COSI’ MUORE UN IMPERATORE
IL VESCOVO DI PADOVA
Auspico che la breve biografia del Servo di Dio Carlo d’Austria, dal titolo, ” Così muore un Imperatore “, possa fare del bene ai lettori.
Dalla biografia resta confermato l’insegnamento del Vangelo, che ci ammonisce a disprezzare la gloria umana e le ricchezze terrene e ci esorta ad essere integralmente fedeli a Dio per meritarci il premio eterno del Cielo.
Benedico di cuore.
Padova, 19 febbraio 1958.
+ Fra GIROLAMO BORTIGNON
Vescovo di Padova
COSI’ MUORE UN IMPERATORE
CARLO, Imperatore d’Austria, Re d’Ungheria, di Boemia, ecc. nacque il 17 agosto 1887 a Persenbeug sul Danubio, primogenito dell’Arciduca Ottone d’Austria e di Maria Giuseppina nata Principessa di Sassonia. Fu battezzato il 19 agosto dal Vescovo Dr, Binder di San Polten.
Fin dall’età più tenera si manifestava nel piccolo Arciduca Carlo la nobiltà dell’animo. Come attestano tutti quelli che in quel tempo lo circondavano, era un bambino mansueto, prudente, molto pio. Mai una vera disubbidienza, mai una bugia. Assai presto ebbe l’idea chiara, e ben rigida, del dovere. Niente gli dava maggior piacere, anche nel gioco, di quello di procurare agli altri una gioia. Gran piacere aveva il pio fanciullo nel visitare i suoi prediletti santuari della Madonna Addolorata, Maria Taferi e Maria Schutz. Accadde una volta che, senza volerlo, per distrazione, danneggiasse un pochino un’immagine della Madonna nel parco di Wartholz. Il piccolo Arciduca non cessò, fino agli anni maturi, di compensare il danno raddoppiando a quell’immagine i suoi ossequi.
Giovinezza
Poniamo qui, in ordine cronologico, alcune date dimostranti il suo sviluppo religioso negli anni della giovinezza.
Nella primavera del 1896, la sua prima Confessione. La fece presso il suo primo maestro di religione, Padre Geggerle, Domenicano. 19 Novembre 1899, Prima Comunione in Wartholz (vedremo in seguito come, appena apparvero i decreti di San Pio X riguardanti l’età in cui si devono ammettere i fanciulli alla Santa Comunione, subito li osservò perfettamente coi propri figlioli).
Nel 1896 s’era ascritto alla Confraternita del Carmine e fu fedele fino alla morte nel portare lo scapolare.
8 Settembre 1900, Santa Cresima. Con questa fu coronata la sua educazione religiosa. L’educazione civile gli fu impartita parte in famiglia e parte nel ginnasio degli Scozzesi in Vienna, dove subì l’ultimo esame il 27 gennaio 1901. Per alcune materie prese parte a lezioni pubbliche. Seguirono studi militari e politici.
Il giovine ufficiale
In lui, giovine ufficiale, faceva bella mostra di sé un carattere lieto, da buon camerata, e, nello stesso tempo, amante del dovere, perfetto nel servizio e non meno attento a custodire la purezza dell’anima. Non fu raro il caso ch’egli abbandonasse una conversazione con maraviglia e pena dei suoi compagni.
E fece in modo da far loro intendere essere stato cagione di quel suo gesto qualche scherzo meno lodevole, che contraddiceva alla sua coscienza, ai suoi princìpi morali.
Mai, nemmeno come ufficiale, si vergognò di dar pubblico esempio d’esatto adempimento dei propri doveri religiosi.
Cattolico anche nella vita di famiglia
II 13 aprile 1911 fece la solenne promessa di futuro matrimonio alla Principessa Zita dei Borboni di Parma, nata il 9 maggio 1892, e il 21 ottobre del medesimo anno, in Schwarzau, celebrò le nozze. Chi li congiunse fu Monsignor Bisleti, più tardi Cardinale, che aveva ricevuto il mandato dal Sommo Pontefice S. Pio Decimo, di cui Carlo era grandemente devoto. Questo matrimonio risplende di bellissima luce, dando esempi di purezza, fede, amore alla prole, in un tempo quale è il nostro, in cui così spesso ci affligge veder la mancanza di tali virtù.
“Ora dobbiamo condurci l’un l’altro in ciclo”: Carlo compendiava, fin da quei primi tempi di vita coniugale, in queste poche parole i molti propositi che aveva fatto e che intendeva eseguire. E i due sposi conservarono, fino alla dolorosa morte dell’Imperatore, questa nobile unione di sentimenti.
I figlioli
Dio diede a Carlo la consolazione di veder, prima di morire, sette figliuoli: iI Principe ereditario Ottone, nato il 20 novembre 1912 in Reichenau; l’Arciduchessa Adelaide, nata il 3 gennaio 1914 in Hetzendorf. Seguono quattro Arciduchi: Roberto, nato 1’8 Febbraio 1915, in Hetzendorf; Felice, nato il 31 maggio 1916, in Vienna; Carlo Lodovico, nato il 10 marzo 1918, in Baden; e Rodolfo, nato il 5 settembre 1919 in Prangins (nella Svizzera);
finalmente l’Arciduchessa Carlotta nata nel medesimo luogo, il primo marzo 1921.
Due mesi dopo la morte del padre, venne alla luce (31 maggio 1922) l’Arciduchessa Elisabetta Carlotta, in Spagna, dove si era rifugiata la vedova dell’Imperatore.
I figlioli erano tutta la sua gioia, erano la sua breve ricreazione ogni sera, dopo le estenuanti sollecitudini e fatiche del governo. Per i suoi figlioli fece quella commovente preghiera nella sua ultima agonia: “Caro Salvatore, proteggi i nostri figlioli” – e designava ciascuno col proprio nome – “custodiscili nell’anima e nel corpo. Fa che muoiano prima di commettere un peccato mortale. Amen”.
Le sue devozioni in famiglia
Nella famiglia celebrava con grande solennità, in onore del Sacro Cuor di Gesù, il primo Venerdì d’ogni mese, né ometteva mai questa funzione. Conservò quest’uso anche nell’esilio.
Quanto all’età in cui ammettere i fanciulli alla prima Comunione, osservò perfettamente le norme date da San Pio Decimo. Erano giorni di gran festa anche per lui. Quando fece la Prima Comunione il suo primogenito, il Principe ereditario Ottone, 2 ottobre 1918, volle consacrare la famiglia al Sacro Cuore di Gesù. Per lui erano strettamente unite famiglia ed Eucaristia. Imitando il suo antenato Rodolfo d’Asburgo, onorava il Santissimo Sacramento in pubblico e in privato, in tutte le occasioni che gli si presentavano: così non solo, come da lui poteva aspettarsi, nel grande Congresso Eucaristico internazionale di Vienna, 15 settembre 1912, ma anche in seno alla sua stessa famiglia. Ovunque lo conducesse la sua vita di esili e di croci, in ogni nuova abitazione, la sua prima grande sollecitudine era sempre quella d’erigere quanto prima una cappella col Santissimo Sacramento. Rimase fedele fin alla morte anche alla sua speciale devozione a Maria Santissima Addolorata.
Doveri di Sovrano – Dolori di Sovrano
Possedeva a perfezione la gaiezza e giocondità della gioventù e il genuino buon umore dei viennesi; ma fu altresì serio e dolorosissimo il punto culminante, e poi la prematura fine della sua esistenza su questa terra. Nel breve giro di pochi anni è contenuta una grandezza tragica ed eroica.
L’uccisione dello zio Arciduca Francesco Ferdinando, accaduta in Sarajevo, fu cagione che l’Arciduca Carlo, il giorno 28 giugno 1914, fosse chiamato così presto, e così inaspettatamente, alla successione al trono.
Nella guerra mondiale, che, poco appresso, scoppiò, – ed egli non aveva avuto parte alcuna agli eventi che l’avevano preparata – si diede anzitutto a far visite con grande zelo e grande sacrificio di se stesso, da un fronte all’altro, da un corpo di truppa all’altro, sempre instancabile, incoraggiando i soldati, consolando, facendo giustizia e, per quanto gli era possibile, recando soccorso a singole persone ed a intere comunità.
In una di queste sue escursioni, il 10 novembre 1917, nell’Italia settentrionale, cadde nelle onde d’un torrente impetuoso e fu salvato da imminente pericolo della vita.
Quando, finalmente, 12 marzo 1916, gli fu affidato il comando militare del “Corpo Edelweiss” nel Tirolo, si propose questo ideale: essere il più coscienzioso dei comandanti di corpo. I posti più avanzati dei suoi uomini erano da lui visitati personalmente.
“Io devo interessarmi, diceva, di tutti i miei soldati, dove sono obbligati a combattere”.
Più tardi, al fronte orientale, la miseria, in cui erano caduti i profughi in Transilvania all’irrompere dei Rumeni, gli procurò sollecitudini così grandi, che n’ebbe a soffrire anche sei anni più tardi nei sogni febbrili della sua ultima infermità.
Morte di Francesco Giuseppe – Carlo Imperatore e Re
La sera del 21 novembre 1916 era inginocchiato presso la salma dell’estinto Imperatore Francesco Giuseppe e, stando in orazione, col volto tra le mani, ricevette l’eredità dei suoi padri, la responsabilità per la guerra e per la pace, per il bene dei suoi otto popoli e per la vita di tutte le centinaia di migliaia dei suoi soldati.
Il giorno appresso pubblicò un manifesto, nel quale promette solennemente ai suoi popoli d’essere un buon padre, e di corrispondere con fedeltà alla loro fedeltà : e dichiara apertamente d’avere un sincero desiderio di pace.
Il 30 dicembre 1916, in Budapest, dal Cardinale Primate d’Ungheria, è unto e coronato Re Apostolico di Ungheria. Lavora per la pace senza stancarsi mai.
II 9 gennaio 1917 proclama nuovamente il suo fermo proposito di pace con le parole: “Dio è il mio testimonio”.
Da questo momento è instancabile nel suo non mai interrotto lavoro per una pace giusta e onorata. L’Esortazione alla pace fatta dal Sommo Pontefice Benedetto XV il 24 dicembre 1916 era l’espressione di ciò che stava in fondo all’anima dell’Imperatore. Già il 12 di quello stesso mese era uscito da parte sua, in unione con la Germania, un manifesto di pace. Il 15 aprile 1917 – domenica in Albis – l’Imperatore Carlo fa solennemente il voto di edificare in Vienna una chiesa della Pace in onore della Regina della Pace.
Il primo agosto 1917 esce una pacifica mediazione del Papa, che avrebbe dovuto metter fine, immediatamente, alla guerra. Carlo l’accolse con gioia; gli altri, o troppo tardi o niente affatto.
Il 20 agosto 1917 l’Imperatore Carlo scrive una lettera di pace al Principe ereditario di Germania che la intende e accoglie molto bene. Dopo le inutili trattative dell’inverno 1917, nelle prime settimane del 1918, l’Imperatore trova una via per intendersi direttamente col Presidente americano Wilson.
La via del calvario
I nemici di Carlo, uomini del tutto senza coscienza, ottennero, con arti dìaboliche, che Carlo, a cagione degli sforzi da lui fatti per la pace, avesse a comparire davanti a tutto il mondo come uomo o debole o mentitore (13 aprile 1918), e che si vedesse posto davanti a decisioni per lui penosissime.
Ne andava di mezzo anche il bene dei suoi popoli. Ma ecco che Carlo, con eroico disinteresse, espone a oltraggiosi abusi il proprio onore, anziché permettere che quel bene abbia a correre alcun pericolo. Da quel momento la sua salute è scossa: il cuore principalmente è assalito: ma la via ch’egli batte è luminosa, e incrollabile la sua fedeltà al dovere.
La pace interna
Come egli ha voluto la pace con gli altri Stati, così ha creato anche entro il suo Stato la pace tra i vari popoli e la pace sociale.
Il 2 luglio 1917, giorno onomastico del Principe ereditario Ottone, colse quest’occasione per fare, di un’amnistia, ch’era stata assai male intesa e coperta d’oltraggi, un grande atto di perdono, al fine di “condurre gli erranti alla casa del padre per la mano d’un bambino”.
Conformandosi agl’insegnamenti della Chiesa, il 4 novembre, giorno del Santo del suo Nome, 1917, nonostante l’opposizione di molti, proibì il duello tra gli ufficiali.
Mai non cessa di trattare con gli uomini politici di tutti i suoi popoli e di tutti i partiti, perché vuole portare dappertutto la giustizia.
Il 16 ottobre 1918 pubblica, con un suo manifesto, la sua volontà di eseguire il disegno, da tanto tempo vagheggiato, di far dell’Austria una alleanza di popoli liberi.
Carlo ha una profonda comprensione delle masse proletarie, dei loro dolori: non passa giorno che non si occupi di ciò ch’è necessario per somministrare loro i mezzi di nutrimento e altre cose necessarie alla vita. Fa servire i cavalli di corte per portare carbone ai poveri. Porta aiuto, per quanto gli è possibile, dando ordini opportuni. Precede con l’esempio delle proprie elemosine. In ogni cosa si mostra verissimo padre dei suoi popoli.
Il 27 marzo 1917 visita, pieno di profondissima compassione, i territori della Boemia, affamata, poverissima.
Alla sua mensa domina, da molto tempo, una grande semplicità. Ciò non di meno, ode le grida dei suoi nemici che, senza averne egli dato motivo, lo proclamano un bevitore.
Dall’aprile 1918 in poi va sempre crescendo l’imperversare degli oltraggi e delle calunnie. Anche alla sua nobile consorte si fanno i più stolti e inverosimili rimproveri.
Non si può dubitare; tanti ne sono i segni, che tutto questo era anche opera dei framassoni, i quali spargevano questi terribili semi per coglierne poi il frutto: far scomparire quel paio di dominanti cattolici, e così far crollare il cattolico loro regno.
Sempre nuove pene
I mesi d’ottobre e novembre dell’anno 1918 segnano la catastrofe del suo impero. Il 28 e 29 ottobre si ribellano apertamente Praga e Zagabria. Anche Budapest è già in piena rivolta.
Di più, un’amara agonia, per un giorno intero, tormenta il cuore ai due sposi imperiali a cagione dei figlioli, che si trovano proprio in mezzo ai luoghi ove quella rivolta imperversa.
Il 3 novembre 1918 Carlo Imperatore deve conchiudere un doloroso armistizio. Nessuno dei politici desiderosi della pace vuoi dividere con lui la responsabilità.
Senza rinunciare al trono si ritira dal governo
Abbandonato da tutti, il giorno 11 novembre, è costretto a ritirarsi, per il momento, dagli affari di governo: ma espressamente ricusa di rinunciare al trono, perché considera questo passo come contrario al suo dovere.
Ponendo la sua fiducia nel proprio popolo, si ritira da Schonbrunn a Eckartsau.
Il giorno seguente, 12 novembre 1918, si proclama in Vienna la Repubblica.
Nello stesso giorno, i Tirolesi mandano all’Imperatore Carlo un anello come segno di fedeltà: anello ch’egli portò poi seco continuamente; e lo volle con sé nella tomba.
Gli fu intimato di rinunciare ai suoi diritti di sovrano, altrimenti avrebbe dovuto perdere tutte le sostanze della famiglia. Rispose: “Non sarà mai che, per amor del danaro, rinunci a quei diritti che Dio mi ha imposto come doveri”.
Poiché, da un’espressa dichiarazione dell’organo ufficiale dei nuovi possessori del governo, venne a sapere che da quel momento egli era considerato come escluso dalla protezione della legge, e, di più, gli fu annunciata la sua espulsione, il giorno 23 marzo 1919, costretto dalla necessità, abbandonò, con la sua famiglia, Eckartsau e l’Austria, – oh dolorosa separazione! – e, il giorno seguente si trovava in Svizzera, ove aveva trasportato la sua dimora.
Il 3 aprile 1919, il Governo austriaco annunciò l’esilio e la perdita dei beni dell’Imperatore e di tutta la sua casa.
Nella Svizzera
Nella Svizzera i framassoni fecero tre tentativi per avvicinarsi a lui, offrendogli la corona de’ suoi padri, ove facesse con loro dei compromessi. Ma Carlo li respinse con le parole: “Quanto a questo, io, come principe cattolico, non ho una parola da dire”. E parlò così, benché vedesse chiaro ciò che poi ebbe a dire a coloro che lo circondavano: “Ora ogni mia cosa avrà cattiva riuscita”. Ma soggiunse: “Tuttavia non sarà mai ch’io accetti dal diavolo ciò che mi ha dato Iddio”.
Il giorno 10 settembre 1919 l’Austria, la sua patria, riceve, nonostante la rivoluzione, patti di pace durissimi, e li deve accettare. Carlo sentì profondo dolore al vedere la parte cattolica del popolo della sua patria prendere così poca parte a quegli avvenimenti, mostrare così poco coraggio nel confessare e proclamare i propri principi fondamentali, intendere così poco il contegno che pur doveva sapere esser suo dovere di tenere. “Come sono vili tante volte i cattolici!” (parole da lui dette discorrendo col P. Mauro Carnot O. S. B.).
Nuovi dolori
Anche nell’esilio l’Imperatore Carlo trova nuovi e molteplici dolori. Si abusa contro di lui d’un documento che si fa comparire come “una falsa parola d’onore” (14 febbraio 1920). La letteratura dei ricordi della passata guerra, la stampa di varie parti del mondo abbondano di oltraggi e di calunnie contro il suo nome.
Carlo tollera tutto con tranquillo silenzio. Davanti ai nemici che lo coprono di calunnie, tace. Abbandonato da tutti, resta continuamente in contatto col Vaticano. Benedetto XV diceva assai volentieri: “Carlo e Zita sono i miei più cari figliuoli”.
Il 24 marzo 1921 l’Imperatore Carlo abbandona segretamente la Svizzera, e tutto solo, sconosciuto, viaggia fino a Vienna. Là passa l’ultima notte (25 marzo 1922) sopra suolo viennese, entra in Ungheria per ripristinarvi l’ordine legittimo.
Ma il suo ammiraglio e luogotenente gli nega la restituzione dell’autorità regia (27 marzo 1921). È accolto dal popolo con giubilanti acclamazioni, ma, abbandonato dalle autorità, coperto di scherno dalla stampa nemica, comincia il viaggio di ritorno in Svizzera. Attraversando l’Austria, tollera, in Bruck sulla Mur, 5 aprile 1921, gli oltraggi del popolaccio aizzato contro di lui.
Il 6 aprile, sempre perseverando nella sua fiducia in Dio, rientra in Svizzera. Qui l’aspettavano altre e più dure condizioni, per le quali gli veniva accordato un asilo, e che in Ungheria non gli erano state comunicate.
Ne risulta una situazione, che, più tardi, sarà ritenuta, ingiustamente, come una mancanza alla parola data. Il mondo nemico, – stimolato dal lavorio incessante dei framassoni contro tutto quello che è cattolico, – approfitta d’ogni occasione per oscurare, diminuire l’onore dovuto a ciò ch’è affatto chiaro e coscienzioso.
Dopo una breve sosta in Hertenstein presso il lago detto dei Quattro Cantoni, il giorno 13 ottobre 1921, i suoi fedeli in Ungheria lo invitano ancora una volta, con insistenza, a recarsi da loro.
Proprio in quel momento Carlo non pensava all’Ungheria: tuttavia, riflettendo al giuramento della sua incoronazione, non esita un istante, e, insieme con la valorosa sua consorte, intraprende, il 20 ottobre, quell’ardito volo verso l’Ungheria occidentale.
In Ungheria per l’ultima volta
In Budaoers, già vicino alla capitale, vengono incontro al Re truppe armate dell’Amministratore del regno e, a tradimento, lo privano della libertà, 24 ottobre 1921.
La regia Coppia viene tradotta nella abbazia di Tihany, 26 ottobre 1921, ove ha da provare trattamenti da carcerati e amare umiliazioni, ch’essa sostiene con eroica tranquillità.
Anche in questa situazione il Re incoronato, non curando le minacce e il violento esilio, considerando solamente il suo dovere di sovrano e la fedeltà ai suoi princìpi, ricusa di rinunciare al trono, 28 ottobre 1921. Così egli opera, perché sa assai bene che non gli è lecito rinunciare al trono, essendo ciò una cosa contraria ai suoi legittimi diritti e agli obblighi di Difensore della Chiesa.
Anziché far questo, accetta d’esser dato in mano agli Inglesi, 1 novembre 1921, e così andare incontro ad un incertissimo avvenire d’esilio.
Viaggia verso il luogo dell’esilio
Mentre veniva strappato alla patria, trovandosi già a bordo della nave che doveva portarlo in esilio, ecco il Nunzio Schioppa, che, per incarico del Sommo Pontefice Benedetto XV, ostentatamente, l’onora d’una sua visita. ” Queste sono stature di grandezza biblica “, diceva egli: sì forte fu l’impressione che gli fece la perfetta conformità di Carlo e della sua Consorte alla volontà di Dio, anche nei più opprimenti dolori.
Sulla via dell’esilio lungo il Danubio, i Dardanelli, il Mare Mediterraneo, il pessimo tempo è cagione per cui Carlo d’Austria con sommo dolore, debba vedersi privo della Santa Messa e della Santa Comunione quotidiana.
Del resto, non si ode da lui un lamento, anzi nemmeno un desiderio.
Solo due volte venne a bordo un Sacerdote cattolico: il 5 novembre a Galatz e il 17 novembre a Gibilterra.
II giorno 11 novembre 1921, il capitano disse che, a suo parere, sarebbe stato luogo fissato per l’esilio di Carlo l’isola dell’Ascensione, luogo di clima micidiale.
“Ahimè!” disse, in tono di lamento Carlo Imperatore, “io non potrò più rivedere i miei figli”. E sulla sua fronte apparvero, quasi bianche perle, alcune stille di sudore.
Ma subito cambiò tono, e fermamente aggiunse:
Se il buon Dio vuole avere anche questo sacrificio, anche questo io glielo farò”.
Dopo pochi istanti, sorridendo, aggiunse: “Perché ho da affliggermi per questo? Per quanto gli uomini si adoperino per trascinarmi ai dolori, alle pene, mi porteranno poi sempre, e unicamente, a quel luogo che il buon Dio ha determinato per me”.
Funchal
II 19 novembre 1921, Carlo e Zita approdavano a Funchal in Madera: il Vescovo del luogo, per incarico del Papa, viene loro incontro con tutti i riguardi.
L’Imperatore Carlo ebbe a provare una grande gioia nell’intimo del suo cuore, vedendo come immediatamente si erigeva entro la sua abitazione una cappella, ove, nella dura sorte del proprio esilio, solo poteva cercare e trovare il più caro dei sollievi.
Gli abitanti dell’isola, vedendo quella sua giovialità, quella pace gioconda e costante nel portare la sua croce, quella continua unione con Dio, non tardarono ad essere infiammati di simpatia verso di lui. L’Imperatore era messo a ben dure prove: uno dei figlioli da lui lasciati nella lontana Svizzera, si era ammalato, – la sua consorte, che in quel tempo si aspettava nuove gioie materne, aveva dovuto far con lui quel viaggio pieno di strapazzi, – e quei pochi mezzi, che ancor restavano dopo la rapina fatta dei suoi beni, andavano scomparendo.
La troppo grande mancanza di mezzi lo costringe ad abbandonare la città di Funchal e trasferirsi al monte sopra la città. Era il 18 febbraio 1922, stagione, ahimè! poco propizia per quel clima nebbioso e, in primavera, malsano.
L’Imperatrice Zita era già tornata, con sei figlioli, il 2 di quel mese. Il 2 marzo venne anche il settimo, bell’e guarito.
La fine
II 14 marzo 1922 Carlo Imperatore si ammala: si tratta di cosa da poco.
Il 27 il suo stato peggiora, a cagione di una infiammazione dei polmoni, e riceve il Sacramento della Estrema Unzione. Volle fosse presente Ottone, il primogenito, perché voleva dargli un esempio. “Affinché egli sappia, disse, in qual modo dovrà diportarsi un giorno, come Imperatore e come vero cattolico “.
In tutta la sua vita Carlo d’Austria aveva sempre e prontamente perdonato tutti gli oltraggi e tutti i torti. Nella confessione generale di tutta la vita, che ora vuol fare, dichiara nuovamente di voler perdonare a tutti i nemici e avversari; e nello stesso tempo vuole accentuare la sua ferma volontà di non lasciar mai i diritti e i doveri che erano stati dati alla sua persona.
“Devo tanto patire, affinché i miei popoli abbiano a ritrovarsi nuovamente uniti”. Quest’espressione ci fa conoscere con quali intenzioni d’amor di patria e di fedeltà egli offriva a Dio i suoi dolori.
Nella sua infermità egli conserva un’esemplare pazienza; nella morte, una piena rassegnazione alla volontà di Dio.
Gettano viva luce sopra tutta la sua vita le parole semplici, ma dense di significato, da lui proferite la notte della sua morte: “Tutti i miei sforzi tendono sempre a questo fine, di conoscere in tutte le cose la volontà di Dio più chiaramente che sia possibile, ed eseguirla con la maggior possibile perfezione”.
Così anche poco prima della morte, conoscendo chiaramente ch’essa si avvicinava, potè dire: “Sia fatta la Tua volontà!”.
Il giorno della sua morte, primo d’aprile 1922, aveva ricevuto la mattina, come soleva ogni giorno, la Santa Comunione. A mezzogiorno, pochi minuti prima di spirare, sentì un vivo desiderio di ricevere ancora una volta il Corpo del Signore, che gli fu amministrato come Viatico.
Tra le braccia della cara Consorte, alla presenza del Santissimo Sacramento, in intima orazione, si spense. Dando l’ultimo respiro, aveva pronunciato ancor una volta il Nome di Gesù.
II giorno 5 aprile, la sua salma fu collocata nel santuario, meta di pellegrinaggi, di Nassa Senhora do Monte (Nostra Signora del Monte). Il Vescovo e il popolo di Funchal custodiscono i resti mortali di Carlo d’Austria, come quelli d’una persona, la cui memoria è in venerazione.
L’Eccellentissimo Vescovo di Funchal, trovandosi in Roma con un Sacerdote religioso austriaco, ebbe a dire : “Nessuna missione ha concorso così efficacemente a ravvivare la fede nella mia diocesi quanto l’esempio che le diede il suo Imperatore nella sua infermità e nella sua morte”.