L’apostolato e l’umilta’

P. M. Corti S.J – Che importano gli studi piu’ profondi e le lauree teologiche o bibliche se poi si lasciassero vivere in peccato le povere anime? L’apostolato e l’umiltà
di P. M. Corti S.J


1 – Bisogno d’umiltà

Il frutto che si ottiene nell’apostolato non è effetto dei lavoro dell’apostolo né della sua abilità e neppure della sua scienza, ma della grazia.
Ce lo dice con chiarezza S. Paolo:”Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere”(1 Cor 3,7).
Gesù Cristo ci insegna:”Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”(Lc 17,10).
Questo principio, se tenuto presente, dà grande luce nel formare sé e gli altri all’apostolato. Per certe opere sono indispensabili doti naturali, come salute, gradi di cultura, titoli di studio, il carattere sacerdotale ecc. ecc..
Il Papa S. Pio X, a questo proposito, esortava così i seminaristi:”Non basta la pietà: è necessaria la scienza… Se mai alcun tempo la scienza fu necessaria ai sacerdoti, ora lo è ancora di più. C’è gran bisogno di unire alla pietà la scienza: Bisogna approfondire soprattutto la scienza sacra, per essere pronti a rispondere a quelli che fanno obiezioni. Dovete essere il sale della terra e la luce dei mondo”(23-2-1905). Quanti sacrifici hanno fatto S. Giovanni Bosco, S. Antonio Maria Gianelli per fare gli studi necessari al sacerdozio! Quali umiliazioni affrontarono S. Ignazio, S. Camillo, S. Giovanni Leonardi per acquistare la scienza necessaria che si richiedeva per quella missione alla quale li chiamava la Provvidenza.
Ma si deve fare molta attenzione, che il movente, la vera motivazione di questa preparazione, di questi sacrifici sia solo I’ amore di Dio e la passione, lo zelo di salvare le anime. Com’è facile, se non vegliamo diligentemente su noi stessi, che l’amore della gloria trasformi la preparazione apostolica in un pascolo di passioni!
E in tal caso alla fine di un lavoro coi quale si pensava di aver preparato un apostolo ci si accorge di avere un mercenario e Dio non voglia un lupo.
Nell’arricchirsi di quella cultura che è sempre utile e spesso indispensabile, per certe forme di apostolato e che, se ben usata, giova tanto in ogni lavoro apostolico, bisogna tener presente che si diventa apostoli non per la scienza che si ha ma per la virtù che si acquista.
La S. Chiesa, nella liturgia ci avverte che “Errano quegli ecclesiastici (e ciò vale per tutti quei fedeli o religiosi chiamati ali’ apostolato) i quali pensano di poter adempiere la loro missione più con lo splendore della dottrina che con la santità della vita e con l’ordine della carità”. (Breviarium romanum antecedente l’ultima riforma, nella festa di S. Pier Canisio, il 27 aprile).
Ce lo insegna pure il grande S. Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa: “Per quanto sia alta la dottrina e rivestita di eccellente retorica e stile sublime, di per sé ordinariamente non produrrà negli uditori più profitto di quello che si ritrova nello spirito di chi l’insegna… Dio disprezza quelli che insegnando la sua legge non l’osservano e mentre predicano buono spirito, non lo possiedono loro stessi” (Avvisi o Massime spirituali).
Altrettanto conferma il ven. Lorenzo Scupoli, nell’aggiunta al suo Combattimento spirituale: “Tutti gli altri studi senza questo (cioè la virtù), siano pure tutte le scienze, non sono altro che legna di presunzione e di superbia, e che quanto più illuminano l’intelletto, più accecano la volontà a rovina dell’anima di chi l’acquista”.
L’ aureo libro dell’ Imitazione di Cristo ci suggerisce:
“Non ti curar dell’ombra di un gran nome”(III, 31)
“Non leggere mai neppure una parola a fine di comparire più dotto e più saggio (III, 24).
“Che ti giova disputare intorno ai grandi misteri della Trinità, se non hai l’umiltà, senza la quale tu dispiaci alla Trinità ?”(I, 1).
“Se avessi anche una piena intelligenza della Bibbia e delle sentenze dei filosofi: a che ti gioverebbe questo senza la carità e la grazia di Dio”(Ibidem).
E conclude: “Io desidero piuttosto sentire nel mio cuore la compunzione che sapere la sua definizione”(Ibidem) perché”nel giorno dei giudizio non ci sarà io mandato quello che abbiamo letto, ma quello che abbiamo fatto, né come elegantemente parlammo, ma come religiosamente vivemmo”(I, 3).
E non si giudichino esagerate queste osservazioni dei pio autore. È la dottrina di tutti i Santi e degli scrittori ascetici. Il ven. P. Granata, nel suo preziosissimo Trattato sulla devozione, ci ammonisce che lo studio non solo delle lettere, ma anche delle scienze sacre inaridisce lo spirito di chi non ha tempo conveniente alla meditazione e alla preghiera (Trattato della divozione, cap. 2, 7° impedimento).
Il P. M. Meschler S. J., grande maestro di spirito scrive Conseguenza di uno studio esagerato è l’impossessarsi che fa di noi una desolante aridità di cuore, accompagnata da una vera inettitudine di pregare, per poi non dire di un’incresciosa debolezza della volontà, che disgraziatamente patiscono tanti uomini d’ingegno”(La vita spirituale ridotta a tre principi fondamentali, Vicenza 1922 pag. 74).
In particolare, colui che facendo studi alti e profondi si vede aperta la via ad alte cariche ed è oggetto di ammirazione, deve acquistare una profonda umiltà, perché S. Bernardo dice che più si sale in alto, più è facile il capogiro e più rovinosa è la caduta. Questa umiltà profonda è utile per potersi adattare anche ai lavori più umili, per lavorare coi. poveri e con gli, ultimi, quando l’obbedienza e la carità lo esigono.
Quante volte l’ingegno e la scienza, perché a servizio dell’orgoglio, hanno trascinato popoli interi alla ribellione, all’eresia, allo scisma anche intere nazioni!.
Quante volte, studi profondi, perché non accoppiati all’umiltà, allo spirito di sacrificio, al vero amore per le anime, creano degli”spostati”; proprio quando ci sono innumerevoli anime da salvare dall’inferno e da liberare dal peccato! Apostoli accecati dall’amor proprio, che sotto lo specioso pretesto di voler procurare una grande gloria a Dio operando per Lui cose grandi, finiscono per passare la vita nel non far nulla, se non divenendo l’intrigo di chi lavora e il dolor di capo di chi li deve governare!
Un padre gesuita professore a Messina si lamentò con S. Francesco Borgia, a quel tempo superiore generale della Compagnia di Gesù, che i suoi talenti di ingegno e scienza, rimanessero sepolti, dovendo insegnare ad un esiguo numero di scolari
E il santo rispose, che se i suoi studi dovevano lasciarlo senza umiltà, sarebbe stato meglio che non avesse studiato.
Insomma, anche nell’acquisto della cultura dobbiamo premunirci dal pericolo che ci riesca di danno e a pregiudizio delle anime.
Uno scienziato convertito e medico, Alexis Carrel, scriveva così:”Lo scopo della vita è la santità non la scienza”.
Le opere apostoliche sono spesso un congegno delicato come un orologio
Il demonio è fine e astuto giocatore: per condurre tali opere al fallimento ed aver la vittoria, non sempre ha bisogno di provocare rotture o bancarotta; ma s’accontenta di introdurre un filo sottile, un granellino di polvere tra i minuscoli ingranaggi; uno screzio, un puntiglio di amor proprio, una sciocchezza qualunque e l’orologio non va più.
Esso resta là per bellezza, ma è inutile chiedergli che ora è
Tra le tante e belle istituzioni dei giorni nostri, quanti orologi fermi per un piccolo pelo d’amor proprio! Quanto è necessaria l’umiltà e lo spirito disinteressato per un apostolato cattolico fecondo!
E questo è così vero che per sua conferma noi vediamo che la S. Chiesa presenta alla nostra venerazione ed imitazione santi che furono apostoli di prim’ordine, pur mancando di alcuna o di tutte le doti poco prima ricordate.

2 – L’esempio dei santi

S. Ignazio
, formando i suoi primi compagni all’apostolato, ripeteva loro spesso una massima che ci spiega, la direttiva e le preferenze dei santi nell’esercizio dei loro zelo: “Le opere più preziose davanti a Dio, più giovevoli al nostro spirito e più utili al nostro prossimo sono quelle nelle quali maggiormente si esercitano queste virtù: l’umiltà e la carità”.
S. Caterina Labourè sul letto di morte espresse alle suore che la circondavano il desiderio “che i poveri ricoverati fossero serviti e amati come altra volta erano serviti e amati quando nelle comunità non vi erano suore istruite”.
Anche S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, formando le sue suore all’apostolato, le premuniva contro la mania dei grandi studi e dei troppo sapere. E diceva loro : “Ci si perde il tempo e la testa. Bisogna piuttosto mettere in pratica quello che si sa. Molti si sono perduti per aver voluto saperne troppo”.
Quando S. Clemente Maria Hofbauer, religioso redentorista viveva nel monastero di Bruch, vide un confratello che aveva la mania di saper troppo e gli disse con franchezza: “Devi pregare di più altrimenti le tue cose andranno male”.Non ascoltò l’ammonizione dei santo, e nonostante il suo molto sapere, errò su punti capitali della fede tanto che la S. Sede proibì i suoi scritti perché infetti di razionalismo. S. Alfonso, nel libro aureo Pratica di amar Gesù Cristo, al cap. 8, § 23, si lamenta così: “Quanti per studiare molto e farsi dotti, non sono diventati né santi né dotti”. E parlando specialmente agli apostoli ricorda loro: “Chi per lo studio lascia l’orazione, rivela che nello studio cerca se stesso e non Dio”.
Nessuno si meraviglia che S. Francesco d’Assisi avvisasse S. Antonio da Padova, che chiamava il mio teologo; quando insegnava teologia, che lo studio non estinguesse il lui lo spirito di devozione e di orazione.
Al politecnico si studia la matematica per applicarla alla costruzione di case, ponti, macchine ecc. ecc. Così nelle scuole teologiche si insegnano e si studiano le scienze sacre per usarle a salvezza delle anime. Che importano anche gli studi teologici più profondi e le lauree teologiche o bibliche numerose e brillanti se poi si lasciassero vivere in peccato le povere anime?
La scienza, le cariche, le dignità non sono virtù; così ci ricorda S. Bernardo.
S. Vincenzo de Paoli, S. Giovanni Bosco, il Beato Don Orione, S. Giovanni Calabria furono di umilissima condizione e non coprirono alcuna carica gerarchica.
Molti furono di ‘corto ingegno e di studi limitati, come S. Giuseppe da Copertino ed il santo Curato d’Ars. Altri poverissimi di tutto circondati quasi sempre – fuor che di ammirazione – di compatimento, di disprezzo come S. Bertilla Boscardin.
Moltissimi hanno fatto un bene immenso alla Chiesa pur non essendo sacerdoti e non coprendo cariche. Si pensi a S. Benedetto, a S. Giovanni Gualberto, a S. Francesco di Paola, a S. Gerolamo Emiliani, a S. Caterina da Siena e a molte suore e santi fratelli di ordini religiosi nonché di semplici fedeli.

(sintesi da: P. M. Corti S.J, Vivere in Grazia, Milano: Selecta, 1955)