A conclusione, oltre agli argomenti svolti finora, molti ancora se ne portano, a conferma della verita’ dimostrata
LEZIONE XX
ESISTENZA E NATURA DI DIO
1. La voce della coscienza.
Oltre agli argomenti che abbiamo svolto finora, molti ancora solitamente se ne portano, a conferma della verità dimostrata; ne accenneremo due che, sulle menti moderne, in varia misura imbevute di soggettivismo, fanno maggiore impressione, benché invece abbiano bisogno di un accurato svolgimento per non essere fraintesi e non divenire puri sofismi o petizioni di principio.
1) Argomento eudemonologico (dal termine greco che significa felicità). L’uomo sente un desiderio naturale di felicità che i beni finiti non possono saziare: il desiderio di un bene sommo, senza limiti, puro, senza mescolanza di mali e capace di soddisfare tutti i nostri bisogni. E’ un fatto di esperienza che è facile constatare. Ma questo desiderio non può essere vano, perché se – al contrario di tutte le altre tendenze naturali, che possono raggiungere il loro fine – questo desiderio dell’uomo fosse frustrato, l’uomo, re del creato, sarebbe l’essere più infelice della terra. Dunque esiste questo bene puro, infinito, capace di saziare il desiderio naturale dell’uomo: esiste Dio.“Fecisti nos ad Te, Domine, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te”. (S. Agostino, Confessiones).
2) Argomento deontologico (dal termine greco che significa dovere), secondo il quale dall’esistenza della legge morale, in due modi possiamo risalire fino a Dio.
a) C’è una legge morale che si impone alla nostra condotta, indipendentemente da ogni nostra soddisfazione e vantaggio, da ogni pericolo esterno, anche della vita, in modo assoluto, universale, in tutti i tempi in tutte le età e presso tutti i popoli. Ora, una tale legge domanda un legislatore supremo e universale, cioè Dio. Infatti, quella legge non è fondata nella ragione, che la scopre ma non la crea; non nell’istinto, che spesso si oppone alla legge; e neppure negli altri uomini, che da quella stessa legge sono dominati. Essa non può che fondarsi, dunque, su un essere superiore a tutti: Dio.
b) L’argomento è rafforzato dalla necessità della sanzione. Il bene e il male meritano premio e castigo; ma non sono sufficienti le sanzioni di questa vita; è dunque necessaria una sanzione ordinata da un giudice ultramondano. Senza Dio il reo potrà vantarsi di aver violato l’ordine impunemente, il giusto avrà vanamente sofferto e il suo grido contro lo scandalo dell’empietà trionfante si sarà perduto nel deserto. Ancora una volta la coscienza proclama l’esistenza di Dio.
1) Argomento eudemonologico (dal termine greco che significa felicità). L’uomo sente un desiderio naturale di felicità che i beni finiti non possono saziare: il desiderio di un bene sommo, senza limiti, puro, senza mescolanza di mali e capace di soddisfare tutti i nostri bisogni. E’ un fatto di esperienza che è facile constatare. Ma questo desiderio non può essere vano, perché se – al contrario di tutte le altre tendenze naturali, che possono raggiungere il loro fine – questo desiderio dell’uomo fosse frustrato, l’uomo, re del creato, sarebbe l’essere più infelice della terra. Dunque esiste questo bene puro, infinito, capace di saziare il desiderio naturale dell’uomo: esiste Dio.“Fecisti nos ad Te, Domine, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te”. (S. Agostino, Confessiones).
2) Argomento deontologico (dal termine greco che significa dovere), secondo il quale dall’esistenza della legge morale, in due modi possiamo risalire fino a Dio.
a) C’è una legge morale che si impone alla nostra condotta, indipendentemente da ogni nostra soddisfazione e vantaggio, da ogni pericolo esterno, anche della vita, in modo assoluto, universale, in tutti i tempi in tutte le età e presso tutti i popoli. Ora, una tale legge domanda un legislatore supremo e universale, cioè Dio. Infatti, quella legge non è fondata nella ragione, che la scopre ma non la crea; non nell’istinto, che spesso si oppone alla legge; e neppure negli altri uomini, che da quella stessa legge sono dominati. Essa non può che fondarsi, dunque, su un essere superiore a tutti: Dio.
b) L’argomento è rafforzato dalla necessità della sanzione. Il bene e il male meritano premio e castigo; ma non sono sufficienti le sanzioni di questa vita; è dunque necessaria una sanzione ordinata da un giudice ultramondano. Senza Dio il reo potrà vantarsi di aver violato l’ordine impunemente, il giusto avrà vanamente sofferto e il suo grido contro lo scandalo dell’empietà trionfante si sarà perduto nel deserto. Ancora una volta la coscienza proclama l’esistenza di Dio.
2. Natura di Dio.
Abbiamo risposto alla prima domanda: an sit Deus, dimostrando l’esistenza di Dio; ci resta da rispondere ad una seconda domanda: quid sit Deus, cioè quale ne sia la natura.
1) Possiamo conoscere la natura di Dio?
Direttamente no, ma indirettamente possiamo conoscere qualcosa attraverso quelle stesse creature che ce ne hanno rivelata l’esistenza. Contemplando un’opera d’arte, leggendo la Divina Commedia, esaminando una complicata e ingegnosa macchina, non solo io comprendo che ci deve essere stato qualcuno che le ha fatte, ma anche che questo qualcuno deve essere un grande artista, un grande poeta, un grande scienziato, conosco insomma l’esistenza della causa e insieme quel tanto della sua natura che mi si manifesta attraverso la sua opera. Così l’universo mi attesta non solo l’esistenza di Dio, ma mi rivela anche le perfezioni della sua natura, almeno per quel tanto che queste si riflettono e risplendono nel mondo. In tal modo noi possiamo avere non un concetto proprio e perfetto della natura di Dio, ma un concetto imperfetto ed analogo, risalendo dalle creature al Creatore per le tre vie che ci addita S. Tommaso:
a) per la via della causalità: conosciamo che in Dio, causa prima, ci devono essere tutte le perfezioni delle creature (l’essere, la vita, l’intelligenza, la bontà, l’amore, la libertà, ecc.) perché da Lui le hanno ricevute e nessuno può dare ciò che non ha.
b) per la via della rimozione: sappiamo che quelle perfezioni (che, essendo nelle creature, devono trovarsi anche in Dio) sono però in Lui senza le imperfezioni che si trovano nelle creature; bisogna purificare queste perfezioni, rimuovendone le imperfezioni e attribuendole a Dio nella loro assoluta purezza; e con ciò è anche dissipata ogni accusa di antropomorfismo.
c) per la via della eminenza: conosciamo che in Dio, essere infinito, le perfezioni delle creature devono trovarsi non solo senza imperfezioni, ma anche senza limiti, in modo quindi infinitamente o eminentemente superiore. In Dio, dunque, c’è l’essere, la vita, la bontà, ecc., ma in grado infinito e senza alcuna imperfezione.
a) per la via della causalità: conosciamo che in Dio, causa prima, ci devono essere tutte le perfezioni delle creature (l’essere, la vita, l’intelligenza, la bontà, l’amore, la libertà, ecc.) perché da Lui le hanno ricevute e nessuno può dare ciò che non ha.
b) per la via della rimozione: sappiamo che quelle perfezioni (che, essendo nelle creature, devono trovarsi anche in Dio) sono però in Lui senza le imperfezioni che si trovano nelle creature; bisogna purificare queste perfezioni, rimuovendone le imperfezioni e attribuendole a Dio nella loro assoluta purezza; e con ciò è anche dissipata ogni accusa di antropomorfismo.
c) per la via della eminenza: conosciamo che in Dio, essere infinito, le perfezioni delle creature devono trovarsi non solo senza imperfezioni, ma anche senza limiti, in modo quindi infinitamente o eminentemente superiore. In Dio, dunque, c’è l’essere, la vita, la bontà, ecc., ma in grado infinito e senza alcuna imperfezione.
2) Qual è dunque la natura di Dio?
Dio è, innanzi tutto, l’Essere sussistente. Tutte le cose sono, l’essere è la loro prima perfezione, benché in esse limitata. Dio pure è, ma è l’Essere infinito e perfettissimo; questo è l’intimo costitutivo della Sua natura, per il quale Egli si distingue infinitamente da tutte le cose create. Dio stesso, a Mosè, che gli domandava il Suo nome, rispondeva dal roveto ardente: “ Io sono Colui che è”(Ex. 3, 14).
Da questa radice hanno, per così dire, origine tutte le altre Sue perfezioni che noi conosciamo: l’infinità, la semplicità, l’immutabilità, l’immensità, l’eternità, ecc.
Da questa radice hanno, per così dire, origine tutte le altre Sue perfezioni che noi conosciamo: l’infinità, la semplicità, l’immutabilità, l’immensità, l’eternità, ecc.
3) La vita di Dio.
Dio, come ha la perfezione dell’essere, così ha la perfezione del vivere, e come è lo stesso Essere sussistente, così è la stessa pienezza della vita. La vita di Dio, purissimo spirito, è quella propria di un essere spirituale e la vita dell’essere spirituale è intendere e volere, conoscere ed amare. Dio conosce e ama se stesso, perfettamente si conosce e perfettamente si ama, e in questa infinita cognizione della sua infinita verità, in questo infinito amore della Sua infinita bontà, sta la Sua felicità, il Suo paradiso. Conoscendo e amando se stesso, nella Sua stessa essenza, Dio conosce ed ama tutte le cose possibili ed esistenti, presenti, passate e future, la cui essenza è un’imperfetta partecipazione e imitazione dell’essenza divina. Anzi, la vita divina è così perfetta che Dio, conoscendo se stesso, genera un’Idea o Verbo sussistente nella stessa natura divina, e amando se stesso spira un Amore pure sussistente nella stessa divina natura; questo è l’insegnamento della Fede nella Rivelazione del profondissimo Mistero della SS. Trinità, nella quale il Padre genera il Figlio (il Verbo) e il Padre e il Figlio spirano lo Spirito Santo (l’Amore), mistero che supera la capacità della nostra mente, ma che ad essa non ripugna, anzi sublima il nostro concetto della vita intima di Dio senza contraddire le nostre conclusioni filosofiche.
4) L’opera di Dio.
Essa è il frutto della conoscenza e dell’amore di Dio. Dio vede la possibilità di creature che partecipino del Suo essere e della Sua perfezione e, amandole, desidera dare loro questa partecipazione, creandole con un atto libero. La creazione è appunto l’atto con cui Dio, dal nulla, fa essere l’universo e le cose che lo compongono e che in vario grado partecipano della Sua perfezione: i viventi più dei minerali, gli animali più delle piante e l’uomo più di tutti gli esseri materiali, perché dotato di un’anima spirituale con cui naturalmente partecipa in qualche modo alla vita di Dio, essendo capace di conoscerLo e di amarLo; molto più perfettamente l’uomo vi partecipa per la Grazia (partecipazione alla natura divina), misericordiosamente datagli da Dio, e per la quale diviene capace di conoscerLo per visione intuitiva e di amarLo con amore beatifico. In questo consiste il paradiso: nella visione di Dio verità infinita e nell’amore di Dio bontà infinita. L’uomo e tutto l’universo è opera di Dio, che non solo l’ha creato ma incessantemente continua la Sua azione creatrice conservando alle creature l’essere e le perfezioni che loro ha dato; senza il Suo influsso ogni cosa ricadrebbe nel nulla, come un oggetto sollevato e tenuto sospeso ricadrebbe a terra se non più sorretto.
Ma oltre alla creazione e alla conservazione, Dio assiste le Sue creature aiutandole in tutte le loro azioni, poiché senza il concorso divino sarebbe impossibile ogni loro attività, e guidandole paternamente con la Sua Provvidenza affinché si compiano i disegni di amore per cui esse sono state create.
Ma oltre alla creazione e alla conservazione, Dio assiste le Sue creature aiutandole in tutte le loro azioni, poiché senza il concorso divino sarebbe impossibile ogni loro attività, e guidandole paternamente con la Sua Provvidenza affinché si compiano i disegni di amore per cui esse sono state create.
3. Dio e il problema del male.
Una delle più comuni difficoltà contro l’esistenza di Dio, e in particolare contro la Sua Provvidenza, è l’esistenza del male nel mondo. Come si concilia l’esistenza di Dio con l’esistenza del male? Ecco il problema.
Vi è chi lo risolve negando semplicemente l’esistenza di Dio: ma erroneamente, perché l’esistenza di Dio è evidentemente provata, e la difficoltà di conciliarla con l’esistenza del male non dà il diritto di metterla in dubbio.
Vi è anche chi ha supposto che, accanto a Dio, principio del Bene, esista un essere maligno principio del male, indipendente da Lui e a Lui contrario; la terra sarebbe il teatro della lotta fra questi due primi princìpi. Ma anche questa soluzione (di non pochi antichi: Manichei, ecc.) è allo stesso modo erronea, perché non si può dare un essere che non dipende da Dio, il quale è necessariamente unico principio e creatore di tutto.
Altri, allora, pur ammettendo l’esistenza di Dio, ne hanno negato la Provvidenza, affermando che Dio non si interessa del mondo, avendo abbandonata a se stessa l’opera delle sue mani. Soluzione erronea anche questa, perché contraria agli attributi divini, specie al Suo amore per le creature, amore che è l’unica ragione della creazione.
Per altra via si deve dunque trovare la conciliazione tra l’esistenza di Dio e il fatto del male nel mondo. Per facilitare la soluzione del problema giova distinguere il male fisico e il male morale.
Il male fisico è dovuto all’essenza finita delle cose di cui si compone l’universo ed al corso normale e ordinario delle leggi della natura. Non ripugna quindi a Dio, come non ripugna il dolore che al male fisico suole accompagnarsi; il rendere l’uomo, e in generale l’animale, sensibile agli agenti nocivi è spesso mezzo provvidenziale per la conservazione della vita nella natura; la morte stessa degli individui è necessaria per dare posto alle nuove generazioni.
La colpa, poi, cioè il male morale, è effetto della manchevole volontà dell’uomo: essa non è voluta da Dio, ma solo permessa, perché Dio vuole che liberamente lo rispettiamo e lo amiamo e non vuole fare violenza alla nostra volontà.
Ma – si osserva – Dio non potrebbe, con la Sua Provvidenza, impedire il male? E se lo può, perché non lo impedisce?
Sì, parlando in termini assoluti, lo potrebbe impedire e se, nonostante questo, lo permette, vuol dire che nella Sua infinita sapienza vede che è meglio permetterlo. Senza volere penetrare più in là di quel che alle nostre deboli forze è concesso (S. Paolo esclamava: “ O altezza della scienza di Dio: Come sono imperscrutabili i Tuoi giudizi!”: Ep. ad Rom., 11, 33), abbiamo dalla ragione, e più ancora dalla fede, gli elementi per rispondere alla domanda.
L’immortalità dell’anima – che abbiamo già dimostrato – ci ha dato la certezza naturale (confermata dalla fede) di una vita futura ed eterna, alla quale la vita presente è ordinata e nella quale i desideri del nostro cuore saranno soddisfatti, a meno che la giustizia non esiga la pena del male da noi compiuto. Alla luce di questa verità, per cui la vita dell’uomo si inizia nel tempo ma si continua nell’eternità, deve essere risolto il problema del dolore, che acquista, nella Provvidenza divina, una mirabile finalità. Il dolore, innanzi tutto, distacca l’uomo dalle cose terrene e lo avvicina a quelle eterne; se, nonostante le frequenti infelicità della terra, così pochi pensano all’eternità, quanti sarebbero quelli che si ricorderebbero del loro ultimo fine, se nella vita non vi fossero che gioie? Inoltre, il dolore fa sì che l’uomo possa espiare: chi, nella vita, non ha mai trasgredito la legge del Signore? L’infinita misericordia di Dio è sempre disposta a perdonare, ma la Sua giustizia esige una riparazione, un compenso per l’ordine morale rovesciato, e il dolore ristabilisce quest’ordine purificando l’anima che si è ribellata a Dio. Infine il dolore santifica, perché attraverso la prova del dolore l’uomo si merita quella felicità eterna che Dio vuol donarci quale premio da conquistare col sacrificio e con la lotta, sostenuti dalla pace della coscienza e dalla gioia del cuore con cui Dio conforta il giusto nelle pene della vita.
Così la ragione, ed assai meglio la fede, mostrano nel dolore la paterna Provvidenza di Dio che “non turba mai la gioia dei Suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande” (Manzoni).
Vi è chi lo risolve negando semplicemente l’esistenza di Dio: ma erroneamente, perché l’esistenza di Dio è evidentemente provata, e la difficoltà di conciliarla con l’esistenza del male non dà il diritto di metterla in dubbio.
Vi è anche chi ha supposto che, accanto a Dio, principio del Bene, esista un essere maligno principio del male, indipendente da Lui e a Lui contrario; la terra sarebbe il teatro della lotta fra questi due primi princìpi. Ma anche questa soluzione (di non pochi antichi: Manichei, ecc.) è allo stesso modo erronea, perché non si può dare un essere che non dipende da Dio, il quale è necessariamente unico principio e creatore di tutto.
Altri, allora, pur ammettendo l’esistenza di Dio, ne hanno negato la Provvidenza, affermando che Dio non si interessa del mondo, avendo abbandonata a se stessa l’opera delle sue mani. Soluzione erronea anche questa, perché contraria agli attributi divini, specie al Suo amore per le creature, amore che è l’unica ragione della creazione.
Per altra via si deve dunque trovare la conciliazione tra l’esistenza di Dio e il fatto del male nel mondo. Per facilitare la soluzione del problema giova distinguere il male fisico e il male morale.
Il male fisico è dovuto all’essenza finita delle cose di cui si compone l’universo ed al corso normale e ordinario delle leggi della natura. Non ripugna quindi a Dio, come non ripugna il dolore che al male fisico suole accompagnarsi; il rendere l’uomo, e in generale l’animale, sensibile agli agenti nocivi è spesso mezzo provvidenziale per la conservazione della vita nella natura; la morte stessa degli individui è necessaria per dare posto alle nuove generazioni.
La colpa, poi, cioè il male morale, è effetto della manchevole volontà dell’uomo: essa non è voluta da Dio, ma solo permessa, perché Dio vuole che liberamente lo rispettiamo e lo amiamo e non vuole fare violenza alla nostra volontà.
Ma – si osserva – Dio non potrebbe, con la Sua Provvidenza, impedire il male? E se lo può, perché non lo impedisce?
Sì, parlando in termini assoluti, lo potrebbe impedire e se, nonostante questo, lo permette, vuol dire che nella Sua infinita sapienza vede che è meglio permetterlo. Senza volere penetrare più in là di quel che alle nostre deboli forze è concesso (S. Paolo esclamava: “ O altezza della scienza di Dio: Come sono imperscrutabili i Tuoi giudizi!”: Ep. ad Rom., 11, 33), abbiamo dalla ragione, e più ancora dalla fede, gli elementi per rispondere alla domanda.
L’immortalità dell’anima – che abbiamo già dimostrato – ci ha dato la certezza naturale (confermata dalla fede) di una vita futura ed eterna, alla quale la vita presente è ordinata e nella quale i desideri del nostro cuore saranno soddisfatti, a meno che la giustizia non esiga la pena del male da noi compiuto. Alla luce di questa verità, per cui la vita dell’uomo si inizia nel tempo ma si continua nell’eternità, deve essere risolto il problema del dolore, che acquista, nella Provvidenza divina, una mirabile finalità. Il dolore, innanzi tutto, distacca l’uomo dalle cose terrene e lo avvicina a quelle eterne; se, nonostante le frequenti infelicità della terra, così pochi pensano all’eternità, quanti sarebbero quelli che si ricorderebbero del loro ultimo fine, se nella vita non vi fossero che gioie? Inoltre, il dolore fa sì che l’uomo possa espiare: chi, nella vita, non ha mai trasgredito la legge del Signore? L’infinita misericordia di Dio è sempre disposta a perdonare, ma la Sua giustizia esige una riparazione, un compenso per l’ordine morale rovesciato, e il dolore ristabilisce quest’ordine purificando l’anima che si è ribellata a Dio. Infine il dolore santifica, perché attraverso la prova del dolore l’uomo si merita quella felicità eterna che Dio vuol donarci quale premio da conquistare col sacrificio e con la lotta, sostenuti dalla pace della coscienza e dalla gioia del cuore con cui Dio conforta il giusto nelle pene della vita.
Così la ragione, ed assai meglio la fede, mostrano nel dolore la paterna Provvidenza di Dio che “non turba mai la gioia dei Suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande” (Manzoni).
Bibliografia.
Si veda la bibl. della lez. XVI. Anche Gaetani, La Provvidenza divina, Roma, Univ. Gregoriana, 1944; Zacchi, Il problema del dolore dinanzi all’intelligenza e al cuore, Roma, Ferrari, 1930.
4. Conclusione.
Riandando con la mente al cammino fin qui percorso, possiamo fissare il nostro sguardo su alcuni punti fondamentali per trarne qualche conclusione.
Risolto il problema della conoscenza, affermata e mostrata la nostra capacità di conoscere la verità, cioè la realtà come veramente è, abbiamo studiato l’universo materiale nel quale viviamo, i viventi nelle varie loro specie, in particolare l’uomo, e siamo poi saliti fino a Dio, dimostrandone l’esistenza e indagandone un poco la natura. L’uomo, composto di anima spirituale e di corpo materiale, ci è apparso l’anello di congiunzione fra il mondo della materia e il mondo dello spirito, re del creato ma insieme creatura di Dio. Per sua stessa natura l’uomo ha quindi delle relazioni col mondo materiale e con Dio, con se stesso e con gli altri uomini; lo studio di queste relazioni è l’oggetto dell’altra parte della filosofia, la filosofia morale.
Fra queste relazioni, hanno una particolare importanza le relazioni con Dio, sua causa prima e fine ultimo, che ha creato tutto l’universo per l’uomo e l’uomo affinché egli, attraverso il creato, a Lui ritorni. Il complesso di queste relazioni che stringono l’uomo a Dio costituisce la religione.
L’uomo deve perciò riconoscere la sua dipendenza da Dio, piegare il ginocchio per adorarlo, rendendoGli l’omaggio della sua mente e del suo cuore. Ma in quale modo? Nel modo che la retta ragione gli insegna, sebbene Dio abbia voluto stabilirlo Egli stesso nella pratica di una religione da Lui rivelata: religione soprannaturale o rivelata.
Esiste questa religione rivelata? Un uomo di nome Gesù Cristo, di cui la storia ci attesta l’esistenza e l’opera, propria non di un semplice uomo ma di un Dio, Gesù Cristo, Uomo-Dio, ha rivelato agli uomini la vera religione: la Religione cristiana.
Questa religione insegnata dal Cristo non si trova nella sua integrità e purezza nelle sette protestanti o scismatiche che si dicono cristiane, ma solo nella Chiesa cattolica, apostolica, romana, per cui l’unica vera religione è la Religione cattolica.
In questo modo appare alla retta ragione non solo legittimo, ma anzi doveroso l’atto della nostra fede cattolica. Dimostrare la ragionevolezza e obbligatorietà della nostra fede è compito non più del corso di filosofia ma del corso di Teologia fondamentale o, come suole chiamarsi, di Apologetica.
Risolto il problema della conoscenza, affermata e mostrata la nostra capacità di conoscere la verità, cioè la realtà come veramente è, abbiamo studiato l’universo materiale nel quale viviamo, i viventi nelle varie loro specie, in particolare l’uomo, e siamo poi saliti fino a Dio, dimostrandone l’esistenza e indagandone un poco la natura. L’uomo, composto di anima spirituale e di corpo materiale, ci è apparso l’anello di congiunzione fra il mondo della materia e il mondo dello spirito, re del creato ma insieme creatura di Dio. Per sua stessa natura l’uomo ha quindi delle relazioni col mondo materiale e con Dio, con se stesso e con gli altri uomini; lo studio di queste relazioni è l’oggetto dell’altra parte della filosofia, la filosofia morale.
Fra queste relazioni, hanno una particolare importanza le relazioni con Dio, sua causa prima e fine ultimo, che ha creato tutto l’universo per l’uomo e l’uomo affinché egli, attraverso il creato, a Lui ritorni. Il complesso di queste relazioni che stringono l’uomo a Dio costituisce la religione.
L’uomo deve perciò riconoscere la sua dipendenza da Dio, piegare il ginocchio per adorarlo, rendendoGli l’omaggio della sua mente e del suo cuore. Ma in quale modo? Nel modo che la retta ragione gli insegna, sebbene Dio abbia voluto stabilirlo Egli stesso nella pratica di una religione da Lui rivelata: religione soprannaturale o rivelata.
Esiste questa religione rivelata? Un uomo di nome Gesù Cristo, di cui la storia ci attesta l’esistenza e l’opera, propria non di un semplice uomo ma di un Dio, Gesù Cristo, Uomo-Dio, ha rivelato agli uomini la vera religione: la Religione cristiana.
Questa religione insegnata dal Cristo non si trova nella sua integrità e purezza nelle sette protestanti o scismatiche che si dicono cristiane, ma solo nella Chiesa cattolica, apostolica, romana, per cui l’unica vera religione è la Religione cattolica.
In questo modo appare alla retta ragione non solo legittimo, ma anzi doveroso l’atto della nostra fede cattolica. Dimostrare la ragionevolezza e obbligatorietà della nostra fede è compito non più del corso di filosofia ma del corso di Teologia fondamentale o, come suole chiamarsi, di Apologetica.
Bibliografia.
Devivier, Corso di apologetica cristiana, Venezia, Emiliana, 1937; Giacon, La verità cattolica, Vol. I (La divinità del cristianesimo, la Chiesa, i Dogmi), Como, Marzorati 2a ediz., 1943; Sitti, Corso di teologia per i laici, Vol. I (La Rivelazione), Roma, Studium, 1940.