Breve storia delle eresie (8/10)

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CAPITOLO VIII. IL GIANSENISMO O LA TERZA RIFORMA. Michele Baio precursore del Giansenismo. Giansenio e l'”Augustinus”. Saint-Cyran. L’Augustinus. Antonio Arnauld e la comunione frequente. Le Cinque Proposizioni. Il diritto e il fatto. Le Provinciali. Il Formulario. Quesnel e la Bolla “Unigenitus”. Il Neo-Giansenismo. Gli Appellanti. Le convulsioni di San Medardo. La questione del rifiuto dei sacramenti. Da Utrecht a Pistoia

CAPITOLO VIII.


IL GIANSENISMO O LA TERZA RIFORMA



MICHELE BAIO PRECURSORE DEL GIANSENISMO


Il doloroso esempio della scissione protestante ci ha fatto intendere una cosa soprattutto: per “riformare ” la Chiesa non si deve cominciare con il lasciarla. Il caso dei giansenisti è interessante, sotto questo punto di vista: pur intendendo riformare vigorosamente il dogma e le istituzioni della Chiesa essi si accaniranno, con pari ardore, a rimanere in seno ad essa.


Prima di descrivere la genesi di questa insidiosa eresia, occorre ricordare brevemente il tentativo presto fallito di Michele di Bay, detto Baio. Si è creduto a lungo che vi fosse stata filiazione diretta dal baianesimo al giansenismo. La cosa non è più altrettanto chiara, oggi. Ma una certa parentela ed un parallelismo fra i due movimenti è indiscutibile.


Michele di Bay, originario di Hainaut, era nato nel 1513. Lo troviamo nel 1542 professore di filosofia a Lovanio e, nel 1552, professore di esegesi. Gli si rimproverarono presto dottrine sospette sullo stato primitivo dell’uomo, sulla grazia e sulla libertà. A partire dal 1563, egli pubblica una serie di piccoli trattati su tali questioni. Infine, una Bolla del papa Pio V in data 10 ottobre 1567, condannava 79 proposizioni ricavate dalle sue opere. Dopo vari tentativi per trarre a suo profitto questa condanna, egli fu nuovamente condannato nel 1579 dal papa Gregorio XIII. Si sottomise, e divenne cancelliere dell’Università di Lovanio, carica che mantenne fino alla sua morte, avvenuta nel 1589. Che cosa dicevano dunque le proposizioni censurate dalla Chiesa? Secondo Baio, l’uomo non è stato creato in uno stato soprannaturale. Tutti i doni che noi chiamiamo soprannaturali e preternaturali in Adamo – diritto alla visione beatifica di Dio, filiazione adottiva dell’uomo mediante la grazia santificante, esenzione dal dolore e dalla morte, scienza infusa – erano doni dovuti alla natura. Ne consegue che il peccato originale è stato una corruzione della natura stessa e non la privazione dei doni soprannaturali e preternaturali. Da allora l’uomo è incapace di qualunque bene senza la grazia, ed è schiavo del peccato. La sua libertà è puramente esteriore, poiché interiormente egli è tiranneggiato da una irresistibile concupiscenza, ciò che del resto – secondo Baio – non gli toglie la sua responsabilità. Tutto ciò – senza che Baio se ne rendesse conto – era un puro e semplice ritorno all’eresia di Lutero e di Calvino. Cosicché il baianesimo è considerato come un semiprotestantesimo.



GIANSENIO E L'”AUGUSTINUS”


Anche Cornelio Janssen fu dottore a Lovanio. Ma non conobbe Baio e non sembra sia stato da lui influenzato. Nacque nel 1585 ad Aquoy, nella diocesi di Utrecht (Olanda). Era un uomo molto studioso, di costumi regolarissimi e tutto dedito ai libri. Aveva conosciuto a Parigi, dopo gli studi compiuti a Lovanio, un giovane chierico francese di nome Duvergier de Hauranne, che lo condusse con sé nella proprietà della madre, nelle immediate vicinanze di Bayonne. Per parecchi anni, i due amici – il freddo e calmo olandese e l’ardente e impetuoso basco – lavorarono insieme immergendosi nella lettura dei Padri. Giansenio ritornò in patria, divenendo in seguito superiore di un Collegio a Lovanio, dottore di quella Università e uomo tenuto in alta considerazione per la sua immensa crudiozione patristica. Janssen, il cui nome fu latinizzato Jansenius (Giansenio), rimase in stretta relazione con l’amico, divenuto abate di Saint-Cyran.


Ma ecco che verso il 1620 Giansenio si accorge che nessuno prima di lui ha veramente compreso Agostino e, per conseguenza, i problemi della grazia e della giustificazione. Il 5 marzo 1621 scrive una lettera all’amico Saint-Cyran per annunciargli la sua grande scoperta. Ma siccome le discussioni in materia di grazia erano state sottoposte da Roma ad una censura preventiva in seguito alle controversie fra tornisti e molinisti, egli dichiara all’amico che continuerà nel suo studio, di cui lo terrà al corrente, nel più assoluto segreto, per evitare una condanna prematura. Chiarirà comunque tutta la questione della grazia e della predestinazione per mezzo di sant’Agostino, discostandosi dalle dottrine comuni. ” Oso dire – scrive – di avere scoperto abbastanza chiaramente, mediante principi immutabili, che le due scuole dei Gesuiti e dei Giacobini anche se discutessero fino al giorno del giudizio continuando sulla via che hanno intrapresa, non faranno altro che sperdersi sempre più, essendo l’una e l’altra lontane cento miglia dalla verità “.


Ma aggiungeva che non osava manifestare ad alcuno i suoi sentimenti su sant’Agostino, per paura di essere colpito da Roma prima che la cosa fosse matura. Entrò quindi, per così dire, nella clandestinità. I due amici si incontrarono a Lovanio, per intendersi su tutta la questione, e stabilirono un codice per parlarne nelle loro lettere. L’argomento della grazia secondo sant’Agostino divenne per essi Pilmot. Giansenio si denominò lui stesso ora Boezio, ora Quinquarbre o Sulpizio. Saint-Cyran fu Celias, o Durillon o Solion. I gesuiti, di cui l’uno e l’altro erano stati allievi ed amici, divennero per essi quello che noi chiameremmo il ” nemico numero uno ” e furono denominati Gorforosto, Pacuvio, “i sottili”. Sant’Agostino ricevette il nome di Seraphi, Leoninus, Aclius. Domini indicò la Corte romana, Purpuratus fu Richelieu, ecc. ecc. Questo spiegamento di termini convenzionali ci sembra piuttosto insolito, ma indica bene il carattere strano e presuntuoso dell’impresa. Chi avrebbe potuto credere che Agostino fosse rimasto sconosciuto a tutti fino a Giansenio? Chi avrebbe potuto supporre, in ogni caso, che la sua dottrina, per quanto rimasta ignorata da tutti, fosse così indispensabile al bene della Chiesa? Lo stesso Sainte-Beuve commenta stupito le pretese di Giansenio: ” Ecco che lo sostituisce a san Paolo, e quasi lo uguaglia al Vangelo… E’ ammissibile ciò? “


Ma Giansenio procedeva ciecamente per la strada che si era aperta, e in essa persevererà fino alla morte. Nel 1636 diventò vescovo di Ypres e mori due anni dopo, lasciando il manoscritto del suo voluminoso libro intitolato Augustinus, tutta la carta necessaria per stamparlo, e le direttive utili ai due amici incaricati della pubblicazione.



SAINT-CYRAN


Quando Giansenio morì, il 6 maggio 1638, il suo amico Saint-Cynin a Parigi stava per essere gettato in prigione dal terribile ” Purpuratus ” Richelieu. Fu arrestato e rinchiuso nella fortezza di Vincennes esattamente il 14 maggio 1635. Per quale delitto? A dire il vero, unicamente per ragioni di Stato. Richelieu vedeva in lui una persona retta, un erudito di prim’ordine, ma un uomo pericoloso e capace di turbare lo Stato, turbando la Chiesa.


Duvergier de Hauranne è infatti uno dei personaggi più curiosi della storia, San Francesco di Sales e san Vincenzo de’ Paoli l’avevano molto stimato, I suoi primi scritti non avevano dato, a dire il vero, impressione di squilibri dottrinali. Ma in seguito egli aveva pubblicato, nascondendosi nell’anonimo – subito scoperto dalle persone ben informate – due libri nei quali fustigava acerbamente i gesuiti, suoi antichi maestri. E soprattutto aveva difeso le religiose di Port-Royal per una certa loro pratica devota, detta il Rosario segreto, in una circostanza assai delicata in cui questa pratica era stata criticata e messa in ridicolo. Al principio della quaresima del 1635, Saint-Cyran, difensore del Rosario segreto, era già diventato ufficialmente direttore e confessore del celebre monastero di Port-Royal, che in seguito sarebbe divenuto per lui – grazie alla famiglia Arnauld, una vera tribù i cui membri erano strettamente uniti – una fortezza inespugnabile. A Port-Royal il successo di Saint-Cyran era stato immediato e completo. La più docile, la più avida, la più “convinta ” delle idee del nuovo direttore fu la Madre badessa Maria Angelica Arnauld. E subito, il grande nome di sant’Agostino venne ad aleggiare sul monastero.


In questo stato di cose, la decisione di Richelicu del 1638, contro Saint-Cyran, lungi dal diminuire il prestigio di quest’ultimo, aggiunse alla sua reputazione l’aureola di confessore della fede.



L’ AUGUSTINUS


Saint-Cyran si trovava da due anni a Vincennes, donde continuava a dirigere le anime dei suoi ammiratori e delle sue ammiratrici, quando apparve il voluminoso libro del suo amico Giansenio. Ancor prima di averlo letto, Saint-Cyran lo prese sotto la sua protezione, e tutto il suo partito lo seguì immediatamente.


Il libro fu sottoposto al giudizio della Santa Sede. Saint-Cyran affermò, prima di qualsiasi intervento di Roma, che quel libro sarebbe stato il “libro di devozione degli ultimi tempi”. Quando gli si parlò di una probabile opposizione della Sorbona, egli replicò dicendo con slancio che ” era un libro che sarebbe durato quanto la Chiesa “. E aggiungeva, con una sicumera che colmò di stupore chiunque avesse un’idea anche vaga dell’assistenza della Chiesa da parte dello Spirito Santo, che ” quand’anche il Re e il Papa si fossero associati per mandarlo in rovina, era fatto in modo tale che essi non vi sarebbero mai riusciti “.


Saint-Cyran andava dunque più in là dello stesso Giansenio, che perlomeno si era sottoposto sempre al giudizio del papa. Non si può più negare che Saint-Cyran sia stato il principale autore dell’eresia giansenista, poiché senza di lui l’Augustinus poteva essere un libro nato morto di cui le censure di Roma avrebbero arrestato la diffusione fin dal giorno successivo alla pubblicazione. Invece, esso si diffuse prodigiosamente, fu divorato, nonostante la sua aridità poco invitante; e fu ristampato in Francia, ancor prima che Roma potesse intervenire.


Quando Saint-Cyran (uscito di prigione alcuni mesi dopo la morte di Richelieu) morì – munito dei sacramenti e assistito dal suo parroco – l’11 ottobre 1643, aveva avuto il tempo di ” consegnare la fiaccola ” a un sacerdote di grande talento, a un fratello della Madre Angelica Arnauld, al più brillante dottore dell’agostinismo inteso alla maniera di Giansenio: Antonio Arnauld.



ANTONIO ARNAULD E LA COMUNIONE FREQUENTE


Con Arnauld, il giansenismo entra in una nuova fase. Teniamo presente che fino a questo momento esso non è ancora un’eresia denunciata e condannata. Giansenio e Saint-Cyran erano morti in pace con la Chiesa. Di questa essi si sono creduti non solo figli sottomessi e fedeli”, ma benefattori e quasi restauratori. Ma avendo Roma proibito di trattare le questioni controverse della grazia senza una speciale autorizzazione, l’Augustinus era stato condannato prima di qualunque esame approfondito. Saint-Cyran mise il suo discepolo prediletto, Antonio Arnauid, su una strada del tutto diversa, che non era vietata come la questione della grazia. E prima di morire ebbe il tempo di approvare il libro che era stato frutto dei suoi consigli e dei suoi esempi: La Comunione frequente (1643).


Questo libro avrebbe dato al giansenismo il suo secondo carattere dominante. Si vedrà più avanti che il primo carattere era quello di un rigorismo dottrinale spietato, che toglieva ogni forza alla libertà umana per rimettere tutto all’azione della grazia divina. Il secondo Carattere, molto vicino al primo, sarebbe stato un rigorismo morale accompagnato da esigenze implacabili. Sotto questi due aspetti congiunti e convergenti, il giansenismo avrebbe meritato il nome che gli è stato talvolta inflitto: un calvinismo rimpastato. Il rigorismo giansenistico è infatti l’altro volto del puritanesimo calvinista, così come la sua dottrina della grazia irresistibile è l’altro volto del dogma della predestinazione. I calvinisti se ne erano ben resi conto poiché si erano gettati con avidità sull’Augustinus.


Particolare interessante: il libro dell’Arnauld sulla Comunione, raccomandava caldamente la Comunione frequente, ma circondandola di tali ammonimenti, condizioni e precauzioni che, alla fine dei conti ne distoglieva più di quanto vi avvicinasse i fedeli. Ma non fu tutta qui la parte di Antonio Arnauid, né il lato più importante della sua azione in favore del giansenismo e della sua sopravvivenza. Egli mise in realtà a servizio dell’eresia prodigiose doti di sottigliezza, di abilità, di tenacia e si può dire anche di furbizia e di astuzia non comuni. Grazie a lui, l’eresia resterà sempre sfuggente, inafferrabile. E siccome egli avrà dietro di sé tutto il monastero di Port-Royal popolato dai Suoi parenti ed amici, e tutto un mondo di nobili personaggi, pieni di virtù e di talenti, che la solitudine di Port-Royal aveva attratti, fin dal tempo di Saint-Cyran, il giansenismo sarà praticamente una fortezza inespugnabile che non si sa da qual parte attaccare. I giudizi della Chiesa lo sfioreranno appena, senza colpirlo, anzi senza nemmeno intaccarlo seriamente. E scomparirà infine solo sotto l’influsso della evoluzione delle idee e delle reazioni che il suo duplice rigorismo ha finito col provocare nella maggior parte dei nostri contemporanei.



LE CINQUE PROPOSIZIONI


II rumore fatto intorno al libro dell’Arnauld aveva avuto la conseguenza di costringerlo a rifugiarsi per un certo tempo ” sotto le ali di Dio ” cioè presso amici sicuri. Nel frattempo, la Sorbona aveva finito con lo spulciare il voluminoso Augustinus. In una assemblea del 1 luglio 1649 il sindaco della Sorbona, Nicola Cornet denunciò 7 proposizioni che aveva tratte dal libro di Giansenio. Dopo varie discussioni, queste 7 proposizioni, che si riteneva riassumessero lo spirito dell’opera, furono ridotte a 5 e deferite a Roma. E’ importante notare come, sul principio, nessuno contestasse che le 5 proposizioni fossero un preciso compendio della nuova dottrina. Lo prova il fatto che il partito giansenista mandò subito i suoi più illustri dottori – quelli che si ornavano orgogliosamente dell’attributo di ” agostiniani ” – per difenderle presso la Santa Sede. L’esame alla Corte di Roma fu lungo e minuzioso, secondo la tradizione. E si ebbe tutto il tempo di sapere se le 5 proposizioni si trovassero o meno nell’Augustinus. Se si insiste su questo punto è perché, con una diatriba inaudita, di cui vedremo le conseguenze, si getterà un dubbio su questo medesimo punto.


A dispetto di tutte le perorazioni degli ” agostiniani “, le cinque proposizioni furono condannate con la Bolla Cum occasione in data 31 maggio 1653, affissa a Roma, il 9 giugno, sotto l’alta autorità del papa Innocenzo X. Questa condanna sarà nuovamente pronunciata sotto Alessandro VII il 16 ottobre 1656, con la Bolla ad Sanctam beati Petri Sedem, e più tardi con la Bolla Vineam Domini di Clemente XI, il 15 luglio 1705. Il numero stesso di queste reiterate condanne sottolinea i continui tentativi dei giansenisti per sottrarsi all’autorità della Chiesa.


Quali sono dunque queste Cinque proposizioni, così famose e così controverse?


1. ” Certi precetti di Dio sono impossibili ad osservarsi da parte delle anime giuste, malgrado i loro desideri e i loro sforzi, e manca a queste anime la grazia che ne renderebbe possibile l’osservanza “.


2. ” Nello stato di natura decaduta non si resiste mai alla grazia interiore “.


3. ” Per meritare e demeritare, nello stato di natura decaduta, non si richiede di avere la libertà interiore; è sufficiente la libertà esteriore o assenza di costrizione “.


4. ” I semi-pelagiani ammettevano la necessità di una grazia interiore preveniente per tutti gli atti, anche per l’inizio della fede; la loro eresia consisteva nel credere che questa grazia fosse di natura tale che la volontà potesse a suo arbitrio resistervi o obbedirvi “


5. “E’ semi-pelagiano affermare clic Cristo è morto e ha versato il suo sangue per tutti gli uomini.


Le note teologiche con cui venivano colpite queste proposizioni erano le seguenti: 1. temeraria, empia, blasfema, eretica; 2. eretica; 3. eretica; 4. Storicamente falsa ed eretica; 5. storicamente falsa, temeraria, scandalosa e – intesa nel senso che Cristo sarebbe morto solo per i predestinati – empia, blasfema, ingiuriosa verso Dio ed eretica.


Il partito giansenista, e particolarmente Port-Royal furono costernati e cercarono di far ricadere tale condanna sugli intrighi e le macchinazioni dei gesuiti – alla ” Corte ” di Roma. Invece di piegarsi e di sottomettersi, si prendeva la questione dal lato meno importante. Da una eresia sulla grazia si passava in tal modo, forse senza rendersene conto, ad una eresia sulla Chiesa.



IL DIRITTO E IL FATTO


Due anni dopo – solo due anni dopo – Arnauld ebbe una “trovata geniale”, se così la possiamo chiamare, una trovata che nessun eretico aveva fatta prima di lui. Né Wyclef, né Huss, né Lutero, né Baio avevano mai avuto l’idea di dichiarare: ” Io condanno ciò che la Chiesa condanna, ma non è questa la mia dottrina “. Arnauld, nella sua Seconda lettera  a un Du…


Pari del 1655 (10 luglio) metteva in dubbio che le cinque proposizioni si trovassero in Giansenio e giustificava pienamente l’Augustinus. Immediatamente attaccato alla Sorbona per questa lettera, si ritrattò, ma fu egualmente escluso dalla Facoltà. La censura definita contro di lui fu pronunciata il 31 gennaio 1656, e gli fece perdere tutti i privilegi di socius sorbonicus. Per evitare questa condanna, egli aveva tuttavia testimoniato per iscritto che ” condannava le Cinque proposizioni, in qualunque libro si trovassero, senza eccezione, compreso quello di Giansenio “. Si ebbe il torto di non accontentarsi di tale dichiarazione, il che fece tornare a galla con maggior vigore la questione. Arnauld non cesserà più di sostenere i due seguenti punti: noi condanniamo le Cinque proposizioni – era la questione di diritto – ma esse non si trovano in Giansenio – era la questione di fatto.


Inoltre, Arnauld sosteneva che la Chiesa può pronunciarsi sulla questione di diritto, e vi esercita la sua infallibilità, ma non può pronunciarsi sulla questione di fatto, sicché in questa materia le si deve soltanto il silenzio ossequioso.



LE PROVINCIALI


La confusione giunse al colmo con la pubblicazione – iniziata fin dal 23 gennaio 1656, otto giorni prima che l’Arnauld fosse escluso dalla Sorbona – di alcune lettere scritte da un misterioso ” Provinciale ” su un tono cosi nuovo, cosi agile, vivace ed elevato che il gran pubblico si sentì subito portato nuovamente a favorire il giansenismo. Queste lettere, in numero di 18, sono tra le pagine più belle della prosa francese; ed erano di un giovane matematico, Biagio Pascal. Sono soltanto una collezione di opuscoli, nei quali la verità non è pienamente rispettata né nelle citazioni, né nei giudizi, né nella dottrina. Ma essi ebbero pieno successo. Sembra che Pascal se ne sia in seguito pentito, e abbia compreso che i suoi amici gli avevano fatto sostenere una parte indegna del suo genio. Morì infatti pochi anni dopo, pienamente riconciliato con la Chiesa dalla quale nell’animo non si era mai separato. Ma egli produsse ferite che non si sono ancora completamente rimarginate: egli si burlò allegramente e senza alcuna pietà delle discussioni della Sorbona e del pesante apparato scolastico che si usava in teologia e sferrò contro la casistica – che definì a torto, una specie di monopolio dei gesuiti – una offensiva così efficace, così irresistibile da far entrare nell’uso comune l’espressione di ” gesuitismo ” come sinonimo di doppiezza e di fariseismo. Le Provinciali – come furono chiamate le lettere di Pascal – sono un libro immortale ma partigiano, e costituiscono un episodio doloroso nella storia di una delle più sottili eresie che abbiano mai sconvolto la cristianità.                   



IL FORMULARIO


Per porre fine n queste controversie divenute stranamente fastidiose, l’Assemblea del Clero di Francia ebbe l’idea di compilare un Formulario che si sarebbe dovuto imporre a tutti i membri del clero, dei monasteri e dei conventi del regno. Ma, senza alcun esame del documento e senza conoscere a fondo la questione, le religiose di Port-Royal, basandosi sulla distinzione del diritto e del fatto che il Formulario aveva precisamente lo scopo di rovesciare, si prepararono ad una resistenza disperata, come ci si prepara al martirio in tempo di persecuzione. Invano l’arcivescovo di Parigi, Arduino di Beaumont di Pérèfixe, si recò di persona ad intimare alle religiose di sottoscrivere il Formulario, come aveva fatto tutto il regno. Invano fece loro dare degli schiarimenti dall’abate Bossuet, ancor giovane a quel tempo, ma già ritenuto una delle menti più acute del clero di Francia. Esse rifiutarono ostinatamente qualsiasi obbedienza e si lasciarono scomunicare, come per una specie di ” obiezione di coscienza ” il 9 giugno 1664. Rimasero chiuse nella loro ostinazione, fino ad un accomodamento noto nella storia con il nome di pace clementina, dal nome di papa Clemente IX che la concesse, e che fu applicato alle religiose nel febbraio del 1669. Le firmatarie, questa volta, “condannavano le Cinque proposizioni, con tutta sincerità, senza eccezione né restrizione alcuna, in tutti i sensi in cui le ha condannate la Chiesa “. Ma, con una nuova applicazione del ” gesuitismo ” nel senso pascaliano, sottintendevano che nessuno di tali sensi condannati dalla Chiesa si trovava in Giansenio, che esse in verità non avevano letto, ma che era stato l’amico del loro grande e venerato eroe Saint-Cyran!


Per finire, diciamo ancora che queste religiose furono riprese nel vortice delle controversie giansenistiche e che Port-Royal fini con l’essere demolito, per ordine di Luigi XIV il 29 ottobre 1709, e tutte le religiose furono disperse. Arnauld, detto dai suoi “il grande Arnauld “, era intanto morto 1’8 agosto 1694, e il giansenismo si era eletto un terzo capo nella persona del Padre Pascasio Quesnel, dell’Oratorio.



QUESNEL E LA BOLLA “UNIGENITUS”


Quesnel aveva studiato in gioventù alla Sorbona, ed aveva fatto parte del piccolo gruppo di coloro che si erano opposti alle censure scagliate contro il giansenismo e contro Antonio Arnauld. Si era quindi profondamente impregnato di spirito giansenistico, frequentando solo i maestri di sua scelta e chiudendosi a qualsiasi altro influsso.


Nato a Parigi il 14 luglio 1634, aveva appena 28 anni quando scrisse, nel 1662, alcune riflessioni morali su ciascun versetto del Vangelo; ma il libro apparve solo nel 1671, con il titolo: Compendio della morale del Vangelo. Essendo stato .questo libro condannato nel 1675 da Clemente X, Quesnel lo riprese, lo sviluppò e lo ridiede alle stampe con un nuovo titolo e in 4 volumi: Il Nuovo Testamento con delle riflessioni morali. Anch’egli, praticando un vero “gesuitismo “, trovò il modo di sottoscrivere tutti i formulari che gli vennero sottoposti nella sua Congregazione, senza tuttavia mutare opinione.


In seguito alla seconda pubblicazione del suo libro, fu esiliato da Parigi a Orleans per ordine dell’arcivescovo della capitale, e quindi espulso dall’Oratorio nel 1684. Nel 168$, partì allora per il Belgio dove si nascose sotto falso nome e visse accanto al suo maestro Antonio Arnauld, al quale chiuse gli occhi e al quale succedette nella direzione del partito.


Nell’estate del 1701 le discussioni intorno al diritto e al fatto che si potevano credere risolte, si ridestarono a proposito del Caso di coscienza : si poteva, senza credere al fatto nella questione dell’Augustinus, e senza ammettere che la Chiesa avesse il diritto di esigere la fede su questo punto, sottoscrivere ugualmente il Formulario, limitandosi al silenzio ossequioso, e ottenere cosi l’assoluzione?


Alla Sorbona il Caso, dapprima accolto favorevolmente da 40 dottori, fu in seguito criticato da altri, deferito a Roma e condannato il 12 febbraio 1703. Poco tempo dopo, il 30 maggio 1703, il Padre Quesnel fu scoperto a Bruxelles, arrestato, messo in prigione, e tutte le sue carte furono sequestrate. Ora, queste carte trasmesse alla Corte di Francia rivelarono una nuova cospirazione, analoga a quella che Giansenio aveva soprannominata Pilmot. Anche qui, tutte le questioni erano trattate sotto nomi fittizi, Stava diventando un metodo tradizionale nella setta. Le carte di Quesnel decifrate, analizzate, sminuzzate e distillate furono poste sotto gli occhi del re di Francia che, da anni, nutriva una forte ostilità contro il giansenismo. Tutte le sere, per io anni, Luigi XIV, si fece leggere quei documenti i quali non cessavano di invocare repressioni che non si potevano più differire. Nota sensatamente Saint-Beuve: ” Come sostenere, dopo aver letto questi estratti, che il giansenismo era solo un fantasma? “.


Il Re insistette presso il papa Clemente XI per ottenere una Bolla che rinnovasse tutte le condanne precedenti contro l’eresia in questione. Il papa acconsentì e pubblicò, il 16 luglio 1705, la costituzione Vineam Domini Sabaoth. Essa decideva, contro il Caso di coscienza che il silenzio ossequioso sui fatti condannati dalla difesa non era sufficiente e che occorreva aggiungervi una adesione interiore, riconoscendo che il libro di Giansenio era effettivamente inquinato di eresia.


Appunto per essersi rifiutate di accettare questa nuovo Bolla, le religiose di Port-Royal furono espulse dal loro monastero e quest’ultimo fu vittima dei demolitori regali. Ma la resistenza stessa, delle religiose e le simpatie die esse riscossero, diedero al Re la prova che il giansenismo conservava ancora degli adepti. Desideroso di porre fine alla cosa, egli fece al papa una nuova richiesta: quella di condannare solennemente gli errori contenuti nel libro di Quesnel Le Riflessioni Morali. Ancora una volta, il papa entrò nelle vedute del Re di Francia, così ben giustificate in questo caso. E 1’8 settembre 1713 appariva la celebre Bolla Unigenitus, che avrebbe sollevato così lunghe e tremende tempeste, ma che avrebbe anche dimostrato l’estensione dei guasti compiuti dal giansenismo in seno alla Chiesa.



IL NEO-GIANSENISMO


Si può dare al giansenismo di Quesnel il nome di neo-giansenismo, poiché assunse realmente un aspetto del tutto nuovo. Invece di presentarsi sotto forma di sistema ben legato, come nell’“Augustinus ” e nelle numerose opere di un Arnauld, esso si infiltra con l’appoggio di testi del Nuovo Testamento, commentati con discrezione spesso in modo edificante e iper-mistico, e stesi in uno stile gradevole. Il giansenista Batterel potrà affermare di Quesnel: “Non abbiamo, mai avuto nell’Oratorio una penna che abbia parlato di Dio in modo così nobile, cosi elevato e così luminoso; aggiungo anzi, in un modo così puro ed elegante “. Eppure, tra le pieghe di questa o di quella riflessione di Quesnel, si riscontrava il giansenista iniziale, quello che la Chiesa aveva condannato come eretico. Lo stesso numero delle proposizioni colpite dalla Bolla Unigenitus – 101 invece delle 5 condannate nell’Augustinus – sta a provare questa diversità di presentazione. Ma se si considerano le cose da vicino, nelle 101 si ritrovano le 5, come se la Chiesa non avesse mai parlato.


Per esempio, il carattere irresistibile della grazia: ” La grazia è l’operazione della mano di Dio onnipotente, che nessuno può ostacolare o ritardare” (Prop.10 di Quesnel). – .Quando Dio vuol salvare un’anima, e la tocca con la mano interiore della sua grazia, nessuna volontà umana gli resiste” (Prop. 13). – ” Non vi sono attrattive che non cedano alle attrattive della grazia, poiché nulla resiste all’Onnipotente ” (Prop. 16).


La completa corruzione dell’uomo dopo la caduta:


” Senza la grazia non possiamo amare nulla se non per la nostra condanna” (Prop. 40). – ” La preghiera degli empi è un nuovo peccato e ciò che Dio concede loro è un nuovo giudizio contro di essi ” (Prop. 59).


Che Gesù Cristo non è morto per tutti gli uomini: “Gesù Cristo andò a morte per liberare per sempre con il suo sangue i suoi primogeniti, cioè gli eletti, dalla mano dell’angelo sterminatore ” (Prop. 32).


Un buon numero delle proposizioni condannate aveva lo scopo di inculcare il concetto luterano della Chiesa invisibile. Della Chiesa visibile si trattava poco, e solo per annullare l’effetto delle censure “ingiuste”.


Ecco tutta una serie di proposizioni di Quesnel in tal senso:


” La caratteristica della Chiesa cristiana è quella di essere cattolica, in quanto comprende tutti gli angeli del cielo e tutti gli eletti e i giusti della terra e di tutti i secoli ” (Prop. 72). – ” che cos’è la Chiesa se non l’assemblea dei Figli di Dio raccolti nel suo seno, adottati in Cristo, clic sussistono nella sua persona, riscattati dal suo sangue, che vivono del suo spirito, agiscono per la sua grazia e attendono la grazia del secolo futuro? ” (Prop. 73). – ” La Chiesa o il Cristo totale ha come capo il Verbo incarnato e come membra tutti i veri santi ” (Prop. 74). – ” La Chiesa è un sol uomo composto di parecchie membra, di cui Cristo è il capo, la vita, la sussistenza e la persona; non vi è che un unico Cristo, composto di molti santi dei quali egli è il santificatore ” (Prop. 75). – ” Non vi è nulla di più vasto della Chiesa di Dio, poichè tutti gli eletti e i giusti di tutti i secoli la compongono ” (Prop. 76). – ” Chiunque non conduce una vita degna di un figlio di Dio e di un membro di Cristo, cessa interiormente di avere Dio come Padre e Cristo come capo ” (Prop. 77).


La Chiesa, come si vede, è praticamente limitata ai giusti e agli eletti. I peccatori ne sono quindi esclusi. Si getta nelle tenebre esteriori l’immensa maggioranza non solo degli esseri umani, ma degli stessi cristiani. Al contrario, Quesnel, non vuole che sia possibile escludere lui e i suoi dalla Chiesa: “La Chiesa, dice la prop. 90, ha il potere di scomunicare, mediante i suoi principali pastori, con il consenso almeno presunto di tutto il Corpo “. – “Il timore di una scomunica ingiusta non deve mai impedirci di compiere il nostro dovere; noi non usciamo mai dalla Chiesa, anche quando pare che ne siamo espulsi dalla cattiveria degli uomini, finché restiamo uniti a Dio, a Gesù Cristo e alla stessa Chiesa mediante la carità” (Prop. 41).



GLI APPELLANTI


La Bolla Unigenitus sollevò una formidabile tempesta. Si deve infatti tenere presente che tutti gli avvenimenti da noi qui riassunti furono accompagnati da un diluvio di pubblicazioni, attacchi e contrattacchi, spiegazioni, commenti, apologie e critiche in ogni senso. E siccome i cattolici erano spesso trattenuti dal divieto di scrivere su queste materie, la parola rimaneva il più delle volte ai giansenisti e ai loro amici; questo poteva appoggiare l’affermazione che i loro avversari preferivano ricorrere alla forza o alle censure piuttosto che agli argomenti di ragione.


I giansenisti si arroccavano saldamente in quello stesso complesso di superiorità che Lutero aveva diffuso con la sua mistica della consolazione, Calvino con la mistica della elezione e del puritanesimo, e che Giansenio, Saint-Cyran e Arnauld avevano riassunto nel nome, da essi così orgogliosamente sbandierato: gli agostiniani!  I discepoli di Qucsnel, avvolti nel loro rigorismo e nella austerità dei loro costumi, si gloriavano di essere i soli membri della vera Chiesa, la Chiesa degli eletti e dei veri santi!


Tuttavia la Bolla era stata accettata dalla stragrande maggioranza del clero di Francia. Solo quattro vescovi si appellarono al concilio generale. Furono detti gli appellanti. Sulla questione del giansenismo veniva ad innestarsi quella delle libertà gallicane. Il gallicanesimo teologico, diverso dal gallicanesimo parlamentare, affermava che solo le decisioni del concilio ecumenico sono irreformabili. L’arcivescovo di Parigi e quello di Noailles, le Università gallicane di Parigi e di Nantes, un gran numero di religiosi e infine anche alcuni vescovi vennero dunque a rafforzare il partito degli Appellanti. Il papa li scomunicò nel 1718. Essi replicarono rinnovando il loro appello. Il disordine giunse presto al colmo, allorquando il Parlamento francese prese decisamente posizione in favore dei giansenisti.



LE CONVULSIONI DI SAN MEDARDO


Possiamo qui accennare solo di sfuggita al ridicolo episodio delle convulsioni di san Medardo. La cosa avvenne tra il 1727 e il 1732, sulla tomba del diacono Paride, una delle glorie della setta, nel cimitero di san Medardo a Parigi. I fanatici devoti, venuti a pregare presso questa tomba, asserivano di cadervi in estasi, facendosi quindi calpestare e percuotere con spranghe di ferro, senza sentirne alcun male. I giansenisti gridavano al miracolo, le persone di buon senso all’inganno e alla follia. Il cimitero fu chiuso per ordine del Re nel 1732. Ma le ” convulsioni ” e i ” miracoli ” continuarono a occhi chiusi, alimentando tutta una letteratura semi-clandestina, di cui si nutrivano i giansenisti perfino durante gli orrori della Rivoluzione francese.



LA QUESTIONE DEL RIFIUTO DEI SACRAMENTI


A partire dal 1731, la lotta, sempre accanita da una parte e dall’altra, entrò in una nuova fase con la questione del rifiuto dei sacramenti. Il clero cattolico infatti, escludeva dalla comunione gli appellanti in atto e impenitenti. Questi ultimi intentavano dei processi ai sacerdoti che rifiutavano loro i soccorsi religiosi e i giudici del Parlamento condannavano regolarmente i sacerdoti fedeli alla disciplina della Chiesa. Poi l’autorità regale annullava le sentenze del Parlamento come illegali e ingiuste. Questo conflitto durò per 25 anni. Il papa Benedetto XIV nel 1756 riuscì tuttavia a porvi fine, stabilendo che sarebbero stati privati dei sacramenti solo gli appellanti notori. Il Parlamento, contro la pressione del Re, dovette accettare, benché controvoglia, la decisione papale.



DA UTRECHT A PISTOIA


Ricordiamo, al termine di questa esposizione arida troppo sommaria di una lotta senza fine e senza storia che, se lo scisma propriamente detto fu risparmiato alla Francia, non fu la stessa cosa all’estero.


Una Chiesa giansenista scismatica si formò a Utrecht, in Olanda, dove ancora sussiste. Quesnel infatti era evaso dalla prigione di Bruxelles e si era rifugiato a Utrecht, e mori ad Amsterdam il 2 dicembre 1719. Egli aveva propagato abbastanza le sue idee, perché ne determinasse una separazione da Roma dopo la morte. Infatti, nel 1723, i giansenisti elessero come arcivescovo dissidente di Utrecht un certo Cornelio Steenoven e lo fecero consacrare – validamente – nel 1725 da Domenico Varlet, vescovo sospeso, e quindi – per assicurare la successione – gli associarono altri due vescovi anch’essi giansenisti, quello di Haarlem e quello di Deventer. Questa Chiesa giansenista conta attualmente ancora tre vescovi, una trentina di preti e circa 10.000 fedeli.


Il giansenismo trovò seguaci anche in Italia. Vi trovò soprattutto simpatizzanti, nemici dei gesuiti, sostenitori dell’autorità dello Stato in materia religiosa: ricordiamo il Cardinal Noris, Fulgenzio Belelli, Lorenzo Berti, i cardinali Passionei, Zola, Serrao, G. Capecelatro, ecc. Il più famoso fu Scipione de’ Ricci, che tenne nel 1786 un sinodo a Pistoia. Le decisioni di questo sinodo furono condannate nel 1794 con la Bolla Auctorem fidei di Pio VI e fu il colpo di grazia per l’agonizzante giansenismo italiano.