S. ROSA DA LIMA (1586-1617)

Nacque a Lima il 20 aprile 1586, decima di tredici figli. Il suo modello di vita fu santa Caterina da Siena. Come lei, vestì l'abito del Terz'ordine domenicano, a vent'anni. Allestì nella casa materna una sorta di ricovero per i bisognosi, dove prestava assistenza ai bambini ed agli anziani abbandonati. Dal 1609 si richiuse in una cella di appena due metri quadrati, costruita nel giardino della casa materna, dalla quale usciva solo per la funzione religiosa. Ebbe visioni mistiche. Morì, straziata dalle privazioni, il 24 agosto 1617.

E' la prima santa canonizzata del continente americano. Di origine spagnuola, Rosa nacque, ultima degli undici figli di Gaspare Flores, modesto militare, il 20-4-1586, a Lima (Perù), città fondata da Francesco Pizarro dopo la conquista dell'impero degli Incas (1532). Ben presto la piccina fu prevenuta in modo straordinario dalla grazia di Dio, che supplì alla educazione dei collerici e maneschi genitori assai più preoccupati del benessere temporale che di quello spirituale dei figli. S. Turibio Alfonso de Mogrovejo (+1606), arcivescovo della città, la cresimò con il nome di Rosa benché fosse stata battezzata con quello di Isabella. La santa ne rimase conturbata. Un giorno, mentre pregava nella chiesa dei Domenicani, le apparve la Madonna con il Bambino in braccio a rasserenarla: "D'ora innanzi ti chiamerai Rosa di Santa Maria".
Leggendo la vita di S. Caterina da Siena, Rosa si sentì spinta ad eleggerla sua maestra di vita spirituale, a emettere come lei il voto di verginità, a vivere in continua unione con Dio e a darsi ad aspre penitenze. La sua alta spiritualità non fu capita dalla madre, Maria Oliva, la quale, ritenendo riprovevoli difetti le sue buone qualità, la percuoteva rabbiosamente; dai fratelli, i quali, invece di proteggerla, la chiamavano bacchettona e ipocrita; dai parenti, i quali, invece di ammirarla, la canzonavano e deridevano. Rosa imparò a soffrire senza un lamento sia i rimbrotti dei familiari che le infermità. A 3 anni la mamma, chiudendo un forziere, le pestò inavvertitamente un pollice delle mani. Alla domanda del medico se la loro figlia avesse pianto, i genitori risposero mortificati: "Essa non si lagna, né piange mai: è una piccina strana". Con uguale fortezza d'animo, la santa sopportò le cure per estirpare un ascesso che le si era formato in un orecchio; un polipo che le era spuntato nelle cavità nasali; delle pustole e delle croste che le si erano formate sulla testa e che la madre aveva creduto di guarire con l'applicazione di polvere di arsenico molto caustica. I patimenti di Rosa furono allora così intensi che le causarono involontari sussulti nervosi. "Come hai potuto sopportare simile tortura?" le chiese costernata la mamma. Sollevando gli occhi all'immagine dell'Ecce homo che sovrastava il suo letto, le rispose con semplicità: "I dolori della corona di spine erano ben più vivi".
Rosa non solo accettava senza un lamento le indisposizioni corporali, ma ricorreva a tutte le astuzie per accrescerle. Si asteneva dal mangiare la frutta; si percuoteva con un fascio di cordicelle o di ortiche; pregava la persona di servizio che la calpestasse e le mettesse in spalla qualche grosso ramo secco da trascinare quasi fosse la croce di Gesù. A differenza delle altre bambine, Rosa non amava le compagnie e il giuoco. Se ne stava ritirata nella capanna che suo fratello le aveva costruito nell'orto, per elevarsi a Dio sulle ali della meditazione. Detestava le vanità e la menzogna. Costretta dalla madre a porsi sul capo delle rose, trovò il modo di sistemare tra di esse una lunga spina che le pungeva di continuo. Talora la mamma l'adornava come una sposa e le insegnava a danzare, ma Rosa restava immobile anche quando la mamma le gridava inviperita: "Danza, idiota! Muovi i passi, testa di mula!". Sovente dagli insulti passava alle verghe, ma i risultati erano gli stessi. Il confessore più volte dovette intervenire per fare comprendere all'insensata genitrice che Rosa era un'anima privilegiata e che doveva quindi seguire le mozioni dello Spirito Santo.
Dopo la prima apparizione della Madonna, la santa si trasferì con i genitori in una insalubre città, ricca di miniere di mercurio, dove fu assalita da contrazioni nervose che la tennero per tre anni inchiodata a letto con dolori inesprimibili. Soleva allora ripetere: "Quanto sarebbe bello il mio stato, se non fossi di peso agli altri!". Dopo quattro anni ritornò a Lima, ma crebbero le difficoltà economiche della famiglia. Rosa contribuì ad alleviarle con il ricamo e la coltivazione dei fiori. Il lavoro non la distoglieva ne dalle macerazioni, ne dalla continua preghiera. A dodici anni, per appagare la sua sete di patimenti, infisse trentatré chiodi in una lamina d'argento e se la legò alla testa con nastri in forma di corona in modo da sentirne le trafitture ad ogni movimento. Appagava così il grande desiderio che aveva di versare il proprio sangue per le anime in pericolo di perdersi e per quelle che cadevano in purgatorio. Si era formato un letto con alcune assi elevate alquanto dal suolo, coperte da un misero tappeto. Il guanciale da lei era stato talmente riempito di lana da riuscire duro come una pietra. Il riposo le divenne tanto penoso che talora le sembrava impossibile continuare quella penitenza. Eppure vi fu fedele per sedici anni perché Dio esigeva da lei quel terribile martirio. Quando la madre ebbe il permesso dal confessore di distruggerle quel giaciglio, vi trovò sparsi sopra più di trecento sassolini.
Quando Rosa era invitata dalla madre a prendere parte a feste mondane o a gite con le amiche, internamente sentiva una voce che le proibiva di frequentare il mondo. Un giorno trovò la maniera di sottrarsi alle insistenze materne facendosi rotolare sul piede una pietra e un'altra volta gettandosi negli occhi del pepe indiano. Ripetutamente i genitori la percossero perché alle loro proposte di matrimonio rispondeva timidamente: "Non posso, non posso". Dio la voleva nel Terz'ordine Domenicano. Glielo fece capire durante una processione in onore di S. Caterina da Siena. I familiari non le si opposero perché sarebbe rimasta in casa ad aiutarli con i suoi lavori (10-8-1606). La santa si fece costruire un eremitaggio lungo cinque piedi e largo quattro nel giardino. Tre volte la settimana ne usciva per andare ad ascoltare la Messa e a fare la comunione, ma in un modo che non sapeva spiegare era sempre presente a tutte le Messe che si celebravano nelle chiese vicine.
Nel "vasello del suo cuore" Rosa s'intratteneva di continuo con lo sposo divino possedendo il dono del raccoglimento in misura eccezionale. Dodici ore della giornata le dedicava alla preghiera, dieci al lavoro e due soltanto al sonno. Se il corpo ricalcitrava, lo pungeva con aghi o lo percuoteva con pugni. Talora attaccava a un chiodo la sua capigliatura per destarsi appena il sonno la vinceva, tal'altra impugnava i due grossi chiodi infissi nelle braccia della croce che dominava il suo romitorio e vi restava sospesa a imitazione del crocifisso. Non potendo, a causa dell'insonnia e della prostrazione fisica sopraggiuntele, attendere ai suoi doveri, il medico le prescrisse di non lottare più contro il sonno. Rosa, desolata, supplicò allora la Vergine SS. perché fosse per lei la stella mattutina. Da quel giorno la madre di Dio si assunse l'incarico di destarla al momento opportuno dicendo: "Levati, figlia, ecco l'ora della preghiera".
Rosa era grandemente affezionata al santo rosario e ne propagava la devozione tra le conoscenti. Portava continuamente attorno al braccio una piccola corona di cui si serviva sovente senza che alcuno se ne accorgesse. Con l'angelo custode ebbe frequenti rapporti visibili e amichevoli. Gli chiedeva consigli nelle difficoltà, gli affidava incarichi e da lui riceveva i necessari aiuti materiali. I demoni invece fremevano alla vista della vita santa che conduceva. Quasi di continuo la molestavano o la percuotevano violentemente per le numerose anime che sottraeva al loro dominio con l'uso quotidiano dei flagelli e dei cilici foderati di cardi e di punte di spilli, con la pratica notturna della Via Crucis nel giardino, a piedi nudi e con una pesante croce in spalla.
Le interne desolazioni furono lo straziante martirio di tanti santi. Anche Rosa vi andò soggetta per quindici anni per circa un'ora al giorno. Le durissime prove ebbero ripercussioni sul suo fragile corpo che cadde in uno stato di prostrazione, e andò soggetto a violente palpitazioni e a tremiti. Quando piacque al Signore di fissarla nella luce dell'antica intima unione le divennero abituali le estasi e le visioni. Il Bambino Gesù le appariva spesso sul libro che meditava o sul telaio da ricamo e le diceva: "Come tu sei tutta mia, così io sono tutto tuo". La sua fiducia di appartenere al numero degli eletti era tanta da ritenere superflua al riguardo ogni rivelazione. Una domenica delle Palme, perché era rimasta senza il ramo di ulivo benedetto si ritenne colpevole di qualche resistenza alla grazia. La statua della Madonna del Rosario innanzi alla quale pregava si animò, e il Bambino Gesù le disse: "Rosa del mio cuore, sii la mia sposa". A ricordo di quelle mistiche nozze ella si fece fabbricare un anello che consegnò al sacrestano perché lo deponesse sull'altare in cui, il giovedì santo, si conservava il SS. Sacramento. Con quel gesto voleva significare che desiderava riporre nel sepolcro con Gesù il pegno del suo amore. La mattina di Pasqua, Rosa stava inginocchiata con la madre nella cappella della Madonna del Rosario allorché, d'un tratto, l'anello, volando invisibile nell'aria, andò ad ornarle per tutta la vita il dito.
Tutti questi doni celesti accendevano in Rosa sempre più il desiderio di convertire gli erranti. Diceva sovente: "Se mi fosse dato di predicare, percorrerei tutti i quartieri di questa città a piedi nudi, coperta di cilici e tenendo in mano un crocifisso". Tante volte fu udita lagnarsi di non potere, a causa del suo sesso, recarsi tra gl'infedeli per portarli alla conoscenza del Vangelo. Tante persone migliorarono i propri costumi alle di lei esortazioni. Possedeva il dono di scrutare i cuori e di prevedere il futuro. Le sue preferenze erano per i poveri ai quali trovava sempre il modo di donare qualcosa, i malati che andava a visitare negli ospedali o che otteneva di curare nel proprio romitorio. Dio ricompensò il suo ardente amore per il prossimo dandole anche il dono dei miracoli. In città non si parlava che delle prodigiose guarigioni da lei operate. Agli stessi suoi familiari moltiplicò il pane, il miele ed i soldi necessari per estinguere un debito. Anche per lei quindi valevano le parole dette dal Signore a S. Caterina da Siena: "Pensa a me ed io penserò a tè e ai tuoi cari".
Gli ultimi tre anni di vita Rosa li trascorse in casa di un intimo amico di famiglia e tesoriere dei domini del re di Spagna Filippo III, Gonzalvo della Massa. Rosa avrebbe preferito restarsene nel suo romitorio, ma eroicamente ubbidì avendo proposto di vivere in una continua sottomissione. Nonostante che al lavoro per la sua famiglia si unisse quello impostole dagli ospiti, ella continuò a mortificarsi in mille modi diversi. Beveva soltanto acqua e d'ordinario si cibava di pane cosparso di fiele o di succhi di erbe amare talmente nauseabondi da piangerne per la ripugnanza che provava. Non di rado si asteneva da qualsiasi cibo e bevanda per vari giorni specialmente quando le era concesso di comunicarsi tutti i giorni. Il migliore rimedio alle sue frequenti malattie erano il digiuno e l'astinenza. Gli alimenti delicati impostile dai medici o dai genitori le riuscivano intollerabili. Per vivere in solitudine ottenne dagli ospiti, suoi ammiratori, il permesso di fabbricarsi con vecchie assi uno stambugio nel granaio. Oltre che trascorrervi buona parte della notte, d'ordinario vi si appartava il giovedì sera e non ne usciva che al sabato. Trascorreva tutto quel tempo assorta nell'orazione, immobile, senza prendere cibo o riposo.
Nei momenti di distensione talora la santa afferrava un'arpa e, benché fosse ignara di musica, accompagnava con melodiosi accordi i canti che le sgorgavano dal petto affocato di amore. Non diceva ella: "Quando mi comunico mi pare che un sole scenda nel mio petto?". L'intimo fuoco era così vivo che le traspariva a volte all'esterno sotto forma di aureola, di vivo splendore o intenso calore. Il 25-4-1617 mentre pregava davanti a un quadro raffigurante il volto del Redentore, esso fu visto coprirsi di sudore per oltre quattro ore. Alcuni giorno dopo il prodigio Rosa cadde e si ruppe un braccio. Temendo di essere di aggravio agli ospiti, chiese che le fosse legata sulla parte malata la spugna che era servita a detergere il sudore miracoloso. La guarigione istantanea che ne seguì confermò anche il precedente prodigio di cui furono testimoni alcuni Padri gesuiti.
Negli ultimi mesi di vita il corpo di Rosa divenne il ricettacolo di mali misteriosi tanto che i medici si stupivano come facesse a vivere. Soltanto la lingua e la mente non le rimasero impedite, motivo per cui fino alla fine poté lodare il Signore e godere di continue estasi. Morì il 24-8-1617 dopo aver preso in mano un cero benedetto, sollevato gli occhi al cielo ed esclamato per tre volte: "Gesù, sii con me!".
I funerali di Rosa furono un trionfo. Clemente IX la beatificò il 12-2-1668. Clemente X la canonizzò il 12-4-1671 e la proclamò protettrice dell'America Latina e delle isole Filippine. Le sue reliquie sono venerate a Lima nella chiesa di San Domenico.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 253-259
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