In Scozia, nell’isola di Iona, si forma alla vita monastica un altro santo:Brandano, giustamente soprannominato “il Navigatore”.
Illustrerà le lettere irlandesi con il favoloso racconto di viaggio che gli è attribuito; però prima di intraprendere la famosa Navigazione san Brandano aveva fondato, nella contea di Gaiway, il monastero di Clonfert, di cui sono tuttora visibili i resti; questo nel 557. Si dice che anche Clonfert raccogliesse oltre tremila monaci.
Quanto al viaggio di san Brandano, è tipico insieme di quei racconti celtici che facevano parte della tradizione orale druidica fin dai tempi antichissimi, e della spiritualità irlandese quale si delinea durante l’Alto Medioevo, l’epoca del suo apogeo. Naturalmente l’erudizione moderna avanza certe riserve sul carattere storico della stessa esposizione; si fa notare che san Brandano è morto verso il 580, mentre il racconto del suo viaggio, nella prima redazione conosciuta, non è anteriore all’inizio del IX secolo; obiezione che d’altronde non è affatto decisiva, poiché la tradizione orale resta il modo di trasmissione più abituale nei secoli VI, VII e VIII.
Tuttavia numerosissimi elementi leggendari si mescolarono sicuramente alla base storica nel senso in cui l’intendiamo oggi (come accade di regola). Resta il fatto che questa Navigazione di san Brandano si è diffusa in tutta la cristianità di quel tempo, come provano affreschi scoperti e identificati ai nostri giorni fino in Prussia, o anche testimonianze come quella di Rodolfo il Glabro (Raoul Glaber), che scrisse nell’XI secolo.
Dunque Brandano avrebbe sentito parlare di una “terra promessa” abitata da santi, al di là dell’oceano; sappiamo come questa intuizione dell’esistenza di una terra a occidente, oltre la vasta distesa dell’Atlantico, dovesse trovare conferma circa ottocento-novecento anni dopo. Brandano si mette in testa di lasciare il suo monastero per partire alla ricerca di quella terra beata; dopo essersi ritirato in montagna per quaranta giorni e avere costruito un vascello, s’imbarca con diciassette compagni; più volte approdano in isole, alcune deserte, altre abitate, dove sono bene accolti; un giorno i naviganti incontrano persino una torre che si eleva dal mare fino al di sopra delle nubi; ha la bianchezza del cristallo, la durezza del marmo, la stessa trasparenza dell’acqua. Un altro giorno, dopo essersi spinti sempre più lontano, i monaci scoprono un’isola che pare tutta di fuoco, circondata da un mare ribollente; credono di vedere fabbri feroci che si agitano in un antro che essi considerano come lo stesso inferno; vi muoiono due compagni di san Brandano. Infine un giorno incontrano la terra promessa dei santi, dove raccolgono frutti meravigliosi, pietre preziose; la navigazione dura sette anni, e si conclude con un felice ritorno al loro monastero.
Non è difficile riconoscere, in questo racconto, i due fenomeni che si potevano scoprire in una navigazione verso nord: la torre di marmo e di cristallo che si eleva nel mare doveva essere un iceberg o una banchisa; quanto all’ingresso dell’inferno, al mare ribollente, si tratta evidentemente di un vulcano; in altri termini, è probabile che la navigazione di san Brandano lo abbia portato fino all’Islanda. E questa ipotesi è confermata dalle antiche raccolte di tradizioni islandesi, che risalgono all’XI secolo e parlano di cristiani giunti nell’isola molto prima che essa fosse invasa dai normanni; il loro stanziamento sarebbe stato certo alla fine del VII secolo, e, se queste tradizioni non datano esplicitamente dal viaggio compiuto da san Brandano, comunque testimoniano – come la stessa esposizione scritta – di quella capacità di espansione, di quello spirito avventuroso che caratterizzano la religiosità irlandese, e che assumono volentieri l’andamento poetico proprio del racconto. D’altronde esiste un’altra fonte, un’opera scientifica dovuta all’irlandese Deicolo (Dicuil), De mensura orbis terrae, composta verso 1’825 sulla base di testimonianze di un monaco che nel corso del secolo VII o dell’VIII avrebbe creato provenendo dall’Islanda eremitaggi a nord delle isole Shetland (l’Ultima Tule degli antichi) e nelle isole Fàroèr.
Regine Pernoud,
I santi del medioevo, edizioni Rizzoli, Milano 1986, traduzione di Anna Marietti, pagg. 71-72