Paolo VI, Costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina: il “tesoro della chiesa”, cioe’ i meriti acquistati da Cristo e dai santi si possono applicare sia a vantaggio dei vivi che dei defunti, checchè ne dicano M. Lutero e seguaci…
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Paolo VI
Indulgentiarum doctrina
1. La dottrina e l’uso delle indulgenze, da molti secoli in vigore nella chiesa cattolica, hanno un solido fondamento nella divina rivelazione, la quale, tramandataci dagli apostoli, “progredisce nella chiesa con l’assistenza dello Spirito santo”, mentre “la chiesa, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della divina verità, fino a quando in essa siano portate a compimento le parole di Dio”. Per una esatta intelligenza di questa dottrina e del suo benefico uso è necessario, però, che siano ricordate alcune verità, che tutta la chiesa, illuminata dalla parola di Dio, ha sempre creduto come tali e che i vescovi, successori degli apostoli, e in primo luogo i romani pontefici, successori di Pietro, sia mediante la prassi pastorale sia con documenti dottrinali, hanno insegnato nel corso dei secoli e tuttora insegnano.
2. È dottrina divinamente rivelata che i peccati comportino pene infinite dalla santità e giustizia di Dio, da scontarsi sia in questa terra, con i dolori, le miserie e le calamità di questa vita e soprattutto con la morte, sia nell’aldilà anche con il fuoco e i tormenti o con le pene purificatrici. Perciò i fedeli furono sempre persuasi che la via del male offre a chi la intraprende molti ostacoli, amarezze e danni. Le quali pene sono imposte secondo giustizia e misericordia da Dio per la purificazione delle anime, per la difesa della santità dell’ordine morale e per ristabilire la gloria di Dio nella sua piena maestà. Ogni peccato, infatti, causa una perturbazione nell’ordine universale, che Dio ha disposto nella sua ineffabile sapienza ed infinita carità, e la distruzione di beni immensi sia nei confronti dello stesso peccatore che nei confronti della comunità umana. Il peccato, poi, è apparso sempre alla coscienza di ogni cristiano non soltanto come trasgressione della legge divina, ma anche, sebbene non sempre in maniera diretta ed aperta, come disprezzo e misconoscenza dell’amicizia personale tra Dio e l’uomo. Così come è pure apparso vera ed inestimabile offesa di Dio, anzi ingrata ripulsa dell’amore di Dio offerto agli uomini in Cristo, che ha chiamato amici e non servi i suoi discepoli.
3. È necessario, allora, per la piena remissione e riparazione dei peccati non solo che l’amicizia di Dio venga ristabilita con una sincera conversione della mente e che sia riparata l’offesa arrecata alla sua sapienza e bontà, ma anche che tutti i beni sia personali che sociali o dello stesso ordine universale, diminuiti o distrutti dal peccato, siano pienamente reintegrati o con la volontaria riparazione che non sarà senza pena o con l’accettazione delle pene stabilite dalla giusta e santissima sapienza di Dio, attraverso le quali risplendano in tutto il mondo la santità e lo splendore della sua gloria. Inoltre l’esistenza e la gravità delle pene fanno comprendere l’insipienza e la malizia del peccato e le sue cattive conseguenze. Che possano restare e che di fatto frequentemente rimangano pene da scontare o resti di peccati da purificare anche dopo la remissione della colpa, lo dimostra molto chiaramente la dottrina sul purgatorio: in esso, infatti, le anime dei defunti che “siano passate all’altra vita nella carità di Dio veramente pentite, prima che avessero soddisfatto con degni frutti di penitenza per le colpe commesse e per le omissioni”, vengono purificate dopo morte con pene purificatrici. La stessa cosa è messa in buona evidenza dalle preghiere liturgiche, con le quali la comunità cristiana ammessa alla santa comunione si rivolge a Dio fin da tempi antichissimi: “perché noi, che giustamente siamo sottoposti ad afflizioni a causa dei nostri peccati misericordiosamente possiamo esserne liberati per la gloria del tuo nome”. Inoltre tutti gli uomini peregrinanti sulla terra commettono ogni giorno almeno qualche leggero peccato; per cui tutti hanno bisogno della misericordia di Dio per essere liberati dalle pene conseguenti il peccato.
4. Regna tra gli uomini, per arcano e benigno mistero della divina volontà, una solidarietà soprannaturale, per cui il peccato di uno nuoce anche agli altri, così come la santità di uno apporta beneficio agli altri. In tal modo i fedeli si prestano vicendevolmente l’aiuto per conseguire il loro fine soprannaturale. Una testimonianza di questa solidarietà si manifesta nello stesso Adamo, il peccato del quale passa per “propagazione” in tutti gli uomini. Ma Cristo stesso nella cui comunione Dio ci ha chiamato, è maggiore e più perfetto principio, fondamento ed esemplare di questa soprannaturale solidarietà.
5. Cristo, infatti, “il quale non commise peccato”, “patì per noi”, “fu ferito per le nostre iniquità, schiacciato per i nostri delitti… per le sue piaghe siamo stati guariti”. Seguendo le orme di Cristo, i fedeli cristiani sempre si sono sforzati di aiutarsi vicendevolmente nella via che va al Padre celeste, mediante la preghiera, lo scambio di beni spirituali e la espiazione penitenziale; più erano animati dal fervore della carità tanto maggiormente imitavano Cristo sofferente, portando la propria croce in espiazione dei propri e degli altrui peccati, persuasi di poter aiutare i loro fratelli presso Dio, Padre delle misericordie, a conseguire la propria salvezza., è questo l’antichissimo dogma della comunione dei santi, mediante il quale la vita dei singoli figli di Dio in Cristo e per mezzo di Cristo viene congiunta con legame meraviglioso alla vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella soprannaturale unità del corpo mistico di Cristo, fin quasi a formare una sola mistica persona.
In tal modo si manifesta il “tesoro della chiesa”. Infatti, non lo si deve considerare come la somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come l’infinito ed inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre ed offerti perché tutta l’umanità fosse liberata dal peccato e pervenisse alla comunione con il Padre; è lo stesso Cristo redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni ed i meriti della sua redenzione. Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso, incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone opere della beata vergine Maria e di tutti i santi, i quali, seguendo le orme di Cristo signore per grazia sua, hanno santificato la loro vita e condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre; in tal modo, realizzando la loro salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri fratelli nell’unità del Corpo mistico.
“Tutti quelli, infatti, che sono di Cristo, vivificati dal suo Spirito, convengono in una sola chiesa e vicendevolmente ricevono compattezza in lui (cf. Ef 4,16). L’unità dunque di coloro che ancora sono peregrinanti sulla terra con i fratelli che dormono nella pace di Cristo, non viene assolutamente interrotta, anzi secondo la dottrina perenne della chiesa, viene rafforzata attraverso la comunione dei beni spirituali. Per il fatto che i beati sono uniti più profondamente a Cristo, rendono la chiesa più santa e contribuiscono al suo accrescimento ed alla sua edificazione (cf.1Cor 12,12-27). Raggiunta la patria e alla presenza del Signore (cf. 2Cor 5,8), essi per mezzo di lui, con lui ed in lui non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti che per mezzo dell’unico mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù (cf. 1Tm 2,5), hanno conseguito sulla terra, servendo in tutto al Signore e completando nella loro carne ciò che manca alle tribolazioni di Cristo in vantaggio del corpo di lui, che è la chiesa (cf. Col 1,24). La nostra debolezza, allora, riceve non poco aiuto dalla loro fraterna sollecitudine”. Per questo motivo tra i fedeli, che già hanno raggiunto la patria celeste o che stanno espiando le loro colpe nel purgatorio, o che ancora sono pellegrini sulla terra, esiste certamente un vincolo perenne di carità ed un abbondante scambio di tutti i beni, per mezzo dei quali, con la espiazione di tutti i peccati dell’intero corpo mistico, viene placata la giustizia; la misericordia di Dio viene così indotta al perdono, affinché al più presto i peccatori, sinceramente pentiti, possano essere introdotti a pieno godimento dei beni della famiglia di Dio.
6. La chiesa, consapevole di queste verità fin dai primi tempi, conobbe e intraprese varie vie, affinché i frutti della divina redenzione fossero applicati ai singoli fedeli e i fedeli cooperassero alla salute dei fratelli; e così tutto il corpo della chiesa fosse preparato nella giustizia e nella santità all’avvento perfetto del regno di Dio, quando Dio sarà tutto in tutte le cose. Gli stessi apostoli, infatti, esortavano i loro discepoli, perché pregassero per la salvezza dei peccatori; ed una antichissima consuetudine della chiesa ha conservato santamente questo uso soprattutto allorché i penitenti invocavano l’intercessione di tutta la comunità e quando i defunti venivano aiutati con suffragi e in particolar modo con l’offerta del sacrificio eucaristico. Anche le opere buone, e in particolare quelle penose alla fragilità umana, fin dai primi tempi venivano offerte a Dio per la salute dei peccatori. E poiché le sofferenze, che i martiri sostenevano per la fede e per la legge di Dio, venivano stimate di grande valore, i penitenti erano soliti ricorrere agli stessi martiri per essere aiutati dai loro meriti, al fine di ottenere dai vescovi una più rapida riconciliazione. Le preghiere, infatti, e le buone opere dei giusti erano stimate di così grande valore che si affermava che il penitente venisse lavato, mondato e redento con l’aiuto di tutto il popolo cristiano. In questo aiuto, tuttavia, si pensava che non fossero i fedeli singolarmente presi, e soltanto con le loro forze, ad adoperarsi per la remissione dei peccati degli altri fratelli; ma che fosse la stessa chiesa, in quanto unico corpo, unita al suo capo Cristo, a soddisfare nei singoli membri. La chiesa dei padri, poi, fu del tutto persuasa di perseguire l’opera della salvezza in comunione e sotto l’autorità dei pastori, che lo Spirito santo pose come vescovi a reggere la chiesa di Dio. I vescovi pertanto, valutando prudentemente ogni cosa, stabilivano il modo e la misura della soddisfazione da prestarsi, anzi permettevano che le penitenze canoniche fossero riscattate con altre opere, forse più facili, convenienti al bene comune e adatte ad alimentare la pietà, da essere compiute dagli stessi penitenti e talvolta dagli altri fedeli.
7. La convinzione esistente nella chiesa che i pastori del gregge del Signore potessero liberare i singoli fedeli da ciò che restava dei peccati con l’applicazione dei meriti di Cristo e dei santi, lentamente nel corso dei secoli, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, che continuamente anima il popolo di Dio, portò all’uso delle indulgenze, con il quale si realizzò un progresso nella stessa dottrina e nella disciplina della chiesa, non un mutamento, e dal fondamento della rivelazione è stato tratto un nuovo bene ad utilità dei fedeli e di tutta la chiesa. L’uso delle indulgenze, propagatosi un po’ alla volta divenne nella storia della chiesa un fenomeno di notevoli proporzioni soprattutto allorché i romani pontefici stabilirono che alcune opere più convenienti al bene comune della chiesa “potessero sostituire tutta la penitenza” e ai fedeli “veramente pentiti e confessati dei loro peccati” e che avessero compiute tali opere concedevano “per la misericordia di Dio onnipotente.., confidando nei meriti e nell’autorità degli apostoli”, “usando la pienezza della potestà apostolica”, “il perdono non soltanto pieno ed abbondante, ma anche pienissimo dei loro peccati”. “L’unigenito Figlio di Dio, infatti… ha procurato un tesoro alla chiesa militante e lo ha affidato al beato Pietro, clavigero del cielo, e ai successori di lui, suoi vicari in terra, perché lo dispensassero salutarmente ai fedeli e, per ragionevoli cause, lo applicassero misericordiosamente a quanti si erano pentiti e avevano confessato i loro peccati, talvolta rimettendo in maniera parziale la pena temporale dovuta per i peccati, sia in modo generale che particolare (come giudicavano opportuno nel Signore). Si sa che di questo tesoro costituiscono un accrescimento ulteriore anche i meriti della beata Madre di Dio e di tutti gli eletti”.
8. Detta remissione di pena temporale dovuta per i peccati, già rimessi per quanto riguarda la colpa, con termine proprio è stata chiamata “indulgenza”. Essa conviene in parte con gli altri mezzi o vie destinate ad eliminare ciò che rimane del peccato, ma nello stesso tempo si distingue chiaramente da essi. Nell’indulgenza, infatti, la chiesa facendo uso del suo potere di ministra della redenzione di Cristo signore, non soltanto prega, ma con intervento autoritativo dispensa al fedele ben disposto il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi in ordine alla remissione della pena temporale. Il fine che l’autorità ecclesiastica si propone nella elargizione delle indulgenze, è non solo di aiutare i fedeli a scontare le pene del peccato, ma anche di spingere gli stessi a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità, specialmente quelle che giovano all’incremento della fede e al bene comune. Se poi i fedeli offrono le indulgenze in suffragio dei defunti coltivano in modo eccellente la carità e, mentre elevano la mente al cielo, ordinano più saggiamente le cose terrene. Il magistero della chiesa ha difeso ed esposto questa dottrina in vari documenti. Purtroppo nell’uso delle indulgenze si infiltrarono talvolta degli abusi, sia perché a causa di concessioni non opportune e superflue veniva avvilito il potere delle chiavi e la soddisfazione penitenziale veniva abolita, sia perché a causa di “illeciti profitti” veniva infamato il nome di indulgenza. Ma la chiesa, biasimando e correggendo tali abusi, “insegna e stabilisce che l’uso delle indulgenze deve essere conservato perché sommamente salutare al popolo cristiano e autorevolmente approvato da sacri concili, mentre condanna con anatema quanti asseriscono l’inutilità delle indulgenze e negano il potere esistente nella chiesa di concederle”.
9. La chiesa pertanto invita anche ai nostri giorni tutti i suoi figli a valutare in pieno e a riflettere quanto l’uso delle indulgenze sia di aiuto per la vita dei singoli e di tutta la società cristiana. L’uso salutare delle indulgenze, tanto per ricordare le cose più importanti, insegna in primo luogo quanto sia “triste e amaro l’aver abbandonato il Signore Dio”. I fedeli, infatti, quando acquistano le indulgenze, comprendono che con le proprie forze non sarebbero capaci di riparare al male, che con il peccato hanno arrecato a se stessi e a tutta la comunità e perciò sono stimolati ad atti salutari di umiltà. Inoltre l’uso delle indulgenze ci dice quanto intimamente siamo uniti in Cristo gli uni con gli altri e quanto la vita soprannaturale di ciascuno possa giovare agli altri, affinché anche questi più facilmente e più intimamente possano essere uniti al Padre. Pertanto l’uso delle indulgenze eccita efficacemente alla carità e la fa esercitare in modo eminente, allorché viene offerto un aiuto ai fratelli che dormono in Cristo.
10. Parimenti, il culto delle indulgenze ridesta la fiducia e la speranza di una piena riconciliazione con Dio Padre, in modo però da non giustificare alcuna negligenza e da non diminuire in alcun modo lo sforzo per l’acquisto delle disposizioni richieste per la piena comunione con Dio. Le indulgenze, infatti, sebbene siano delle elargizioni gratuite, sono tuttavia concesse sia per i vivi che per i defunti solo a determinate condizioni. Per l’acquisto di esse invero si richiede, da una parte, che le opere prescritte siano state compiute e, dall’altra, che il fedele abbia le necessarie disposizioni; che, cioè, ami Dio, detesti il peccato, riponga la sua fiducia nei meriti di Cristo e creda fermamente nel grande aiuto che gli viene dalla comunione dei santi. Non è da dimenticare, inoltre, che acquistando le indulgenze i fedeli si sottomettono docilmente ai legittimi pastori della chiesa, e soprattutto al successore di Pietro, clavigero del cielo, ai quali lo stesso Salvatore ha affidato il compito di pascere e di governare la sua chiesa. La salutare istituzione delle indulgenze, pertanto, contribuisce a suo modo perché la chiesa si presenti a Cristo senza alcun difetto, ma santa ed immacolata, mirabilmente unita in Cristo nel vincolo soprannaturale della carità. Poiché, infatti, mediante le indulgenze i membri della chiesa purgante si uniscono più presto alla chiesa celeste per mezzo delle stesse indulgenze il regno di Cristo maggiormente e più celermente si instaura, “fino a quando tutti saremo uniti nella stessa fede e con la conoscenza del Figlio di Dio avremo costruito l’uomo perfetto, secondo la misura che ci è stata data dalla pienezza di Cristo”.
11. La santa madre chiesa, perciò, avendo per fondamento tali verità, mentre di nuovo raccomanda ai suoi fedeli l’uso delle indulgenze, come cosa carissima al popolo cristiano per molti secoli e anche ai nostri giorni, a quanto attesta l’esperienza, non intende assolutamente diminuire il valore degli altri mezzi di santificazione e di purificazione e in primo luogo del sacrificio della messa e dei sacramenti, specialmente del sacramento della penitenza. Né vuole diminuire l’importanza di quegli aiuti abbondanti che sono i sacramentali e delle opere di pietà, di penitenza e di carità. Tutti questi mezzi hanno in comune il fatto che tanto più efficacemente causano la santificazione e la purificazione quanto più strettamente il fedele si unisce a Cristo capo e al corpo della chiesa con la carità. La preminenza della carità nella vita cristiana è confermata anche dalle indulgenze. Le indulgenze, infatti, non possono essere acquistate senza una sincera conversione e senza l’unione con Dio, a cui si aggiunge il compimento delle opere prescritte. Viene conservato dunque l’ordine della carità, nel quale si inserisce la remissione delle pene grazie alla distribuzione del tesoro della chiesa. La chiesa, infine, raccomandando ai suoi fedeli di non abbandonare né di trascurare le sante tradizioni dei padri, ma di accoglierle come un prezioso tesoro della famiglia cattolica e di tenerle nella dovuta stima, lascia tuttavia che ciascuno usi di questi mezzi di purificazione e di santificazione nella santa e giusta libertà dei figli di Dio; mentre incessantemente ricorda loro quelle cose che in ordine al conseguimento della salvezza sono da preferirsi perché necessarie o migliori e più efficaci. Per conferire poi maggiore dignità e stima all’uso delle indulgenze, la santa madre chiesa ha ritenuto opportuno apportare alcune innovazioni nella disciplina delle indulgenze, ed ha stabilito pertanto di fissare delle nuove norme.
12. Le norme che seguono apportano alcune opportune variazioni nella disciplina delle indulgenze, in conformità anche alle proposte fatte dalle conferenze episcopali. Le disposizioni del codice di diritto canonico e dei decreti della santa sede riguardanti le indulgenze, in quanto sono conformi alle nuove norme, restano invariate. Nel redigere le nuove norme si è cercato in particolar modo di stabilire una nuova misura con l’indulgenza parziale, di apportare una congrua riduzione al numero delle indulgenze plenarie e di dare alle indulgenze cosiddette reali e locali una forma più semplice e più dignitosa. Per quanto riguarda l’indulgenza parziale, abolendo, l’antica determinazione di giorni e di anni, si è stabilita una nuova norma o misura tenendo in considerazione la stessa azione del fedele, che compie un’opera indulgenziata. E poiché l’azione del fedele, oltre al merito che ne è il frutto principale, può anche ottenere una remissione di pena temporale tanto maggiore quanto più grande è il fervore del fedele e l’importanza dell’opera compiuta, si è ritenuto opportuno stabilire che questa stessa remissione della pena temporale che il fedele acquista con la sua azione, serva di misura per la remissione di pena che l’autorità ecclesiastica liberamente aggiunge con l’indulgenza parziale. È parso poi opportuno ridurre convenientemente il numero delle indulgenze plenarie, affinché il fedele le stimi maggiormente e possa acquistarle con le dovute disposizioni. Infatti si bada poco a ciò che si verifica frequentemente e poco si apprezza quello che si offre in abbondanza. D’altra parte molti fedeli hanno bisogno di un congruo spazio di tempo per prepararsi convenientemente all’acquisto dell’indulgenza plenaria. Per quanto riguarda le indulgenze reali o locali non solo è stato di molto ridotto il loro numero, ma ne è stato abolito anche il nome, perché più chiaramente appaia che sono indulgenziate le azioni compiute dai fedeli e non le cose o i luoghi che sono solo l’occasione per l’acquisto delle indulgenze. Anzi, gli iscritti alle pie associazioni possono acquistare le indulgenze loro proprie, compiendo le opere prescritte, senza che sia richiesto l’uso dei distintivi.
NORME
N. 1. L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi.
N. 2. L’indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati.
N. 3. Le indulgenze sia parziali che plenarie possono essere sempre applicate ai defunti a modo di suffragio.
N. 4. L’indulgenza parziale d’ora in poi sarà indicata con le sole parole “indulgenza parziale”, senza alcuna determinazione di giorni o di anni.
N. 5. Il fedele, che almeno col cuore contrito compie una azione, alla quale è annessa l’indulgenza parziale, ottiene, in aggiunta alla remissione della pena temporale che percepisce con la sua azione, altrettanta remissione di pena per intervento della chiesa.
N. 6. L’indulgenza plenaria può essere acquistata una sola volta al giorno, salvo quanto è disposto al n. 18 per coloro che sono in punto di morte. L’indulgenza parziale invece può essere acquistata più volte al giorno, salvo esplicita indicazione in contrario.
N. 7. Per acquistare l’indulgenza plenaria è necessario eseguire l’opera indulgenziata e adempiere tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice. Si richiede inoltre che sia escluso qualsiasi affetto al peccato anche veniale. Se manca la piena disposizione o non sono poste le predette tre condizioni, l’indulgenza è solamente parziale, salvo quanto è prescritto al n. 11 per gli impediti.
N. 8. Le tre condizioni possono essere adempiute parecchi giorni prima o dopo di aver compiuto l’opera prescritta; tuttavia conviene che la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice siano fatte nello stesso giorno, in cui si compie l’opera.
N. 9. Con una sola confessione sacramentale si possono acquistare più indulgenze plenarie; ma con una sola comunione eucaristica e una sola preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice si lucra una sola indulgenza plenaria.
N. 10. Si adempie pienamente la condizione di pregare secondo le intenzioni del sommo pontefice, recitando secondo le sue intenzioni un Pater e un’Ave; è data tuttavia ai singoli fedeli la facoltà di recitare qualsiasi altra preghiera secondo la pietà e la devozione di ciascuno verso il romano pontefice.
N. 11. Ferma restando la facoltà concessa dal can. 935 del CIC ai confessori di commutare per gli impediti sia l’opera prescritta sia le condizioni richieste per l’acquisto delle indulgenze, gli ordinari locali possono concedere ai fedeli, sui quali esercitano la loro autorità a norma del diritto, se risiedono in luoghi dove in nessun modo o almeno molto difficilmente possono accostarsi ai sacramenti della comunione, di poter acquistare l’indulgenza plenaria senza l’attuale confessione e comunione, purché siano contriti e propongano di accostarsi ai predetti sacramenti appena è loro possibile.
N. 12. È abolita la divisione delle indulgenze in personali, reali e locali, perché più chiaramente appaia che le indulgenze sono concesse alle azioni dei fedeli, sebbene esse siano talvolta collegate ad un oggetto o ad un luogo.
N. 13. Il manuale delle indulgenze sarà riveduto in modo che solamente le più importanti preghiere e opere di pietà, di carità e di penitenza siano indulgenziate.
N. 14. Gli elenchi e i sommari delle indulgenze per gli ordini e congregazioni religiose, per le società che vivono in comune senza voti, per gli istituti secolari e per le pie associazioni di fedeli, saranno quanto prima riveduti, in modo che l’indulgenza plenaria possa lucrarsi soltanto in giorni particolari stabiliti dalla santa sede, su proposta del superiore generale o, se si tratta di pie associazioni, dell’ordinario del luogo.
N. 15. In tutte le chiese oratori pubblici o, per quelli che ne usano legittimamente, semipubblici, si può acquistare il 2 novembre una indulgenza plenaria da applicarsi soltanto ai defunti. Nelle chiese parrocchiali si può lucrare inoltre l’indulgenza plenaria due volte all’anno, cioè nella festa del santo titolare e il 2 agosto, in cui ricorre l’indulgenza della Porziuncola, oppure in altro giorno opportunamente stabilito dall’ordinario. Le predette indulgenze si possono acquistare o nei giorni sopra stabiliti, oppure, col consenso dell’ordinario, la domenica antecedente o successiva. Tutte le altre indulgenze concesse alle chiese od oratori dovranno quanto prima essere rivedute.
N. 16. L’opera prescritta per lucrare l’indulgenza plenaria annessa a una chiesa o a un oratorio consiste nella devota visita di questi luoghi sacri, recitando in essi un Pater e un Credo.
N. 17. Il fedele che devotamente usa un oggetto di pietà (crocifisso, croce, corona, scapolare, medaglia), debitamente benedetto da un sacerdote, può lucrare una indulgenza parziale. Se poi tale oggetto religioso è benedetto dal sommo pontefice o da un vescovo, i fedeli, che devotamente lo usano, possono acquistare anche l’indulgenza plenaria nella festa dei ss. apostoli Pietro e Paolo, aggiungendo però la professione di fede con qualsiasi legittima formula.
N. 18. Al fedele in pericolo di morte, che non possa essere assistito da un sacerdote che gli amministri i sacramenti e gli impartisca la benedizione apostolica con l’annessa indulgenza plenaria a norma del can. 468,2 del CIC, la santa madre chiesa concede ugualmente l’indulgenza plenaria in punto di morte, purché sia bene disposto e abbia recitato durante la vita qualche preghiera. Per l’acquisto di tale indulgenza è raccomandabile l’uso del crocifisso o della croce. Questa stessa indulgenza plenaria in punto di morte può essere lucrata dal fedele, che nello stesso giorno abbia già acquistato un’altra indulgenza plenaria.
N. 19. Le norme stabilite circa l’indulgenza plenaria, specialmente quella recensita nel n. 6, si applicano anche alle indulgenze plenarie cosiddette “ogni volta che”.
N. 20. La santa madre chiesa, massimamente sollecita per i fedeli defunti, ha stabilito di suffragarli nella più larga misura in tutte le messe, abolendo ogni particolare privilegio.
Le nuove norme, che regolano l’acquisto delle indulgenze, entreranno in vigore dopo tre mesi dalla data di pubblicazione di questa costituzione su “Acta Apostolicae Sedis”. Le indulgenze, annesse all’uso degli oggetti di pietà, che non sono sopra riferite, cessano dopo tre mesi dalla data di pubblicazione della presente costituzione su “Acta Apostolicae Sedis”. Le revisioni, di cui si tratta nei nn. 14 e 15, debbono essere proposte alla sacra penitenzieria apostolica entro un anno; trascorso un biennio dalla data di questa costituzione, le indulgenze, che non siano state confermate, decadranno. Queste nostre norme e prescrizioni al presente e per l’avvenire vogliamo che siano stabili ed efficaci, nonostante, in quanto è necessario, le costituzioni e gli ordinamenti apostolici emanati dai nostri predecessori, e tutte le altre prescrizioni, anche se degne di particolare menzione e deroga.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 1 gennaio 1967, ottava della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, anno quarto del nostro pontificato.