S. MARIA DE MATTIAS (1805-1866)

Maria de Mattias nacque il 4 febbraio 1805 a Vallecorsa, provincia di Frosinone, ultimo paese dello Stato Pontificio. Figlia di una famiglia benestante trascorse fino all'età di 17 anni un'esistenza tranquilla, senza particolari tribolazioni. Ma nel 1822 all'età di 17 anni attraverso l'incontro con san Gaspare del Bufalo, mentre predicava a Vallecorsa, avvenne la vera conversione di vita di Maria de Mattias. Il 4 marzo 1834, sotto la guida di un compagno di san Gaspare, il venerabile don Giovanni Merlini, fondò la Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo. Il suo impegno si spese a favore dell'istruzione e delle catechesi dei giovani e delle mamme. Morì in concetto di santità a Roma il 20 agosto 1866.

La fondatrice dell'Istituto delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue nacque il 4-2-1805 a Vallecorsa (Fresinone), primogenita dei quattro figli che l'avvocato Giovanni ebbe dalla moglie Ottavia De Angelis, donna severa e di poche parole. Maria ricevette una buona educazione dal padre, di carattere più mite, che divenne il suo maestro e confidente. Dopo la prima comunione la beata chiese al confessore il permesso di accostarsi sovente al banchetto eucaristico, ma non le fu concesso più di una volta al mese. La bambina ne soffrì perché a poco a poco s'intiepidì talmente che finì col fare la comunione soltanto due o tré volte all'anno. Non per questo cessò Iddio di farle sentire le sue attrattive, specialmente dopo che imparò a leggere e a meditare la Passione di Gesù, anche se indulgeva alle vanità femminili e ai balli familiari.
Crescendo incerta e inquieta circa il suo avvenire, De Mattias pregava Maria SS. perché le indicasse quello che doveva fare per piacere a Dio. La sua richiesta fu esaudita. Confidò difatti al suo direttore spirituale che, alla fine del 1821, si era sentita portata leggermente come da braccia sicure e che subito la sua anima si era trovata immersa in una pace ineffabile. Allora fece di sé un'offerta totale al Signore perché d'un tratto si era sentita trasformata, più coraggiosa e decisa a seguirlo sulla via della Croce. Cominciò subito a praticare la mortificazione di gola, a battersi con una chiave legata ad una cordicella e a vestire dimessamente.
S. Gaspare del Bufalo (+1836), fondatore della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, nel 1822 si recò per la prima volta a Vallecorsa per predicarvi le missioni. La beata andò ad ascoltarlo e Dio le fece concepire un grande terrore dei castighi eterni e un vivo dolore dei peccati commessi. Non sapendo a chi confidare le attrattive che sentiva, leggeva e pregava per sapere se era volontà di Dio che si ritirasse in un monastero o che lavorasse nel mondo per la salvezza delle anime. Espose i suoi dubbi in confessione a P. Gaspare del Bufalo che era ritornato a Vallecorsa per occuparsi della fondazione di una casa dei suoi Missionari e, di quell'incontro, molti anni dopo così scrisse: "Mi sconsigliò di andare in altri monasteri dicendomi che in tutti i luoghi potevo farmi santa, che imparassi l'Ufficio della B. V. Maria e che leggessi le opere di P. Rodriguez". Poco lontano da Vallecorsa sorgeva il santuario di Civita, retto da un santo sacerdote. Maria vi andò e, prima ancora che aprisse bocca, si sentì dire dal servo di Dio che il pensiero da lei concepito di occuparsi della salvezza delle anime veniva dal cielo.
De Mattias trovò la guida di cui aveva bisogno nella persona del P. Giovanni Merlini (+1873), Missionario del Preziosissimo Sangue, giunto a Vallecorsa per la predicazione quaresimale. A lui si confidò e da lui ricevette l'autorizzazione di darsi all'educazione e all'istruzione della gioventù. Cominciò allora ad invitare alcune ragazze in casa sua la domenica per animarle al bene e alla preghiera. "Un giorno, mentre faceva orazione, stando come fuori di sé – dice il P. Merlini – le parve di vedere uno stuolo di religiose che stavano in un coro ben ordinato e tutte raccolte in Dio e si sentì dire che quelle erano le sue compagne".
La culla della nuova famiglia religiosa fu Acuto, nella diocesi di Anagni. Vi fu mandata da Mons. Giuseppe Maria Lais, vescovo di Ferentino e amministratore apostolico di Anagni, perché vi aprisse una scuola. La beata il 22-10-1833 gli scrisse: "Sono ben contenta di servire Dio ove Egli vuole… Solo amerei che il Pio Istituto delle Maestre fosse sotto il titolo del Preziosissimo Sangue". Ad Acuto quindi andava non per fare la scuola soltanto, ma per fondarvi un monastero. Il cielo approvò quel suo progetto. Alla vista del paese la beata udì infatti una voce misteriosa che le disse: "Ecco dove ti ho destinata"!".
L'ambiente in cui la beata aprì la scuola era quanto mai povero e malsano. Ciò nonostante le alunno accorsero e superarono presto il centinaio. Ma oltre alla scuola la beata diede pure inizio alla congregazione delle zitelle e delle donne sposate alle quali, in giorni determinati, insegnava a pregare, a cantare e a meditare. Il 5-7-1835 la raggiunse da Albano Laziale la maestra Anna Farrotti e con lei stabilì di fondare le Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue perché moltiplicassero nel mondo l'opera da lei iniziata. Alcune giovani si decisero di unirsi a vita comune con le loro maestre e Mons. Muccioli, succeduto a Mons. Lais, le concesse in uso il grande palazzo che possedeva in Acuto finché non riuscì a stabilirla nell'ospedale comunale che la beata ampliò con la cooperazione di tutta la popolazione. Grandi furono le fatiche ed i disagi che la fondatrice dovette affrontare, ma mentre non si turbava minimamente dell'Istituto nascente perché sapeva che era voluto da Dio, si crucciava per i turbamenti, i dubbi e le ansie che l'assalivano di continuo. Ricorreva per questo al suo direttore spirituale benché a volte provasse ripugnanze, lotte e ribellioni inferiori vivissime. Tuttavia era fedele all'ubbidienza e stretta alla croce che il Signore le aveva posto sulle spalle per santificarla. Sovente la freddezza temperamentale del suo direttore le rendeva difficile l'apertura di coscienza ed allora, per dominare le ritrosie dell'amor proprio, confessava la sua miseria davanti al Signore e talora andava a mettersi davanti alla porta del refettorio, e quando le suore vi entravano, le supplicava ad una ad una, baciando altrettante volte la terra, che pregassero per lei povera peccatrice.
Tra le fatiche e una povertà estrema la piccola famiglia della beata cresceva robusta. Ai componenti di essa diceva: "Vi è molto da soffrire per portare a fine questa santa impresa a gloria del divin Sangue, ma in questo risplende la vera carità: nel patire per amore di Chi ha tanto patito per noi". Vivace ed energica, nei primi tempi dell'Istituto fu facile a riprendere con severità le infrazioni alla regola, le mancanze di umiltà e di carità, ma un po' alla volta riuscì a dominarsi. Soffriva al vedere che certe religiose erano "poco amanti delle cose di Dio e molto divagate" e ne attribuiva la causa ai suoi cattivi esempi. Tuttavia non aveva fretta di eliminarle. Rispondeva a coloro che la consigliavano a farlo: "Spero che la Madonna le formi".
Fin dagli inizi l'apostolato della beata in Acuto era stato fatto segno di contraddizione. I sacerdoti del posto videro di mal occhio giovani e donne correre ad ascoltare con tanta avidità le istruzioni della beata. Sollecitarono il vescovo a rendersi conto di quanto diceva, ma i quattro ecclesiastici da lui incaricati delle indagini gli riferirono concordemente che De Mattias meritava fiducia ed appoggio. Dio le aveva concesso il dono della parola ed ella se ne serviva per dettare corsi di esercizi spirituali alle donne quando non riusciva a trovare il predicatore. Per temperamento non era loquace, ma incline al silenzio e al raccoglimento. Le sue lettere conservano l'eco degli sforzi da lei fatti per sottrarsi alle faccende e darsi alla preghiera, anelito continuo della sua anima, mezzo abituale per risolvere le difficoltà quotidiane.
La benefica attività della beata non poteva rimanere circoscritta al paesetto di Acuto, ma era volontà di Dio che si diffondesse nel Lazio e nel regno di Napoli. Dopo le prime fondazioni per De Mattias cominciarono le persecuzioni, i viaggi spossanti, le contrarietà, ma anche le pene inferiori. Confidò difatti al P. Merlini: "Io sono occupatissima per le case dell'Istituto onde vederle perfezionate, e di buon cuore amo faticare per questo bene. Solo le pene interne mi danno fastidio, e alcune volte penso che sarebbe meglio per me andare come conversa in un monastero, dove non vedrei nessuno, tranne il mio amore crocifisso". Invece era volontà di Dio che rimanesse al suo posto ed ampliasse la sede dell'Istituto ormai incapace di contenere le giovani che vi affluivano. Impiegherà vent'anni a portare a termine il fabbricato di casa madre per mancanza di soldi, di salute, di comprensione umana, senza mai vacillare nella persuasione di compiere la volontà di Dio. Per le sue mani passavano denari, viveri e indumenti sempre insufficienti per i crescenti bisogni delle sue figlie spirituali, eppure non li sapeva rifiutare ai bisognosi che a lei ricorrevano.
L'Istituto della beata De Mattias si stabilì anche a Roma per opera di una russa convertita al cattolicesimo, e divenuta figlia spirituale del P. Merlini: la principessa Zenaide Belosesky ved. Wolkonsky (+1862), per il consiglio dato da S. Vincenzo Pallotti (+1850) alla beata il giorno in cui l'incontrò in casa del marchese Emmanuele De Gregorio, nonché l'approvazione di Pio IX. È vero che l'intento della fondatrice era di soccorrere di preferenza le classi più povere dei centri rurali, ma per Roma si poteva fare un'eccezione. Lo esigeva il consolidamento e lo sviluppo della Congregazione. La fondazione trovò ostacoli da parte del vescovo di Anagni, Mons. Pier Paolo Trucchi, il quale mal sopportava l'ingerenza altrui nel governo della Congregazione. Egli non gradì la fondazione di Roma e negò alla De Mattias il permesso di andarla ad avviare. Costei vi andò lo stesso dopo la fuga di Pio IX a Gaeta, perché chiamatavi dal P. Merlini. Il vescovo, che la riteneva un'illusa, proibì allora alle suore delle case aperte nella sua diocesi di ubbidirle. La beata cercò di rimediare agli scompigli che ne derivavano scrivendo alle suore per esortarle alla vicendevole carità, all'ordine, alla preghiera, a non sospirare altro che Gesù Crocifisso, ed al vescovo per ammonirlo "di non dare ascolto ai falsi rapporti e di calmare il suo spirito" se non voleva con la propria durezza arrecare "un gran danno" all'opera. Il vescovo finalmente si accorse che aveva preso un abbaglio e accordò alla fondatrice la necessaria libertà d'azione.
Nella comunità di Acuto, composta da sedici suore, ritornò la quiete e l'ordine. La povertà era estrema, ma la beata, che non amava lasciarsi guidare dalla prudenza umana, scrisse alla Wolkonsky: "Talvolta sembra che si voglia tentare Dio, ma in certi casi conviene alzare alquanto la bilancia e ripetere col nostro Padre: – Ministero e vocazione straordinaria, aiuti straordinari. – Niente si sarebbe fatto fin qui se si fosse camminato diversamente". Nella valutazione delle vocazioni non si lasciava sopraffare da considerazioni umane. Le stava invece sommamente a cuore la formazione delle novizie alle quali dava come parola d'ordine: "Iddio sempre in vista, Gesù in pratica, la vita in sacrificio". Se le avveniva di essere un po' severa nel fare un rimprovero si affrettava a chiedere scusa, magari mettendosi in ginocchio. Per riparare i peccati portava il cilicio, si mortificava mangiando in refettorio i tozzi di pane che era andata a raccattare sotto la tavola delle bambine, scegliendo per sé la cella più povera, riservandosi i lavori più umili convinta com'era di essere "lo straccio, l'asino del convento".
Anche nelle professe si studiava d'infondere lo spirito di sacrificio, l'amore al lavoro, l'attaccamento all'ubbidienza. Anima semplice, voleva che le suddite si studiassero "di mostrarsi sempre aliene da ogni sotterfugio e doppiezza". Raccomandava alle insegnanti di non farsi mai vedere "malinconiche", ma di cercare piuttosto di farsi "amare e temere". Mandandole nelle case diceva loro: "Non crediate di andare a godere, ma a faticare e a patire; non crediate di essere maestre, perché ci vuole ben altro per meritare questo nome, ma stimatevi serve delle alunne". Raccomandava loro che avessero cura soprattutto delle scolare più povere che "sono – diceva – il cuore mio". Voleva inoltre che sapessero compatire le leggerezze di tutte. Esclamava: "Non posso soffrire il pensare di alcune anime, che vogliono il merito dell'educazione senza patire: oh, ignoranza!". Scrisse ad una maestra: "Figlia mia, moriamo contente per Gesù Cristo, e per portare anime al suo costato: gli costano sangue!". A tutte le sue figlie spirituali diceva: "Beate noi se potessimo dare la vita e tutto il nostro sangue per la fede, per salvare anche un'anima sola!". Personalmente era disposta a lasciarsi "tagliare il collo per difendere le verità della fede" e si augurava che le Adoratrici per lo stesso motivo fossero disposte "alle sassate e alle bastonate".
De Mattias sapeva che il bene non si può compiere senza la grazia di Dio. Voleva perciò che le sue religiose fossero anime di preghiera. Quando si trovavano in qualche difficoltà diceva loro: "Andate davanti al crocifisso". Quando andavano a riportarle i loro dissapori si limitava ad esclamare: "Poco parlate e molto pregate!". Per quanto fossero dedite ad una vita attiva, voleva che tutti i giorni facessero un'ora di adorazione al preziosissimo sangue di Gesù, e perché non cadessero nella tiepidezza le esortava alla confessione settimanale e alla comunione quotidiana. Diceva loro: "Qualunque peccato veniale è la peste dell'anima. Dal peccato veniale pienamente avvertito, Dio ve ne liberi".
Finché visse, la beata si occupò della direzione della casa di Acuto, della visita alle sessanta case da lei fondate e della corrispondenza con esse. Non le mancarono opposizioni da parte di alcune suore anziane che disapprovavano il suo modo di formare le novizie; non le mancò la diffidenza del direttore spirituale scontento perché faceva tutto di testa sua; non le mancò neppure una visita canonica provocata dalle voci che circolavano circa la scarsezza del cibo nella sua comunità, ma lei, che aveva proposto di "soffrire in silenzio, soffrire operando, soffrire allegramente o almeno con pazienza", dalla meditazione dei patimenti del Figlio di Dio trasse la forza necessaria per non venire meno alla vocazione di fondatrice.
Un giorno, squassata dalla tosse e minata da etisia, temendo di non riuscire a portare a termine i restauri della chiesa per cui Pio IX le aveva offerto duecento scudi, scrisse: "Sono contenta di finire il sacrificio che ho fatto a Dio della mia vita fra amarissime pene. Se ciò potrò ottenere mi stimerò troppo felice". Il suo desiderio fu esaudito. De Mattias morì a Roma il 20-8-1866 mentre il sacerdote pregava al suo capezzale: "O crux ave, spes Unica". Pio XII la beatificò il 1-10-1950. Le sue reliquie sono venerate a Roma nella cappella della casa generalizia delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 218-224
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