Ut unum sint (2)

Giovanni Paolo II, enciclica sull’unita’ dei cristiani…
Seconda parte

II


I FRUTTI DEL DIALOGO

La fraternità ritrovata


41. Quanto detto sopra a proposito del dialogo ecumenico dalla conclusione del Concilio in poi induce a rendere grazie allo Spirito di verità promesso da Cristo Signore agli Apostoli e alla Chiesa (cfr Gv 14, 26). È la prima volta nella storia che l’azione in favore dell’unità dei cristiani ha assunto proporzioni così grandi e si è estesa ad un ambito tanto vasto. Ciò è già un immenso dono che Dio ha concesso e che merita tutta la nostra gratitudine. Dalla pienezza di Cristo riceviamo « grazia su grazia » (Gv 1, 16). Riconoscere quanto Dio ha già concesso è la condizione che ci predispone a ricevere quei doni ancora indispensabili per condurre a compimento l’opera ecumenica dell’unità.


Uno sguardo d’insieme sugli ultimi trent’anni fa meglio comprendere molti dei frutti di questa comune conversione al Vangelo di cui lo Spirito di Dio ha fatto strumento il movimento ecumenico.


42. Avviene ad esempio che — nello stesso spirito del Discorso della montagna — i cristiani appartenenti ad una confessione non considerino più gli altri cristiani come nemici o stranieri, ma vedano in essi dei fratelli e delle sorelle. D’altro canto, persino all’espressione fratelli separati, l’uso tende a sostituire oggi vocaboli più attenti ad evocare la profondità della comunione — legata al carattere battesimale — che lo Spirito alimenta malgrado le rotture storiche e canoniche. Si parla degli « altri cristiani », degli « altri battezzati », dei « cristiani delle altre Comunità ». Il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo designa le Comunità alle quali appartengono questi cristiani come « Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica ».69 Tale ampliamento del lessico traduce una notevole evoluzione delle mentalità. La consapevolezza della comune appartenenza a Cristo si approfondisce. L’ho potuto constatare molte volte di persona, durante le celebrazioni ecumeniche che sono uno degli eventi importanti dei miei viaggi apostolici nelle varie parti del mondo, o negli incontri e nelle celebrazioni ecumeniche che hanno avuto luogo a Roma. La « fraternità universale » dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica. Relegando nell’oblio le scomuniche del passato, le Comunità un tempo rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda; a volte gli edifici di culto vengono prestati, si offrono borse di studio per la formazione dei ministri delle Comunità più prive di mezzi, si interviene presso le autorità civili per la difesa di altri cristiani ingiustamente incriminati, si dimostra l’infondatezza delle calunnie di cui sono vittime certi gruppi.


In una parola, i cristiani si sono convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di Cristo. Se accade che, a motivo di sommovimenti politici violenti, affiori in situazioni concrete una certa aggressività, oppure uno spirito di rivalsa, le autorità delle parti in causa si adoperano in genere per far prevalere la « Legge nuova » dello spirito di carità. Purtroppo, un tale spirito non ha potuto trasformare tutte le situazioni di conflitto cruento. L’impegno ecumenico in queste circostanze richiede non di rado da chi lo esercita scelte di autentico eroismo.


Bisogna ribadire a questo riguardo che il riconoscimento della fraternità non è la conseguenza di un filantropismo liberale o di un vago spirito di famiglia. Esso si radica nel riconoscimento dell’unico Battesimo e nella conseguente esigenza che Dio sia glorificato nella sua opera. Il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo auspica un reciproco e ufficiale riconoscimento dei Battesimi70. Ciò che va ben al di là di un atto di cortesia ecumenica e costituisce una basilare affermazione ecclesiologica.


Va opportunamente ricordato che il carattere fondamentale del Battesimo nell’opera di edificazione della Chiesa è stato chiaramente evidenziato anche grazie al dialogo multilaterale.71


La solidarietà nel servizio all’umanità


43. Accade sempre più spesso che i responsabili delle Comunità cristiane prendano insieme posizione, in nome di Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione umana, la libertà, la giustizia, la pace, il futuro del mondo. Così facendo essi « comunicano » in uno degli elementi costitutivi della missione cristiana: ricordare alla società, in un modo che sappia essere realista, la volontà di Dio, mettendo in guardia le autorità e i cittadini perché non seguano la china che condurrebbe a calpestare i diritti umani. È chiaro, e l’esperienza lo dimostra, che in alcune circostanze la voce comune dei cristiani ha più impatto di una voce isolata.


I responsabili delle Comunità non sono tuttavia i soli ad unirsi in questo impegno per l’unità. Numerosi cristiani di tutte le Comunità, a motivo della loro fede, partecipano insieme a progetti coraggiosi che si propongono di cambiare il mondo nel senso di far trionfare il rispetto dei diritti e dei bisogni di tutti, specie dei poveri, degli umiliati e degli indifesi. Nella Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis ho constatato con gioia questa collaborazione, sottolineando che la Chiesa cattolica non può sottrarvisi.72 Infatti i cristiani, che un tempo agivano in modo indipendente, sono ora impegnati insieme a servizio di questa causa, perché la benevolenza di Dio possa trionfare.


La logica è già quella del Vangelo. Per questo motivo, ribadendo quanto avevo scritto nella mia prima Lettera enciclica, la Redemptor hominis, ho avuto occasione « di insistere su questo punto e di incoraggiare ogni sforzo compiuto in questa direzione, a tutti i livelli in cui ci incontriamo con gli altri nostri fratelli cristiani » 73 ed ho ringraziato Dio « di ciò che egli ha già compiuto nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali e per mezzo loro », come anche per mezzo della Chiesa cattolica.74 Oggi constato con soddisfazione che la già vasta rete di collaborazione ecumenica si estende sempre di più. Anche per influsso del Consiglio ecumenico delle Chiese, si compie un grande lavoro in questo campo.


Convergenze nella parola di Dio e nel culto divino


44. I progressi della conversione ecumenica sono significativi anche in un altro settore, quello relativo alla Parola di Dio. Penso prima di tutto ad un evento così importante per svariati gruppi linguistici come le traduzioni ecumeniche della Bibbia. Dopo la promulgazione, da parte del Concilio Vaticano II, della Costituzione Dei Verbum, la Chiesa cattolica non poteva non accogliere con gioia questa realizzazione.75 Tali traduzioni, opera di specialisti, offrono generalmente una base sicura alla preghiera e all’attività pastorale di tutti i discepoli di Cristo. Chi ricorda quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura, può comprendere quale notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni.


45. Al rinnovamento liturgico compiuto dalla Chiesa cattolica, ha corrisposto in diverse Comunità ecclesiali l’iniziativa di rinnovare il loro culto. Alcune di esse, sulla base dell’auspicio espresso a livello ecumenico,76 hanno abbandonato la consuetudine di celebrare la loro liturgia della Cena soltanto in rare occasioni ed hanno optato per una celebrazione domenicale. D’altra parte, paragonando i cicli delle letture liturgiche di diverse Comunità cristiane occidentali, si constata che essi convergono per l’essenziale. Sempre a livello ecumenico,77 si è dato un rilievo del tutto speciale alla liturgia e ai segni liturgici (immagini, icone, paramenti, luce, incenso, gestualità). Inoltre, negli istituti di teologia dove si formano i futuri ministri, lo studio della storia e del significato della liturgia comincia a far parte dei programmi, come un bisogno che si sta riscoprendo.


Si tratta di segni di convergenza che riguardano vari aspetti della vita sacramentale. Certamente, a causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l’unica Eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più « con un cuore solo ». A volte, il poter finalmente suggellare questa comunione « reale sebbene non ancora piena » sembra essere più vicino. Chi avrebbe potuto un secolo fa anche solo pensarlo?


46. In questo contesto, è motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possano, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell’Eucaristia, della Penitenza, dell’Unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa in questi sacramenti. Reciprocamente, in determinati casi e per particolari circostanze, anche i cattolici possono fare ricorso per gli stessi sacramenti ai ministri di quelle Chiese in cui essi sono validi. Le condizioni per tale reciproca accoglienza sono stabilite in norme e la loro osservanza si impone per la promozione ecumenica.78


Apprezzare i beni presenti tra gli altri cristiani


47. Il dialogo non si articola esclusivamente attorno alla dottrina, ma coinvolge tutta la persona: esso è anche un dialogo d’amore. Il Concilio ha affermato: « È necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo, talora sino all’effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre stupendo e sorprendente nelle sue opere ».79


48. Le relazioni che i membri della Chiesa cattolica hanno stabilito con gli altri cristiani dal Concilio in poi, hanno fatto scoprire ciò che Dio opera in coloro che appartengono alle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Questo contatto diretto, a vari livelli, tra i pastori e tra i membri delle Comunità, ci ha fatto prendere coscienza della testimonianza che gli altri cristiani rendono a Dio e a Cristo. Si è così aperto un vastissimo spazio per tutta l’esperienza ecumenica, che è allo stesso tempo la sfida che si pone a questa nostra epoca. Il XX secolo non è forse un tempo di grande testimonianza, che va « fino all’effusione del sangue »? Ed essa non riguarda forse anche le varie Chiese e Comunità ecclesiali, che traggono il loro nome da Cristo, crocifisso e risorto?


Tale comune testimonianza della santità, come fedeltà all’unico Signore, è un potenziale ecumenico straordinariamente ricco di grazia. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato che i beni presenti negli altri cristiani possono contribuire all’edificazione dei cattolici: « Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto nei fratelli separati, può contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano mai è contrario ai veri benefici della fede, anzi può sempre far sì, che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più perfettamente ».80 Il dialogo ecumenico, come vero dialogo di salvezza, non mancherà di stimolare questo processo, già in se stesso ben avviato, a progredire verso la vera e piena comunione.


Crescita della comunione


49. Frutto prezioso delle relazioni tra i cristiani e del dialogo teologico che essi intrattengono è la crescita della comunione. Le une e l’altro hanno reso consapevoli i cristiani degli elementi di fede che essi hanno in comune. Ciò è servito a cementare ulteriormente il loro impegno verso la piena unità. In tutto questo il Concilio Vaticano II rimane potente centro di propulsione e di orientamento.


La Costituzione dogmatica Lumen gentium collega la dottrina concernente la Chiesa cattolica al riconoscimento degli elementi salvifici che si trovano nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali.81 Non si tratta di una presa di coscienza di elementi statici, passivamente presenti in tali Chiese e Comunità. In quanto beni della Chiesa di Cristo, per loro natura essi spingono verso il ristabilimento dell’unità. Ne consegue che la ricerca dell’unità dei cristiani non è un atto facoltativo o di opportunità, ma un’esigenza che scaturisce dall’essere stesso della comunità cristiana.


Similmente, i dialoghi teologici bilaterali con le maggiori Comunità cristiane partono dal riconoscimento del grado di comunione già in atto, per discutere poi in modo progressivo le divergenze esistenti con ciascuna. Il Signore ha concesso ai cristiani del nostro tempo di poter ridurre il contenzioso tradizionale.


Il dialogo con le Chiese d’Oriente


50. A questo riguardo, si deve innanzitutto constatare, con particolare gratitudine alla Provvidenza divina, che il legame con le Chiese d’Oriente, incrinato durante i secoli, si è rinsaldato con il Concilio Vaticano II. Gli osservatori di queste Chiese presenti al Concilio, assieme a rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente, hanno manifestato pubblicamente, in un momento così solenne per la Chiesa cattolica, la comune volontà di ricercare la comunione.


Il Concilio, da parte sua, ha considerato con oggettività e con profondo affetto le Chiese d’Oriente, mettendo in rilievo la loro ecclesialità e gli oggettivi vincoli di comunione che le legano alla Chiesa cattolica. Il Decreto sull’ecumenismo afferma: « Per mezzo della celebrazione dell’Eucaristia del Signore in queste singole chiese la Chiesa di Dio è edificata e cresce », aggiungendo, di conseguenza, che tali chiese « quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli ».82


Delle Chiese d’Oriente è stata riconosciuta la grande tradizione liturgica e spirituale, il carattere specifico del loro sviluppo storico, le discipline da loro seguite sin dai primi tempi e sancite dai santi Padri e dai Concili ecumenici, il modo che è loro proprio di enunciare la dottrina. Tutto ciò nella convinzione che la legittima diversità non si oppone affatto all’unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al compimento della sua missione.


Il Concilio Ecumenico Vaticano II vuole fondare il dialogo sulla comunione esistente e richiama l’attenzione proprio sulla ricca realtà delle Chiese d’Oriente: « Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, affinché tengano in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d’Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la sede di Roma prima della separazione, e si formino un equo giudizio su tutte queste cose ».83


51. Questo orientamento conciliare è stato fecondo sia per le relazioni di fraternità, che sono andate sviluppandosi per mezzo del dialogo della carità, sia per la discussione dottrinale nell’ambito della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Esso è stato altrettanto ricco di frutti nelle relazioni con le antiche Chiese dell’Oriente.


Si è trattato di un processo lento e laborioso, che è stato però fonte di molta gioia; ed è stato anche entusiasmante, poiché ha permesso di ritrovare progressivamente la fraternità.


La ripresa dei contatti


52. Per quanto riguarda la Chiesa di Roma e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il processo a cui abbiamo appena fatto cenno ha preso avvio grazie alla reciproca apertura mostrata dai Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, da una parte, e dal Patriarca ecumenico Athenagoras I e dai suoi successori, dall’altra. Il mutamento operato ha la sua espressione storica nell’atto ecclesiale per il cui tramite « si è tolto dalla memoria e dal mezzo delle Chiese » 84 il ricordo delle scomuniche che novecento anni prima, nel 1054, erano diventate simbolo dello scisma tra Roma e Costantinopoli. Quell’evento ecclesiale, tanto denso di impegno ecumenico, avvenne negli ultimi giorni del Concilio, il 7 dicembre del 1965. L’assise conciliare si concludeva così con un atto solenne che era al tempo stesso purificazione della memoria storica, perdono reciproco e solidale impegno per la ricerca della comunione.


Questo gesto era stato preceduto dall’incontro di Paolo VI e del Patriarca Athenagoras I a Gerusalemme, nel gennaio del 1964, durante il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. In quell’occasione egli poté anche incontrare il Patriarca ortodosso di Gerusalemme, Benedictos. In seguito, Papa Paolo poteva far visita al Patriarca Athenagoras al Fanar (Istanbul) il 25 luglio del 1967 e, nel mese di ottobre dello stesso anno, il Patriarca era accolto solennemente a Roma. Questi incontri nella preghiera additavano la via da seguire per il riavvicinamento tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente ed il ristabilimento dell’unità che esisteva tra loro nel primo millennio.


Dopo la morte di Papa Paolo VI ed il breve pontificato di Papa Giovanni Paolo I, quando mi è stato affidato il ministero di Vescovo di Roma, ho ritenuto che fosse uno dei primi doveri del mio servizio pontificio rinnovare un personale contatto con il Patriarca ecumenico Dimitrios I, il quale aveva nel frattempo assunto, nella sede di Costantinopoli, la successione del Patriarca Athenagoras. Durante la mia visita al Fanar il 29 novembre del 1979, potemmo, il Patriarca ed io, decidere di inaugurare il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse in comunione canonica con la sede di Costantinopoli. Sembra importante aggiungere, a questo proposito, che allora erano già in corso i preparativi per la convocazione del futuro Concilio delle Chiese ortodosse. La ricerca della loro armonia è un contributo alla vita e alla vitalità di quelle Chiese sorelle, e ciò anche in considerazione della funzione che esse sono chiamate a svolgere nel cammino verso l’unità. Il Patriarca ecumenico ha voluto restituirmi la visita che gli avevo reso, e nel dicembre del 1987 ho avuto la gioia di accoglierlo a Roma, con affetto sincero e con la solennità che gli era dovuta. In questo contesto di fraternità ecclesiale, va ricordata la consuetudine, ormai stabilita da vari anni, di accogliere a Roma, per la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, una delegazione del Patriarcato ecumenico, così come di inviare al Fanar una delegazione della Santa Sede per la solenne celebrazione di sant’Andrea.


53. Questi regolari contatti permettono tra l’altro uno scambio diretto di informazioni e di pareri per un fraterno coordinamento. D’altra parte, la nostra reciproca partecipazione alla preghiera ci riabitua a vivere fianco a fianco, ci induce ad accogliere insieme, e dunque a mettere in pratica, la volontà del Signore per la sua Chiesa.


Lungo il cammino che abbiamo percorso dal Concilio Vaticano II in poi, vanno menzionati almeno due eventi particolarmente eloquenti e di grande rilevanza ecumenica nelle relazioni tra Oriente ed Occidente: in primo luogo, il Giubileo del 1984, indetto per commemorare l’XI centenario dell’opera evangelizzatrice di Cirillo e Metodio e che mi ha permesso di proclamare compatroni d’Europa i due santi apostoli degli Slavi, messaggeri di fede. Già Papa Paolo VI nel 1964, durante il Concilio, aveva proclamato san Benedetto patrono d’Europa. Associare i due Fratelli di Tessalonica al grande fondatore del monachesimo occidentale vale a mettere indirettamente in risalto quella duplice tradizione ecclesiale e culturale tanto significativa per i duemila anni di cristianesimo che hanno caratterizzato la storia del continente europeo. Non è quindi superfluo ricordare che Cirillo e Metodio provenivano dall’ambito della Chiesa bizantina del loro tempo, epoca durante la quale essa era in comunione con Roma. Nel proclamarli, assieme a san Benedetto, patroni d’Europa, desideravo non soltanto confermare la verità storica sul cristianesimo nel continente europeo, ma anche fornire un importante tema a quel dialogo tra Oriente ed Occidente, che tante speranze ha suscitato nel dopo Concilio. Come in san Benedetto, nei santi Cirillo e Metodio l’Europa ritrova le sue radici spirituali. Ora che volge al termine il secondo millennio dalla nascita di Cristo, essi debbono essere venerati insieme, come patroni del nostro passato e come santi ai quali le Chiese e le nazioni del continente europeo affidano il loro avvenire.


54. L’altro evento che mi piace richiamare alla mente è la celebrazione del Millennio del Battesimo della Rus’ (988-1988). La Chiesa cattolica, ed in modo particolare la Sede Apostolica, hanno voluto prendere parte alle celebrazioni giubilari ed hanno cercato di sottolineare come il Battesimo conferito a Kiev a san Vladimiro sia stato uno degli eventi centrali per l’evangelizzazione del mondo. Ad esso debbono la loro fede non soltanto le grandi nazioni slave dell’Est europeo, ma anche quei popoli che vivono oltre i monti Urali e fino all’Alaska.


In questa prospettiva, un’espressione che ho più volte adoperato trova il suo motivo più profondo: la Chiesa deve respirare con i suoi due polmoni! Nel primo millennio della storia del cristianesimo essa si riferisce soprattutto alla dualità Bisanzio-Roma; dal Battesimo della Rus’ in poi, tale espressione dilata i suoi confini: l’evangelizzazione si è estesa ad un ambito ben più vasto, così che essa abbraccia ormai l’intera Chiesa. Se si considera poi che tale evento salvifico, avvenuto lungo le sponde del Dniepr, risale ad una epoca durante la quale la Chiesa in Oriente e quella in Occidente non erano divise, si comprende chiaramente come la prospettiva secondo la quale la piena comunione va ricercata sia quella dell’unità nella legittima diversità. È quanto ho affermato con forza nell’Epistola enciclica Slavorum apostoli 85 dedicata ai santi Cirillo e Metodio e nella Lettera apostolica Euntes in mundum 86 diretta ai fedeli della Chiesa cattolica nella commemorazione del Millennio del Battesimo della Rus’ di Kiev.


Chiese sorelle


55. Il Decreto conciliare Unitatis redintegratio nel suo orizzonte storico tiene presente l’unità che, malgrado tutto, fu vissuta nel primo millennio. Essa assume in un certo senso configurazione di modello. « È cosa gradita per il sacro Concilio […] richiamare alla mente di tutti, che in Oriente prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le Chiese patriarcali, e non poche di queste si gloriano d’essere state fondate dagli stessi Apostoli ».87 Il cammino della Chiesa è iniziato a Gerusalemme il giorno di Pentecoste e tutto il suo originale sviluppo nell’oikoumene di allora si concentrava attorno a Pietro e agli Undici (cfr At 2, 14). Le strutture della Chiesa in Oriente e in Occidente si formavano dunque in riferimento a quel patrimonio apostolico. La sua unità, entro i limiti del primo millennio, si manteneva in quelle stesse strutture mediante i Vescovi, successori degli Apostoli, in comunione con il Vescovo di Roma. Se oggi noi cerchiamo, al termine del secondo millennio, di ristabilire la piena comunione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo riferirci.


Il Decreto sull’ecumenismo mette in rilievo un ulteriore aspetto caratteristico, grazie al quale tutte le Chiese particolari permanevano nell’unità, la « preoccupazione — cioè — e la cura di conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali ».88


56. Dopo il Concilio Vaticano II e ricollegandosi a quella tradizione, si è ristabilito l’uso di attribuire l’appellativo di « Chiese sorelle » alle Chiese particolari o locali radunate attorno al loro Vescovo. La soppressione poi delle reciproche scomuniche, rimovendo un doloroso ostacolo di ordine canonico e psicologico, è stato un passo molto significativo nel cammino verso la piena comunione.


Le strutture d’unità esistenti prima della divisione sono un patrimonio d’esperienza che guida il nostro cammino verso il ritrovamento della piena comunione. Ovviamente, durante il secondo millennio, il Signore non ha cessato di dare alla sua Chiesa abbondanti frutti di grazia e di crescita. Ma purtroppo il progressivo reciproco allontanamento tra le Chiese d’Occidente e d’Oriente le ha private delle ricchezze di mutui doni ed aiuti. Occorre compiere con la grazia di Dio un grande sforzo per ristabilire fra esse la piena comunione, fonte di tanti beni per la Chiesa di Cristo. Tale sforzo richiede tutta la nostra buona volontà, la preghiera umile e una collaborazione perseverante che nulla deve scoraggiare. San Paolo ci sprona: « Portate i pesi gli uni degli altri » (Gal 6, 2). Come si adatta a noi e come è attuale l’esortazione dell’Apostolo! L’appellativo tradizionale di « Chiese sorelle » dovrebbe incessantemente accompagnarci in questo cammino.


57. Come auspicava Papa Paolo VI, il nostro scopo dichiarato è di ritrovare insieme la piena unità nella legittima diversità: « Dio ci ha concesso di ricevere nella fede questa testimonianza degli Apostoli. Per mezzo del Battesimo noi siamo uno in Cristo Gesù (cfr Gal 3, 28). In virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia ci uniscono più intimamente; partecipando ai doni di Dio alla sua Chiesa, noi siamo in comunione con il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo […]. In ogni Chiesa locale si realizza questo mistero dell’amore divino. Non è forse questa la ragione dell’espressione tradizionale e tanto bella per cui le Chiese locali amavano designarsi quali Chiese sorelle? (cfr Decr. Unitatis redintegratio, 14). Questa vita di Chiese sorelle, noi l’abbiamo vissuta durante secoli, celebrando insieme i Concili ecumenici, che hanno difeso il deposito della fede da ogni alterazione. Ora, dopo un lungo periodo di divisione e incomprensione reciproca, il Signore ci concede di riscoprirci come Chiese sorelle, nonostante gli ostacoli che nel passato si sono frapposti tra di noi ».89 Se oggi, alle soglie del terzo millennio, noi ricerchiamo il ristabilimento della piena comunione, è all’attuazione di questa realtà che dobbiamo tendere ed è a questa realtà che dobbiamo fare riferimento.


Il contatto con questa gloriosa tradizione è fecondo per la Chiesa. « Le Chiese d’Oriente — afferma il Concilio — hanno fin dall’origine un tesoro, dal quale la Chiesa d’Occidente molte cose ha prese nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell’ordine giuridico ».90


Sono parte di questo « tesoro » anche « le ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente dal monachesimo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi Padri fiorì quella spiritualità monastica, che si estese poi all’Occidente ».91 Come ho avuto modo di rilevare nella recente Lettera apostolica Orientale lumen, le Chiese d’Oriente hanno vissuto con grande generosità l’impegno testimoniato dalla vita monastica, « a cominciare dalla evangelizzazione, che è il servizio più alto che il cristiano possa offrire al fratello, per proseguire in molte altre forme di servizio spirituale e materiale. Si può anzi dire che il monachesimo sia stato nell’antichità — e, a varie riprese, anche in tempi successivi — lo strumento privilegiato per l’evangelizzazione dei popoli ».92


Il Concilio non si limita a mettere in rilievo tutto ciò che rende le Chiese in Oriente ed in Occidente simili tra loro. In armonia con la verità storica, esso non esita ad affermare: « Non fa meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall’uno che non dall’altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi ».93 Lo scambio di doni fra le Chiese nella loro complementarità rende feconda la comunione.


58. Dalla riaffermata comunione di fede già esistente, il Concilio Vaticano II ha tratto delle conseguenze pastorali utili alla vita concreta dei fedeli e alla promozione dello spirito d’unità. A ragione degli strettissimi vincoli sacramentali esistenti tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, il Decreto Orientalium ecclesiarum ha rilevato che « la prassi pastorale dimostra, per quanto riguarda i fratelli orientali, che si possono e si devono considerare varie circostanze di singole persone, nelle quali né si lede l’unità della Chiesa, né vi sono pericoli da evitare, e invece urgono la necessità della salvezza e il bene spirituale delle anime. Perciò la Chiesa cattolica, secondo le circostanze di tempi, di luoghi e di persone, ha usato spesso e usa una più mite maniera di agire, offrendo a tutti tra i cristiani i mezzi della salvezza e la testimonianza della carità, per mezzo della partecipazione nei sacramenti e nelle altre funzioni e cose sacre ».94


Tale orientamento teologico e pastorale, con l’esperienza fatta negli anni del dopo Concilio, è stato assunto dai due Codici di Diritto Canonico.95 Esso è stato esplicitato dal punto di vista pastorale dal Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo.96


In questa materia tanto importante e delicata, è necessario che i Pastori istruiscano con cura i fedeli affinché essi conoscano con chiarezza le precise ragioni sia di tale condivisione per quanto riguarda il culto liturgico che delle diverse discipline esistenti al riguardo.


Non si deve mai perdere di vista la dimensione ecclesiologica della partecipazione ai sacramenti, soprattutto della santa Eucaristia.


Progressi del dialogo


59. Dalla sua creazione nel 1979, la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme ha lavorato intensamente, orientando progressivamente la sua ricerca a quelle prospettive che, di comune accordo, erano state determinate, con lo scopo di ristabilire la piena comunione tra le due Chiese. Tale comunione fondata nell’unità di fede, in continuità con l’esperienza e la tradizione della Chiesa antica, troverà la sua espressione piena nella concelebrazione della santa Eucaristia. Con spirito positivo, basandoci su quanto abbiamo in comune, la commissione mista ha potuto progredire sostanzialmente e, come ho avuto modo di dichiarare insieme al venerato Fratello, Sua Santità Dimitrios I, Patriarca ecumenico, essa è pervenuta ad esprimere « ciò che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa possono già professare insieme quale fede comune nel mistero della Chiesa ed il vincolo tra la fede ed i sacramenti ».97 La commissione ha poi potuto constatare ed affermare che « nelle nostre Chiese la successione apostolica è fondamentale per la santificazione e l’unità del popolo di Dio ».98 Si tratta di punti di riferimento importanti per la continuazione del dialogo. E c’è di più: queste affermazioni fatte insieme costituiscono la base che abilita i cattolici e gli ortodossi a rendere sin da ora, nel nostro tempo, una comune testimonianza fedele e concorde perché il nome del Signore sia annunciato e glorificato.


60. Più recentemente, la commissione mista internazionale ha compiuto un significativo passo nella questione tanto delicata del metodo da seguire nella ricerca della piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, questione che ha spesso inasprito le relazioni fra cattolici ed ortodossi. Essa ha posto le basi dottrinali per una positiva soluzione del problema, che si fonda sulla dottrina delle Chiese sorelle. Anche in questo contesto è apparso chiaramente che il metodo da seguire verso la piena comunione è il dialogo della verità, nutrito e sostenuto dal dialogo della carità. Il diritto riconosciuto alle Chiese orientali cattoliche ad organizzarsi e svolgere il loro apostolato, così come l’effettivo coinvolgimento di queste Chiese nel dialogo della carità e in quello teologico, favoriranno non soltanto un reale e fraterno rispetto reciproco tra gli ortodossi e i cattolici che vivono in uno stesso territorio, ma anche il loro comune impegno nella ricerca dell’unità.99 Un passo avanti è stato compiuto. L’impegno deve continuare. Sin da ora si può constatare, però, una pacificazione degli spiriti, che rende la ricerca più feconda.


Per quanto riguarda le Chiese orientali in comunione con la Chiesa cattolica, il Concilio aveva espresso il seguente apprezzamento: « Questo Sacro Concilio, ringraziando Dio che molti Orientali figli della Chiesa cattolica 1 vivano già in piena comunione con i fratelli che seguono la tradizione occidentale, dichiara che tutto questo patrimonio spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue tradizioni, appartiene alla piena cattolicità ed apostolicità della Chiesa ».100 Certamente le Chiese orientali cattoliche, nello spirito del Decreto sull’ecumenismo, sapranno partecipare positivamente al dialogo della carità e al dialogo teologico, sia a livello locale che a livello universale, contribuendo così alla reciproca comprensione e ad una dinamica ricerca della piena unità.101


61. In questa prospettiva, la Chiesa cattolica null’altro vuole se non la piena comunione tra Oriente ed Occidente. In ciò si ispira alla esperienza del primo millennio. In tale periodo, infatti, « lo sviluppo di differenti esperienze di vita ecclesiale non impediva che, mediante reciproche relazioni, i cristiani potessero continuare a provare la certezza di essere a casa propria in qualsiasi Chiesa, perché da tutte si levava, in mirabile varietà di lingue e modulazioni, la lode dell’unico Padre, per Cristo nello Spirito Santo; tutte erano adunate per celebrare l’Eucaristia, cuore e modello per la comunità non solo per quanto riguarda la spiritualità o la vita morale, ma anche per la struttura stessa della Chiesa, nella varietà dei ministeri e dei servizi sotto la presidenza del Vescovo successore degli Apostoli. I primi Concili sono una testimonianza eloquente di questa perdurante unità nella diversità ».102 In che modo ricomporre tale unità dopo quasi mille anni? Ecco il grande compito che essa deve assolvere e che incombe anche alla Chiesa ortodossa. Si comprende da qui tutta l’attualità del dialogo, sostenuto dalla luce e dalla potenza dello Spirito Santo.


Relazioni con le antiche Chiese dell’Oriente


62. Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa cattolica, con modalità e ritmi diversi, ha riallacciato fraterne relazioni anche con quelle antiche Chiese dell’Oriente che hanno contestato le formule dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia. Tutte queste Chiese hanno inviato osservatori delegati al Concilio Vaticano II; i loro Patriarchi ci hanno onorato della loro visita e con essi il Vescovo di Roma ha potuto parlare come a dei fratelli che, dopo lungo tempo, si ritrovano nella gioia.


La ripresa delle relazioni fraterne con le antiche Chiese dell’Oriente, testimoni della fede cristiana in situazioni spesso ostili e tragiche, è un segno concreto di come Cristo ci unisca nonostante le barriere storiche, politiche, sociali e culturali. E proprio per quanto riguarda il tema cristologico, abbiamo potuto dichiarare insieme ai Patriarchi di alcune di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Papa Paolo VI di venerata memoria aveva firmato delle dichiarazioni in questo senso con Sua Santità Shenouda III, Papa e Patriarca copto ortodosso; 103 e con il Patriarca siro ortodosso d’Antiochia, Sua Santità Jacoub III.104 Io stesso ho potuto confermare tale accordo cristologico e trarne delle conseguenze: per lo sviluppo del dialogo con il Papa Shenouda,105 e per la collaborazione pastorale con il Patriarca siro d’Antiochia Mar Ignazio Zakka I Iwas.106


Con il venerato Patriarca della Chiesa d’Etiopia, Abuna Paulos, che mi ha fatto visita a Roma l’11 giugno 1993, abbiamo sottolineato la profonda comunione esistente tra le nostre due Chiese: « Noi condividiamo la fede ricevuta dagli Apostoli, gli stessi sacramenti e lo stesso ministero radicato nella successione apostolica[…]. Oggi infatti possiamo affermare di avere la stessa fede in Cristo, allorché per lungo tempo essa è stata causa di divisione tra di noi ».107


Più recentemente, il Signore mi ha dato la grande gioia di sottoscrivere una dichiarazione comune cristologica con il Patriarca assiro dell’Oriente, Sua Santità Mar Dinkha IV, che ha voluto per questo motivo farmi visita a Roma nel mese di novembre 1994. Tenendo conto delle formulazioni teologiche differenziate, abbiamo così potuto professare insieme la vera fede in Cristo.108 Voglio dire la mia esultanza per tutto questo con le parole della Vergine: « L’anima mia magnifica il Signore » (Lc 1, 46).


63. Per le tradizionali controversie sulla cristologia, i contatti ecumenici hanno reso dunque possibili chiarimenti essenziali, tanto da permetterci di confessare insieme quella fede che ci è comune. Ancora una volta, si deve constatare che tale importante acquisizione è sicuramente frutto della ricerca teologica e del dialogo fraterno. E non soltanto questo. Essa ci è di incoraggiamento: ci mostra, infatti, che la via percorsa è giusta e che si può ragionevolmente sperare di trovare insieme la soluzione per le altre questioni controverse.


Dialogo con le altre Chiese e Comunità ecclesiali in Occidente


64. Nell’ampio piano tracciato per il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani, il Decreto sull’ecumenismo prende ugualmente in considerazione le relazioni con le Chiese e Comunità ecclesiali d’Occidente. Con l’intento di instaurare un clima di fraternità cristiana e di dialogo, il Concilio situa le sue indicazioni nell’ambito di due considerazioni di ordine generale: l’una a carattere storico-psicologico e l’altra a carattere teologico-dottrinale. Da una parte, il suddetto documento rileva: « Le Chiese e le Comunità ecclesiali, che o in quel gravissimo sconvolgimento incominciato in Occidente già alla fine del Medioevo o in tempi posteriori si sono separate dalla sede apostolica romana, sono unite alla Chiesa cattolica da una speciale affinità e stretta relazione, dato il lungo periodo di vita che il popolo cristiano nei secoli passati trascorse nella comunione ecclesiastica ».109 D’altra parte, con altrettanto realismo si constata: « Bisogna però riconoscere che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa cattolica vi sono importanti divergenze, non solo d’indole storica, sociologica, psicologica e culturale, ma soprattutto d’interpretazione della verità rivelata ».110


65. Sono comuni le radici e sono simili, nonostante le differenze, gli orientamenti che hanno guidato in Occidente lo sviluppo della Chiesa cattolica e delle Chiese e Comunità sorte dalla Riforma. Di conseguenza esse possiedono una comune caratteristica occidentale. Le « divergenze », pur importanti sopra accennate non escludono quindi reciproche influenze e complementarietà.


Il movimento ecumenico ha preso avvio proprio nell’ambito delle Chiese e Comunità della Riforma. Contemporaneamente, e già nel gennaio del 1920, il Patriarcato ecumenico aveva espresso l’auspicio che si organizzasse una collaborazione tra le Comunioni cristiane. Questo fatto mostra che l’incidenza dello sfondo culturale non è decisiva. Essenziale è invece la questione della fede. La preghiera di Cristo, nostro unico Signore, Redentore e Maestro, parla a tutti nello stesso modo, all’Oriente come all’Occidente. Essa diventa un imperativo che impone di abbandonare le divisioni per ricercare e ritrovare l’unità, sospinti anche dalle stesse amare esperienze della divisione.


66. Il Concilio Vaticano II non intende fare la « descrizione » del cristianesimo del « dopo Riforma », poiché le Chiese e le Comunità ecclesiali « differiscono non solo da noi, ma anche non poco tra di loro » e questo « per la loro diversità di origine, di dottrina e di vita spirituale ».111 Inoltre, lo stesso Decreto osserva che il movimento ecumenico e il desiderio di pace con la Chiesa cattolica non è ancora invalso dappertutto.112 Indipendentemente da queste circostanze, però, il Concilio propone il dialogo.


Il Decreto conciliare cerca poi di « mettere in risalto alcuni punti che possono 3 costituire il fondamento di questo dialogo ed un incitamento ad esso ».113


« Il nostro pensiero si rivolge 4 a quei cristiani che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo ».114


Questi fratelli coltivano amore e venerazione per le Sacre Scritture: « Invocando lo Spirito Santo, essi cercano nelle stesse Scritture Dio che parla ad essi in Cristo, preannunciato dai Profeti, Verbo di Dio per noi incarnato. In esse contemplano la vita di Cristo e quanto il Divino Maestro ha insegnato e compiuto per la salvezza degli uomini, specialmente i misteri della sua morte e della sua resurrezione 5; essi affermano la divina autorità dei libri sacri ».115


Allo stesso tempo, però, « pensano diversamente da noi 6 circa il rapporto tra le Sacre Scritture e la Chiesa, nella quale, secondo la fede cattolica, il Magistero autentico ha un posto speciale nell’esporre e predicare la parola di Dio scritta ».116 Malgrado ciò, « la Sacra Scrittura nello stesso dialogo 7 costituisce l’eccellente strumento nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini ».117


Inoltre, il sacramento del Battesimo che abbiamo in comune rappresenta « il vincolo sacramentale dell’unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati ».118 Le implicazioni teologiche, pastorali ed ecumeniche del comune Battesimo sono molte ed importanti. Sebbene di per sé costituisca « soltanto l’inizio e l’esordio », questo sacramento « è ordinato all’integra professione della fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto e, infine, alla integra inserzione nella comunione eucaristica ».119


67. Divergenze dottrinali e storiche del tempo della Riforma sono emerse a proposito della Chiesa, dei sacramenti e del Ministero ordinato. Il Concilio richiede pertanto che « la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il culto e i ministeri della Chiesa costituiscano l’oggetto del dialogo ».120


Il Decreto Unitatis redintegratio, rilevando come alle Comunità del dopo Riforma faccia difetto la « piena unità con noi, derivante dal Battesimo », osserva che esse « specialmente per la mancanza del sacramento dell’Ordine, non hanno conservata la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico », anche se « nella Santa Cena fanno memoria della morte e della risurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa ».121


68. Il Decreto non dimentica la vita spirituale e le conseguenze morali: « La vita cristiana di questi fratelli è alimentata dalla fede in Cristo ed è aiutata dalla grazia del Battesimo e dall’ascolto della parola di Dio. Si manifesta nella preghiera privata, nella meditazione della Bibbia, nella vita della famiglia cristiana, nel culto della comunità riunita a lodare Dio. Del resto il loro culto mostra talora importanti elementi della comune liturgia antica ».122


Il documento conciliare, peraltro, non si limita a questi aspetti spirituali, morali e culturali, ma estende il suo apprezzamento al vivo sentimento della giustizia e alla sincera carità verso il prossimo, che sono presenti in questi fratelli; esso inoltre non dimentica le loro iniziative per rendere più umane le condizioni sociali della vita e per ristabilire la pace. Tutto questo nella sincera volontà di aderire alla parola di Cristo quale sorgente della vita cristiana.


In tal modo il testo rileva una problematica che, in campo etico-morale, diventa sempre più urgente nel nostro tempo: « Molti fra i cristiani non sempre 8 intendono il Vangelo alla stessa maniera dei cattolici ».123 In questa vasta materia vi è un grande spazio di dialogo attorno ai principi morali del Vangelo e alle loro applicazioni.


69. Gli auspici e l’invito del Concilio Vaticano II sono stati attuati e si è progressivamente avviato il dialogo teologico bilaterale con le varie Chiese e Comunità cristiane mondiali d’Occidente.


D’altra parte, per il dialogo multilaterale, già nel 1964 si iniziava il processo di costituzione di un « Gruppo Misto di Lavoro » con il Consiglio Ecumenico delle Chiese e, dal 1968, dei teologi cattolici entravano a far parte, come membri a pieno titolo, del Dipartimento teologico di detto Consiglio, la Commissione « Fede e Costituzione ».


Il dialogo è stato ed è fecondo, ricco di promesse. I temi suggeriti dal Decreto conciliare come materia di dialogo sono stati già affrontati, o lo saranno a breve scadenza. La riflessione dei vari dialoghi bilaterali, con una dedizione che merita l’elogio di tutta la comunità ecumenica, si è concentrata su molte questioni controverse quali il Battesimo, l’Eucaristia, il Ministero ordinato, la sacramentalità e l’autorità della Chiesa, la successione apostolica. Si sono delineate così delle prospettive di soluzione insperate e nel contempo si è compreso come fosse necessario scandagliare più profondamente alcuni argomenti.


70. Tale ricerca difficile e delicata, che implica problemi di fede e rispetto della propria coscienza e di quella dell’altro, è stata accompagnata e sostenuta dalla preghiera della Chiesa cattolica e delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. La preghiera per l’unità, già così radicata e diffusa nel tessuto connettivo ecclesiale, mostra che ai cristiani non sfugge l’importanza della questione ecumenica. Proprio perché la ricerca della piena unità esige un confronto di fede fra credenti che si riferiscono all’unico Signore, la preghiera è la fonte dell’illuminazione sulla verità da accogliere tutta intera.


Inoltre, attraverso la preghiera, la ricerca dell’unità, lungi dall’essere confinata nell’ambito di specialisti, si estende ad ogni battezzato. Tutti, indipendentemente dal loro ruolo nella Chiesa e dalla loro formazione culturale, possono dare un contributo attivo, in una dimensione misteriosa e profonda.


Relazioni ecclesiali


71. Bisogna rendere grazie alla Divina Provvidenza anche per tutti gli eventi che testimoniano il progresso sulla via della ricerca dell’unità. Accanto al dialogo teologico vanno opportunamente menzionate le altre forme d’incontro, la preghiera comune e la collaborazione pratica. Papa Paolo VI ha dato un forte impulso a questo processo con la sua visita alla sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, avvenuta il 10 giugno 1969, ed incontrando molte volte i rappresentanti di varie Chiese e Comunità ecclesiali. Questi contatti contribuiscono efficacemente a far migliorare la reciproca conoscenza e a far crescere la fraternità cristiana.


Papa Giovanni Paolo I, durante il suo tanto breve pontificato, espresse la volontà di continuare il cammino.124 Il Signore ha concesso a me di operare in questa direzione. Oltre agli importanti incontri ecumenici a Roma, una parte significativa delle mie visite pastorali è regolarmente dedicata alla testimonianza a favore dell’unità dei cristiani. Alcuni dei miei viaggi mostrano perfino una « priorità » ecumenica, specie nei paesi in cui le comunità cattoliche costituiscono una minoranza rispetto alle Comunioni del dopo Riforma; o dove queste ultime rappresentano una considerevole porzione dei credenti in Cristo di una data società.


72. Ciò vale soprattutto per i paesi europei, dove hanno avuto inizio queste divisioni, e per l’America del Nord. In questo contesto, e senza voler sminuire le altre visite, meritano speciale attenzione quelle che, nel continente europeo, mi hanno condotto a due riprese in Germania, nel novembre del 1980 e nell’aprile-maggio del 1987; la visita nel Regno Unito (Inghilterra, Scozia e Galles), nel maggio-giugno del 1982; in Svizzera nel giugno del 1984; e nei Paesi scandinavi e nordici (Finlandia, Svezia, Norvegia, Danimarca e Islanda), dove mi sono recato nel giugno del 1989. Nella gioia, nel reciproco rispetto, nella solidarietà cristiana e nella preghiera, ho incontrato tanti e tanti fratelli, tutti impegnati nella ricerca della fedeltà al Vangelo. Constatare tutto questo è stato per me fonte di grande incoraggiamento. Abbiamo sperimentato la presenza del Signore tra di noi.


Vorrei a questo riguardo richiamare un atteggiamento dettato da fraterna carità ed improntato a profonda lucidità di fede che ho vissuto con intensa partecipazione. Esso si riferisce alle celebrazioni eucaristiche che ho presieduto in Finlandia ed in Svezia durante il mio viaggio nei Paesi scandinavi e nordici. Al momento della comunione, i Vescovi luterani si sono presentati al celebrante. Essi hanno voluto dimostrare con un gesto concordato il desiderio di giungere al momento in cui noi, cattolici e luterani, potremo condividere la stessa Eucaristia, e hanno voluto ricevere la benedizione del celebrante. Con amore, io li ho benedetti. Lo stesso gesto, tanto ricco di significato è stato ripetuto a Roma, durante la messa che ho presieduto in Piazza Farnese in occasione del VI centenario della canonizzazione di santa Brigida, il 6 ottobre 1991.


Ho incontrato analoghi sentimenti anche oltre oceano, in Canada, nel settembre del 1984; e specie nel settembre del 1987 negli Stati Uniti dove si avverte una grande apertura ecumenica. È il caso, per fare un esempio, dell’incontro ecumenico a Columbia, in South Carolina l’11 settembre 1987. È per sé importante il fatto stesso che avvengono con regolarità questi incontri tra i fratelli del « dopo Riforma » ed il Papa. Sono profondamente grato perché essi mi hanno accettato di buon grado, sia i responsabili delle varie Comunità, che le Comunità nel loro insieme. Da questo punto di vista, ritengo significativa la celebrazione ecumenica della Parola, svoltasi a Columbia, ed avente come tema la famiglia.


73. È motivo, poi, di grande gioia il constatare come nel periodo postconciliare e nelle singole Chiese locali abbondino le iniziative e le azioni a favore dell’unità dei cristiani, le quali estendono le loro coinvolgenti incidenze a livello delle Conferenze episcopali, delle singole diocesi e comunità parrocchiali, come pure dei diversi ambienti e movimenti ecclesiali.


Collaborazioni realizzate


74. « Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Mt 7, 21). La coerenza e l’onestà delle intenzioni e delle affermazioni di principio si verificano applicandole alla vita concreta. Il Decreto conciliare sull’ecumenismo nota che negli altri cristiani « la fede con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del ringraziamento per i benefici ricevuti da Dio; si aggiunge il vivo sentimento della giustizia e la sincera carità verso il prossimo ».125


Quello appena delineato è un terreno fertile non soltanto per il dialogo, ma anche per un’attiva collaborazione: la « fede operosa ha pure creato non poche istituzioni per sollevare la miseria spirituale e corporale, per coltivare l’educazione della gioventù, per render più umane le condizioni sociali della vita, per ristabilire la pace universale ».126


La vita sociale e culturale offre ampi spazi di collaborazione ecumenica. Sempre più spesso i cristiani si ritrovano insieme per difendere la dignità umana, per promuovere il bene della pace, l’applicazione sociale del Vangelo, per rendere presente lo spirito cristiano nelle scienze e nelle arti. Essi si ritrovano sempre più insieme quando si tratta di venire incontro ai bisogni e alle miserie del nostro tempo: la fame, le calamità, l’ingiustizia sociale.


75. Questa cooperazione, che trae ispirazione dallo stesso Vangelo, per i cristiani non è mai una mera azione umanitaria. Essa ha la sua ragione d’essere nella parola del Signore: « Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare » (Mt 25, 35). Come ho già sottolineato, la cooperazione di tutti i cristiani manifesta chiaramente quel grado di comunione che già esiste tra di loro.127


Di fronte al mondo, l’azione congiunta dei cristiani nella società riveste allora il trasparente valore di una testimonianza resa insieme al nome del Signore. Essa assume anche le dimensioni di un annuncio perché rivela il volto di Cristo.


Le divergenze dottrinali che permangono esercitano un influsso negativo e pongono dei limiti anche alla collaborazione. La comunione di fede già esistente tra i cristiani offre però una solida base non soltanto alla loro azione congiunta in campo sociale, ma anche nell’ambito religioso.


Questa cooperazione faciliterà la ricerca dell’unità. Il Decreto sull’ecumenismo notava che da essa « i credenti in Cristo possono facilmente imparare come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri e come si appiani la via verso l’unità dei cristiani ».128


76. Come non ricordare, in questo contesto, l’interesse ecumenico per la pace che si esprime nella preghiera e nell’azione con una crescente partecipazione dei cristiani ed una motivazione teologica a mano a mano più profonda? Non potrebbe essere altrimenti. Non crediamo forse noi in Gesù Cristo, Principe della pace? I cristiani sono sempre più compatti nel rifiutare la violenza, ogni tipo di violenza, dalle guerre all’ingiustizia sociale.


Siamo chiamati ad un impegno sempre più attivo, perché appaia ancora più chiaramente che le motivazioni religiose non sono la vera causa dei conflitti in corso, anche se, purtroppo, non è scongiurato il rischio di strumentalizzazioni a fini politici e polemici.


Nel 1986, ad Assisi, durante la Giornata Mondiale di preghiera per la pace, i cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali hanno invocato con una sola voce il Signore della storia per la pace nel mondo. In quel giorno, in modo distinto ma parallelo, hanno pregato per la pace anche gli Ebrei e i Rappresentanti delle religioni non cristiane, in una sintonia di sentimenti che hanno fatto vibrare le corde più profonde dello spirito umano.


Né vorrei dimenticare la Giornata di preghiera per la pace in Europa specialmente nei Balcani, che mi ha ricondotto pellegrino nella città di san Francesco il 9 e 10 gennaio 1993 e la Messa per la pace nei Balcani e in particolare nella Bosnia-Erzegovina, che ho presieduto il 23 gennaio 1994 nella Basilica di San Pietro e nel contesto della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.


Quando il nostro sguardo percorre il mondo, la gioia invade il nostro animo. Constatiamo infatti che i cristiani si sentono sempre più interpellati dalla questione della pace. Essi la considerano strettamente connessa con l’annuncio del Vangelo e con l’avvento del Regno di Dio.




III



QUANTA EST NOBIS VIA?


Continuare ed intensificare il dialogo


77. Ora possiamo chiederci quanta strada ci separa ancora dal quel giorno benedetto in cui sarà raggiunta la piena unità nella fede e potremo concelebrare nella concordia la santa Eucaristia del Signore. La migliore conoscenza reciproca già realizzata tra di noi, le convergenze dottrinali raggiunte, che hanno avuto come conseguenza una crescita affettiva ed effettiva di comunione, non possono bastare alla coscienza dei cristiani che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il fine ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati.


In vista di questa mèta, tutti i risultati raggiunti sinora non sono che una tappa, anche se promettente e positiva.


78. Nel movimento ecumenico, non è soltanto la Chiesa cattolica, insieme con le Chiese ortodosse, a possedere questa esigente concezione dell’unità voluta da Dio. La tendenza verso una tale unità è espressa anche da altri.129


L’ecumenismo implica che le Comunità cristiane si aiutino a vicenda affinché in esse sia veramente presente tutto il contenuto e tutte le esigenze dell’« eredità tramandata dagli Apostoli ».130 Senza di ciò, la piena comunione non sarà mai possibile. Questo vicendevole aiuto nella ricerca della verità è una forma suprema della carità evangelica.


La ricerca dell’unità si è espressa nei vari documenti delle numerose Commissioni miste internazionali di dialogo. In tali testi si tratta del Battesimo, dell’Eucaristia, del Ministero e dell’autorità partendo da una certa unità fondamentale di dottrina.


Da tale unità fondamentale, ma parziale, si deve ora passare all’unità visibile necessaria e sufficiente, che si iscriva nella realtà concreta, affinché le Chiese realizzino veramente il segno di quella piena comunione nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica che si esprimerà nella concelebrazione eucaristica.


Questo cammino verso l’unità visibile necessaria e sufficiente, nella comunione dell’unica Chiesa voluta da Cristo, esige ancora un lavoro paziente e coraggioso. Nel far ciò bisogna non imporre altri obblighi all’infuori degli indispensabili (cfr At 15, 28).


79. Sin da ora è possibile individuare gli argomenti da approfondire per raggiungere un vero consenso di fede: 1) le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede e la sacra Tradizione, indispensabile interpretazione della parola di Dio; 2) l’Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione santificatrice dello Spirito Santo; 3) l’Ordinazione, come sacramento, al triplice ministero dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato; 4) il Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai Vescovi in comunione con lui, inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per l’insegnamento e la salvaguardia della fede; 5) la Vergine Maria, Madre di Dio e icona della Chiesa, Madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l’umanità.


In questo coraggioso cammino verso l’unità, la lucidità e la prudenza della fede ci impongono di evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della Chiesa.131 Inversamente, la stessa lucidità e la stessa prudenza ci raccomandano di sfuggire la tiepidezza nell’impegno per l’unità ed ancor più l’opposizione preconcetta, o il disfattismo che tende a vedere tutto al negativo.


Mantenere una visione dell’unità che tenga conto di tutte le esigenze della verità rivelata non significa mettere un freno al movimento ecumenico.132 Al contrario significa evitargli di accomodarsi in soluzioni apparenti, che non perverrebbero a nulla di stabile e di solido.133 L’esigenza della verità deve andare fino in fondo. E non è forse questa la legge del Vangelo?


Ricezione dei risultati raggiunti


80. Mentre prosegue il dialogo su nuove tematiche o si sviluppa a livelli più profondi, abbiamo un compito nuovo da assolvere: come recepire i risultati sino ad ora raggiunti. Essi non possono rimanere affermazioni delle Commissioni bilaterali, ma debbono diventare patrimonio comune. Perché ciò avvenga e si rafforzino così i legami di comunione, occorre un serio esame che, in modi, forme e competenze diverse, deve coinvolgere il popolo di Dio nel suo insieme. Si tratta infatti di questioni che spesso riguardano la fede ed esse esigono l’universale consenso, che si estende dai Vescovi ai fedeli laici, i quali hanno tutti ricevuto l’unzione dello Spirito Santo.134 È lo stesso Spirito che assiste il Magistero e suscita il sensus fidei.


Per recepire i risultati del dialogo occorre pertanto un ampio ed accurato processo critico che li analizzi e ne verifichi con rigore la coerenza con la Tradizione di fede ricevuta dagli Apostoli e vissuta nella comunità dei credenti radunata attorno al Vescovo, suo legittimo Pastore.


81. Questo processo, che si dovrà fare con prudenza e in atteggiamento di fede, sarà assistito dallo Spirito Santo. Perché esso dia esito favorevole, è necessario che i suoi risultati siano opportunamente divulgati da persone competenti. Di grande rilievo, a tal fine, è il contributo che i teologi e le facoltà di teologia sono chiamati ad offrire in adempimento al loro carisma nella Chiesa. È chiaro, inoltre, che le commissioni ecumeniche hanno, a questo riguardo, responsabilità e compiti del tutto singolari.


L’intero processo è seguito ed aiutato dai Vescovi e dalla Santa Sede. L’autorità docente ha la responsabilità di esprimere il giudizio definitivo.


In tutto questo, sarà di grande aiuto attenersi metodologicamente alla distinzione fra il deposito della fede e la formulazione in cui esso è espresso, come raccomandava Papa Giovanni XXIII nel discorso pronunciato in apertura del Concilio Vaticano II.135


Continuare l’ecumenismo spirituale e testimoniare la santità


82. Si comprende come la gravità dell’impegno ecumenico interpelli in profondità i fedeli cattolici. Lo Spirito li invita ad un serio esame di coscienza. La Chiesa cattolica deve entrare in quello che si potrebbe chiamare « dialogo della conversione », nel quale è posto il fondamento interiore del dialogo ecumenico. In tale dialogo, che si compie davanti a Dio, ciascuno deve ricercare i propri torti, confessare le sue colpe, e rimettere se stesso nelle mani di Colui che è l’Intercessore presso il Padre, Gesù Cristo.


Certamente, in questa relazione di conversione alla volontà del Padre e, al tempo stesso, di penitenza e di fiducia assoluta nella potenza riconciliatrice della verità che è Cristo, si trova la forza per condurre a buon fine il lungo ed arduo pellegrinaggio ecumenico. Il « dialogo della conversione » di ogni comunità con il Padre, senza indulgenze per se stessa, è il fondamento di relazioni fraterne che siano una cosa diversa da una cordiale intesa o da una convivialità tutta esteriore. I legami della koinonia fraterna vanno intrecciati davanti a Dio e in Cristo Gesù.


Soltanto il porsi davanti a Dio può offrire una base solida a quella conversione dei singoli cristiani e a quella continua riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana e terrena,136 che sono le condizioni preliminari di ogni impegno ecumenico. Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo di coinvolgere le Comunità cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezioni, ad esaminarsi davanti al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa.


83. Ho parlato della volontà del Padre, dello spazio spirituale in cui ogni comunità ascolta l’appello ad un superamento degli ostacoli all’unità. Ebbene, tutte le Comunità cristiane sanno che una tale esigenza, un tale superamento, per mezzo della forza che dà lo Spirito, non sono fuori della loro portata. Tutte, infatti, hanno dei martiri della fede cristiana.137 Malgrado il dramma della divisione, questi fratelli hanno conservato in se stessi un attaccamento a Cristo e al Padre suo tanto radicale e assoluto da poter arrivare fino all’effusione del sangue. Ma non è forse questo stesso attaccamento ad essere chiamato in causa in ciò che ho qualificato come « dialogo della conversione »? Non è proprio questo dialogo a sottolineare la necessità di andare fino in fondo all’esperienza di verità per la piena comunione?