Filosofia della conoscenza (1)

Il problema critico e la filosofia della conoscenza. 1. Il valore della critica. 2. Costituzione e sviluppo storico del problema critico. Le sue origini occamiste. Il criticismo cartesiano. 3. Il ruolo della filosofia della conoscenza
Capitolo Primo

IL PROBLEMA CRITICO

E LA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA


l. Il valore della critica

 

Nell’uso comune del linguaggio, la parola “ critica ” è attualmente contrassegnata da un indiscusso prestigio. Criticare, infatti, appare sempre più un compito positivo e necessario. D’altra parte, l’assenza di critica sembra, nel migliore dei casi, sintomo di immaturità e conformismo; e nel peggiore, manifestazione del più riprovevole modo di pensare: il dogmatismo.

L’atteggiamento critico ad oltranza pretende di non accettare nulla come fermamente stabilito: l’uomo adulto deve vagliare tutto con un esame implacabile, fondandosi esclusivamente sul proprio giudizio. Tale posizione sembra, a prima vista, indiscutibile; ma in realtà le sue implicazioni ed i suoi punti di partenza sono molto complessi.

Va subito sottolineato che tale atteggiamento spesso nasconde un’evidente incoerenza, che si manifesta ogni qual volta il preteso criticismo accetta con disinvoltura slogans ideologici, non sotto­messi previamente a quella critica proposta come metodo universa­le. A rigore, infatti, non è per nulla possibile criticare tutto. L’atteggiamento critico coerente e radicale non potrebbe mai venire sospeso, e così non si arriverebbe mai a una conoscenza certa, né a norme o stabili orientamenti dell’azione. In tale ipotesi non sareb­be possibile la stessa critica, che, per quanto radicale possa essere, non può che muovere dall’accettazione di alcuni presupposti.

 

1.1. Le radici del criticismo

Pochi si rendono conto che l’atteggiamento critico, così diffuso ai nostri giorni affonda le proprie radici in un tipo di pensiero filosofico che ha voluto eliminare ogni presupposto, per affermare la suprema autonomia dell’uomo emancipato ‘. Il tentativo di libe­rarsi da ogni pregiudizio inizia proprio col sottomettere tutte le nostre conoscenze al dubbio universale. La storia della filosofia moderna è in buona parte lo sforzo di raggiungere la totale assenza di presupposti (Voraussetzungslosigkeit). Si tratta però di un im­pegno frustrato. Quando sopraggiunge la sconfitta nella battaglia per ottenere un sapere assoluto (libero, indipendente) rimane solo l’atteggiamento “ sospettoso ” verso ogni presunta certezza; e, por­tato alle sue ultime conseguenze, il sospetto non può avere altro sbocco che il nichilismo. La critica sistematica non conduce a nulla.

La filosofia del XX secolo parte dal fallimento storico della critica come sistema. Le linee di pensiero più caratteristiche di questo secolo “la fenomenologia, l’analisi del linguaggio, l’erme­neutica e la metafisica dell’essere” hanno abbandonato l’ingenuità del criticismo a oltranza, sebbene non sempre riescano a liberarsi del tutto dalle radici che l’hanno alimentato. Per quanto riguarda l’ermeneutica, ad esempio, Gadamer ha sostenuto che “ anche l’Illuminismo, infatti, ha un suo pregiudizio fondamentale e costi­tutivo: questo pregiudizio che sta alla base dell’Illuminismo è il pregiudizio contro i pregiudizi in generale e quindi lo spodesta­mento della tradizione ”; mentre, aggiunge, ogni comprensione teoretica ha necessariamente dei presupposti che bisogna riconosce­re e prendere in esame.

 

1.2. Ridimensionamento dell’atteggiamento critico

Vi sono quindi le condizioni storiche ideali per attribuire alla critica il suo autentico valore, che concorda per di più, con l’accezione originaria: “ In senso etimologico, criticare significa scegliere e quindi giudicare, giudicare il valore di una cosa in critica letteraria, di critica musicale, ecc. ”

Essa ha allora un significato simile a “ criterio ”, “ discernimen­to ”, “ analisi ”. Pertanto, possiede una positiva capacità critica chi non si assoggetta ai luoghi comuni dominanti, chi ha il coraggio di pensare con la propria testa, misurando la propria conoscenza sulla realtà, in una continua ricerca della verità delle cose. Atteggiamen­to critico corretto significa, quindi, buon criterio. Non è invece fecondo, anzi è deleterio, l’atteggiamento critico che mira a mettere in crisi tutte le nostre conoscenze intorno alla realtà, sulla base di pretese esigenze del pensiero, considerato come inizio assoluto. Certamente non è segno di rigore né di radicalità l’impegno ‑ fra l’altro mai pienamente attuabile ‑ di dubitare del valore di ogni conoscenza e di sottoporla ad un esame sempre nuovo, ad una riflessione più attenta, per verificare se effettivamente abbiamo motivi chiari e certi per ritenerla vera, o, almeno, per vedere a che condizioni e fino a che punto essa sia vera.

La critica autentica tende a purificare la conoscenza affinché si adegui meglio all’essere. La critica eccessiva, al contrario, ha la pretesa di giudicare l’essere a partire dal pensiero. Conviene esa­minare, sia pure a grandi linee, come si sia giunti a tale eccesso.

 

2. Costituzione e sviluppo storico del problema critico

 

2.1. Le sue origini occamiste

Ci si trova, come abbiamo visto, nel tratto finale di un processo storico nel quale la critica della conoscenza viene considerata come l’inizio e il fondamento della filosofia. Ebbene, l’inizio di tale percorso va fatto risalire al secolo XIV. P, allora che l’armonia della sintesi tomista, in cui confluiscono le più valide manifesta­zioni della tradizione classica e medioevale, e che innanzi tutto costituisce un vigoroso impegno di rispetto della realtà, si sgretola nella profonda crisi del nominalismo occamista, per il quale ragio­ne e fede si contrappongono, e non è data possibilità alla ragione di conoscere l’essenza delle cose. Come base metafisica Ockham (1280 1349) propone il contingentismo assoluto, per cui gli enti finiti perdono la loro stabilità e la consistenza ontologica propria, dipendendo così esclusivamente dall’onnipotenza divina, concepita come volontà arbitraria che potrebbe farci conoscere anche ciò che non esiste o farci prendere per vero ciò che in realtà è falso.

Questa è per Guglielmo d’Ockham la precaria situazione dell’uomo nel mondo. La filosofia e l’intera conoscenza umana, persa la loro armonia con la fede, ridiventano problematiche. Sorge così quello che più tardi verrà chiamato “ problema critico ”, il pres­sante interrogativo circa l’affidabilità della nostra conoscenza, af­finché non cadiamo nell’illusione di ritenere vero ciò che è erroneo o senz’altro inconoscibile. Questo interrogativo passa in primo piano, sino al punto da venire considerato decisivo allorché il filosofo si pone nell’ottica dell’immanentismo antropocentrico che afferma il primato del pensare sull’essere e nega la portata tra­scendente della conoscenza umana. Conseguentemente, l’uomo in­tende avere il dominio completo del proprio agire, anche se per ottenerlo deve diminuirne drasticamente la portata.

Ockham postulava che propriamente si conosce solo ciò che viene colto intuitivamente (nihil cognoscitur nisi cognoscatur intuitive). Sta qui la cosiddetta via moderna: ha valore soltanto la conoscenza diretta di cose individuali. L’astrazione, invece, è fonte, di inganni; induce a presumere l’esistenza di entità nascoste (essenze, forme sostanziali, potenze), che, se non altro, sono innecessarie e quindi da abbandonare al famoso rasoio di Ockham (non sunt multiplicanda entia sine necessitate). Saranno così ammessi soltanto gli oggetti direttamente conoscibili o grazie all’intuizione sensibile, come pensa l’empirismo, o in forza dell’intuizione intellettuale, come sostiene il razionalismo, il quale postula una cono­scenza diretta delle essenze.

 

2.2.  Il criticismo cartesiano

All’interno di questo secondo orientamento, soprattutto per ope­ra di Cartesio (1596‑1650), troveranno posto quei principi che porteranno all’idealismo moderno. Il senso stesso della metafisica viene rovesciato: l’essere si risolve nella coscienza. A partire da questo presupposto, si sviluppa un esame critico della conoscenza umana. L’indagine parte da un dubbio radicale, da cui emerge la certezza dell’esistenza del soggetto pensante; da questa, poi, si ot­tengono, attraverso una deduzione geometrica, successive certezze.

Il soggetto si eleva fino a pensare Dio, senza mai superare realmen­te, però, il contesto delle rappresentazioni mentali. Muovendosi in questa direzione, il pensiero moderno si presenterà essenzialmente come una filosofia della coscienza rappresentativa.

Come vedremo più avanti, già i filosofi dell’antichità si erano oc­cupati di questioni gnoseologiche ed avevano anticipato tesi di tipo “ idealista ”. Queste tendenze raggiungono però in epoca moderna una fondazione più radicale e più coerente: il principio di imma­nenza. In base a tale principio, pur espresso in modi diversi, la mente umana non attinge altro oggetto se non le proprie idee o rappresentazioni. Non ha senso, pertanto, l’impegno di cogliere la realtà in se stessa, e così la conoscenza diviene radicalmente pro­blematica.

L’unica cosa certa è che si pensa assumendo il termine “ pensare ” nella sua accezione più ampia: concettualizzare, sentire, volere, ecc…, ma è difficile precisare che cosa sia ciò che si conosce e se, ancora più in generale, si conosca realmente qualcosa.

 

2.3. La filosofia critica di Kant

Kant (17241804) l’autore che formula nel modo più sistema­tico e profondo le conseguenze di questa impostazione. Egli si impegna, infatti, nella costruzione di una filosofia critica che trasformi e sostituisca l’antica filosofia dogmatica. Il filosofo tede­sco intende rivolgere “ un invito alla ragione di assumersi nuova­mente il più grave dei suoi uffici, cioè la conoscenza di sé, e di erigere un tribunale, che la garantisca nelle sue pretese legittime, ma condanni quelle che non hanno fondamento, non arbitraria­mente, ma secondo le sue eterne ed immutabili leggi; e questo tribunale non può essere se non la critica della ragion pura stessa ”

Per il realismo, l’essere è il fondamento del pensiero. Orbene, adesso si realizza, mediante un capovolgimento di situazione, un’au­tentica rivoluzione filosofica. Lo stesso Kant la chiama “ rivolu­zione copernicana ”: così come Copernico ritenne che non era il sole a girare intorno alla terra bensì la terra intorno al sole, in modo simile si asserisce che non è il pensiero umano a ruotare intorno alle cose, bensì sono gli oggetti – le cose in se stesse sono giudicate inconoscibili – a ruotare, avendo come loro asse il soggetto conoscente. La filosofia kantiana è essenzialmente una critica della conoscenza: una gnoseologia che pretende di occupare il posto della metafisica, e di presentarsi come una nuova filosofia prima. Anche il metodo filosofico sarà critico in un senso peculiare, denominato da Kant “ trascendentale ”, e consistente nel riflet­tere sulle condizioni soggettive della conoscenza degli oggetti, le quali costituiscono anche i principi che strutturano gli oggetti stessi. Se Cartesio aveva posto in primo piano il problema del metodo, Kant giunge ad identificare la filosofia critica col suo metodo. Il filosofo tedesco ritiene, così, che la Critica sia un trattato sul metodo che deve penetrare profondamente nella natura della ragione, in quanto questa ha per oggetto semplicemen­te pensieri puri ‘. Non si cerca di pensare la realtà, ma si pensa il pensiero: la soluzione dei problemi filosofici si trova nella ragione che si autoconosce.

 

2.4. La radicalizzazione della critica

La filosofia contemporanea adotta abbondantemente il metodo critico proposto da Kant. L’atteggiamento critico, tuttavia, non può mai trovare sosta: le condizioni di conoscenza a cui si può giungere sono sempre suscettibili di una critica ulteriore che pretenderà di essere più radicale. Ad esempio, il marxismo sostiene che le nostre convinzioni intellettuali dipendono dalle condizioni della struttura economico-produttiva e dalla coscienza di classe. Gli storicisti stabiliscono una connessione essenziale tra le diverse visioni del mondo e le congiunture storiche in cui sono sorte e a cui sono relative. Nel Vitalismo e nell’esistenzialismo si afferma l’effica­ce presenza nell’uomo di un fondo irrazionale, più radicale di ogni conoscenza. Il neoposítivismo e alcune correnti della filosofia ana­litica asseriscono, infine, che il linguaggio fonda il pensiero e che, pertanto, “ tutta la filosofia è critica del linguaggio ”. Assistiamo ad un processo di radicalizzazione della critica che, iniziato come gnoseologico, finisce per diventare sociologico, storico, psico­logico o linguistico. Di volta in volta diminuiscono le dimensioni e Iá solidità della base di appoggio: la prospettiva finale è quella di un uomo vuoto in un mondo vuoto. P, significativo che, dopo la “ morte di Dio ”, annunciata lucidamente da Dostoevskij e predi­cata tragicamente da Nietzsche (1844-1900), sia stato possibile che alcuni strutturalisti attuali Lévi Strauss, Foucault, Althusser proclamassero retoricamente la “ morte dell’uomo ”, quale conclu­sione antiumanista di un umanesimo deformato. Se la filosofia è solo critica, la “ fine della filosofia ”, riconosciuta tanto da Marx (1818-1883) come da Heidegger (1889‑1976) e Wittgenstein (1889-1951), sembra una conseguenza inevitabile. La critica divora i suoi figli.

Le esperienze storiche, a cui ha condotto il pensiero una volta consumato il divorzio dalla realtà, sono state molto negative: ne abbiamo ancora sotto gli occhi le conseguenze etiche (relativismo, permissivismo, immoralismo) e sociologiche (totalitarismi di vario tipo), e religiose (perdita della fede, naturalismo, soggettivismo teologico). Mentre le ripercussioni di questi modi di pensare difet­tosi si vanno estendendo ampiamente, si constata, da varie parti, una profonda revisione del criticismo, i cui primi risultati annun­ciano una certa riabilitazione del realismo metafisico.

 

2.5. La riaffermazione della metafisica dell’essere

In questo secolo si è verificato un ritorno alla metafisica dell’es­sere, grazie soprattutto ad un rinnovato interesse per la filosofia di san Tommaso d’Aquino. Tuttavia, anche nel contesto della cosiddet­ta “ neoscolastica ”, non sono mancati i tentativi di conciliare la metafisica realista con il criticismo. Da uno sforzo tanto fortemen­te determinato quanto malamente orientato, è venuta alla luce la mostruosità chiamata “ realismo critico ”, la quale tenta di recupe­rare l’essere a partire dal pensiero, accettando inizialmente alcune tesi immanentiste per cercare di superarle in un secondo tempo. La metafisica dell’essere ha evidenziato il carattere inconcludente oltre che contraddittorio di tale “ realismo critico ”: quando si assume rigorosamente l’impostazione critica, la realtà di cui si effettua il recupero non è altro che una realtà pensata, misurata dalla nostra conoscenza. La metafisica realista deve prendere le mosse dall’ente reale, previo e anteriore al conoscere, primo conosciuto e ciò in cui ogni conoscenza si risolve. Solo fondandosi sulla percezione del reale, l’uomo è in grado di conoscere l’atto col quale conosce le cose: può cioè riflettere. La realtà è la fonte della conoscenza e la misura della sua verità.

Abbiamo pertanto validi motivi per sostenere che la teoria della conoscenza non debba incamminarsi esclusivamente lungo il sentie­ro della critica. Ciò non significa, come affermano con insistenza gli idealisti, che la gnoseologia di ispirazione realista sia semplici­stica e confusa (“ acritica ”). Essa, infatti, deve essere “ riflessiva ” e “ critica ” nell’accezione originaria di questi termini e non se­condo il senso loro attribuito dall’idealismo. Anzi, alla gnoseologia realista spetta il compito di fare la “ critica ” della critica fondan­dosi sulla conoscenza della realtà. Atteggiamento, questo, in sinto­nia con le più valide preoccupazioni dell’attuale momento filosofi­co, come avremo modo di rilevare.

 

3. Il ruolo della filosofia della conoscenza

 

3.1. Primato e discredito della gnoseologia

Gli idealismi contemporanei, in particolare quelli d’ispirazione kantiana, hanno considerato la gnoseologia come la disciplina prima e radicale. La stessa metafisica dovrebbe previamente sotto­mettersi ai dettami della dottrina della conoscenza, che ne sanzio­nerebbe le possibilità o meno di realizzazione (propendendo più frequentemente, come ci si poteva aspettare, verso la seconda ipotesi). Ma la critica radicale, priva di appoggio, delle nostre facoltà di conoscere è soggetta ad una petizione di principio. Richiamandosi alla metafora kantiana, possiamo dire che la ragio­ne si siede davanti ad un tribunale nel quale essa stessa è giudicata. Quindi, se l’oggetto del processo è la capacità della ragione di conoscere la verità, come può essa stessa risolvere la controversia? Questo circolo vizioso e le conseguenze, sopra men­zionate, che ne derivano, hanno spesso provocato negli ultimi decenni la perdita d’autorevolezza della gnoseologia. Si è arrivati persino a ritenere la teoria della conoscenza una “ disciplina morta ” ‘. Su questo punto è stata decisiva l’influenza della critica effettuata da Heidegger alla filosofia della coscienza, accusata di sostituire la verità con la certezza e di consacrare, per la conse­guente interdipendenza di realtà e rappresentazione `, il definitivo oblio dell’essere.

Le giuste critiche di Frege ed Husserl (12) allo psicologismo hanno contribuito al superamento di un’impostazione empirista della teoria della conoscenza avente come destino il relativismo. Tuttavia, lo sviluppo estremistico dell’antipsicologismo, che ha riguardato principalmente il positivismo logico, ha condotto ad una specie di platonismo logicista nel quale si prescinde da ogni considerazione gnoseologica. Nondimeno, l’evoluzione della fe­nomenologia e della filosofia analitica hanno consentito un positivo sviluppo delle originarie posizioni realiste di Husserl e di Frege. L’attuale situazione intellettuale è aperta alla riela­borazione di una teoria della conoscenza, non più appesantita dall’idealismo e dall’empirismo e pronta a riprendere il posto che le compete nel contesto del sapere filosofico.

 

3.2. Funzione della gnoseologia

Indubbiamente la gnoseologia ci è di aiuto nel saggiare le nostre conoscenze e nel correggerne i possibili errori. t certo necessaria un’“ autocritica ” della conoscenza, non nel senso di critica totale, quanto nel senso originario di “ critica ” come discernimento. In effetti: “ la facoltà intellettiva ha la prerogativa di farsi carico della conoscenza sensoriale e, soprattutto, ( … ) ” è capace di riflet­tere sui suoi atti e sulle proprie deficienze fattuali; perciò si impiegano frequentemente espressioni quali “ riconsiderare ”, “ ritornare sulle proprie opinioni ”, “ rivedere i propri giudizi ”, ecc. Tutto ciò suppone, quindi, che la nostra conoscenza sia essenzialmente idonea al suo fine, sebbene di fatto e accidentalmente possa incorrere in errori e deviazioni. Non avrebbe senso, altri­menti voler rimediare ai suoi equivoci, poiché una intelligenza incapace di cogliere la verità non riuscirebbe a svincolarsi dall’er­rore per quanto si possa sforzare. Tutti i metodi e le cautele della scienza implicano, in ultima analisi, la fondamentale certezza che la verità è in qualche modo accessibile. Affrontare l’autocritica della conoscenza con l’interrogativo se essa sia o meno capace di qualche verità o certezza, costituisce un’ingenuità colossale anche se mascherata da un formidabile apparato critico. Se veramente si dubita della validità della nostra facoltà conoscitiva, è privo di senso l’utilizzarla per giudicarne il valore. I raffinati ragionamenti, dei filosofi critici s’infrangono contro questo scoglio inevitabile) altri termini: come si può accertare la “ ‘validità’ della nostra facoltà conoscitiva, quando continuamente dobbiamo ‘avvalercene’ per effettuare tale accertamento? ” 14.

 

3.3. Denominazione di questa disciplina

Per evitare fin dal principio l’accennata aporia, è preferibile non attribuire a questa disciplina il nome di Critica, pur frequente sino a poco tempo fa anche in opere lontane da un’impostazione criticista. Altri preferiscono chiamarla Epistemologia, termine che però attualmente significa soprattutto Filosofia della Scienza o Teoria della Scienza. Il nome Criteriologia è, poi, troppo ristretto e si presta, per giunta, ad alcuni equivoci. Insomma, Gnoseologia e l’equivalente Filosofia della conoscenza,sono i termini migliori per abbracciare l’insieme delle questioni che riguardano la possibilità, di cogliere l’essere attraverso la conoscenza, ossia, alla metafisica della verità.

 

3.4. Il posto della gnoseologia

Nell’impostazione realista, la gnoseologia non ha il primato che le attribuiscono invece gli ìdealisti. Non si inizia con una imper., corribile e radicale problematizzazione del valore della conoscenza, ma si accetta questo fin dall’inizio per poi impegnarsi nella ricerca della verità delle cose. Oggi questo modo di procedere può appari­re strano, ma esso risponde certamente alla dinamica naturale della conoscenza umana. Del resto, il primato della prospettiva ontologi­ca su quella gnoseologica torna ad essere riconosciuto e giustifica­to, con rigorose argomentazioni, dal pensiero contemporaneo “. In primo luogo e fondamentalmente conosciamo delle realtà; su que­sta base avvertiamo la nostra capacità cognitiva. Se la mente non viene attualizzata dalla conoscenza della realtà, non può conoscere l’atto di conoscenza. E’ questo il punto di vista della filosofia classica, nella quale la ricerca gnoseologica non costituisce uno studio rigidamente circo­scritto. Così come nel sapere filosofico, l’analisi e la confutazione degli errori non fanno parte a sé, nemmeno la teoria della cono­scenza costituisce una trattazione del tutto indipendente. Le sue conclusioni si ricollegano alla logica e alla psicologia, ma soprattut­to devono armonizzarsi con la metafisica.

 

3.5. La difesa della verità nella gnoseologia classica

La ricerca della verità è stata sempre accompagnata dallo sforzo di confutare l’errore. L’intelligenza umana è naturalmente orientata verso la verità, ma essendo in un certo senso limitata, e a volte per la cattiva disposizione morale del soggetto, l’errore può giungere a condizionare i principi prima della conoscenza. Già agli albori della ricerca filosofica, c’è chi nega l’assioma più evidente: “ Vi sono alcuni ‑ dice Aristotele ‑ i quali pretendono che una stessa cosa sia e non sia ” `. Negazione del principio di non‑contraddi­zione che giunge fino ai nostri giorni, dato che il “ superamento della contraddizione ” costituisce un elemento fondamentale della dialettica marxista. Si constata pertanto, che nel corso della storia sono stati negati o deformati i principi primi e le verità più evidenti (la realtà della causalità, l’esistenza del mondo extramen­tale, la validità delle norme morali … ). La metafisica, approfondendo le feconde certezze originarie, ha il compito di confutare tali deviazioni.

Aristotele è il primo filosofo che fa un bilancio serio e completo delle idee filosofiche sviluppate dai suoi predecessori e contempo­ranei. In tale studio, lo Stagirita si scontra con errori che non riguardano una verità determinata, bensì la totalità della conoscen­za umana. Era questo il caso di alcuni sofisti che, considerando l’uomo “ misura di tutte le cose ”, cadevano nel relativismo, origi­ne a sua volta dello scetticismo e della paradossale tesi secondo cui l’uomo non può conoscere la verità. Aristotele, in una serie di discussioni di straordinaria acutezza, mette in risalto sia le difficol­tà interne a questa teoria, conducenti in un vicolo cieco, sia le deleterie conseguenze pratiche alle quali esse portano.

Tale difesa del valore della conoscenza umana non viene meno per tutto il lungo processo di sviluppo e di arricchimento della filosofia classica e medioevale. Conviene segnalare le pregnanti argomentazioni di S. Agostino contro gli scettici, alla cui pretesa di dubbio universale egli contrappone, fra le altre certezze, quella dell’esistenza del soggetto dubitante: si enim fallor, sum (formu­la che, naturalmente, ha un significato ben diverso dal cogito cartesiano).

San Tommaso difende la capacità, propria di ciascun uomo, di conoscere la verità delle cose ‘ in particolare contro gli errori diffusi nella sua epoca: logicismo, nominalismo, averroismo, ecc. L’Aquinate ribadisce l’unicità della verità, la distinzione e l’armo­nia fra ragione e Fede; assegna alla conoscenza umana il posto che le corrisponde, evitando tanto il razionalismo esasperato, quanto il fideismo negatore del valore dell’intelligenza naturale. La gnoseo­logia di Tommaso d’Aquino ha, quali tratti più caratteristici, il realismo metafisico, per il quale l’essere misura la conoscenza, e il realismo antropologico, secondo il quale l’intelletto umano coglie la verità delle cose reali. Questa tradizione realista passa storicamente in secondo piano con l’irrompere della filosofia della coscienza; ma la sua solidarietà interna ha superato la prova di secoli difficili per le profonde trasformazioni culturali, sino a presentare ai nostri giorni un profondo rinnovamento.

 

3.6. L’ambito della gnoseologia

 Ci troviamo, pertanto, in un ambito di indagine interessante e nel contempo ricco di spunti polemici. Si tratta dello “ studio della conoscenza ”, secondo l’etimologia del termine “ gnoseologia ”. Occorre però ancora precisare quale sia la prospettiva secondo la quale consideriamo qui il conoscere: tale aspetto sarà proprio quello della verità. L’intera filosofia è in stretta relazione con la verità, poiché la sua essenziale aspirazione è quella di ottenere delle conoscenze vere intorno alla realtà. L’unico fondamento della filosofia è la verità, e di conseguenza la realtà: la verità è infatti adeguazione dell’intelligenza umana con l’essere delle cose.

 

3.7. Gnoseologia, psicologia e logica

Conoscenza e verità possono essere considerate secondo prospet­tive diverse. Una di esse compete alla psicologia, intesa soprattutto come studio delle differenze specifiche della vita umana. In psico­logia si considera proprio la conoscenza come praxis, cioè come operazione vitale dell’uomo. Mentre svolge l’indagine sul conoscere umano, essa però non trascura una certa riflessione sulla verità, dato che valuta come l’intelligenza faccia trasparire l’essenza delle cose. Anche la logica si occupa della verità; in quanto scienza, infatti, essa analizza le relazioni di ragione che nella nostra mente collegano le conoscenze vere tratte dalla realtà; e in quanto arte, essa ci offre i canoni per procedere, nell’atto della ragione, in un modo facile, ordinato e senza errori.

 

3.8. La gnoseologia come metafisica della conoscenza

Ciò nonostante, lo studio più ampio e approfondito della verità, della conoscenza vera, spetta alla metafisica, poiché questa è un sapere trascendentale. La riflessione sull’essere nella conoscenza ha un carattere strettamente trascendentale, poiché per definizione fa riferimento a tutte le realtà in quanto suscettibili di venire cono­sciute dall’ente che “ è in una certa misura tutte le cose ” La gnoseologia studia l’ente in quanto si manifesta alla mente umana per mezzo della conoscenza, vale a dire, in quanto vero. Non costituisce perciò uno studio specialistico sulla conoscenza, ma è piuttosto un’indagine rigorosamente metafisica. Pertanto la gnoseo­logia va ritenuta, insieme alla ontologia ed alla teodicea, una delle parti principali della metafisica: la teoria metafisica della cono­scenza.

Il compito della gnoseologia si svolge all’interno della metafisi­ca, poiché alla filosofia prima compete l’approfondimento delle conoscenze di base che si utilizzano nelle scienze e nella pratica individuale e sociale, nonché la difesa di queste conoscenze origi­narie contro coloro che le negano senza ragione.

In effetti, “ la metafisica è sapienza, cioè scienza suprema nell’ordine naturale; e non può pertanto delegare a nessuna altra scienza la difesa o giustificazione dei principi che le sono propri. 1 principi su cui la metafisica poggia sono i primi del conoscere umano, colti nella loro massima universalità e purezza. Nessun’al­tra scienza, eccetto la metafisica, può assumersi il compito di difendere tali principi; anzi, è la metafisica che deve offrire a ciascuna scienza i principi universali su cui poggiare. Giustificare i propri principi (manifestandone l’evidenza e confutando i ragio­namenti contrari) e mettere a disposizione delle altre scienze gli assiomi di base, è un compito che spetta a pieno diritto alla metafisica nella sua qualità di scienza suprema ” (19).

La gnoseologia è la metafisica della verità. Il suo studio attento ha una grande importanza teorica e vitale, anche e forse soprattut­to oggi, poiché ci mette in guardia contro equivoci di fondo assai frequenti.

In molti ambienti si tende ad inquadrare ogni tipo di sapere, specialmente quando tratti dell’uomo ‑ come l’etica ‑, da un punto di vista che prescinde dalla realtà delle cose e guarda in­vece ai convenzionalismi dominanti, alle reazioni soggettive o al­la pura efficacia pragmatica. Sembra che il valore della verità in sé stessa lasci il posto ad una concezione in cui ha senso soltanto – se mai può averne alcuno – la “ verità per me ”. Di fronte a tale atteggiamento non sarà inutile richiamare il ricordo di un poeta contemporaneo: “ ju verdad? No, la verdad, y veri corimigo a buscarla. La tuya, guárdatela ”. Riscoprire il valore della verità equivale a rivendicare all’essere il suo valore metafisico primario e originale. Il che costituisce senza dubbio un compito intellettuale di gran portata destinato ad avere profonde ripercussioni pratiche.

 

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NOTE

 

1 Cfr. R. Alvira, Notas sobre la relación entre algunos conceptos funda­mentales del pensamiento moderno, in Etica y Teologia ante la crisis con­temporánea, EUNSA, Pamplona 1980.

2 H. G. Gadarner, Wahrheit und Methode, Tubingen 1960, p. 255. Trad. it. di G. Vattimo, Verità e Metodo, Bompiani 1985 (2o), p. 317.

4 1. Kant, Critica della Ragion pura. Prefazione alla la ediz., trad. Gentile­L. Radice, Laterza, Bari 1983 (2a), p. 7.

5 Cfr. I. Kant, op. cit. Prefazione alla 2a ediz., trad. cit., p. 20.

6 Cfr. I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, trad. Caraballese, Laterza, Bari 1982, p. 15.

7 L. Wittgenstein, Tractatus logico‑philosophicus, 4.031. Trad. it. di A. G. Conte, Einaudi, Torino 1964, p. 21.

8 Cfr. G. Prauss, Einfiihrung in die Erkenntnistheorie, Wissenschaffliche BuchgeseIlschaft, Darmstadt 1980, p. I.

9 M. Heidegger, Nietzsche Il, Neske, Pfullingen 1961, p. 42­10 Ibidem, p. 436.

li G. Frege, I Fondamenti dell’Aritmetica, in Aritmetica e logica, trad. L. Geymonat, Einaudi, Torino 1948, pp. 20‑28.

12 E. Husserl, Ricerche logiche, a cura di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1968. Si veda specialmente: “ Prolegomeni a una logica pura ” (tomo 1).

13 Cfr. M. Dummett, Frege. Philosophy of Language, Duckworth, London 1973; 1. Seifert, Erkenntnis objektiver Wahrheit, A. Pustet, Salzburg 1976, 2a edizione.

14 A. Millán Puelles, Fundamentos de Filosofia, Rialp, Madrid 1976, 8a ediz., p. 457.

15 Cfr. ad esempio S. Kripke, Naming and Necessity, Harvard Univ. Press., Cambridge (Mass.) 1980.

16 Aristotele, Metafisica, IV, 4, 1005b 35‑1006a 1, trad. it. A. Russo, Laterza, Bari 1982, p. 95.

17 Sant’Agostino, De civitate Dei, l. XI, cap. XXVI. Cfr. anche Soliloquia, 11, cap. l; De Libero arbitrio, l. 11, cap. III.

18 Aristotele, De Anima, 111, 8, 431b 21; cfr. ibid., 5, 430a 14 sgg.

19 J. García López, “ Metafísica ”, Gran Enciclopedia Rialp Madrid 1971‑1976, t. XV, p. 634

20 A. Machado, Proverbios y Cantares, LXXXV (La tua verità? No, la verità, / vieni con me a cercarla. / La tua, mettila da parte /).