Gli argomenti metafisici costituiscono sempre la dimostrazione piu’ bella e piu’ solida dell’esistenza di Dio
LEZIONE XVII
L’ESISTENZA DI DIO
(I: PROVA METAFISICA)
Prove metafisiche sono quelle che poggiano sui primi ed universali principi della ragione, che hanno quindi un valore assoluto e causano nella mente un’adesione perfetta che si dice appunto certezza metafisica. Gli argomenti metafisici, se ben compresi, costituiscono sempre la dimostrazione più bella e più solida dell’esistenza di Dio: perciò cominciamo da questi. Essi, solitamente, vengono proposti in varie forme; celebri sono le cinque vie di S. Tommaso (Summa theol., I, q. 2, a. 3) con le quali si prova l’esistenza di Dio, come primo motore immobile, prima causa incausata, essere necessario, essere perfettissimo, sapientissimo ordinatore. Non potendo svilupparle tutte, in questa lezione fisseremo il nostro sguardo sulla terza via, la più facile ed evidente, che brevemente si può riassumere nel seguente argomento.
1. L’argomento.
L’universo è un complesso di esseri contingenti. Ma l’essere contingente esige l’Essere necessario come sua prima causa. Dunque oltre l’universo esiste un Essere necessario, creatore dell’universo, che è appunto Dio.
Esaminiamo le singole proposizioni della nostra argomentazione:
1) L’universo è un complesso di esseri contingenti.
Noi scorgiamo nell’universo un’infinita quantità di cose: noi stessi, gli altri uomini, animali, piante, minerali di tante specie, composti di molecole, atomi, ecc., che costituiscono la terra, il sole, gli astri, e così via. Tutti questi esseri non sono esseri necessari, perché essere necessario è quello che necessariamente è (quindi non può non essere) e che necessariamente è quello che è (quindi non può mutarsi). Invece tutte le cose che compongono l’universo sono mutabili e di fatto continuamente mutano. I viventi nascono, crescono e muoiono; e durante la loro vita si evolvono e si modificano sempre. Le sostanze inorganiche anch’esse sono soggette a continue trasformazioni. Inoltre a nessuna delle cose che costituiscono il mondo compete l’essere in modo che le ripugni intrinsecamente il non essere. Dunque tutti gli esseri che costituiscono l’universo sono contingenti, cioè possono essere e non essere e, quando sono, possono modificare accidentalmente il loro modo di essere.
2) Ma l’essere contingente esige l’Essere necessario come sua prima causa.
Infatti essere contingente, come abbiamo detto, significa che può essere e non essere, essere in un modo ovvero in un altro; il che vuol dire che quella cosa non è di natura sua determinata ad essere, ma di natura sua è indifferente all’essere e al non essere. Per esempio alla natura dell’uomo appartiene la razionalità (per cui un uomo senza razionalità è assurdo) ma non appartiene alla natura dell’uomo la bontà, per cui può essere buono e cattivo, e molto meno appartiene alla natura dell’uomo l’esistenza, per cui ogni uomo è, ma non era e non sarà; vive, ma è nato e morirà.
Se per sua natura l’essere contingente è indifferente ad essere e a non essere, vuol dire che non ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza, cioè non ha in sé quello che è necessario e sufficiente per poter esistere; ed allora è chiaro che questa sua esistenza deve averla ricevuta da un altro, cioè ci deve essere un altro ente che sia la ragione sufficiente della sua esistenza, la causa che l’abbia determinato ad essere. Questa causa che l’ha determinato ad essere o è un essere contingente o è un essere necessario. Se è contingente, neppure esso ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza, che perciò deve essere causata da un altro essere; e riguardo a questo si riproduce la medesima questione. Orbene non si può procedere all’infinito nella serie delle cause essenzialmente subordinate, altrimenti si avrebbe una serie infinita di anelli che stanno sospesi senza un fulcro di attacco, si avrebbe, cioè, una serie infinita di specchi che riflettono la luce senza un corpo per sé lucente, una somma di zeri che, per quanto prolungata, non può dare l’unità.
3) Dunque ci deve essere un essere necessario, che abbia in sé la ragione sufficiente del proprio essere e che sia ragione sufficiente di tutti gli altri, causa prima dell’universo. Ed allora è evidente la conclusione: oltre l’universo esiste un Essere necessario, creatore dell’universo, che è appunto DIO.
2. Il principio di causalità.
L’argomento, come si vede, è fondato sopra il principio di causalità, che si può e si suole esprimere in vari modi; il più esatto è: ogni ente contingente è causato.
Questo principio, salvo rare eccezioni, era comunemente ammesso sia nella filosofia antica (Platone, Aristotele), sia nel Medio Evo (S. Tommaso) come principio di per sé evidente, che non esigeva lunghe dimostrazioni per essere giustificato. Nella filosofia moderna, quando cominciarono a sorgere i pregiudizi critici sul valore delle nostre cognizioni, si cominciò a negare valore oggettivo anche al principio di causalità; lo si disse frutto dell’abitudine di associare i fenomeni successivi (Hume), ovvero lo si considerò come giudizio sintetico a priori (Kant), e quindi legge della mente che non può pensare in altro modo, ma il cui valore non oltrepassa il campo fenomenico.
Noi invece sosteniamo che il principio di causalità, nonostante tutte le critiche che se ne sono fatte, conserva il suo pieno e assoluto valore. Infatti, come già dicemmo, ogni ente contingente, appunto perché contingente, non ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza; dunque se esiste ci deve essere un altro ente che sia la ragione sufficiente del suo esistere, in quanto ripugna che possa esistere qualcosa senza che si dia ciò che è necessario e sufficiente perché possa esistere. Questo, il nostro intelletto lo afferma non per cieca necessità soggettiva e a priori, ma perché vede che così esige la natura delle cose stesse. Il mio intelletto vede bene: allora il principio di causalità è vero ed ha valore oggettivo; oppure vede male: allora non posso fidarmi del mio intelletto, non avranno più valore i miei ragionamenti, ma neppure quelli dei miei avversari che argomentano contro di me, utilizzando quello stesso intelletto. Il risultato, quindi, sarebbe lo scetticismo universale e la negazione di ogni scienza, che si fonda sul principio di causalità.
Né è difficile rispondere alle suindicate obiezioni mosse sia dagli empiristi con Hume, sia dai criticisti e dagli idealisti con Kant.
a) Hume così argomenta: è oggettiva soltanto quella cognizione che è attinta dai sensi; ma i sensi percepiscono soltanto la successione dei fenomeni, non il nesso causale; per esempio coi sensi io percepisco che dopo aver messo l’acqua sul fuoco l’acqua è calda, ma l’influsso del fuoco nell’acqua non lo percepisco: quindi il concetto di causa non ha un valore oggettivo, ma è qualcosa di soggettivo dovuto all’abitudine di associare i fenomeni successivi. Vedo che l’acqua, dopo essere stata messa sul fuoco, è sempre calda, perciò dico che il fuoco ha scaldato l’acqua.
Rispondo: è falso che la nostra conoscenza oggettiva sia limitata solo a quello che percepiamo direttamente coi sensi, perché oltre ai sensi abbiamo l’intelletto, col quale legittimamente possiamo valicare i confini del mondo fenomenico, come abbiamo dimostrato nella lezione III. Inoltre è falso che l’esperienza ci dia soltanto la successione dei fenomeni, perché per esempio l’esperienza interna ci dice qualcosa di più: quando alzo un peso, non percepisco soltanto il mio toccare il peso e poi l’alzarsi del peso, ma anche lo sforzo che faccio per alzare il peso, la mia attività, la mia causalità. Infine osservo che se la legge causale fosse dovuta all’abitudine di associare i fenomeni successivi, dovremmo sempre affermare un nesso causale ogni volta che vediamo una costante successione di fenomeni e dire, per es., che la notte è causa del giorno perché costantemente lo precede, mentre tutti riconosciamo che si tratta di un sofisma: post hoc, ergo propter hoc.
b) Kant, nelle sue argomentazioni, così procede: il principio di causalità è un principio universale e necessario (ogni ente che cominci ad esistere deve essere causato). Ma tutta la nostra conoscenza sensitiva è conoscenza di enti singolari e contingenti, i quali possono darci materia per giudizi a loro volta particolari e contingenti, e non per principi universali e necessari. Il principio di causalità, quindi, è una legge stabilita dalla mente, e non attinta dalla realtà: ha quindi un valore soggettivo, non oggettivo.
Rispondo: è vero che tutte le cose che conosciamo con i sensi sono singolari e contingenti ma, come abbiamo già osservato, oltre ai sensi abbiamo l’intelletto, col quale possiamo penetrare l’intima natura delle cose e scoprire le leggi universali e necessarie che regolano la realtà. Gli uomini che conosco sono singolari e contingenti, ma penetrando la loro natura vedo, per es., che la razionalità appartiene alla loro essenza, mentre non appartiene alla loro essenza la bontà e allora, mentre non posso dire che tutti gli uomini sono necessariamente buoni, posso bensì dire che tutti gli uomini sono necessariamente ragionevoli, anche se di fatto non sempre ragionano, e la mia affermazione universale e necessaria ha pieno valore oggettivo, perché non stabilita dalla mia mente, ma attinta dalla natura della realtà; in questo caso dalla natura dell’uomo. Lo stesso può dirsi del principio di causalità, affermato dalla mente non aprioristicamente, ma dopo aver veduto che l’esigenza di una causa è qualcosa che appartiene all’essenza dell’ente contingente e che perciò ogni ente contingente ha necessariamente una causa; il principio di causalità ha dunque pieno valore oggettivo.
3. Il principio di causalità e la fisica moderna.
Anche fisici moderni hanno impugnato il principio di causalità e hanno affermato: “Il principio di causalità, che ritenevasi stesse a base inamovibile della nostra scienza, crolla nella fisica atomica; la natura, nei suoi processi elementari, non si lascerebbe più seguire coi consueti concetti di determinismo presi dalla meccanica macroscopica, e l’uomo non vi trova più che la legge del caso”. Così il Castelfranchi nella prima edizione della sua Fisica moderna (1) e insieme a lui i sostenitori più spinti dell’indeterminismo, benché nelle successive edizioni dell’opera abbia sentito il bisogno di attenuare le espressioni e di ammettere la possibilità che dietro le leggi statistiche vi siano leggi nascoste alle quali obbediscano i singoli corpuscoli, esista dunque una nascosta causalità (2).
Ma il contrasto è apparente, non reale, e dovuto più che altro ad una confusione di termini. Ci pare infatti di poter riassumere l’argomentazione dei fisici moderni contro il principio di causalità nei termini seguenti: il principio di causalità si identifica col principio di determinazione della fisica classica. Ma tale principio è stato superato dal principio di indeterminazione della fisica moderna. Dunque anche il principio di causalità è superato e non ha più valore.
Rispondiamo che il principio di causalità si distingue nettamente sia dal principio di determinazione della fisica classica, sia dal principio di indeterminazione della fisica moderna, e non è in contrasto né con l’uno né con l’altro. Infatti:
a) Principio di causalità e principio di determinazione si distinguono perché il principio di causalità afferma solamente che ogni effetto (ogni nuovo fenomeno) deve avere necessariamente una causa, ma non dice quale sia la causa né se la causa abbia necessariamente prodotto quell’effetto. Invece il principio di determinazione afferma che conoscendo l’effetto io posso conoscere la causa che l’ha prodotto, e conoscendo la causa io posso conoscere gli effetti che produrrà. Come si vede, il principio di determinazione dice molto più del principio di causalità; da esso quindi si distingue, però lo suppone e ad esso non si oppone.
b) Principio di causalità e principio di indeterminazione si distinguono in quanto il principio di indeterminazione della fisica moderna afferma che, essendo imperfetta la nostra conoscenza delle particelle subatomiche (elettroni, ecc.), non abbiamo modo di determinare con precisione, per es., la posizione e lo stato di movimento dei singoli corpuscoli, non possiamo conoscere e quindi neppure prevedere con certezza i fenomeni che seguiranno, ma solo con una maggiore o minore probabilità; in altre parole, non potendo noi nel mondo subatomico conoscere perfettamente la causa, non possiamo prevederne con certezza gli effetti. Orbene, se questa affermazione può contrastare col principio di determinazione (nel senso che tale principio non può essere da noi applicato al mondo subatomico), in nessun modo esso contrasta col principio di causalità, secondo il quale i fenomeni, anche nel mondo subatomico, devono avere una qualche causa, sia che la conosciamo sia che non la conosciamo; e che tali fenomeni abbiano una causa, nessun fisico l’ha mai negato né mai lo negherà. Negarlo, infatti, sarebbe negare non solo il principio di causalità, ma rinnegare la scienza medesima, la quale, come dice la sua stessa definizione, è la conoscenza dei fenomeni mediante le cause che li hanno determinati (3).
4. Alcune obiezioni.
1) La materia è eterna, dunque non è causata.
Rispondiamo in tal modo: che la materia sia eterna è affermazione gratuita, la scienza non lo dimostra, anzi la scienza sembra provare il contrario, se è vera la legge di entropia (trasformazione progressiva di tutta l’energia in calore, pur restando quantitativamente costante). Ma anche dato e non concesso che la materia sia eterna (il che per la Rivelazione sappiamo non essere vero), il nostro argomento conserva tutto il suo valore. Noi non diciamo infatti: il mondo ha avuto inizio, dunque è stato causato, ma: il mondo è contingente, dunque è creato. Se esiste ab aeterno, ab aeterno deve essere creato.
2) Ma forse la materia stessa è l’ente necessario ragione sufficiente di tutte le cose che costituiscono l’universo.
Così rispondiamo: è assurdo che la materia sia l’ente necessario, poiché essa:
a) è imperfetta, incapace di essere la causa adeguata delle perfezioni che si trovano nell’universo (moto, vita, intelligenza, ecc.), perché nessuno può dare quel che non ha;
b) è mutabile, mentre l’essere necessario è assolutamente immutabile in quanto determinato dalla sua essenza ad essere quello che è: mutabilità comporta contingenza;
c) è composta; le singole parti della materia sono contingenti (non ripugna infatti che questa o quella parte non esista), ma una somma di contingenti non dà il necessario, come una somma di zeri non dà l’unità.
3) Infinito e finito, Dio e mondo non possono coesistere.
“ Dio, per essere lui, rende impossibile il mondo e non può far essere o lasciar essere questo senza rinunziare a sé medesimo” (4).
A questa obiezione già abbiamo risposto nella lezione IV. L’essere Dio infinito non impedisce che ci siano creature finite che partecipino della sua perfezione, come, per es., l’avere un sovrano assoluto tutto il potere, non impedisce che ci siano altri nel regno che partecipino del suo potere.
Note.
1) Castelfranchi, Fisica moderna, 1a ed., Milano, Hoepli, p. 583.
2) Fisica moderna, 5a ed., pp. 528-529.
3) Cfr. Marcozzi, Il problema di Dio e le scienze naturali, Milano, Bocca, p. 20; Martegani, Dal rigido determinismo al principio di indeterminazione, in Civiltà Cattolica, 1938, 3, p. 432 ss. e 4, p. 116 ss.
4) Gentile, I problemi della Scolastica.