…I DUE SESSI NEI DISEGNI DI DIO. La loro finalità. Le leggi della vita sessuale. Il valore ed il rispetto del sesso. LA VIRTÙ DELLA CASTITÀ. Nozione e valore. I gradi della virtù. Il pudore. VERGINITÀ, CELIBATO E PERFETTA CASTITÀ. CASTITÀ CONIUGALE. Principi. Applicazioni. La vita in provetta. La continenza periodica….
Trattato di Teologia morale
PARTE II.
DOVERI DELL’UOMO VERSO SE STESSO
3. RISPETTO DELLA VITA SESSUALE
I. I DUE SESSI NEI DISEGNI DI DIO
1. La loro finalità.
La distinzione dei due sessi è da Dio. Ed è anche da Dio l’attrattiva che l’un sesso sente istintivamente per l’altro. Codesta origine divina ne garantisce la nativa bontà, ma ne fissa insieme la finalità specifica, finalità che, oltre a rivelarsi attraverso alle caratteristiche fisiologiche e psicologiche di cui ciascun sesso è dotato, è stata da Dio espressamente richiamata alla mente dell’uomo, non appena questi uscì dalle sue mani creatrici.
Lo scopo essenziale della distinzione dei sessi, delle loro caratteristiche e dei relativi istinti è di natura prevalentemente sociale: va necessariamente ricercato nella trasmissione della vita e nella conservazione della specie.
Codesto scopo, immanente, per dir così, nella stessa fisiologia del sesso non può essere mai perduto di vista e comunque subordinato ad altre finalità di carattere specifico; esso sta alla base di tutto l’ordine sessuale.
Ciò non vuol dire, però, che esso sia l’unico fine, tanto meno l’unica ragione d’essere di codesta profonda distinzione che Dio ha voluto nella specie: essa infatti non è tutta racchiusa nei limiti dell’ordine fisiologico, ma si estende ancora a quello psicologico, ed incide sulla stessa fisionomia spirituale, dando luogo, così, a due tipi differenti e complementari, in cui la specie umana si realizza, e nella cui unione essi stessi trovano la loro reciproca integrazione. L’attrattiva dei due sessi nella specie umana è assai differente da quella esistente anche nelle specie inferiori: essa non è solo fisiologica, ma spirituale, e costituisce come il fondamento istintivo dell’amore umano.
Di qui l’altra finalità dei due sessi nel disegno di Dio: l’amore, che non è solo ordinato alla prole, ma si estende ancora agli altri aspetti della vita dei coniugi e deve essere orientato, in ultima analisi, verso il mutuo perfezionamento nella vita dello spirito (398).
Anche questa finalità sta alla base dell’ordine sessuale e serve a fissare le leggi che disciplinano codesta particolare forma di vita ed i rapporti che legano tra di loro i due sessi.
2. Le leggi della vita sessuale (399).
Esse prendono spunto tutte dal principio che codesta forma di vita può essere legittimamente realizzata solo nell’incontro stabile dei due sessi, in quell’incontro cioè che salvi l’ordine da Dio fissato per il raggiungimento di questa duplice finalità. Solo così infatti può essere garantita, con la trasmissione della vita, l’educazione della prole, e può aver luogo quella piena ed assoluta donazione di sé, che è il principio della reciproca integrazione dell’uomo e della donna.
Qualsiasi esperienza che non tenga conto di quest’ordine si rivela contraria al bene della specie e degrada la propria persona, sottomettendo la persona umana, sacrificando all’istinto i valori del sesso e quelli dello spirito.
Lo stesso amore sessuale, che costituisce come l’elemento psicologico che orienta l’un sesso verso l’altro, nella mutua attrattiva delle caratteristiche specifiche di ciascheduno, è diretto a codesto stabile incontro nell’ordine della vita matrimoniale. Si tratta in fondo di due elementi, psicologico l’uno e biologico l’altro, che si integrano a vicenda e che non possono essere disgiunti senza una menomazione di quella pienezza di unione che serve, come abbiamo detto, al bene tanto della specie come dell’individuo.
È vero che nella visione personalistica dell’uomo, che si manifesta oggi come un ” segno dei tempi “, più che sulla funzione procreatrice della sessualità si ama insistere sulla sua funzione dialogica, come luogo di conoscenza, donazione e maturazione, completamento reciproco.
L’accento viene posto sul cosiddetto ” mistero della sessualità umana “. II gesto sessuale oltre che per la sua capacità di attuare la fecondità (aspetto biologico), viene giudicato come impegno di due persone a crescere nella reciproca conoscenza e nel mutuo amore, con tutto ciò che questo difficilissimo impegno comporta a causa delle continue spinte e infiltrazioni egoistiche, sempre presenti e operanti nell’uomo viatore. Per ogni rapporto sessuale autentico si richiedono amore e rispetto non disgiungibili, in qualche circostanza almeno, dalla ascesi e dalla rinuncia. E ciò non in dispregio alla sessualità, ma in vista della libertà sugli impulsi sgretolanti e sulle sollecitazioni di un ambiente erotizzato e tremendamente surriscaldato.
Questa intuizione ci permette di comprendere più profondamente il contenuto della parola di Dio presente nei primi due capitoli della Genesi (1, 27, 29, 31, 2, 18-25, 3, 7, 15-16): costruire l’unità mediante la conoscenza. Da questa unità sgorga, però, ancora la fecondità. Paolo VI nella enciclica Humanae vitae (25 luglio 1968) (400), richiama e sottolinea l’aspetto unitivo della sessualità e lo pone come coessenziale a quello procreativo, affermando l’inscindibilità del significato unitivo e di quello procreativo dell’atto coniugale. E questo in piena conformità all’insegnamento del Vaticano II (cost. Gaudium et spes, n. 51, che parla sì di paternità responsabile, ma senza il ricorso a mezzi illeciti.
3. Il valore ed il rispetto del sesso.
La differenza del sesso, benché molto profonda, non incide in nessun modo sul valore della persona: l’assoluta identità di natura e di destino si oppone a qualsiasi valutazione che assegni alla donna un posto essenzialmente inferiore a quello dell’uomo.
Iddio la creò simile a lui, come aiuto e compagna, non come schiava. Solo quando si perdettero di vista i fondamentali valori dello spirito, si potè giungere ad una valutazione diversa ed umiliante. La stessa concessione della poligamia e la tolleranza del ripudio non potevano non nuocere al prestigio della donna nella comunità giudaica. Ma il cristianesimo, richiamando alla mente i principi dimenticati e riportando la famiglia alla purezza lineare della sua primitiva struttura, ridava alla donna la sua nativa dignità, resa ancor più preziosa dall’apporto della rivelazione e della redenzione: nella mistica inserzione ed unione di tutti nel Cristo scompariva naturalmente qualsiasi fondamentale differenza, e la donna acquistava, con il diritto di essere chiamata sorella, la capacità di diventare collaboratrice degli Apostoli nell’esplicazione del loro apostolato.
Ciò non vuol dire però che la posizione della donna tanto nella famiglia come nella società debba essere sempre e assolutamente identica a quella dell’uomo. Parità di dignità umana sì, ma la profonda diversità di caratteri, che distingue l’una dall’altro, ne differenzia naturalmente i compiti (401) e non può non porre limiti all’esagerato femminismo, che voglia arrivare ad un assoluto livellamento dei due sessi (402). Nell’ambito della vita familiare il cristianesimo, insieme con la parità incontrovertibile di diritti e doveri, fa riferimento ad una naturale gerarchia esistente tra l’uomo e la donna, ma per elevarla, poi, a funzioni di simbolo relativamente alla gerarchia che esiste tra il Cristo e la sua Chiesa.
Al di fuori della famiglia, nell’ambito della vita sociale della Chiesa, l’esclusione della donna dalla sacra gerarchia e la sua chiamata a collaborare con la medesima, nell’esercizio dell’apostolato, dimostrano la diversità di funzioni fra i due sessi ed un certo ordinamento, anche nel piano soprannaturale. dalla missione della donna a quella dell’uomo.
Supremo e fulgido esempio di codesta collaborazione, in cui la missione della donna è potenziata al massimo, il cristianesimo lo ha fissato per sempre nella figura della Vergine, nella sua partecipazione all’opera della redenzione, come Corredentrice del genere umano. Guardando a Lei la donna cristiana potrà più facilmente comprendere il valore e l’ambito della sua missione, nella vita di famiglia ed in quella sociale, e rispetterà in se stessa, senza profanarli od adulterarli, i caratteri specifici della sua femminilità.
II. LA VIRTÙ DELLA CASTITÀ.
1. Nozione e valore.
La castità (403) è la virtù che modera gli appetiti dati da Dio all’uomo in ordine alla propagazione del genere umano. Suo oggetto specifico è l’istinto genesiaco, ma la sua influenza si estende naturalmente anche agli altri sentimenti che integrano l’appetito sessuale. Questo, infatti, non si limita unicamente all’istinto genesiaco, ma racchiude in sé tutta una serie di elementi psicologici, dai quali risulta quell’attrattiva spirituale di un sesso verso dell’altro, che eleva il loro incontro al di sopra dell’unione che ha luogo nelle specie inferiori, e che è, quindi, ordinata anch’essa alla vita familiare. A questa vanno riservate tutte le risorse dell’appetito; sicché, come non è lecito accontentare al di fuori del suo ambito l’istinto genesiaco, così non è permesso orientare diversamente gli altri sentimenti propri di questo appetito, Tanto nell’uno come nell’altro caso si avrebbe, sia pure in maniera e misura diversa, una violazione dell’ordine fissato da Dio ed una profanazione del proprio corpo o del proprio sentimento.
La virtù della castità mira, per l’appunto, a contenere cedesti appetiti nel loro alveo, e tende altresì a frenarne l’impeto nell’orbita stessa della vita familiare.
È facile, perciò, comprenderne il valore e la necessità. Essa, infatti, sottomettendo gl’istinti alla volontà, non solo tutela la dignità dello spirito, ma salvaguarda il valore della stessa materia, ed impedisce che l’anarchia degli appetiti rompa quell’intcriore unità che è compito della ragione e della volontà difendere. I fautori del naturalismo, nell’affermare la nativa bontà di tutto ciò che è conforme agl’impulsi della natura, dimenticano l’essenziale razionalità della medesima, per cui, propriamente parlando, è naturale, conforme cioè alla natura dell’uomo, solo ciò che rispetta e rispecchia in sé i caratteri della razionalità. La natura – lo abbiamo già detto in altra parte – non va considerata nella frammentarietà dei suoi istinti, ma nell’armonica unità di tutte le sue forze contenute dell’alveo indicato dalla ragione.
2. I gradi della virtù.
La virtù della castità, come qualsiasi altra virtù, ammette dei gradi. Il primo consiste nella resistenza vittoriosa alle tentazioni contrarie alla purezza, si che non ci sia deliberato consenso alle medesime. Tuttavia, finché si è costretti a lottare continuamente, più che di castità bisognerebbe parlare di continenza: la virtù, infatti, dà la facilità nell’agire; col progresso della virtù diminuisce ordinariamente l’impeto e la continuità dell’assalto.
Ed è proprio ciò che costituisce come il secondo grado nell’acquisto della virtù. Ove questo sia raggiunto, si è anche preparati ad allontanare con maggiore prontezza e con più efficace vigoria le tentazioni che possono aver ancora luogo: la sonnolenza, invece, per cui esse si indugiano talvolta nell’anima e la pigrizia nel rimuoverle possono essere l’indice di un appetito ancora molto violento e di una volontà ancora debole.
Quanto più questa si irrobustisce, tanto più si conserva la tranquillità dello spirito tutte le volte che si è costretti ad interessarsi di cose che hanno rapporto con la purezza: difatti codesta tranquillità suppone che sia raggiunto un pieno equilibrio nella valutazione e nell’emotività: e ciò costituisce come il terzo grado della virtù. Ma la tranquillità dello spirito non esclude l’opportuno riserbo: non va confusa la serenità del virtuoso con il cinismo dell’uomo volgare.
A questi gradi ordinari vanno aggiunti quei privilegi, del tutto singolari, concessi da Dio ad alcune anime, le quali giungono a non aver più nessun moto istintivo disordinato.
3. Il pudore.
Inteso come virtù, non si differenzia essenzialmente dalla purezza, ma ne è l’espressione e la difesa. Inteso come istinto, può esser definito come un dinamismo di apprensioni quasi istintive, in relazione diretta con tutto ciò che riguarda la generazione dell’uomo (404). Esso è come un freno naturale dell’istinto, che insorge spontaneamente in difesa della virtù, prima ancora che la volontà esplichi la sua funzione moderatrice.
Molti, tuttavia, ne hanno negato e ne negano tuttora il carattere naturale. Altri, invece, pur dipendendo logicamente dai primi, ma di essi meno consequenziari, ne negano l’assolutezza. Per alcuni esso ” non è un sentimento naturale presso la specie umana “; è acquistato, ” si è sviluppato direttamente divenendo ereditario ” (Sergi). Per altri, il pudore non si ritrova presso tutti i popoli, p. es. è assente nei primitivi (Ribot).
I teorici del nudismo sfruttano largamente queste dottrine, ed arrivano a predicare, in ordine alla moralità del vestito, la così detta teoria dell’inverecondia, secondo la quale il vestito avrebbe un’azione provocatrice, e sarebbe quindi meno morale del nudismo.
È facile comprendere l’influenza deleteria di siffatti principi, che dalla negazione del pudore istintivo passano logicamente alla critica del pudore virtù. Ma è anche facile scoprire l’equivoco, sul quale essi poggiano. Altro è, infatti, parlare dell’istinto, altro è parlare della sua individualizzazione secondaria, ossia della forma mediante la quale si manifesta. Il primo esiste in tutti, anche nei primitivi; solo che presso di loro l’individualizzazione secondaria è diversa (405). Tanto è vero che, come osservano Ryades e Deniker, a proposito dei Fueghini, questi popoli, nonostante la disinvoltura con la quale si mostrano senza vestiti, provano un senso di acuta molestia e di viva indignazione, se qualcuno fissa lo sguardo su alcune parti del loro corpo.
Ciò non vuol dire, però, che l’individualizzazione secondaria del pudore istintivo dipenda esclusivamente dal convenzionalismo e dall’abitudine: bisogna, invece, riconoscere che in ciò la civilizzazione, nonostante alcuni elementi convenzionali (così la donna in Cina nascondeva per pudore, i piedi; in Oriente vela la faccia; in certe tribù copre l’occipite, ecc.), segue, nelle sue linee essenziali, un processo razionale, conforme cioè alla natura stessa delle cose (406). Il vestito, ad es., oltreché espressione naturale del pudore e della purezza, è naturale custodia della medesima per sé e per gli altri.
Da quanto abbiamo detto è facile comprendere la naturalezza e la necessità della modestia, come virtù regolatrice di tutti gli esterni atteggiamenti del corpo, affinché tanto la purezza propria come quella degli altri sia salvaguardata dall’influenza degli elementi, che potrebbero corromperla. Codesto dovere nel cristiano acquista un significato particolare, in quanto egli sa che il suo corpo è tempio dello Spirito Santo, e conosce anche per fede la legge di peccato che pesa sulle sue membra (407) e che gl’impone una continua e prudente vigilanza.
Tuttavia, appunto perché ispirata ai principi della prudenza cristiana, la vera modestia, pur essendo piena di delicatezza, è essenzialmente distinta da tutte quelle forme esagerate di pudore, che sanno più di fobia che di virtù, e che, anziché proteggere la purezza, ne ostacolano il progresso, moltiplicando od aggravando i pericoli. Senza dire che codesto pudore esagerato tende a porre in una falsa luce la natura, ed è alla medesima ingiurioso non meno dell’esagerato naturalismo (408).
III. VERGINITÀ, CELIBATO E PERFETTA CASTITÀ.
1. La Verginità (409) può essere guardata sotto diversi profili, e può quindi prestarsi a diverse definizioni.
Considerata nel suo aspetto morale essa indica la condizione di colui il quale intende conservare per sempre l’integrità della sua carne, rinunziando liberamente a qualsiasi atto sessuale.
La sua superiorità morale sulla castità comune, intesa come semplice disciplina degli appetiti sessuali, è chiaramente indicata da Gesù (410), ed è diffusamente sviluppata da S. Paolo (411), il quale, mentre ne enuclea i motivi ne indica implicitamente l’alta finalità spirituale. Difatti la verginità ha valore, non per il suo aspetto negativo, come rinunzia all’affetto umano – che anche questo può essere un bene e scala a Dio – ma per il suo aspetto positivo, come più assoluto dominio sulle proprie passioni, e come superamento dell’amore umano in una più completa donazione di sé al servizio ed all’amore di Dio. L’uomo ammogliato, ancorché cristiano, è assorbito dalle preoccupazioni mondane e pensa come piacere alla moglie; il suo cuore è come diviso; al contrario l’uomo non ammogliato si preoccupa unicamente delle cose del Signore e pensa come piacere a Lui. Parimenti tanto la vergine come la vedova può aver lo sguardo fisso unicamente in Dio e pensare ” ad essere santa di corpo e di spirito “, mentre la donna maritata è distratta dalle preoccupazioni di questo mondo e dalla sollecitudine di piacere a suo marito (412).
Di qui la profonda differenza tra la verginità elettiva e virtuosa e quella coatta ed egoistica, determinata cioè dal desiderio di una vita comoda libera dai vincoli e dagli oneri dello stato coniugale.
Di qui ancora la necessità di speciali attitudini, e quindi di una particolare chiamata divina, per scegliere questo stato, del quale non sarebbe realizzato lo scopo, qualora l’assoluta astensione da qualsiasi attività sessuale anziché servire ad alimentare la carità, tendesse, mediante l’impeto e la continuità delle passioni, a diminuirne il fervore od a smorzarla del tutto: anziché lasciarsi consumare dal fuoco, è molto meglio sposare (413).
Per questo la superiorità morale della verginità sul matrimonio è vera solo dal punto di vista oggettivo (414): sotto l’aspetto soggettivo è meglio per i singoli ciò che in loro, attese tutte le circostanze, favorisce di più la carità.
Se si tengono presenti questi principi, non è difficile comprendere come la verginità, per chi vi sia chiamato, non costituisce una minorazione dell’individuo, ma piuttosto un suo potenziamento nell’ordine dello spirito, anche se questo si attua a spese di attività di ordine inferiore. E ciò che è vero per la persona, vale anche per la società: che la verginità, purché sia intesa cristianamente, non è mai sterile, ma è naturalmente feconda, riverberandosi in bene sul Corpo mistico di Cristo. D’altra parte tanto nella sfera delle utilità individuali come in quella della collaborazione sociale la verginità non mortifica le caratteristiche spirituali del sesso, ne rende mutile la differenziazione da Dio disposta; basta solo pensare alle note caratteristiche della santità femminile ed alla funzione specifica dell’apostolato della donna.
È proprio in questa luce che è necessario vedere e valutare il celibato ecclesiastico (415), la cui funzione sociale è resa evidente da tutta la sua storia, dalle sue glorie cosi come dagli episodi in contrasto con le medesime: che ove esso fiorì, fiorirono insieme la santità e l’apostolato; ove, invece, per malizia dei tempi, declinò, ne risentirono i danni tanto la Chiesa come la società.
IV. CASTITÀ CONIUGALE.
Essa va inquadrata non solo nella pratica della vita, ma anche sul piano della teoria e dei principi.
Lasciando da parte le teorie che si oppongono fondamentalmente alla sana concezione del matrimonio (416), sono da ricordarsi, a tale riguardo, tutte quelle dottrine che, pur riconoscendo il matrimonio come unione stabile tra l’uomo e la donna, ne collocano l’intrinseca finalità in beni diversi da quelli, comunemente ammessi dalla dottrina cattolica (di ciò si tratterà in altra parte) e di conseguenza ammettono, in determinati casi, per motivi eugenici od economici, la liceità delle pratiche anticoncezionali, condannate, anche dall’enc. Humanae vitae (417).
1. Principi.
L’uso del matrimonio (418) anche dopo il peccato originale, nonostante il fervore della concupiscenza, che ad esso si accompagna, è del tutto onesto. La contraria tesi di alcune tendenze rigoristiche medioevali è oggi pienamente rigettata, specie dopo la cost. Gaudium et spes del Conc. ecumenico Vaticano II. La rettitudine obiettiva di tale uso è necessariamente subordinata alle finalità intrinseche del matrimonio. Pertanto, essendo la procreazione e l’educazione della prole alla base dell’ordine da Dio stabilito per l’incontro dei due sessi, tutto ciò che si dimostra a quest’ordine direttamente contrario, privando l’atto coniugale della sua naturale tendenza alla generazione, è intrinsecamente illecito, epperò per nessun motivo giustificabile. Al contrario, ove siffatto ordine sia rispettato, l’atto non è illecito, anche se infecondo, potendo ugualmente raggiungere le altre finalità che lo giustificano.
È infatti da tenere presente, a tale riguardo, che all’uomo è imposta l’osservanza dell’ordine, non già il raggiungimento del fine cui esso tende: ciò infatti non dipende solo dall’azione dell’uomo, ma da quella altresì della natura, la quale, tutt’altro che essere sottoposta all’arbitrio dell’individuo, sfugge molte volte alla stessa conoscenza.
La considerazione obiettiva non è la sola ad influire sulla valutazione etica concreta dell’uso del matrimonio nei casi singoli: come in tutte le altre attività dell’uomo, è necessario tenere presenti tutte le circostanze dell’atto; sotto l’aspetto soggettivo è preminente la considerazione del fine.
2. Alcune applicazioni.
Nell’uso del matrimonio non si può tenere conto, anche in ragione della sua finalità procreativa, della sanità fisica della prole futura e dei diritti della prole concepita.
Il giudizio nei singoli casi va fatto, tenuto conto di tutte le circostanze.
Si può, in genere, dire che quanto più grave è il pericolo ed il danno che si teme, tanto più grave deve essere la causa che ne giustifichi la permissione. Così a parità di condizioni, il probabile danno della prole già concepita pesa di più sulla valutazione etica dell’atto che non il probabile danno del futuro prodotto del concepimento; e ciò sia per la stessa incertezza di questo, sia perché non si può parlare di lesioni di diritti di chi ancora non esiste; che anzi, se si dovesse tener conto unicamente un tale futuro soggetto, si potrebbe, nei suoi riguardi applicare il principio meglio essere che non essere (melius est esse quam non esse). Senonché c’è anche da tener conto della sanità della stirpe, ossia del bene comune; e qualora alla prole futura si possa provvedere in maniera migliore, la stessa finalità procreativa del matrimonio impone che a ciò si badi.
Altra circostanza da valutare per il retto uso del matrimonio è il pericolo di danno per la salute di uno dei due coniugi. Anche in questo caso, in cui non urge il diritto derivante dalla mutua traditio propria del matrimonio, la soluzione concreta delle innumerevoli situazioni, che possono crearsi va ricercata nella prudente applicazione dei principi, che disciplinano l’attività umana e ne definiscono la responsabilità. Soprattutto è necessario non perdere mai di vista la gerarchia dei valori e l’ordine della carità.
Riguardo all’atto ordinato dalla natura alla fecondazione non si esclude che la natura non possa essere aiutata a vincere certe imperfezioni ed a superare certe difficoltà. I teologi chiamano interventi del genere fecondazione artificiale imperfetta, ben diversa dalla fecondazione artificiale perfetta, che porta nella vita intima sistemi da laboratorio, non può arrivare al possesso dell’elemento fecondante senza un previo peccato solitario, e deve quindi ritenersi condannata dalla legge morale naturale, secondo la quale il matrimonio e i rapporti intimi dei coniugi sono il mezzo proprio ed esclusivo per la generazione ed educazione della prole, mentre inscindibili sono i due aspetti: unione e procreazione (enc. Humanae vitae, n. 12) (419), significato unitivo e significato procreativo, come ben si esprime la precitata enciclica.
Ciò va detto non solo se la fecondazione artificiale viene applicata ad una donna non coniugata oppure coniugata, ma con elemento fecondante che non sia di suo marito (nel quali casi l’atto viene condannato dalla legge naturale per quelle stesse ragioni per le quali è illecita la fornicazione o l’adulterio), ma, anche se è applicata a una donna coniugata con l’elemento fecondante del proprio marito, essa è contro la legge morale (ciò è stato dichiarato in modo esplicito da Pio XII (420) nella sua allocuzione al congresso internazionale dei medici cattolici: 29 settembre 1949).
Anche qui infatti l’atto generativo e la naturale relazione di paternità, con le sue conseguenze morali e giuridiche così importanti per l’individuo generato e per la società, vengono profondamente alterate.
3. Le alterazioni sono ancor più profonde, e quindi moralmente illecite per la cosiddetta creazione della vita “in provetta”. Alludiamo agli interventi sulla vita dell’uomo per determinarne la nascita al di fuori delle vie naturali. Questi esperimenti vengono condotti su un campo molto vasto dalla inseminazione vera e propria alla fecondazione in vitro o in provetta o per fare sviluppare la vita in luogo artificiale autonomo ovvero per innestarla nel luogo umano.
Questi esperimenti non sfuggono al controllo morale. Medici seri si preoccupano non solo delle conseguenze eugenetiche ma anche – e giustamente – di quelle morali. In nessun altro campo come in quello della vita l’ordine morale è cosi rigido e cogente. Secondo la Bibbia, che rivendica a Dio la creazione di tutte le cose, incluso l’uomo, la trasmissione della vita è affidata all’uomo. Il mezzo naturale è il matrimonio che esige l’unione non solo carnale dell’uomo e della donna. La generazione di nuove vite è perciò frutto di un atto consapevole e libero dell’uomo. Ne consegue, parallelamente, che anche la trasmissione della vita deve avvenire in modo umano, in modo cioè degno dell’uomo.
Pio XII, come abbiamo già esposto, prese energica posizione contro l’inseminazione artificiale umana. Ma anche Giovanni XXIII (421), nella ” Mater et Magistra “, in un evidente riferimento alla produzione della vita in laboratorio, ribadì l’insegnamento tradizionale.
Il Vaticano II (Gaudium et spes, 41, 51, 21) riprova ogni manipolazione sulla vita come un attentato alla vita stessa e un’offesa al Creatore e difende strenuamente la dignità umana.
Il Magistero della Chiesa non si oppone né agli esperimenti per il progresso della scienza medica né agli interventi per perfezionare l’azione della natura. Solo pone questa inderogabile condizione: che tutto si deve svolgere in funzione della vita e nel pieno rispetto delle sue esigenze e di quelle dell’ordine morale oggettivo. In questa visuale approva e incoraggia quelli esperimenti che presentano finalità terapeutiche e che di fatto migliorano le condizioni fisiche del soggetto. Pertanto, mentre riprova la riproduzione della vita in vitro o in provetta, dichiara lecito ogni intervento sussidiario della natura, atto cioè a correggerne un difetto.
Quanto, invece, alla continenza periodica (422), ossia all’uso del matrimonio, riservato ai periodi o cicli che, secondo alcuni calcoli e particolari teorie (Ogino-Knaus), si prevedono infecondi (tempo agenesiaco), nessuno oggi nega la liceità dell’uso del matrimonio nel tempo agenesiaco, così come nel caso di infecondità sia temporanea che perpetua, di uno dei due coniugi. Come abbiamo già osservato, non è imposto il raggiungimento del fine procreativo, ma solo dell’ordine da Dio stabilito in ciò che concerne l’opera dell’uomo.
Per lo stesso motivo, qualora gravi ragioni sconsiglino la gravidanza (che è quanto dire l’uso del matrimonio nel periodo che si prevede fecondo), non si vede per quale motivo dovrebbe essere proibito tale uso nel periodo agenesiaco. Nessuna ragione né oggettiva né soggettiva, può essere validamente invocata a dimostrare l’immoralità di un atto in se stesso onesto o di un’esclusione consigliata e forse imposta dai principi della carità o da altri doveri di ordine morale.
I diversi casi nei quali potrebbe verificarsi tale ipotesi possono facilmente rientrare nel quadro delle indicazioni mediche (gravidanza o parto pericoloso, pericolo di aborto ecc.) o delle indicazioni eugeniche (pericolo di tare ereditarie od altre anomalie nel prodotto del concepimento) o di quelle di carattere sociale. Naturalmente perché il caso si verifichi, si richiede che i pericoli temuti siano reali, non fittizi o esagerati, e non c’è da nascondersi il pericolo di un egoismo larvato di falsi pretesti. La continenza periodica infatti consiste essenzialmente nell’elezione o scelta di un determinato periodo (quello agenesiaco) con l’esclusione di un altro (quello che si prevede fecondo). Ora l’atto elettivo non è mai indifferente: esso è alla base della moralità soggettiva, essendo sempre ordinato a un determinato fine. Ed è al fine che si deve guardare soprattutto, se si vuole valutare rettamente l’eticità della continenza periodica.
In effetti in essa si possono considerare diversi elementi: l’oggetto, le circostanze, il fine della scelta. Sotto l’aspetto oggettivo, nulla vi è di incriminabile nell’uso del matrimonio nel periodo agenesiaco: di qui la sua sostanziale differenziazione da tutte le pratiche neo-malthusiane, nelle quali l’atto rimane intrinsecamente corrotto.
Dal punto di vista delle varie circostanze, le ipotesi possono essere le più svariate. Ci limitiamo ad osservare che sarebbe ingiusto il coniuge che rifiutasse l’unione nel periodo che si prevede fecondo, se da parte dell’altro coniuge la richiesta rispondesse alle esigenze del suo buon diritto.
Sotto il profilo del fine, è necessario esaminarlo in ordine al duplice virtuale oggetto dell’elezione, l’uso del matrimonio e l’esclusione della prole. Quanto all’uso abbiamo già visto che esso può essere comandato lecitamente, non solo dal desiderio della prole, ma anche dall’amore coniugale.
Quanto all’esclusione della prole, questa non può dirsi in sé, né illecita né indifferente, ma ripete la sua moralità dal motivo, che la determina: se nessuno condanna la continenza perpetua determinata dalle indicazioni su accennate, non si comprende perché dovrebbe essere condannata la continenza periodica, ordinata ai medesimi scopi. Al contrario non si possono non condannare i motivi di limitazione od esclusione comandati da ragioni egoistiche (423).
Di natura assai diversa è la continenza temporanea, suggerita dal concorde desiderio degli sposi di dedicarsi più liberamente alla preghiera, cui si riferisce il discreto consiglio dell’Apostolo (1 Cor 3, 6), seguito però immediatamente dal prudente richiamo alla concreta ed ordinata realtà della vita (“ma poi di nuovo siate come prima”), affinché non si muti in tentazione ciò che era ordinato al perfezionamento dello spirito.
NOTE
398 Cfr. Conc. Vatic.. II, cost. past. Gaudium et spes, nn. 49, 51.
399 Cfr. N. IW.DERMEYER, Handbuch der speziellen Pastoralmedizin. I: Das menschliche Sexualeben, Wien 1949; I. FUCHS, Die Sexualethik des heiligen Thomas von Aquin, Kòln 1949; A. BONNAR, Il medico cattolico, Alba 1953, 75 ss.; A. LANZA-P. PALAZZINI, Theologia moralis. Appendix. De castitate et luxuria, Taurini-Romae 1953; G. KELLY, Medico-moral problems, St. Louis Mo. 1952; A, PLE’, Vita affettiva e castità, Roma 1965; AN., Umanizzazione della sessualità, in Concilium, a, 6, fasc. 5 (1970) 189 [959] 208 [978]; AA.VV., Sessualità nel nostro tempo, Roma 1971, Principi morali e orientamenti pastorali per la educazione sessuale. Documento dell’episcopato lombardo e veneto de1 2 febbraio 1974; G. PERINI, II confronto tra l’uomo e gli animali nell’antropologia sessuale di S. Tommaso e dei moderni, in S. Tommaso e il pensiero moderno – Saggi (Studi tomistici 3, a cura della Pont. Accademia Romana di S. Tommaso, Roma [1975] l85-231.
400 Cfr. enc. Humanae vitae, n. 12: AAS 60 (1968) 488-489,
401 Cfr. A. D. SERTILLANGES, La femme catholique dans le monde contemporain, Parigi 1913; R. BETTAZZI, Donna, Roma 1922; A. D. SERTILLANGES, La femme dans la socielé, Paris 1934; G. VON LEFORT, Die ewige Frau, 1934; M. G. ZOLI, Orizzonti di vita femminile, in Studium, 43 (1947) 13-17; R. KOTHEN, L’enseignement social de l’Eglise, Louvain 1949, 161-166; A. RUSCHIONI, Femminismo, in EC, V, 1143-1145; Il problema femminile (Insegnamenti pontifici, 2), a cura dei monaci di Solesmes, Roma 1958.
402 Femminismo (dal francese ” féminisme “) è il complesso delle teorie, delle questioni e lotte agitate e condotte in sede femminista per l’equiparazione della donna all’uomo sul piano sociale e politico e, implicitamente, per la sua emancipazione. L’emancipazione della donna molto deve al Cristianesimo, il quale però si è limitato a predicare l’uguaglianza morale, non politica o sociale. Il fenomeno femminista come tale è fenomeno tipicamente moderno e non sempre di ispirazione cristiana. Risale alla Rivoluzione francese: atto di nascita, la ” Déclaration des droits de la femme” che Olimpo de Gowegs presentò all’assemblea costituente del 1791.
1792: anche in Inghilterra viene varata la primizia femminista: ” Vendication of the Rights of the Women ” di Mary Wollstonecraft: educazione pari, scuola mista.
1792: presa di posizione anche in Germania da parte di Th, von Hippel. Le donne sono ormai entrate in tutte le forme di attività: commerciale, industriale, culturale, artigiana, politica, parlamentare.
Punto culminante del femminismo. C’è ancora chi vuol progredire: sparizione della famiglia. Che dire di questo movimento e dei suoi risultati?
Non si vogliono negare i vantaggi. La condizione della donna è però divenuta migliore? Si è messo in non cale il carattere proprio dell’essere femminile e l’intima coordinazione del due sessi per un fine spesso egoistico dello stato (potenziamento economico e militare).
Al punto in cui siamo è bene giovarsi della presente condizione giuridico-sociale, pur cercando di rimettere in onore la missione della donna nel focolare domestico cfr. Pio XII, Allocuzione, 21 ottobre 1945: AAS, 37 [1945] 288 ss; GIOVANNI XXXIII, enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963, n. 18: AAS 55 (1963) 267-268.
403 S. Theol. 2-2, q, 151, 155, 156; A. VERMEERSCH, De castitate et de vitiis contrariis, Romae 1921, n. 90-102; D. V. HILDEBRAND, Remheit und Jungfraulichkeit, Munchen 1928, G. RIES, La castità e la Chiesa, trad. dal tedesco, Milano 1939; P. BABINA, L’amore e il sesso, Milano 1939; A. BOSCHI, I libri della purezza, guida bibliografica, Torino 1946, P. PLUS – A. RAYEZ – A. WILLWOLL, Chasteté in DS, II, 779-809; E. JOMBART, Chasteté, in DDC, III, 666-675; L. M. WEBER, Jungfralichkeit und Theologie, in Anima, 71 (1952) 220-227 (cfr. altri articoli sulla stessa rivista nella stessa annata); I. GUIBERT, La purezza, Torino 1946; A. VANGENBUNDER, De castitate religiosa, in Collationes brugenses, 49 (1953) 65-70; VARI, Matrimonio e verginità, Venegono Inf, 1963; L. LEGRAND, La dottrina biblica della verginità, Torino 1965; G. MAIOLI, La verginità nel mistero ai Cristo e della Chiesa, in Vita religiosa e Concilio Vaticano II, Roma 1968, 92-101; ID., Matrimonio e verginità, in Enciclopedia del matrimonio, Brescia 1968, 387- 413.
404 Cfr. S. Theol. 2-2, q. 144; A. VERMEERSCH, De castitate et de vitiis contrariis Roma 1921, n. 20; F. FOESTER, Etica e pedagogia della vita sessuale, trad. dal tedesco di E. DONGIOVANNI , Torino 1921 (non è cattolico); K. GRAU, Eitelkeit und Schamgefuhl, Leipzig 1928; K. HAASE, Zur Psychologie und Pàdagogik der Scham, in Vierteljahrschr, f. Wissentsch., Pad. 6 (1930) 415-434; J. DE LA VASSIÈRE, La pudeur instinctive, Milano 1938; M. SCHELER, La pudeur, Paris 1952; Insegnamenti pontifici: 2. Il problema femminile, Roma 1958, voc. Moda; P. PAI.AZZINI, Teologia morale pre-e-post-conciliare, in Divinitas, 12 (1967) 486 ss, Episcopato austriaco, Lettera del 16 gennaio 1967, in L’Osservatore Romano, 16 febbraio 1967; p. 2; R. VENDITTI, La tutela penale del pudore e della pubblica decenza, Milano 1963; AA.VV., Via libera alla pornografia?, Firenze 1970; G. PERICO, Il nudismo di gruppo, In Aggiornamenti sociali, 26 (1975) 4.55-467.
405 Cfr. R. CORSO, Etnografia. Prolegomeni, Napoli 1947, 116 ss., L. VANNICELLI) Pudore e pudicizia, in EC, X, 298-302.
406 Cfr. W. SCHMIDT, L’anima dell’uomo primitivo. Roma 1931, 58-60; R. BOCCASSINO, La religione e la morale delle popolazioni primitive, in Studium, 35 (1939) 7 ss.; R. MOHR, Ricerca sull’etica sessuale di alcune popolazioni dell’Africa centrale e orientale, in Arch. per l’antrop. e l’etnologia, Firenze 1939, 263 ss.
407 1 Cor. 6, 15-20, Rom, 1, 23.
408 Esagerato naturalismo ci sembrano le tesi esposte nel libro di P. KRAUS-E. F. VON GAGERN, A occhi aperti – II mondo nell’educazione, Francavilla al mare 1971,
409 V. VANGUELUWE, De virgnitate physica et morali, in Coll. brugenses, 47 (1951) 341-345; F. BOURASSA, La virginité chrétienne, Montreal 1953; Pio XII, enc. Sacra Virginitas, 25 marzo 1954: AAS 46 (1954) 161-191; M. PERRIN, La verginità cristiana, Roma 1956; B. HÀRING, Testimonianza cristiana in un mondo nuovo, Roma 1960, 50, 187, 430-434; L, LEGRAND, La dottrina biblica della verginità, Torino 1965.
410 Mt 19, 10 ss,
411 1 Cor. 7, 24 ss.
412 1 Cor. 7,32-34,
413 1 Cor 7,9.
414 Cfr. A. BEEL, Coelibatus praestantia (1 Cor 7, 24-25), in Collationes brugenses, 37 (1937) 425 SS.; F. BOURASSA, Excellence de la virginité, arguments pratiques, in Sciences èccl., 5 (1953) 29-42; enc. Sacra virginitas (25 marzo 1954).
415 A. DE ROSKOVANY, Coelibatus et breviarum, Presburgo 1861; G. CICKELL, Der Colibat…, in Zeitschrift fur kathol. theologie, 2 (1878) 20-63; 2 (1879) 792-799; E. VACANDARD, Les origines du célibat eccleslastique in Etudes de critique et d’histoire religieuse, I, Paris 1905, 69-120; A. VILLIEN, Le célibat ecclesiastique au point de vue dogmatique, moral et historique, in Revue pratique d’apologétique, 11 (1911) 811-830; V. TOWER, Il celibato ecclesiastico, Bologna 1943; M. SCADUTO, Celibato, in EC, III, 1261-1265; H. DOMS, II senso del celibato, Roma 1959; W. BERTRAMS, II celibato sacerdotale, Roma 1962; L. S. FILIPPI, Maturità umana, e celibato, Brescia 1970; PAOLO VI, enc. Sacerdotalis coelibatus, 24 giugno 1967; Dichiarazione di Paolo VI del 1° febbraio 1970; Lettera di Paolo VI al suo Segretario di Stato Villot del 3 febbraio 1970.
416 Così le teorie del libero amore, del matrimonio sperimentale, ecc. Cfr. ELLEN KEY, L’amore e il matrimonio, Torino 1909; RUSSEL, Le mariage et la morale, 1929; A. M. C., La crise du mariage, Paris 1932; E. GRZYMALA, Ratio sacra in matrimonio canonico et civili, Romae 1935, 103 ss., 143 ss.; B. LAVAUD, Le monde moderne et le mariage chrétien, Paris 1935, 21 ss., 161; F, SALVI, Matrimonio e divorzio nell’attuale legislazione sovietica, in Riv. trim, di diritto e procedura civile, 5 (1951) 881 ss.; T. GOFFI, Morale famigliare, Brescia 1958; Enciclopedia del matrimonio, a cura di T. GOFFI, Brescia 1960.
417 Si tratta delle dottrine errate circa i fini del matrimonio, che poi provocano conclusioni errate sull’uso stesso del matrimonio. Si veda ad es. tra le conclusioni in proposito le esagerazioni di molti autori sull’amplexus reservatus, che ha provocato l’intervento del Sant’Uffizio con il decreto del 30 giugno 1952. Cfr. F. X. HURTH, Inquisitio crìtica in moralitatem. “amplexus reservati” in Per. 41 (1952) 251-274; R. CARPENTIER, Monitum “Gravi cum sollicitudine” concernant les publications sur le mariage et spécialement l’ “étreinte réservée”, 30 juin 1952, Commentaire, in Nouv. Rev. Theol., 74 (1952) 974-980. Sul tema dei mezzi concezionali, specie di natura chimica, dopo tante discussioni fatte di recente, la parola definitiva è venuta dall’enc, Humanae vitae (25 luglio 1968) nn, 13-14 (AAS 60 [1968] 489-491) di Paolo VI, Cfr. D. TETTAMANZI, La risposta dei vescovi alla Humanae vitae, Milano 1969. Della dottrina sui fini del matrimonio si parlerà nel trattato sui Sacramenti (matrimonio). Delle pratiche anticoncezionali si farà cenno più innanzi.
418 Cfr. D. LINDER, Der usus matrimonii, Munchen 1929; ST. CARTON DE WIART, Tractatus de pcccatis et vitiis, Malines 1932, 134-136; A. GOUGNARD, Les enseignements de l’encycl. “Casti Connubii”, in Collectanea mechliniensia, 9 (1935) 4-23; J. DE MESMAECKER, De moralitate actus positi propter delectationem, ib., 13 (1939) 288-295; B. ZIERMANN, Abusus matrimonii, in Theol. prakt. Quartalschr., 92 (1939), 304-309; E. BOISSARD, Questions théologiques sur le Mariage, Paris 1948, 71 ss.; A. MITTERER, Elternschaft und Gattenschaft nach dem Wethild des hl. Thomas von Aquin und dem der Gegenwart, Wien 1949; J. C. MESSERGER, Two in one flesh, London 1949; A. NIEDERMEYER, Handbuch der speziellen Pastoralmedizin, II: Ehe und Sexualleben, Wien 1949; J. FUCHS, Die Sexualethik des heil. Thomas von Aquin, Kòln 1949; P. PALAZZINI, Matrimonio. VIII: Uso del matrimonio, in EC, VIII, 471-473; G. JUDICA CORDIGLIA, Questioni medico matrimoniali, Milano 1952, 40 ss.; B. HÀRING, II matrimonio nelle prospettive del Vaticano II, Vicenza 1966; I, DAVID, Nuovi aspetti della dottrina ecclesiastica sul matrimonio, Roma 1967; D. CAPONE, La coscienza morale nelle discussioni sulla Humanae vitae. Roma 1969, 84-128.
Il Concilio avverte sulla citata costituzione (n. 48-49): “Per sua indole naturale, l’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale, generoso e cosciente, sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l’uomo e la donna che per il patto di amore coniugale “non sono più due, ma una sola carne” (Mt 19, 6).
Questa intima unione, in quanto mutua donazione delle due persone, come pure il bene dei figli esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità.
Cristo Signore ha effuso l’abbondanza delle sue benedizioni su questo amore molteplice, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa… L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché giudichi in maniera efficace, siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre. Per questo motivo i coniugi cristianisono corroborati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro Stato. Ed essi, compiendo in forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, nello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio…
II Signore si è degnato di sanare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e Carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di sé stessi, provato da sentimenti e gesti di tenerezza, e pervade tutta quanta la vita dei coniugi; anzi diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. E’ ben superiore, perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce.
Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio; ne consegue che gli atti con i quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorabili e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi. Quest’amore, ratificato da un impegno e più di tutto sancito da un sacramento del Cristo, è indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito, e di conseguenza è alieno da ogni adulterio e divorzio”.
419 AAS 60 (1968) 488-489.
420 In AAS, 41 (1949) 557-561. Cfr. inoltre, R. BIOT, Génération et amour, in Nouv. Rev. Théol., 74 (1947) 32-48; W. K. GLOVEN, Artificial insemination among human beings, Washington 1948, A. GEMELLI, La fecondazione artificiale, Milano 1949; G. B. ALFANO, La fecondazione artificiale della donna, Napoli 1950; S. DI FRANCESCO, La fecondazione artificiale nella donna, Milano 1949; G. B, GOZZETTI, La fecondazione della donna nelle ultime pubblicazioni cattoliche, in Scuola Cattolica, 78 (1950) 192 ss.; A. LANZA-P. PALAZZINI, o. c., 270 ss.; A. BOSCHI, Problemi morali del matrimonio, 253 ss.; G. JUDICA CORDIGLIA, o. c., 92 ss.; G. ABRUZZESE, La fecondazione artificiale umana, Firenze 1953; V. TAZZIOLI, Aspetti giuridici della inseminazione artificiale umana nel diritto canonico, Modena 1966.
421 AAS 53 (1961) 447.
422 OGINO-SMULDEKS, De la continence périodique dans le mariage, Paris 1933; J. SALSMANS, Sterilitas facultativa licita?, in Ephemerides theol. lovan., 11 (1934) 562-570; R. P. MAYRAND, Un problème moral: la. continence périodique…, Paris 1934; H. KNAUS, Die periodische Fruchtbarkeit und Unfruchtbarkeif des Weibes, Wien 1935; L. J. LATZ, The rhythm of sterility and fertility in wornen, Chicago 1935; A. MARCHAL, La liberté de la conception, Paris 1935; F. TER HAAR, Casus conscientiae de praecipuis huius aetatis vitiis. I, Taurini 1936, 148-75, n. 156-184; L. OLDANI, Una questione viva. Ancora della continenza periodica nel matrimonio, in Scuola Cattolica, 67 (1939) 363-367; E. F. REGATILLO, Matrimonio con pacto de continencia periodica, in Sal terrae, 31 (1943) 30-39; L. J. LATZ – E. REINER, Further studies on thè sterile and fertile periods in women, in Thè American journal of obstetrics and gynecology, 43 (1942) 79 ss.; V. HEYLEN, De matrimonio, Mechliniae 1945, 441 ss.; A. GENNARO, La continenza periodica nel matrimonio, Torino 1947; A. STECHER, Continenza periodica nel matrimonio, trad. di P. MONACI, Firenze 1948; J. E. GEORG, Agenesi e fecondità nel matrimonio, Torino 1950; G. JUDICA COPPIGLIA, o. e., 88 ss.; G. B. GUZZETTI, La moralità della continenza periodica in un recente importante discorso pontificio, in Scuola Cattolica, 79 (1951) 463-469 (è il discorso alle ostetriche del 29 ottobre 1951); A. LANZA – P. PALAZZINI, Theologia moralis. Appendix. De castitate et luxuria, Taurini-Romae 1953, 69 ss,; L, GUALDI, Studio critico della teoria Knaus-Ogino-Smulders sui giorni sterili e fecondi, Reggio Emilia 1952; A. BOSCHI, o. c., 203 ss.; enc. Humanae vitae del 25 luglio 1968 n. 16: AAS 60 (1968) 491-492.
423 Queste conclusioni debbono dirsi certe dopo il discorso di Pio XII, già citato (AAS, 43 [1951] 844-846; cfr. anche; F. HURTH, Animadversiones in Allocutionem d. 29 octobris 1951, in Per. 40 [1951] 402-432) e, soprattutto, dopo l’enc. Humanae vitae dì Paolo VI (n, 16; AAS 60 [1968] 491-492).