…Il diritto all’onore. Natura e fondamento. Le offese contro l’onore. Soddisfazione per l’onore leso. Il diritto alla fama. Natura ed estensione.Le ingiurie contro la fama: La detrazione. Giudizio, sospetto, dubbio temerario….
Trattato di Teologia morale
PARTE III
I DOVERI DELL’UOMO NEI SUOI RAPPORTI CON IL PROSSIMO
2. DIRITTI E DOVERI INDIVIDUALI – DIRITTI NATURALI
IV. DIRITTO ALL’ONORE E ALLA FAMA.
1. Il diritto all’onore (121).
a) Natura e fondamento.
L’onore è la testimonianza resa all’altrui eccellenza. Il riconoscimento dell’altrui eccellenza è inteso in senso ampio, in modo da non indicare soltanto superiorità gerarchica, intellettuale, morale, fisica ecc., ma anche – anzi soprattutto – la onorabilità personale che affonda le sue radici nella virtù del soggetto, il semplice decoro o lustro esterno della persona, o la considerazione di circostanze esteriori, come lo stato, la posizione, la ricchezza, l’ufficio o la carica, anche se manca l’onorabilità personale.
Il tributo o riconoscimento dell’altrui eccellenza può essere fatto con parole, con segni o con fatti, come ad es. il conferimento di una dignità, di un ufficio, ed ha come termine la persona. Non è tuttavia necessario che questa sia presente: possiamo onorare anche gli assenti.
Inteso in questo senso l’onore è non raramente fonte di fiducia e di stima, perché chi vede una persona onorata, ne concepisce stima, e nello stesso tempo l’onore è spesso l’effetto della reputazione che uno gode nella società.
L’onore ha perciò ragione di causa e di effetto della buona fama, venendo così spesso ad incontrarsi nella stessa persona, ma potendo anche esistere separatamente, come quando si presta onore ad un individuo per la dignità che ricopre, nonostante che la sua reputazione sia tutt’altro che buona.
Benché nella vita ascetica si dia alla ricerca dell’onore o meglio degli onori un significato spesso peggiorativo e deteriore, come la ricerca di beni fallaci, che ci fanno deviare dal vero bene (superbia vitae), l’onore in se stesso è un bene sociale, legittimo, in quanto ci porta a ricercare gli attestati della stima altrui fin dove è utile alle buone relazioni, che dobbiamo avere con loro. È un sussidio, sia pure accidentale, alla virtù. Si può e si deve certamente stimare quanto di buono Dio ha messo in noi: virtù, scienza, uffici, dignità. È questo, supposta la rettitudine di intenzione, un sentimento che onora Dio, a cui questi beni vanno riferiti come a primo principio ed ultimo fine. Si può anche desiderare che gli altri vedano questo bene o questi beni e li riconoscano socialmente con attestati di stima: tutto ciò fomenta le buone relazioni tra gli uomini. Di conseguenza si può anche lecitamente esigere dagli altri il dovuto rispetto; e rintuzzare, entro i dovuti termini, le mancanze di riguardo che ci venissero fatte. Qualche volta ciò potrà essere necessario, essendo richiesto dall’interesse sociale.
In ogni caso questo è un nostro diritto, poiché l’onore, come si è detto, forma il substrato o è la manifestazione di quel corredo di decoro, reputazione, dignità morale, che comunemente viene sotto il nome di buona fama: bene questo individuale, immateriale della persona vivente in società.
Che non sia illecito al cristiano tutelare il proprio onore e che lo si debba in alcuni casi specifici, è documentato dalla condotta stessa del Divin Salvatore (122).
Se però l’onore, come la buona fama, è un bene individuale, e rimane tale, senza compromettere eventuali compiti sociali, l’individuo può rinunciare ad ogni attestazione di onore e non esigerne la riabilitazione, in caso di violazione.
Ciò non sarà viltà: sarà anzi indice di una superiorità d’animo non comune, esigendosi un auto-controllo assai severo per poter riuscire, e gioverà ad evitare illusioni ed eccessi in un campo, in cui quelle e questi sono assai facili. Formalizzandosi infatti in ogni piccolezza, per esigere il tributo di onore più o meno dovuto, è facile darvi un senso sproporzionato. La deformazione poi facilmente diventa avidità di onori e di riconoscimenti anche non meritati.
La rinuncia anche a soddisfazioni lecite crea un’atmosfera di superiorità inferiore e di santa libertà. È in questo senso da interpretarsi la esortazione del Signore di offrire l’altra guancia, quando si è percossi sulla destra, ed altre parole consimili (123). Questa superiorità è la serenità di chi ha riposto l’onore proprio nelle mani di Dio e stima immensamente più Lui di qualsiasi gloria umana e sente nell’offesa serenamente sopportata di accostarsi di più all’esempio di Colui, che ” maledetto non malediceva (124).
Il cristiano sa poi di dover onorare coloro cui spetta (125). Nella società familiare sarà la parte più forte, il marito che verrà esortato ad onorare la parte più debole, la sua sposa (126); nella società i sudditi saranno invitati a prestare onore alle persone esercitanti un’autorità (127), ed i giovani ad onorare gli anziani (128). Chi vien meno a questo dovere si rende reo di peccato ed, in una società bene ordinata, anche di delitto.
b) Le offese contro l’onore.
L’offesa all’onore del prossimo ha un nome specifico, contumelia. La contumelia in senso stretto si ha, quando il disprezzo del nostro animo contro qualcuno è manifestato con parole. In senso più ampio comprende anche il disprezzo manifestato con fatti, con segni, con gesti ecc. (ed allora la derisione è una specie di contumelia); con scritti (ed allora la contumelia ha un nome speciale, libello famoso).
La sola omissione dei segni di onore, che spettano ad una persona, non è di per sé contumelia, ma può esserla per l’intenzione e per le circostanze (contumelia negativa), quando dalle stesse risulta l’animus contemnendi.
Rientra nel concetto di contumelia anche l’improperio o la maledizione o maledizioni, scagliate contro la persona presente (maledictio). La contumelia infatti può essere fatta non solo a persona presente, ma anche assente.
Nessuno può pretendere di essere onorato sopra quella che è la propria onorabilità, ma ognuno ha diritto ad un minimo di onore, in quanto è persona umana. E perciò non si può offendere nessuno. Anche se esistono nella persona vizi morali, difetti fisici poco onorevoli o disonorevoli, non è lecito rinfacciarli (sarebbe contumelia), a meno che non vi sia un motivo di correzione, di esame delle qualità per chi scende sull’agone politico, di legittima investigazione o contestazione, o di pena. È contumelioso ancora ricordare al prossimo, senza ragione, servizi a lui resi, quando si trovava in miseria.
Sulla contumelia a mezzo stampa, mezzi audio-visivi, ecc. (che non fanno altro che allargare il cerchio delle persone dinanzi a cui avviene l’ingiuria), si dirà parlando di pubblicità Ma i principi morali restano gli stessi.
La contumelia è un peccato per sé (genere suo) grave. Ledendo un bene che è maggiore delle ricchezze contrasta essenzialmente all’ordine sociale. La gravita risulta anche dalle parole di Gesù: ” Chi avrà detto al suo fratello stolto, è reo del fuoco della geenna ” ‘” e dal fatto che S. Paolo enumera coloro che fanno contumelia al prossimo tra quelli che Dio ha consegnato al proprio reprobo senso (130).
Naturalmente perché si abbia questa gravita, è necessario che gli atti nei quali consiste l’elemento materiale del peccato stesso siano di per sé capaci a ledere gravemente l’onore, senza che occorra che l’effetto segua necessariamente oppure che siano ispirati da odio o disprezzo grave. La parvità di materia si può avere o dalla leggerezza, non gravemente colpevole, che ispira gli atti lesivi dell’onore o dalle circostanze.
c) Soddisfazione per l’onore leso.
Le offese contro l’onore, anche quando in realtà l’offeso non abbia scapitato e sia diminuito nella reputazione degli altri, esigono riparazione o, come più propriamente suol dirsi, soddisfazione per giustizia, dopo il danno che quasi sempre è connesso con la contumelia (131).
La soddisfazione dell’onore leso viene fatta con la prestazione di nuovi segni di stima. Dovrà avvenire pubblicamente o privatamente conforme all’offesa stessa ed alle circostanze, in cui si è avverata. Se l’offeso è superiore, è doveroso chiedergli perdono; se eguale od inferiore, basteranno ordinariamente segni di particolare apprezzamento. In ogni caso se dalla contumelia ne è derivato danno di altro genere, previsto almeno in confuso, si è tenuti anche per questo alla riparazione.
Si è scusati dalla riparazione dell’onore leso, quando: a) ragionevolmente si può presumere che l’altro vi rinunzi; b) giudiziariamente si è stati puniti per l’ingiuria; c) l’offeso si è vendicato.
2. Il diritto alla fama (132).
a) Natura ed estensione.
La fama, in senso lato ma rilevante sul piano etico, è la stima che si ha dell’altrui valore, mentre in senso stretto e più propriamente giuridico essa consiste nella comune reputazione. Questa si diversifica a seconda dei vari valori – morali, intellettuali ecc. – cui si riferisce, e può essere ordinaria o speciale: la prima suppone l’assenza di difetti in un determinato ordine, la seconda, invece, suppone qualità speciali.
Il diritto alla fama poggia sulla natura sociale dell’uomo, e appunto per questo l’importanza della fama è grandissima sia in se stessa, sia per conseguenze sociali ed economiche che può avere. Questo vale soprattutto per le professioni fondate sulla fiducia in modo quasi essenziale (avvocati, medici, sacerdoti ecc.). Basta riflettere per comprendere e concludere che ognuno ha diritto alla fama, almeno finché la permanenza della buona riputazione di una persona non sia di danno ad altri. Di conseguenza pecca chi la distrugge o la mette in pericolo (133).
Il diritto di fama persiste anche dopo la morte, ma varie sono le spiegazioni di tale persistenza (134); compete, non solo alle persone fisiche, ma anche a quelle morali (135).
La fama può essere vera quando il buon nome è fondato sulla reale esistenza delle buone qualità attribuite; falsa se del buon nome si gode, senza che esistano i pregi attribuiti dall’opinione pubblica. Per sé chiunque non ha commesso pubblicamente del male, ha diritto al buon nome.
Questo diritto al buon nome spetta anzitutto alle persone che godono la fama vera, frutto della loro onestà. In loro il diritto è assoluto e universale.
Il diritto alla fama si estende anche alla fama falsa. Questo diritto però non è della natura stessa di quello dei buoni, non essendo richiesto dalla bontà e dall’eccellenza interiore inesistente, ma dagli inconvenienti che seguirebbero, contro il bene pubblico e privato, se fosse lecito pubblicare tutte le mancanze private (136).
b) Le ingiurie contro la fama.
Sono diverse, ma possono essere ricondotte a due tipi: la detrazione e il giudizio temerario, con le varianti del sospetto e dell’opinione temeraria.
1) La detrazione consiste nell’ingiusta lesione della fama altrui mediante la comunicazione o divulgazione di qualche notizia (v. anche quanto si dirà a proposito di pubblicità: sotto il profilo etico si ha l’ingiuria anche quando tale comunicazione è fatta a una sola persona (lesione della fama in senso lato); quando si offende l’altrui riputazione comunicando con più persone si ha la vera e propria diffamazione. Se la detrazione vien fatta, addebitando il falso, si ha la calunnia.
La detrazione è colpa di per sé grave. Tuttavia perché ci sia ingiuria, è necessario che colui contro del quale è rivolta conservi ancora presso di sé la riputazione. Inoltre la sua effettiva gravita, più che dal contenuto materiale della notizia diffusa, deriva dalla gravità del danno che si arreca all’altrui riputazione. Ne è necessario che la diffamazione derivi da sentimenti perversi, ma basta che essa produca delle gravi conseguenze alla stima del prossimo e che siano state previste. Infatti una responsabilità grave la si contrae pure per un atto volontario in causa.
In tale valutazione è necessario tener presenti tutte le circostanze (oggetto, persona ecc.). La calunnia per la sua stessa natura è più grave della semplice detrazione, perché alla malizia della detrazione aggiunge la menzogna.
Si tratta inoltre di menzogne spesso dannosissime che tolgono la fama, bene prezioso e necessario. La calunnia e la detrazione semplice hanno
in comune la malizia di offendere la giustizia e la carità.
Ove manchi l’animus damnificandi, si può, per una proporzionata utilità (137), manifestare o divulgare una notizia da cui si prevede che l’altrui fama sarà lesa o compromessa (138).
La fama lesa va riparata. Ma mentre il calunniatore è tenuto a restituire la fama, confessando apertamente di aver mentito, per il semplice detrattore basta che usi dei mezzi adatti a ripristinare il buon nome di chi è stato diffamato.
Calunniatore e semplice diffamatore sono poi tenuti a riparare tutti i danni materiali derivati dalla diffamazione e antecedentemente previsti.
2) Giudizio, sospetto, dubbio temerario (139). Quando si parla di pensieri cattivi circa l’onestà del prossimo, spesso si adoperano indiscriminatamente i termini giudizio temerario, opinione temeraria, sospetto temerario e dubbio temerario.
Tuttavia differiscono fra di loro come tanti gradi distinti secondo la maggiore o minore fermezza del consenso.
Giudizio temerario, strettamente preso, è un assenso fermo e certo, con cui senza sufficiente fondamento giudichiamo cattiva un’azione od un comportamento del nostro prossimo.
Opinione temeraria è un assenso debole o probabile soltanto del male del prossimo, concepito senza motivo sufficiente.
Sospetto temerario è la propensione al male attribuita al prossimo senza sufficiente motivo. La mente è inclinata ad attribuirgli il male, ma di fatto non glielo attribuisce.
Dubbio temerario è il sospetto nutrito nell’animo senza ragione sufficiente circa la probità e la improbità del prossimo.
Il giudizio temerario, perché sia peccaminoso, deve essere effettivamente temerario, ossia destituito di proporzionato fondamento.
La temerarietà può essere soltanto materiale o anche formale. Si ha la materiale soltanto, quando uno non avverte l’insufficienza dei motivi, sebbene giudichi frettolosamente; se invece c’è l’avvertenza, allora la temerarietà è formale.
Però psicologicamente è quasi impossibile che uno, vedendo che i motivi sono inadatti, tuttavia formi un giudizio interno, contrario alla stima del prossimo. Perciò la temerarietà consiste in ciò, che alcuno consapevolmente trascuri di considerare le ragioni, su cui si fonda il suo giudizio. E ciò può avvenire o per leggerezza o per cattiva volontà.
Il giudizio temerario è un peccato per sé (ex genere suo) grave.
Il motivo della gravita del peccato si deve dedurre dalla stessa temerarietà del giudizio. Infatti la fama e l’onore sono un bene che noi possediamo presso gli altri. Chiunque pertanto, senza ragione sufficiente, nega ad altri la stima interna, con un giudizio fermo, imputando qualche cosa di grave a colui, contro del quale non ha argomenti certi, gravemente lede un di lui diritto. Tuttavia perché si abbia il peccato grave, si richiede che il giudizio sia perfetto, completamente temerario e veramente grave. Si esige cioè che da parte dell’oggetto si rechi grave danno alla fama altrui; che si abbia un vero giudizio, e perciò non basta il solo sospetto o il dubbio; che la temerarietà del giudizio sia perfetta nel suo genere e che di essa si abbia la piena avvertenza.
Il sospetto ed il dubbio temerario per sé costituiscono un peccato leggero, perché non tolgono pienamente dal nostro animo la stima del prossimo, ma solo la diminuiscono.
Questi peccati però possono diventare gravi, non solo per ragione di grave malevolenza, da cui derivano, ma anche per ragione dell’oggetto, se, esaminate tutte le circostanze, si reca all’altro con il dubbio o con il sospetto una grave ingiuria. Così sembra più grave delitto sospettare uno d’incesto o d’eresia, che attribuire alla stessa persona, frettolosamente, un delitto minore; e ciò è più evidente, se il sospetto verte circa una persona molto proba o di eccelsa dignità.
NOTE
121 Cfr. F. TILLMAN, il maestro chiama1, Brescia 1945, 285-292; PALAZZINI, Ingiuria, in EC, VI, 2006-2009; Io., Onore e contumelia, IX, 135-137; K. B. MOORE, the moral principles governing the Sin of detraction and an application of these principles to specific cases, Washington 1950; I. FARRAHER, Detractio et ius in famam, in Per. 41 (1952) 6-35. Per l’onore nel diritto penale italiano, cfr.: G. BATTAGLINI, II bene dell’onore, e la sua tutela penale, in Rivista penale, 83 (1916) 255 ss.; C. PESSIS, Onore, in Nuovo Dig. Ital., IX, 79-80; A. IANNITTI PIROMALLO, Ingiuria e diffamazione, Torino 1953. Per il diritto canonico, v.: P. CIPROTTI, De iniuria ac diffamatione in iure poenali canonico, Roma 1937; E. TRABUCCHI, VIII Comandamento: la verità nella carità, in L’uomo e il decalogo, a cura di L. Babbini, Genova 1969, 275-280; L. BABBINI, Onore, in Dizionario enc. di teologia morale, 2a ed., 641-645.
122 Cfr. Gv 8, 49, 18, 23; Mt 12. 31 ss.
123 Mt 5, 39. Cfr. ancora Gv 5, 41; 8, 54
124 1 Pt 2, 21-23. Cfr. anche Gv 12, 43.
125 Rm 12, 10.
126 1 Pt 3, 7.
127 1 Pt 2, 17.
128 1 Tm 5, 17.
129 Mt 5, 22.
130 Rm 1, 28-30.
131 Anche il legislatore ecclesiastico o civile si occupano dell’onore, quando questo viene leso.
132 Cfr. G, GUZZETTI, Fama, in EC, VII, 976-978.
133 Ved., ad es., Sal 14, 3; 33, 14; Pro 20, 19; 30, 10; Sap I, 11 ss.; I Tm 3, 2;
Rm 1, 30; 2 Cor 12, 20; Gc 4, 11, ecc. Tra l’altro dice la S. Scrittura che il buon nome è preferibile alle ricchezze (Pro 22, 1); perciò esorta ad averne gran cura: Hoc enim magis permanebit tibi quam mille thesauri pretiosi et magni. Bonae vitae numerus dierum: bonum autem nomen permanebit in aevum (Pro 41, 15).
134 Alcuni civilisti dicono che il defunto perde qualsiasi personalità e che con la punizione della lesione della fama nei loro confronti si leda l’interesse dei superstiti; altri pensano che per finzione giuridica la memoria del defunto venga eretta a persona; altri infine e più giustamente pensano che allo stesso defunto appartenga in proprio ancora il diritto alla fama. Cfr. V. MANZINI, Trattato di diritto penale ital., VII, Torino 937.
135 Alcuni civilisti pensano però che le persone morali qua tales non siano soggetto di un simile diritto. Cfr. V MANZINI, o. e., 334.
136 Cfr. S. Theol. 2-2, q. 73, 74; A. THOUVENIN, Médisance, in DTC, 487-494; Cathechismus Romanus, pars 3, e. IX, n. 8-10; SERAPHINUS A LOIANO, Institutiones theologiae moralis, II, Torino 1935, pars 2a, tract. VI, e. II, n. 445-453; P. PALAZZINI, Sospetto e giudizio temerario, in EC, XI, 996-997.
137 Tale potrà essere: a) II dovere di agire secondo giustizia (un visitatore dovrà riferire i difetti riscontrati nelle sue ispezioni;; b) II dovere di provvedere al bene della società (da questa ragione è giustificata la critica, anche personale, degli uomini politici); c) L’interesse del colpevole (manifestare i difetti di un figlio ai genitori perché sia corretto); d) II bene di un terzo o proprio di chi parla (avvertire uno di abbandonare la compagnia di un malvagio; giustificarsi contro chi ci accusa, rivelando, se necessario, anche difetti occulti dell’accusatore ecc.).
138 Nel diritto canonico i delitti contro la buona fama possono essere puniti oltre che con l’obbligo di una congrua soddisfazione anche con pene ferendae sententiae.
139 Cfr. S. Theol., 2-2, q. 66, a. 3-4