la costruzione del primo monastero, situato leggermente a nord nella vasta cattedrale che si erge oggi. Di questo edificio originario restano una cripta e anche una specie di stele, che ogni pellegrino visita nella cattedrale attuale: la ” pietra di Owin “; si tratta della base di una croce che reca l’iscrizione latina. ” Lucem Tuam Ovino da Deus et requiem. Amen “. Questo Owin era stato intendente e compagno della regina fino al momento in cui essa aveva preso il velo a Coldingham. Egli stesso è allora entrato come monaco nel convento di Saint-Chad, nello Yorkshire, a Lastingham dove è morto in odore di santità. La pietra, datata alI’VIII secolo, appare come il più spoglio dei ricordi di Eteldreda, in mezzo agli splendori che la circondano, quelli della cattedrale che grazie al suo titolo poté sfuggire alle distruzioni ordinate da Enrico VIII nel XVI secolo, diversamente dai principali monasteri inglesi.
Eteldreda vi aveva creato un monastero duplice: uno degli edifici per le religiose, un altro per i monaci, mentre la chiesa li riuniva per le diverse funzioni liturgiche. La badessa vi rimase fino alla morte, sopravvenuta il 23 giugno 679. È sorprendente la personalità di questa santa che si sposò due volte, e di cui Beda dichiara che ” tuttavia rimase sempre una vergine pura e gloriosa “.
La sorella maggiore, Sexburga, che era entrata nel monastero di Sheppey, la sarebbe succeduta come badessa di Ely, Nel 695 ordinò la traslazione del corpo di Eteldreda – che era stato inumato nel cimitero delle religiose e che fu ritrovato senza traccia di corruzione – nella chiesa stessa, entro un bel sarcofago di marmo antico scoperto a Cambridge. Su quella tomba i miracoli si moltiplicarono. Sexburga morì nel 699; prima di entrare nel convento era stata la sposa del re del Kent, Ercomberto, e aveva avuto una figlia, Ermenilda, la quale aveva sposato il re della Mercia. Ermenilda succedette alla madre Sexburga come badessa di Ely. Sul dossale dell’altar maggiore di Ely oggi tre corone rievocano la memoria di queste tre regine dal destino singolare.
Il monastero fu distrutto durante le invasioni danesi, di cui la prima ebbe luogo nel 789, un po’ più di un secolo dopo la morte di Eteldreda. Si susseguirono, nel momento in cui la Francia a sua volta subiva le aggressioni ripetute degli “uomini del Nord”, dei normanni. Ma gli stessi normanni, una volta convertiti, ricostruirono sulle rovine. Guglielmo il Conquistatore in persona venne a Ely, e dopo alcune trattative con i monaci rimasti sul posto vi inviò un suo parente, Simeone, priore di Winchester. Benché avesse già ottant’anni, quest’uomo cominciò a ricostruire la chiesa abbaziale e diverse parti dell’edificio attuale. Tra l’altro quella che è chiamata la ” Porta del priore ” risale a questa ricostruzione, con la sua arcata a semicerchio, il timpano scolpito che rappresenta il Cristo del Secondo Avvento e i mirabili arabeschi che decorano le cornici. D’altronde la cattedrale di Ely può essere considerata come una specie di geniale e gigantesco riassunto dei diversi momenti dell’evoluzione dell’architettura e della scultura in Inghilterra, fino all’epoca del Rinascimento.
Nel frattempo, e a partire da questo periodo normanno, il duplice monastero era stato sostituito da un convento di monaci, mentre Ely diventava sede di vescovato.
I monasteri duplici rifioriranno un po’ dappertutto, in Inghilterra come in Francia, nel XII secolo specialmente, con l’ordine di Fontevraud. Colpisce constatare (ripetiamo), a distanza di tempo, che le rispettive situazioni dei religiosi e delle religiose sono completamente opposte a quelle che possiamo accertare nei tempi classici e ancora oggi, quando in tanti monasteri maschili alcune “buone suore ” si occupano delle mansioni ritenute ” inferiori “: cucinano, lavano, hanno cura degli abiti, eccetera. Invece nell’Alto Medioevo e nei tempi feudali i monaci sono realmente al servizio delle monache; eseguono i duri lavori agricoli che superano le forze delle donne e mettono anche a loro disposizione il ministero sacerdotale senza il quale la vita liturgica è impossibile, poiché essa è accentrata sulla consacrazione eucaristica, che è riservata agli uomini.
Costituiscono una creazione armoniosa ed equilibrata, questi monasteri duplici la cui originalità ci colpisce e ci fa intravedere una civiltà atta a rovesciare tanti dati che ci sono abituali. Oggi certuni, o meglio certune, pretendono un sacerdozio femminile di cui si sentono come private; in altri termini, si fa strada una concezione completamente pagana della vita religiosa, dove il ministero sacerdotale appare come un potere, mentre al contrario è un servizio; vale dunque la pena considerare un poco la vita di questi conventi duplici in cui la donna assumeva un ruolo eminente nella preghiera e nella vita monastica. Pare che allora fosse vivo l’influsso evangelico, e che si considerasse come la donna, assente dalla Cena, fosse la prima che, presso il sepolcro di Cristo, constatasse la sua risurrezione, e come ricevesse nella persona di Maria – insieme a tutti gli apostoli – lo Spirito Santo, alla Pentecoste.
E inoltre – come precisa il santo fondatore di Fontevraud, Roberto di Arbrissel – i rapporti che si stabiliscono tra le religiose e i monaci corrispondono a quelli intercorsi tra la Vergine e san Giovanni Evangelista, che ” la prese con sé ” e per tutta la sua vita fu il suo servitore premuroso, il figlio amato.
Regine Pernoud,
I santi del medioevo, edizioni Rizzoli, Milano 1986,
traduzione di Anna Marietti, pagg. 92-103