“Adesso ho capito davvero che la gloria di Dio e l’esser vittima non consiste nel fare grandi cose, ma nel sacrificio totale del proprio io “
di Suor Maria del Pilar
“La conversione, la croce e la preghiera sono essenzialmente gli elementi su cui si basa il movimento per ricostruire l’unità dei cristiani. La sua vicenda attraverso la vocazione trappista prima, e attraverso l’offerta della vita per l’unità dei cristiani poi, è tutta scandita su questi tre medesimi valori essenziali: conversione, immolazione per i fratelli, preghiera. Né poteva essere altrimenti.
Ce lo conferma il Concilio Ecumenico Vaticano II, che proprio in questa Basilica e in questa stessa data venne annunziato dal mio venerato predecessore Giovanni XXIII. Esso infatti, in tema di ecumenismo, si esprime in questi precisi termini: “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento dello spirito, dall’abnegazione di stessi e dal pieno esercizio della carità. Perciò dobbiamo implorare allo Spirito Divino la grazia di una sincera abnegazione, dell’umiltà e mansuetudine nel servire e della fraterna generosità d’animo verso gli altri…”. Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico, e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale” (1).
Essa è, infatti, storicamente la prima beata che esce dalle file della gioventù femminile dell’Azione Cattolica; la prima fra le giovani ed i giovani della Sardegna; la prima tra le monache e i monaci trappisti; la prima tra gli operatori a servizio dell’unità.
La sua offerta della vita per l’unità, che il Signore le inspirò durante la settimana di preghiera in questi medesimi giorni del 1938, e che Egli mostrò di gradire come fragrante olocausto d’amore, non è l’inizio, ma il compimento della corsa spirituale della giovane atleta.
Così la Beata Maria Gabriella Sagheddu, che unisce graziosamente al nome dell’angelo dell’annunzio quello della Vergine dell’ascolto, diviene segno dei tempi e modello di quell’”Ecumenismo spirituale”, a cui ci ha richiamato il Concilio. Ella ci incoraggia a guardare con ottimismo –al di là e al di sopra delle inevitabili difficoltà proprie del nostro essere uomini- alle meravigliose prospettive dell’unità ecclesiale, il cui progressivo affermarsi è legato al sempre più al profondo desiderio di convertirci al Cristo, per rendere operante ed efficace il suo anelito: Ut omnes unum sint! (2).
La sua infanzia
Maria Sagheddu è nata il 17 marzo 1914 a Dorgali, provincia di Nuoro, sulla costa orientale della Sardegna. Suo papà, Marcantonio Sagheddu, era pastore di pecore e lavorava per conto di un ricco proprietario dell’isola. Sua Madre, Caterina Cucca, apparteneva ad una famiglia tradizionale. Aveva due fratelli e due sorelle più grandi di lei e dopo di lei tre culle la seguirono: due femmine ed un maschio.
All’epoca della nascita di Maria, la famiglia aveva un modesto benessere, ma la prova non si fece attendere. Il 1 agosto 1914 scoppiava la guerra franco-tedesca; l’anno seguente, l’Italia entrava nel conflitto. Nel 1919 morì suo fratello Bartolomeo, di appena un anno; e quindici giorni dopo, suo padre, che non aveva compiuto i cinquant’anni. Fu un duro colpo per la Signora Sagghedu ma anche per i figli. Maria aveva cinque anni e mezzo. A questa età Maria sà già quello che vuole. La caratterizza un forte carattere già da bambina: è capricciosa e irascibile e quando vuole una cosa, non si stanca fino ad ottenerla. L’educazione della Mamma, della maestra e della catechista dolcificano a poco a poco quel carattere duro. Maria diventa così una bambina dolce però frequentemente obbedisce brontolando, oppure prima dice di no, ma dopo compie fedelmente quello che le hanno richiesto. Non viene mai meno per le difficoltà, superandole con pazienza e buon animo. Sempre autoritaria sa mettere a posto gli altri, talvolta in modo brusco. Le sue grandi passioni erano la lettura ed il gioco: semplicemente tombola e carte.
A causa della difficile situazione famigliare Maria non poté finire gli studi perché dovette cominciare a lavorare a casa per aiutare i suoi.
La Vocazione
Frequentava la Parrocchia di Santa Caterina, che contava con un grande gruppo di giovani dell’Azione Cattolica. Maria respinge molte volte l’invito della presidente di appartenere all’Associazione; ma un giorno qualunque del 1932, chiede lei stessa la sua iscrizione. E’ questa l’epoca nella quale Maria prende coscienza che la Vergine l’ama e che Gesù la vuole per sé, ma i suoi difetti sono un ostacolo ad una vita d’intimità con Lui. Comincia allora la lotta spietata contro i suoi difetti e imperfezioni che caratterizza quel periodo della sua esistenza. Così testimoniano i suoi conoscenti: “verso i diciotto anni cambiò completamente, si corressi di tutti i suoi difetti”.
Mediante l’Eucaristia, la preghiera personale ed assieme alla Vergine Maria, ella cresceva spiritualmente. Un anno prima del suo ingresso a Grottaferrata, confessa che pensava nella vita religiosa da alcuni anni. Commenta un suo parente: “Mi parlò della sua intenzione di farsi monaca, più o meno un anno prima. E quando le domandai il perché della sua decisione, mi disse: “Ci sto pensando da qualche anno e prima di decidere ho voluto riflettere molto. Ma pressa già la decisione risponde presto e generosamente alla vocazione soltanto per motivi soprannaturali: per esser tutta e sempre di Dio”.
Già ventenne, il suo desiderio di consacrare la vita divenne più intenso e preciso. Spera che il Signore le faccia questa grazia. Quello che desidera è donarsi e poco le importa il posto e il modo della consacrazione. Dice il suo confessore: “Ella era indifferente a qualsiasi ordine; io che conoscevo la Trappa, le proposi quell’ordine ed ella accettò volentieri. Era disposta ad andare in qualsiasi Istituto senza preferenza di sorta”.
“E’ bello vivere nella casa del Signore”
Il suo ingresso alla vita religiosa
Il suo ingresso alla Trappa si fissa per il 6 ottobre 1935. Riceve il nome di Maria Gabriella, per l’angelo dell’annunciazione, giacché era questo uno dei misteri sui quali ricadeva la sua predilezione. Lo meditava in compagnia dell’angelo Gabriele. Aveva una spiritualità eminentemente mariana che deriva dalla contemplazione assidua dei misteri del Verbo Incarnato e della sua Chiesa. Era molto devota del santo Rosario: “… aveva sempre il rosario in mano. Negli andirivieni così frequenti in comunità, e in molte altre circostanze, sgranava il rosario con una gioia che traspariva nei suoi tratti”.
All’ingresso in Convento si deve fare un’elezione, benché provvisoria: la postulante sarebbe corista o conversa? Come consacrazione al Signore non c’è differenza, tutt’e due fanno gli stessi voti, benché l’esser corista comporti una maggiore esigenza. Maria aveva solo gli studi elementari e pensava di essere conversa, soprattutto perché era talmente ignorante riguardo alla musica e al canto. Tuttavia la Madre Badessa decise tutt’altro; la postulante doveva educare la voce e studiare per acquistare le conoscenze che le mancavano. E’ così che Suor Maria Gabriella, seduta di fronte ad un piano, fa le scale instancabilmente, provando ad adattare la voce ai suoni dello strumento. Lavoro ingrato e umiliante che bisogna ricominciare per settimane e mesi. Il suo cuore è diviso fra le gioie che prova nel partecipare alle lodi divine insieme alle sue consorelle, ed il sentimento di essere incapace di compiere perfettamente il suo dovere. La Madre Badessa giudica soddisfatti i progressi e la esorta a perseverare con coraggio. Ella invece sarà sempre scontenta; così grande è la sua preoccupazione di perfezionarsi in tutto. Commenta la Beata: “Sto al coro, perché la Rev. Madre ha voluto così. Cantare sò ben poco, ma stonare anche molto. Io per questo avrei voluto ritirarmi prima della mia vestizione, ma la Rev. Madre non ha voluto, dicendo che a poco a poco imparerò”.
La vestizione
La cerimonia di vestizione ebbe luogo il 13 aprile 1936, lunedì dopo Pasqua. Per questa occasione scrive ai suoi famigliari: “Egli, il mio Gesù, avrebbe potuto scegliere tante altre anime di molto più amanti, più pure, innocenti e più degni. Ma no. Egli ha voluto scegliere me, sebbene io ne sia indegna…” “Pregate sempre affinché io sia sempre fedele ai miei doveri e alle mie Regole facendo sempre la volontà di Dio senza mai offenderlo, e così vivere felicemente per tutta la vita nella sua casa”.
Per San Benedetto, il segno dell’autentica vocazione monastica è quella di una seria ricerca di Dio. E questa ricerca di Dio deve intensificarsi durante tutta la vita, fino a diventare un’idea fissa. Per lui questa ricerca o sete si traduce nello zelo, cioè in un affrettarsi per il servizio divino, per l’obbedienza e per gli obbrobri. Il servizio divino è il primo dover d’un monaco e la sua occupazione principale, e così è per Suor Maria Gabriella per chi costituisce la prima fonte di gioia spirituale. In una lettera alla sua famiglia scrive: “La Reverenda Madre mi ha messa al coro per salmeggiare e cantare le sue lodi. Devo essere molto riconoscente e ringraziare di questa grazia speciale accordatami… non di meno faccio tutto il possibile per studiare e spero che Gesù mi aiuterà”.
Il secondo segno della ricerca di Dio è lo zelo per l’obbedienza. Obbedienza è spogliarsi delle proprie volontà. San Benedetto invita a odiare la propria volontà. Suor Maria Gabriella ha manifestato nella sua vita religiosa un vero attaccamento ai suoi superiori, senza mai andare all’adulazione. Li stimava e li amava. Diciotto mesi dopo la sua entrata, scrive: “Dalle mie superiore, non avrei potuto desiderare di meglio”. In un’altra occasione “E’ veramente una grande fortuna vivere in Monastero dove tutte le azioni, anche le più vili, come pure il non far niente, quando è comandato dall’obbedienza, apportano un grande merito”. Sempre ha dimostrato una vera devozione verso i suoi superiori. Non ha cercato mai appoggio, consigli e suggerimenti fuori del Monastero. Era sempre disposta a ricevere qualsiasi osservazione con spirito d’umiltà perché non fosse trasgredita la Regola minimamente. Questo si vede nelle parole che indirizza ai suoi: “Pregate il Signore che mi aiuti non solo a comprendere quel che mi dicono, ma anche a mettere in pratica gli insegnamenti, ciò ad obbedire ai superiori ed a osservare esattamente la Regola del mio Istituto e così diventare santa davanti a Dio”.
Il terzo segno, secondo San Benedetto è lo zelo e la sollecitudine per l’avvilimento. Suor Gabriella si diceva povera peccatrice: “Era sempre pronta ad umiliarsi, sempre si gettava in ginocchio a dire ‘mia colpa’, davanti a qualsiasi osservazione”. La sua caratteristica è sempre stata quella di nascondersi e scomparire nei confronti degli uomini. Un segno dell’umiltà di Suor Gabriella è la facilità con la quale accoglieva i rimproveri.
E’ vissuta sempre sottomessa alla guida di due grandi religiose: Madre Pia Gullini e la Maestra delle novizie, Madre Tecla.
Professione religiosa
Nella Festa di Cristo Re dell’anno 1937, realizza i voti religiosi. Suor Gabriella aveva già il cuore tutto disposto per il sacrificio e questo risplende nelle parole che scrive in quel giorno: “Nella semplicità del cuore mio ti offro tutto lietamente, o Signore. Tu ti sei degnato chiamarmi a Te ed io vengo con slancio ai tuoi piedi. Tu nel giorno della tua festa regale, vuoi fare di questa misera creatura la regina. Ti ringrazio con tutta l’effusione dell’anima e nel pronunziare i santi voti mi abbandono interamente a Te. Fa, o Gesù, che io mi mantenga sempre fedele alle mie promesse e non abbia mai a riprendermi ciò che ti do in questo giorno. Vieni e regna nell’anima mia come Re d’amor (…) O Gesù, io mi offro con te in unione al tuo Sacrificio, e sebbene sia indegna e da nulla, spero fermamente che il divino Padre guardi con occhi di compiacenza la mia piccola offerta, perché sono unita a Te e del resto ho dato tutto ciò che era in mio potere. O Gesù, consumami come una piccola ostia d’amore per la tua gloria e per la salvezza delle anime. Padre Eterno, mostrate che in questo giorno il vostro Figlio va a nozze e stabilite il suo regno in tutti i cuori, onde tutti lo amino e lo servano conforme alla vostra divina volontà. A me date ciò che mi abbisogna per essere una vera sposa di Gesù. Amen”.
L’offerta della sua vita per l’unità dei cristiani
Il momento decisivo della sua vita fu con l’occasione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nel 1937. Questa settimana di preghiera universale fu promossa nella Chiesa dal sacerdote converso Francis Wattson e illuminata secondo il pensiero dell’abate Couturier, il suo grande promotore in tutta l’Europa. Nel monastero di Grottaferrata questi ideali approdarono nell’anima delle suore, soprattutto in Madre Pia, che si comunicava frequentemente con Don Couturier ed era convinta dello spirito di apostolato della penitenza in conformità alle ultime apparizioni della Vergine alla Rue du Bac, a Lourdes e alla Salette. Ella decise di applicare questa spiritualità alle lacerazioni prodotte dalle divisioni fra i cristiani alla indivisibile tunica di Cristo. E così in ottobre del 1937 propose alle sue consorelle la grande intenzione di pregare per l’unità.
Nel 1938, la Madre lesse nel Capitolo Monastico l’invito di Don Couturier per l’Ottava di preghiere da lui intitolato “La preghiera universale dei cristiani per l’unità cristiana”, che ebbero sì decisiva risonanza nel cuore e nell’esistenza di Suor Maria Gabriella. Don Couturier si esprimeva così: “L’insegnamento irenico di ricerche convergenti dato in ciascun gruppo si arresterà sul limitare sacro di questa preghiera, senza introdurvi la molteplicità delle sue precisazioni, ma dimostrandoci la complessità del problema, ci getterà in ginocchio, nel cuore di Cristo, per ripetere tutti insiemi, in un atto di amore unico e immenso: “Venga O Signore, quell’unità che tu hai chiesto per tutti coloro che ti amano ‘Congregavit nos in unum Christi amor’””.
Nel corso di questa Ottava di preghiere, Suor Maria Gabriella, avvertì nel profondo del cuore un richiamo molto chiaro di offrirsi per l’Unità. Madre Tecla racconta l’impatto che le parole di Don Couturier produrranno in Suor Gabriella: “Nel gennaio del 1938, in occasione dell’Ottavario dell’Unità, arriva un nuovo rendiconto del Padre Couturier. Egli parla di alcune vite offerte a questo scopo. Una religiosa trappista italiana, morta il 25 febbraio 1937, un trappista giapponese, un pastore protestante francese… In quei giorni Suor Gabriella mi fece la confidenza di quanto il Signore le chiedeva: anche lei voleva offrire la sua vita per l’unità della Chiesa… Le dissi che doveva parlarne alla Rev. Madre e tenersi alla sua decisione. Suor Gabriella si recò quindi alla Rev. Madre Badessa, che se la vide inginocchiata umile, dolce, supplicandola di permetterle di offrire la sua vita per l’unità della Chiesa…:”Mi lasci offrire la mia vita, tanto, che cosa vale? Io non faccio niente, non ho mai fatto niente. Lo ha detto lei, che si può fare con il dovuto permesso”. Madre Pia temeva sia che si trattasse di un accesso di fervore senza domani, sia che il Signore potesse prendere in parola quella giovane religiosa che rappresentava un’autentica speranza per l’avvenire della comunità, perciò assunse un’aria volutamente indifferente, e rispose che, per una cosa così importante, bisognava riflettere molto e consultare il confessore. Dopo qualche giorno ritornò, umile, timida: “Mi pare proprio che il Signore lo voglia, mi sento spinta a questo senza volerci pensare”, e la Madre rispose: “Ebbene, non dico né sì né no. Si offra alla volontà di Dio. Lo chieda anche al Padre Cappellano. Farà poi il Signore quel che vuole”. Suor Gabriella non aggiunse nulla, uscì raggiante e tutta commossa. L’offerta avvenne senza che si conosca il come o il quando. Senza dubbio, quel giorno stesso e nell’intimo del suo cuore. Per lei, quest’offerta era una manifestazione del amore de Dio e un richiamo perché Lui riversasse copiosamente il suo amore su tutti i suoi figli e figlie che, nel mondo, sono più o meno separati di cuore e di spirito. I segni della malattia con la quale il Signore la immolerà non si sono fatti attendere. La sera di quello stesso giorno il Signore le farà capire di aver accettato quell’offerta. Lei stessa dirà al suo direttore: “Dal giorno della mia offerta non ho passato un giorno senza soffrire qualche cosa per amore di Gesù. La mia gioia diventa più grande quando penso che il tempo delle vere nozze si avvicina”.
Il suo olocausto è stato gradito a Dio, come disse il Santo Padre nella cerimonia di beatificazione di Suor Maria Gabriella, appunto il 25 gennaio 1983, per la clausura dell’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani: ” La sua offerta della vita per l’unità, che il Signore le inspirò durante la settimana di preghiere in questi medesimi giorni del 1938 e che Egli mostrò di gradire come fragrante olocausto d’amore, non è l’inizio, ma il compimento della corsa spirituale della giovane atleta. Dall’unione raggiunta con la Voce di Dio, scaturisce la mozione dello Spirito ad aprirsi ai fratelli”.
“Io mi sono offerta interamente al mio Gesù e non ritiro la mia parola”. Il sacrificio consumato.
“Il Signore, come voi sapete, mi ha sempre favorito di grazie speciali, ma adesso con questa malattia me ne ha fatto una più grande di tutte. Mi sono totalmente abbandonata nelle mani del Signore ed ho guadagnato moltissimo”. Suor Maria Gabriella avvertì in maniera imprevista un’acuta piaga nella schiena, insieme a una stanchezza generale e una tosse secca persistente che le sarà di fatica nel suo lavoro. Dopo alcune visite del medico della casa, fu portata in ospedale per farsi una radiografia. Come conseguenza, si conferma la sua malattia: tisi. Il tempo nell’ospedale si allunga per quaranta giorni, e questo è stato per lei il più duro Calvario. Alla fine di questi giorni, considerando il Dottore che tutte le cure erano inutili, è riportata di nuovo al Monastero di Grottaferrata, e lì, nella piccola infermeria, con la sua pazienza, il suo sorriso e la sua adesione alla volontà di Dio, per tutto il tempo che durò la sua vita, fu di grande edificazione per tutta la comunità. Si mostrava sempre contenta e soffriva di buona voglia per il Signore: “Gli ultimi giorni furono una rivelazione per tutte. Non si è lamentata, anzi più soffriva e più cercava di sorridere”. Dice all’infermiera: “la mia malattia è il mio tesoro, non posso darlo a nessuno”. Non solo ha dovuto sopportare le sofferenze fisiche, ma anche le più dure prove interiori. In una lettera dall’ospedale scrive alla sua Superiora: “Rev. Madre…; ma immagini la mia confusione e la mia pena vedendomi esposta in quel modo agli sguardi di tutti. Quando sono arrivata al letto, che mi era stato assegnato, alzando la testa, ho veduto di fronte un grande Crocifisso. L’ho fissato e vedendo che il mio Gesù era nudo e che così, per amor mio, è stato esposto al pubblico, ho pensato che il mio sacrificio non era niente in confronto del suo… Talora, quando penso al mio Monastero e specialmente di notte, le lacrime mi scendono giù dagli occhi e non posso dire altro che queste parole: ‘Mio Dio, la tua gloria’. E così mi rimetto in pace. Preghi molto per me, perché ne ho gran bisogno”.
I suoi superiori testimoniano che stette in una continua aridità spirituale che faceva più difficile la virtù e le lunghe preghiere vocali. In quel momento scrisse alla sua Mamma: “Io sono felice di poter soffrire qualche cosa per amor di Gesù. La mia gioia diventa più grande quando penso che il tempo delle vere nozze s’avvicina… Sento di amare il mio Sposo con tutto il cuore; ma vorrei amarlo ancora di più. Vorrei amarlo per quelli che non l’amano, per quelli che lo disprezzano, per quelli che l’offendono: insomma, il mio desiderio non è che di amare… La mia felicità è tanto grande e nessuno può togliermela. Non c’è felicità più grande di quella di poter soffrire qualche cosa per amor di Gesù e per la salvezza delle anime”.
Le sue sofferenze durarono molti mesi, fino al 23 aprile quando la sua offerta fu consumata, mentre la liturgia della Chiesa celebrava il Buon Pastore ed il Vangelo di quel giorno annunziava: “E avrà un solo gregge e un solo Pastore”.
Ut unum sint, perché tutti siano uno. In questo modo, lei presentò a tutti i cristiani, il modello supremo negli sforzi per l’unità dei cristiani. La sua vita è stata incoronata così come era la sua convinzione: “Sì, io povera creatura, sarò regina perché il Signore così lo vuole”. E così Suor Maria Gabriella ci lascia la sua vita e le sue parole come un modello supremo delle virtù per raggiungere l’unità tanto desiderata.
Mentre i cristiani di tutte le confessioni si sforzano per scoprire le vie della pace, Suor Maria Gabriella Sagghedu capì quello che tanti non vedevano: che le grandi grazie hanno un prezzo di oblazione che qualcuno deve pagare in unione con la Vittima divina. E per saldare questo debito, scelse se stessa.
Se la santità è l’imitazione di Gesù Cristo, difficilmente si potrà trovare una maggior consonanza ed imitazione. Gesù Cristo, nel momento supremo di quel giovedì santo, prima della sua immolazione, pregò per l’unità dei suoi discepoli e di tutti gli uomini. Dopo offrì se stesso. La Beata Maria Gabriella, giovane e di cuore ardente, ebbe la grazia di trasformarsi nella vittima dello stesso ideale nello stesso modo di Gesù. Perciò, difficilmente si potrà trovare una maggior consonanza e imitazione.
E così questa umile religiosa – tramite la generosità della sua donazione – si è trasformata nella protettrice e protagonista di questa grande causa: l’Unità. Ella costituisce una cima in quel cammino dell’Unità e si è detto bene che ciò che è stata Santa Teresa di Lisieux per le missioni, così la Beata Maria Gabriella è stata e sarà per l’Ecumenismo.
Note:
1 Decreto sull’Ecumenismo, II, 7, 8.
2 SS Giovanni Paolo II, Cerimonia di beatificazione di Maria Gabriella dell’Unità, 25 gennaio 1983.