Questo santo abate benedettino nacque da modesti, ma pii genitori verso il 1025 a Gorbia (Somme), in Francia. Ebbe altri tre fratelli i quali, più tardi, abbracciarono la vita monastica nell’abbazia di St-Vincent de Laon (Aisne). Gerardo fin dall’infanzia fu allevato tra gli oblati nella celebre abbazia della sua città natale, fondata nel secolo VII da S. Batilde, madre di Clotario III, re della Neustria e della Borgogna.
Divenuto il modello dei monaci dopo la sua consacrazione al Signore, il santo fu nominato cellerario (economo) dall’abate Folco I, suo condiscepolo di noviziato, perché con l’intelligente ed operosa collaborazione di lui sperava di risollevare materialmente e spiritualmente le sorti del monastero. Gerardo adempì il compito con grande diligenza, ma l’eccessivo lavoro, i prolungati digiuni e le continue veglie gli causarono continui e intollerabili dolori di testa.
I medici gli praticarono incisioni e cauterizzazioni, gli prescrissero delle pozioni, ma tutto riuscì inutile. Pienamente conformato alla volontà di Dio, per meritarne i favori, raddoppiò la carità verso i poveri. Ogni giorno ne riceveva tre, lavava loro i piedi e dava ad essi da mangiare. Sovente dopo la refezione si prostrava davanti a loro e, vedendo in essi un’immagine delle tre divine persone, esclamava con le lacrime agli occhi: “O SS. Trinità, liberatemi dai mali che non posso sostenere. Ricordatevi della vostra misericordia e non differitene il compimento”.
Folco, costretto a recarsi a Roma (1050) per tutelare gl’interessi della sua abbazia, consentì a prendere con sé il cellerario nella speranza che il pellegrinaggio contribuisse a migliorarne la salute. Il tragitto fu invece così penoso per Gerardo che Folco fu sul punto di rimandarlo a Gorbia dopo averlo fatto curare in un ospizio che serviva di asilo per i pellegrini. Gerardo ottenne nonostante tutto di continuare il cammino, ma non avendo la forza di sostenere la conversazione dei compagni di viaggio per le continue emicranie, se ne stava indietro per soccorrere, senza essere veduto, i mendicanti e darsi più lungamente alla preghiera. A Roma si prostrò sulle tombe degli apostoli per ottenere la guarigione dalla sua infermità o, per lo meno, per non perdere l’uso della ragione nel parossismo dei dolori.
Otto giorni dopo, al seguito del papa S. Leone IX, che si recava in Puglia per pacificare le contrade del Patrimonio rapinate dai Normanni, risoluti partigiani dell’antipapa Benedetto IX, Gerardo fu assalito e spogliato di tutto il denaro che l’abate gli aveva affidato. A stento raggiunse a piedi Monte Cassino dove era stato preceduto dai suoi compagni. Dopo avere chiesto inutilmente anche a S. Benedetto la grazia della guarigione, si recò con loro a Monte Gargano, dove si trovava Leone IX, andò a pregare nel celebre santuario di San Michele Arcangelo, ma la grazia tanto sospirata si fece ancora attendere. Dio concesse invece a Gerardo e a Folco di ritornare a Gorbia con l’ordinazione sacerdotale che ricevettero per le mani dello stesso Sommo Pontefice.
Malgrado la persistenza del male, Gerardo manifestò molto zelo per la ricostruzione della chiesa abbaziale, distrutta da un incendio (1051). Tra i diversi altari che in essa fece erigere non mancò quello dedicato a S. Adelardo (1826), abate di Gorbia, canonizzato nel 1024 da Giovanni XIX. A questo santo chiese pure la salute corporale e fece voto che, se fosse stato esaudito, ne avrebbe propagato il culto. A poco a poco il male diminuì. Un giorno, dopo aver cantato la messa conventuale, si prostrò davanti all’altare del santo e commosso lo pregò: “S. Adelardo, amico di Cristo, abbi pietà di me, miserabile tra tutti, che sono ricorso a te”. Mentre si alzava per ritornare in cella, vide un globo di fuoco sprigionarsi da un lato dell’altare e avvolgerlo con la sua luce. A Gerardo sembrò che nella testa indolenzita i nervi gli si tendessero e rompessero tra uno straordinario ronzio. “O S. Adelardo, – esclamò allora il paziente – soccorrimi!”. La guarigione fu istantanea. In riconoscenza del beneficio ottenuto, Gerardo compose antifone e responsori in onore del santo.
Molti anni dopo il servo di Dio concepì il desiderio di andare a visitare la Terra Santa in compagnia di una carovana di pellegrini in partenza da Gorbia. Folco glielo permise a malincuore (1073) sia perché apprezzava l’utilità dei suoi servizi, e sia perché temeva che non sapesse resistere alla tentazione di farsi eremita. Durante il viaggio Gerardo visitò un buon numero di famosi santuari e potè dare sfogo alla devozione sul santo sepolcro di Cristo.
Appena rientrò a Gorbia i monaci di St-Vincent de Laon andarono a proporgli di diventare loro abate al posto di suo fratello, da poco defunto. A malincuore Gerardo cedette alle reiterate loro sollecitazioni, ma non tardò a pentirsene perché invano si sforzò di ristabilire la regolarità tra quei monaci più attaccati ai beni del mondo che alle speranze del cielo. Vedendo che restavano infruttuosi i suoi tentativi per combattere le disastrose conseguenze dell’avarizia, sull’esempio di S. Benedetto, che un tempo aveva abbandonato i monaci di Vicovaro, dopo cinque anni risolse di andare a vivere nella solitudine.
Poco lontano dall’abbazia viveva un eremita di nome Ebroino il quale, in gioventù, aveva seguito la carriera militare. Un giorno fu raggiunto da cinque distinti cavalieri desiderosi di abbandonare il mondo come lui per la salvezza dell’anima propria. Egli li presentò a Gerardo che sovente andava a intrattenersi con lui in santi ragionamenti, e tutti insieme risolvettero di dare inizio ad una nuova fondazione in cui avrebbero vissuto la vita eremitica. Senza idee ancora ben chiare riguardo alla scelta del luogo della loro solitudine, essi intrapresero diversi pellegrinaggi: a Parigi venerarono le reliquie di S. Dionigi; a Orléans visitarono la chiesa di Santa Croce; a Tours venerarono la tomba di S. Martino. In viaggio per Santiago di Compostela (Spagna), arrivarono a Poitiers nel momento in cui Guglielmo Vili, conte di Poitou e duca di Aquitania, faceva il suo ingresso in città. Questo principe concesse un abboccamento a Gerardo. Ebbe così modo di conoscere lo scopo del viaggio. Edificato dalle sue sagge risposte gli offrì delle terre a scelta ( nei suoi feudi). Uno dei signori del seguito segnalò come luogo adatto alla fondazione, che quei pellegrini si proponevano di fare, una grande foresta tra la Garonna e la Dordogna, chiamata Sylva Major (Grande selva).
Gerardo prese possesso di quella donazione con i suoi compagni il 28- 10-1079. Dopo aver dissodato un angolo della foresta, essi posero la prima pietra del monastero che dedicarono a Nostra Signora e agli apostoli Simone e Giuda (1081). Le virtù dell’abate e dei suoi compagni, il suo aspetto angelico, la purezza dei suoi costumi, il fervore delle sue preghiere, l’eloquenza della sua predicazione, impressionarono vivamente le popolazioni dei dintorni. Ricorrendo ai consigli, alla mediazione e al ministero sacerdotale di lui, un po’ alla volta si civilizzarono. In confessione egli soleva imporre loro per penitenza di digiunare il venerdì e di mangiare di magro il sabato. La grande riputazione di cui Gerardo godeva spinse pure distinti nobili e cavalieri a seguirlo nella vita eremitica e invogliò numerosi signori ad affidargli l’educazione dei figli.
Non gli mancarono neppure opposizioni e persecuzioni di altri signori, ma essi non tardarono a sentire appesantirsi la mano di Dio su di loro.
I benedettini de la Grande-Sauve, nel concilio di Bordeaux (1080), in cui fu condannata l’eresia di Berengario che negava la reale presenza di Gesù nell’Eucaristia, erano stati dichiarati dal duca d’Aquitania esenti da qualsiasi potestà laica. Gerardo, vedendo assicurato l’avvenire della sua opera, posta sotto la immediata giurisdizione della Santa Sede, avrebbe voluto dimettersi da abate, ma il Legato del papa, Amato, presente al concilio, gl’ingiunse di restare al suo posto. Alla regola benedettina egli aggiunse particolari costituzioni di cui si trovano tracce nelle carte dell’abbazia e dei priorati da essa dipendenti. Inoltre, egli regolò con saggezza l’amministrazione della giustizia per gli abitanti che a poco a poco erano andati a raggrupparsi attorno all’abbazia, organizzò il disboscamento della foresta e lo sfruttamento delle cave di pietra; fece costruire strade e forni feudali; stabilì un mercato settimanale e una fiera annuale; fondò poco lontano dall’abbazia un monastero di donne e una ventina di Priorati in Francia, Spagna e Inghilterra. Sensibile ai bisogni pastorali del tempo, non ricusò la cura delle parrocchie che gli venivano offerte.
Oltre che di una forte personalità, Gerardo fu dotato da Dio anche del dono dei miracoli. Un padre di famiglia della diocesi di Limoges aveva un figlioletto con i piedi sformati e contorti. Animato dalle meraviglie che la gente diceva di Gerardo, un giorno così lo pregò con grande fede: “O Gerardo, se quello che si dice di tè è vero, libera la mia famiglia da questa afflizione”. All’improvviso il figlio guarì e il padre lo condusse all’abbazia per manifestare al Signore tutta la sua riconoscenza. Altri malati guarirono in seguito ad una preghiera o benedizione del Santo, oppure mangiando i pani da lui benedetti o bevendo dell’acqua con la polvere del sepolcro che egli si era fatto preparare ancora vivo.
All’avvicinarsi della morte, Gerardo riunì i monaci, raccomandò loro di conservare lo spirito di unione e di carità, di fuggire le discussioni inutili e di non lasciare introdurre tra loro delle consuetudini capaci di minare sordamente lo spirito della regola. Egli morì il 5-4-1095 e fu sepolto, tra uno straordinario concorso di popolo, nella chiesa abbaziale. Celestino III lo canonizzò nel 1197. Le sue reliquie sono venerate nella chiesa parrocchiale di St-Pierre à la Grande-Sauve, nell’arcidiocesi di Bourdeaux (Francia).
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 70-74.
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