Giuseppe nacque il 3-12-1775 a Ventosa de la Cueva, nella provincia di Avila, regione della Spagna che ha dato alla Chiesa diversi grandi santi. Entrò nel convento domenicano di San Paolo in Valladolid (1796) e si preparò all'apostolato tra gl'infedeli nel celebre collegio di Ocana. Nel 1805 fu ordinato sacerdote e pochi mesi dopo venne inviato nelle Missioni del Tonchino Orientale. Morì nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, martire, decapitato per Cristo sotto l’imperatore Minh Mạng.
Questo missionario fa parte del glorioso manipolo di Frati Predicatori martirizzati in odio alla fede da Mingh-Manh (1820-1840), re del Tonchino (Vietnam), intelligente, ma crudele e xenofobo. Giuseppe nacque il 3-12-1775 a Ventosa de la Cueva, nella provincia di Avila, regione della Spagna che ha dato alla Chiesa diversi grandi santi. Nel fiore degli anni entrò nel convento domenicano di San Paolo in Valladolid (1796). Essendo rimasto conquiso dagli ideali missionari, si preparò all'apostolato tra gl'infedeli nel celebre collegio di Ocana. Nel 1805 fu ordinato sacerdote e pochi mesi dopo meritò di essere inviato nelle Missioni del Tonchino Orientale, dove pose piede nel giugno dell'anno seguente, dopo dure peripezie per mare e per terra.
Il santo esercitò il sacro ministero per trentadue anni restando quasi sempre fisso nel villaggio di Kien-Lao, popolato da circa 5.000 cattolici e da pochi pagani. I frutti spirituali che raccolse tra di loro furono veramente abbondanti se il Priore della Provincia domenicana del SS. Rosario nelle Filippine, da cui dipendevano i missionari del Tonchino, lo nominò suo Vicario per quella regione. Che la scelta fosse caduta sopra un soggetto che si era acquistato molte benemerenze, lo prova il fatto che la lettera di nomina giunse al santo quando, in odio alla fede da lui predicata con tanto zelo e competenza, attendeva il momento di andare a ricevere con il martirio il premio delle sue fatiche.
Da quando era stata inasprita la persecuzione dal re Minh-Manh, deciso a sbarazzarsi di tutti i missionari europei, ad abbattere le loro chiese e a far calpestare la croce a tutti i cristiani, il P. Fernàndez fu costretto ad andare ramingo per terre sconosciute, nonostante la malferma salute e gli acciacchi dell'età. Quando giunse nel villaggio di Ninh-Choung era prostrato dalla dissenteria. S. Pietro Tuàn, che Mons. Clemente Delgado (112-7-1838 ". Vicario Apostolico, aveva ordinato sacerdote per il buon spirito notato in lui, appena seppe delle gravi condizioni di salute in cui versava il Vicario dei Domenicani, era corso a offrirgli i suoi servigi. E poiché l'infermo stentava a riprendersi, risolse di non abbandonarlo un istante benché i persecutori lo incalzassero da tutte le parti. Il Signore lo ricompensò di tanta carità rendendolo partecipe della stessa corona del martirio.
Appena si era sparsa la notizia che il Vicario Apostolico era stato imprigionato, i cristiani di Ninh-Chuong, per evitare le terribili rappresaglie dei mandarini, atterrarono con le proprie mani la casa della missione per costringere i missionari a cercarsi quanto prima un rifugio altrove. I due missionari, fatti due involti delle sacre suppellettili e dei libri liturgici, presi con sé un po' di soldi e di cibarie, in compagnia di due servi si recarono presso Quan-Lieu. al guado del fiume, dove, trovata una barchetta, poterono salirvi sopra e nascondersi tra i canneti della riva opposta. Prendere terra era pericoloso perché le rive del fiume erano rigorosamente sorvegliate dopo che. il 9-6-1838, era stato arrestato Mons. Domenico Henares (+25-6-1838 ), coadiutore del Vicario Apostolico, Mons. Delgado. Essendosi la loro vita resa peggiore della morte, si trasferirono nel villaggio di Qui-Han. nel Vicariato del Tonchino occidentale, affidato ai Padri delle Missioni estere di Parigi, i quali li accolsero con pr mura e li occultarono in casa di un cristiano. I mandarini però ne furono subito informati e allora, i due perseguitati per causa della giustizia, furono costretti a fuggire in barca.
Dopo due giorni di stenti trovarono rifugio nella casa di un pagano che sembrava offrire sufficienti garanzie di sicurezza. Invece, per avidità di guadagno, dopo quattro o cinque giorni, disse loro: "Voi non potete più dimorare in questo luogo: rivolgetevi altrove. Corrono cattive notizie e non siete più sicuri in casa mia". I due fuggiaschi, che si erano fidati delle promesse di lui, erano ben lungi dal sospettare che fosse un delatore. Non si erano ancora allontanati dalla riva del fiume quando videro un gran numero di soldati correre verso di loro. Ormai era impossibile una fuga per quanto repentina. La loro barchetta era stata avvistata e, qualora avessero preso il largo, sarebbe stata presto raggiunta. Il P. Fernàndez poi, malato e semiparalizzato, non poteva muoversi con facilità. S. Pietro Tuàn con i due servi si nascose tra le alte erbe della riva, ma il 18 giugno 1838 fu catturato anche lui e condotto con una pesante canga al collo a Namh-Dinh, capitale della provincia meridionale. Il giudice lo condannò alla decapitazione perché si era energicamente rifiutato di calpestare la croce. Morì tuttavia a causa dei tormenti e della fame il 15 luglio prima che fosse giunta la conferma da parte del re della sentenza di morte.
Poco prima di S. Pietro Tuàn era stato arrestato il P. Fernàndez mentre cercava rifugio sopra una barchetta. Con il missionario caddero nelle mani dei soldati anche i rosari, i libri liturgici e le sacre suppellettili che portava con sé per la celebrazione della Messa. Fu subito tradotto a Ninh-Binh dove, il giorno dopo, fu rinchiuso in una gabbia e trasportato il 22 dello stesso mese a Namh-Dinh. Colà sarebbe morto di fame se, un fervente cristiano, non avesse profumatamente pagato un soldato perché, due volte al giorno, somministrasse il cibo necessario al prigioniero.
E' impossibile ridire gli strapazzi e le umiliazioni alle quali fu sottoposto il martire che aveva le membra talmente paralizzate da riuscirgli impossibile portare con le proprie mani il cibo alla bocca.
I giudici cercarono di abusare del miserando stato del prigioniero per strappargli confessioni compromettenti, ma invano. Invitato ad apostatare fin dalla sua prima comparsa in tribunale, con grande energia il santo dichiarò che era venuto nel Tonchino soltanto per predicare la fede di Cristo e di avere, per questo, corso molti pericoli, di essere vissuto in molte case, e di avere convertito molte persone. Alle domande più capziose o non rispose affatto per non tradire i propri confratelli, o si limitò a ripetere quanto i giudici già conoscevano. Stanchi costoro di non riuscire ad appurare quanto volevano, lo misero a confronto con Mons. Clemente Delgado e Mons. Domenico Henares (125-6-1833), ancora vivi, e il catechista Francesco Chièu. Grande fu la consolazione dei martiri di potersi scambiare liberamente in lingua spagnuola le proprie impressioni e animarsi alla prova suprema di fedeltà al vangelo. I mandarini chiesero a quei prelati se il malfattore che corrispondeva al nome di P. Fernàndez era veramente europeo e se, quanto aveva deposto in tribunale, corrispondeva a verità. A tutto essi risposero affermativamente.
Il 23-7-1838 giunse dal re Mingh-Manh la ratifica della sentenza di morte. Il giorno seguente essa fu letta dinanzi ai giudici e a una grande moltitudine di cristiani e di pagani. In quell'occasione il governatore della provincia disse al missionario: "Adesso ti si deve tagliare la testa. Se vuoi calpestare la croce, ti sarà data la libertà e potrai tornare in Europa: altrimenti morrai". Il martire gli rispose immediatamente: "No, mandarino; dammi la morte, se vuoi, ma, ti supplico, non parlarmi neppure di profanare questo segno di salute mediante il quale tutti gli uomini sono stati salvati".
Il santo fu condotto al supplizio nel pomeriggio dello stesso giorno. Nell'attesa che nel campo detto dei "sette iugeri", già santificato dal sangue dei SS. Henares, Delgado e Chièu, tutto fosse preparato per l'esecuzione capitale, la gabbia in cui il P. Fernàndez soffriva da oltre un mese, fu deposta nell'atrio dei pretorio. Ai monelli di strada fu permessa ogni licenza contro il prigioniero. Essi non si accontentarono di pronunciare parole e compiere azioni invereconde sotto gli occhi del vegliardo, ma ardirono persino strappargli i peli della barba fluente.
Sul campo dei "sette iugeri" il 24-7-1838 fu segata la gabbia in cui era racchiuso il missionario. Poiché non poteva muoversi a causa della paralisi, ne fu estratto e adagiato sopra una stuoia. Il santo si pose in ginocchio per invocare l'aiuto di Dio, e si lasciò legare al palo, mite come un agnello. Con un colpo di spada il carnefice gli tagliò la testa e la scagliò lontano 15 passi per dimostrare che la sentenza era stata eseguita. I presenti si precipitarono sul martire per raccoglierne il sangue e farne a brandelli le vesti. Allora i mandarini, indignati, ordinarono che il giustiziato fosse subito sepolto. La testa di lui rimase esposta al pubblico per tre giorni, poi fu gettata nel fiume; il corpo invece fu portato a Bùi-Chu, accanto a quelli dei confratelli. Leone XIII lo beatificò il 7-5-1900 con altri 76 martiri, e Giovanni Paolo II lo canonizzò con altri 116 testimoni della fede nel Vietnam.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 234-237
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