Un saldo punto di riferimento spirituale e dottrinale
FERDINAND POSWICK – Vice-Postulatore della Causa
Joseph-Aloysius Marmion nacque a Dublino da padre irlandese, William Marmion, e da madre francese, Herminie Cordier, il 1° aprile 1858. Tre delle sue sorelle diventeranno religiose presso le Suore della Misericordia. Considerato dai genitori come un dono di Dio, dopo la morte prematura di altri due fratelli, Joseph «viene promesso a Dio». Entra nel Seminario diocesano di Dublino all’età di 16 anni (nel 1874) e finirà brillantemente i suoi studi di teologia al Collegio di Propaganda Fide a Roma. È ordinato sacerdote nella chiesa di Sant’Agata dei Goti, il 16 giugno 1881.
Egli sognava di essere monaco-missionario in Australia, ma rimane affascinato dall’atmosfera liturgica della «neonata» Abbazia di Maredsous in Belgio (fondata dai fratelli Wolter, di Beuron, nel 1872) dove era passato a salutare un compagno di studi, tornando da Roma nel 1881. Voleva entrare in questo monastero, ma il suo Vescovo gli chiede di aspettare e lo nomina vicario a Dundrun, poi professore al Seminario Maggiore di Clonliffe (18821886). Cappellano di un convento di Suore Redentoriste e cappellano presso una prigione femminile, impara a guidare le anime, a confessare, a consigliare, e perfino, ad aiutare le moribonde. A metà novembre dell’86, ottiene dal Vescovo il permesso di partire per farsi monaco; si stacca così volontariamente da una carriera ecclesiastica che si annunciava promettente. A Maredsous viene accolto da Dom Placido Wolter, primo Abate di questo monastero ancora in costruzione. Il suo noviziato, vissuto sotto la guida austera di Dom Benoît D’Hondt, Maestro dei novizi severo e rigido, e con un bel gruppo di novizi giovani (mentre Marmion aveva già quasi 30 anni), sarà tanto più arduo per il fatto che egli si trova a cambiare abitudini, cultura, lingua. Ma dato che affermava di essere entrato in monastero per cercarvi l’ubbidienza, non può fare a meno di stringere i denti e di lasciarsi formare alla disciplina monastica, alla vita fraterna e alla preghiera corale fino alla professione solenne, emessa il 10 febbraio 1891. Da allora egli aiuta il Maestro dei novizi, dà lezioni nel Collegio, e soprattutto comincia a predicare con successo quando gli è permesso di andare in aiuto al clero nelle parrocchie vicine a Maredsous.
La sua prima grande ubbidienza, egli la riceve quando è nominato a far parte del gruppetto di monaci che devono fondare l’Abbazia del Mont-César a Lovanio. Anche se questa separazione è uno strazio per lui, egli vi si dona completamente, in nome dell’ubbidienza. Presto si vede affidato il ruolo di Priore, accanto al Padre Abate de Kerchove, nonché di responsabile spirituale e di professore di tutti i giovani monaci che si recano a Lovanio per studiare filosofia e teologia. È lì che si dedica a una fitta predicazione di ritiri, in Belgio e in Gran Bretagna, e nello stesso tempo a un gran numero di direzioni spirituali (soprattutto presso comunità di Carmelitane). Diventerà presto confessore del Vescovo Mons. Joseph Mercier, il futuro Cardinale. Columba Marmion avrà pure un’intensa corrispondenza di direzione spirituale. Egli rappresenta anche un punto di riferimento significativo presso alcune facoltà ed istituti dell’Università di Lovanio, dove viene consultato per la sua autorevolezza.
In questo periodo, l’Abbazia di Maredsous è sotto il governo di Dom Hildebrand de Hemptine, suo secondo Abate, che diventerà nel 1893, su domanda di Leone XIII, il primo Primate della Confederazione benedetta. Per le frequenti permanenze a Roma si finirà poi col richiedere la sua sostituzione come Abate. E Dom Columba Marmion viene eletto terzo Abate di Maredsous il 28 settembre 1909 e benedetto il 3 ottobre. Egli si trova dunque a capo di una comunità di più di 100 monaci, con una Suola di Umanesimo, una Suola di Arti applicate, una grande fattoria e una fama consolidata nelle ricerche e negli studi sulle origini della fede, con la «Revue Bénédictine» in particolare, e con varie altre pubblicazioni.
Queste molteplici attività locali costringeranno Columba Marmion, nonostante il suo zelo missionario, a rinunciare all’offerta avanzata dal Governo Belga a Maredsous di aprire una missione nel Katanga.
La cura della comunità non impedisce tuttavia a Dom Marmion di portare avanti sia il suo intenso apostolato con la predicazione di ritiri quanto le numerose e regolari direzioni spirituali. Non c’è da stupirsi dunque che gli si chieda di aiutare i monaci anglicani di Caldey desiderosi di diventare cattolici e di assicurare spiritualmente e canonicamente questa migrazione. La grande prova dell’Abate Marmion (che in questo periodo ha 56 anni e accusa diversi problemi di salute) sarà la guerra del ’14-’18. La sua decisione di mettere i giovani monaci al riparo in Irlanda, in modo che possano proseguire tranquillamente nella loro formazione, provocherà gravosi impegni, viaggi pericolosi, preoccupazioni e incomprensioni fra le due generazioni di una comunità scossa e divisa dalla guerra. Nel 1920 fu necessario creare la Congregazione belga dell’Annunciazione (Maredsous, Mont-César, St-Andié de Zevenkerken). Dom Marmion è considerato inoltre come un grande Abate e un punto di riferimento spirituale e dottrinale.
Quando muore, durante un’epidemia d’influenza, il 30 gennaio 1923 alle 10 di sera, la sua fama di santità si è già affermata presso numerosi contemporanei. Un nuovo monastero prende il suo nome già nel 1933: Marmion Abbey (U.S.A.).
Per tutta una generazione di cattolici, ma più particolarmente di sacerdoti, religiosi e religiose, Dom Columba Marmion è stato un maestro di vita spirituale. Riportando i cattolici alle fonti bibliche (soprattutto a s. Paolo), e liturgiche della loro fede, li ha resi coscienti realmente della loro vita di figli di Dio, animati dallo Spirito, umili e semplici nel ricorrere alla misericordia e all’amore del Padre. Questa visione si accompagna a un grande senso della partecipazione al Corpo di Cristo nell’Eucaristia e a una forte pietà mariana che chiede alla Madre di Gesù di formare Cristo in tutti coloro che a lei ricorrono. Oggi la Chiesa attira l’attenzione di tutti i fedeli sulla fecondità spirituale della dottrina di Columba Marmion.
Imitazione di Gesù Cristo e anelito alla santità
NICOLAS DAYEZ – VII Abate di Maredsous
«Per Dio, la grandezza dei santi si misura sulla somiglianza che hanno con suo Figlio Gesù» (CDM 2,6,2; p. 406). Tutto il concetto che Dom Marmion aveva della santità si trova in questa frase. La santità si vede sempre e prima di tutto dal punto di vista di Dio; non si concepisce come avulsa da un rapporto con Cristo, di cui bisogna riprodurre i tratti. Se si deve avere una misura della santità, questa è la misura stessa della somiglianza con Cristo. Prima conseguenza da trarne: la santità non è riservata ad un’élite. Essa deve esser proposta a tutti i battezzati, senza eccezione. «Dobbiamo aspirare vivamente a far parte di questa società beata, nella quale Dio stesso trova le sue compiacenze: questo è per noi un motivo per non accontentarci di una perfezione mediocre, ma per puntare continuamente a rispondere con maggiore pienezza alle aspettative di Dio» (CDM 2, 20, 1; p. 608-609). Altra conseguenza: non bisogna confondere santità e perfezione. La santità non si colloca al livello di un certo numero di cose da fare, di pratiche da rispettare, di penitenze da imporsi. Dom Marmion fuggiva come la poste coloro che volevano essere loro stessi architetti della loro santità. Qui c’è un solo modello, un unico «ideale»: Cristo. «Tutta la santità consisterà allora nel ricevere, da Cristo e mediante Cristo… la vita divina; nel custodirla, nell’accrescerla senza tregua,… mediante un’unione sempre più stretta con Colui che ne è la fonte» (CVA 1,1,1; p. 42). Nella santità, c’è dunque posto per la debolezza, quella dell’uomo peccatore che si sa redento da Cristo. «Non è la nostra perfezione che può impressionare Dio, Lui che è attorniato di miriadi di angeli. No, è la nostra miseria, la nostra indegnità riconosciuta ad attirare la Sua misericordia… Lei non è mai così cara a Dio,… non le date così tanta gloria, che quando prendete pienamente coscienza della vostra miseria e della vostra indegnità» (Lettres anglaises, 1, 21, 13; p. 1143).
Dom Marmion ha previsto l’obiezione avanzata da coloro che trovano questo troppo semplice. «Noi siamo troppo spesso come il lebbroso venuto per consultare il profeta e sollecitare la sua guarigione; questi ha corso il rischio di privarsene perché trovava il rimedio troppo semplice. È il caso di molti che intraprendono la vita spirituale… talmente attaccati al loro modo di vedere che rimangono scandalizzati dalla semplicità del piano divino… Quelle anime che non hanno capito il mistero di Cristo si perdono nella molteplicità dei particolari e si stancano spesso in una fatica senza gioia… Tutto ciò che la nostra ingegnosità umana può creare per la nostra vita interiore non serve a nulla se non basiamo il nostro edificio su Cristo» (CVA 1,2, inizio; p. 58-59). E come in ogni cosa quando si tratta del Vangelo, l’amore ha sempre l’ultima parola: «L’ideale al quale dobbiamo puntare è il seguente: l’integrità di un amore puro; non lo scrupolo né la preoccupazione di non sbagliare, né il desiderio di poter dire a se stessi: “che non si possa mai trovarmi in fallo”: c’è della superbia in questo. È dal cuore che scaturisce la vita interiore; e se voi la possedete, cercherete di assolvere, per amore, tutte le vostre incombenze, con la più alta purezza d’intenzione e la maggiore cura possibile» (CIM 2,7,5; p. 737-738).
Dom Marmion ha così proposto la migliore scuola di santità: quella del Vangelo, di san Paolo. Non ha fatto altro che aprire a chiunque le porte di questa scuola. Ha soprattutto insegnato con l’esempio. La sua beatificazione lo riconosce pubblicamente.
Scrittore fecondo delle «cose» di Dio
MARK TIERNEY
Durante tutta la sua vita, Colomba Marmion ha esercitato il suo apostolato sacerdotale e monastico tanto con la penna, che con la predicazione. Era convinto di avere la vocazione di portare Dio alla gente e di condurre la gente a Dio. La sua fama di autore spirituale è ampiamente fondata sulla sua famosa trilogia: Cristo, vita dell’anima (1917), Cristo nei suoi misteri (1919), Cristo ideale del monaco (1922). Queste opere furono composte sulla base delle note prese al volo da persone che partecipavano ai ritiri o alle sue conferenze spirituali nel corso di tanti anni. Si può essere certi che si tratti effettivamente delle sue parole (piisissima verba) nella misura in cui questi tre libri sono stati riletti e corretti per la stampa da Marmion stesso. Nella recensione che fece di Cristo, vita dell’anima, il R. P. Doncoeur, s.j. osserva che «il mondo cattolico ha dato a quest’opera un’accoglienza unanime». Durante un’udienza privata, il papa Benedetto XV disse a Marmion, indicandogli questo stesso volume che teneva a portata di mano: «Questo mi aiuta molto nella mia vita spirituale». E poco tempo dopo, ricevendo Mons. Szeptickij, Arcivescovo di Lemberg, lo stesso pontefice gli raccomanda la lettura di Cristo, vita dell’anima, aggiungendo: «Leggete questo, è la pura dottrina della Chiesa». Si è detto che gli scritti di Marmion abbiano contribuito a formare varie generazioni di sacerdoti, religiosi e religiose, soprattutto tra 1920 e 1960. Ed è vero che egli ha esercitato una grande influenza attraverso i suoi libri, tanto in vita che dopo la morte, sopraggiunta nel 1923. Molti dei Padri del Concilio Vaticano II erano stati spiritualmente formati con la lettura di Dom Marmion. Il maggiore contributo di Dom Marmion alla storia della spiritualità fu la sua visione del ruolo di Cristo nel disegno di Dio. Ha dato ai suoi lettori tutta una Cristologia, ponendo Cristo al centro del suo insegnamento. Il segreto della profonda influenza che esercitava sulle anime era l’intimità della sua relazione con Cristo. Questi intimità proveniva da una meravigliosa sintesi tra Sacra Scrittura, Liturgia e il meglio della tradizione monastica. Egli riassumeva il suo modo d’insegnare dicendo: «Il mio obiettivo è quello di fissare l’attenzione ed il cuore dei miei lettori su Gesù Cristo e sulla Sua Parola. Egli è l’Alfa e l’Omega di tutta la santità, e la sua Parola è il seme divino da dove germoglia ogni santità… Ho la convinzione che se io potessi trasmettere il messaggio di Dio proprio con le Sue parole, in armonia con la divina semplicità del suo piano, si otterrebbero gli stessi effetti prodotti da Lui stesso e, debbo dire che le mie speranze non sono state deluse». Marmion fu uno dei primi autori spirituali dei tempi moderni a sottolineare le ricchezze spirituali contenute nei misteri di Cristo che la Chiesa celebra d’anno in anno. Era sua premura aiutare la gente comune a comprendere e a celebrare con fervore le grandi feste liturgiche. Egli fu anche uno dei primi scrittori a usare l’espressione di «movimento liturgico», in occasione di un Convegno organizzato a Maredsous nel 1912, con l’obiettivo di incoraggiare la partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia ecclesiale. Marmion non ci parla dall’alto di una torre d’avorio, né come qualcuno dei tempi passati. Egli ci parla in un linguaggio del tutto attuale, e ci comunica un messaggio per il giorno d’oggi. Mentre la sua Trilogia è tutta ricolma della sapienza secolare della vita monastica, le sue parole inducono i nostri cuori e le nostre menti a volgersi alle cose di Dio, anche in questo XXI secolo.
La spiritualità delle sue opere nate «nella» e «dalla» preghiera
Non è facile classificare la spiritualità di Dom Marmion. I suoi libri non sono «libri di devozione»; non sono neanche della pura «teologia». Si è tentato di dire che il miglior modo di assaporare le sue opere era di «leggere e meditare su esse tanto col cuore che con la mente». Marmion sapeva, grazie alla sua lunga esperienza di relazioni umane, che la gente è affamata di spiritualità. I suoi scritti erano destinati a dare un nutrimento solido per la vita spirituale. Da giovane sacerdote, aveva prestato servizio come cappellano, presso la prigione di Mountjoy a Dublino. Fra i carcerati, uomini e donne, c’erano dei criminali incalliti. Stabilì con loro un buon rapporto e scoprì quanto erano stati delusi dalla vita. Era un’epoca in cui la gente era spesso incarcerata a vita e senza nessuna speranza di ritrovare la libertà. Nonostante ciò, Marmion riuscì a conquistarli e in certi casi a infondere in loro speranza e consolazione, nonché la fede nella misericordia del Dio d’amore, che li raggiungeva proprio dentro la situazione che stavano vivendo. Più tardi, egli doveva scoprire simili disperazioni in altri generi di vita. Questo tipo di esperienza condusse Marmion a proporre una teologia della speranza, convinto com’era che ogni uomo ed ogni donna sono chiamati ad un destino migliore di quello che può offrire questo mondo. Marmion era nato nel 1858. Per nascita e per educazione, era un frutto autentico della seconda metà del ‘900 a Dublino, zona di devozione popolare e di pratica religiosa di tradizione romana: quarant’ore, missioni parrocchiali, novene, giubilei, pellegrinaggi, ecc. Tre devozioni predominavano allora particolarmente: quella al Sacro Cuore, quella all’Eucaristia e quella alla Vergine Maria. (I Vescovi irlandesi avevano consacrato l’Irlanda al Sacro Cuore nel 1873). È interessante notare che nelle conversazioni dei ritiri (non pubblicate), Marmion ricorda come sua madre soleva leggere in famiglia dei brani di un libro intitolato L’imitation du Sacré-Coeur, composto dal Padre Arnaud, s.j.. Egli approfondirà poi la sua comprensione del ruolo che il Sacro Cuore deve avere nella vita dei fedeli e darà una sintesi del suo pensiero su questo argomento in Le Christ dans ses mystères (ch. 7: Le Sacrifice eucharistique). Se si cercassero le principali fonti della dottrina di Marmion, bisognerebbe cominciare con le epistole di San Paolo, nonché con il Vangelo e le epistole di San Giovanni. Egli cita molto spesso il brano di S. Giovanni: «Se qualcuno mi ama, il Padre mio lo amerà e faremo in lui la nostra dimora» (Gv 14, 23). In San Paolo, trova la dottrina dell’adozione divina e ne farà il tema centrale del suo insegnamento. Si potrebbe addirittura chiamare Marmion il Dottore della divina adozione, da quanto ritorna continuamente su questo tema: «Le meraviglie dell’adozione divina sono così grandi che il linguaggio umano non può venirne a capo. È una cosa meravigliosa che Dio possa adottarci come figli suoi» (Le Christ dans ses mystères). Tutta la vita, Marmion ha praticato la Lectio divina, una lettura orante di autori spirituali e di testi teologici. Egli pone san Tommaso d’Aquino al vertice del suo elenco di citazioni, subito dopo la Bibbia e la Regola di san Benedetto. Aveva studiato la Summa theologica di san Tommaso d’Aquino con il professore Satolli, durante il soggiorno di studi a Roma e non cesserà di tornare a questa fonte come ad una guida sicura nel pensiero cattolico. I suoi autori spirituali preferiti erano Mons. Gay, san Francesco di Sales e santa Teresa d’Avila. Da monaco benedettino, Marmion ha consacrato gran parte del suo tempo al coro, per prender parte all’Ufficio Divino. Non c’è dubbio che la vita interiore, come il suo insegnamento, debbono molto alla liturgia. Egli amava descrivere l’Ufficio Divino come «un vero granaio preparato da Dio stesso… quando ci impegniamo fedelmente nella celebrazione dell’Ufficio Divino, lo Spirito Santo viene a darci gradatamente una profonda conoscenza della perfezione di Dio e dei misteri di Cristo».
Tutti gli scritti di Marmion sono nati nella preghiera e dalla preghiera. Non possiamo trovare una guida più sicura per condurci al cuore delle realtà spirituali e per portarci in seno alla vita trinitaria del Dio d’amore. Come diceva il Cardinale Mercier: «Egli ci aiuta a toccare Dio».
M. T.
L’iter della causa di beatificazione
OLIVIER RAQUEZ – Postulatore
Morendo il 30 gennaio 1923, l’Abate Columba Marmion lasciava il ricordo d’un grande monaco impegnato nella ricerca di Dio. Evidente il suo zelo per diffondere questo amore nel cuore dei suoi monaci e di quanti egli poteva avvicinare. Pertanto, coscienti di questa grande meraviglia compiuta da Dio in questo suo servitore, molti di quanti lo avevano avvicinato, ne auspicarono, sin dal momento della sua morte, una pubblica riconoscenza e canonizzazione; tra loro anche Giovanni Battista Montini futuro Papa Paolo VI. La Causa viene ufficialmente aperta nel 1955 con la nomina, fatta dall’Abate di Maredsous, di un Postulatore e tre Vice-Postulatori. Lungo gli anni 57- 61, il processo diocesano interroga 45 testimoni sulla fama di santità del Servo di Dio, pubblicandone pure un Summarium di 563 pagine nel 1981. Dal 57 al 60, si raccolgono tutti i suoi scritti ed essi sono portati a Roma per essere esaminati da teologi. Nel 1973, ne viene pubblicato una descrizione e valutazione chiamata «Positio super Scriptis» del tutto positiva. Nel 1981, un altro volume di 171 pagine presentò le «lettere postulatorie» nelle quali numerose Autorità religiose chiedevano che il processo sia portato al suo termine. All’inizio del 1983, numerose norme della procedura della Cause di canonizzazione sono state riformate. Una delle sue principali nuove esigenze era la preparazione di una «Positio super Vita et Virtutibus» dei Servi di Dio, redatta secondo il metodo di una ricerca scientifica basata su documenti. Molti di questi documenti erano stati raccolti antecedentemente ma bisognava completarli e presentarne una sintesi. Occorreva trovare competenze per compiere questo ulteriore grosso lavoro. Nel 1994 fu pubblicata una biografia critica-storica di Dom Marmion. Essa costituì il l volume di una «Positio Super Virtutibus et Fama Sanctitatis», mentre un secondo volume vi aggiungeva altri documenti informativi. L’esame delle Virtù e della Fama di Santità d’un Servitore di Dio costituisce la base centrale di una sua eventuale beatificazione. Ma, di per sé, non basta. Le Norme tradizionali tuttora in vigore richiedono che siano rese manifeste anche da interventi miracolosi che escono dal corso naturale della vita. All’intercessione di Dom Colomba sono state attribuite molte grazie. Una di esse è stata esaminata particolarmente e finalmente considerata come miracolosa. Trattavasi della guarigione di un cancro, avvenuta ad una Signora negli Stati Uniti di America. Il male era apparso nel 1965.
Nel 1966 si era aggravata, lasciandola senza speranza di vita. Dietro consigli di alcuni monaci di Marmion Abbey, si invocò l’aiuto divino per l’intercessione del Servitore di Dio, Improvvisamente, ottenne una guarigione completa, ampiamente confermata da esami successivi. Per essere sicuri della stabilità della guarigione, si lasciarono prima passare alcuni anni. Poi, tra il 1978 e il 1996, lunghe e minuziose indagini scientifiche furono svolte dalla diocesi di Saint Cloud dove risiedeva e vive tuttora la Signora. Conclusero per il carattere miracoloso dell’intervento. Oramai il dossier della Beatificazione era pronto. La Positio sulla Vita e la Fama di Santità fu esaminata a Roma prima dai teologi e poi da una Congregazione Ordinaria di Padri Cardinali e Vescovi, Si concluse il 19 giugno con il Decreto del Santo Padre sulle virtù eroiche di Dom Columba. Anche quella sul Miracolo è stata esaminata a Roma, prima da un Collegio di medici, poi da un Congresso particolare di Consultori teologi ed infine da una Congregazione Ordinaria di Padri Cardinali e Vescovi, concludendosi con il Decreto sul Miracolo il 27 gennaio 2000. Che la sua beatificazione susciti un rinnovato interesse sulla figura, l’opera e la testimonianza dell’Abate Columba, facendo scoprire nella sua dottrina e nell’esempio della sua vita una via particolarmente ricca ed equilibrata per avvicinarsi a Cristo.
© L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 3 Settembre 2000