I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Il Prete (IV)

 16. Torto che fa al prete la tiepidezza.
 17. Del peccato d\’incontinenza nel sacerdote
 18. Del peccato di scandalo nel prete.
 19. Gravità del peccato in un sacerdote.
 20. Castighi dei cattivi sacerdoti.

16. TORTO CHE FA AL PRETE LA TIEPIDEZZA. – «Provvedete, diceva S. Paolo ai preti di Efeso, a voi ed a tutto il gregge al quale Dio vi ha preposti per governare la sua Chiesa che si è acquistato col suo sangue (Act. XX, 28). Noi corriamo in aiuto di chi incappa nei malandrini, di chi si accascia sotto un peso, di chi va naufrago o cade nel fuoco; e non muoviamo poi un dito a soccorso di un\’anima che precipita nell\’inferno!… Sarebbe questo veramente il caso di ripetere con S. Gregorio Papa: «Il mondo ribocca di preti, tuttavia è raro trovare un buon mietitore nella messe di Dio; perché ci addossiamo l\’uffizio sacerdotale, ma dell\’adempirlo poco o nulla ci diamo pensiero (Homil. XVII, in Evang.)».
L\’Apostolo delle genti fa dovere ai sacerdoti, nella persona di Timoteo, di non trascurare, cioè di non lasciare inerte ed infeconda la, grazia che hanno ricevuto nell\’ordinazione sacerdotale (I Tim. IV, 14). S. Gregorio Papa non dubita di affermare che il sacerdote uccide quell\’anima che per suo colpevole silenzio lascia andare perduta. Tante anime uccidono i sacerdoti, quante ne vedono incappare nei lacci del peccato e della morte, senza che essi se ne commuovano e alzino la voce; poiché del peccato della pecora, si dà colpa al pastore che per negligenza o tepidezza si è taciuto. Perché dunque egli non partecipi alla colpa della pecora e si perda con lei, bisogna che si scuota dal suo torpore, vigili, si opponga alle opere malvagie, secondo quello che sta scritto nei Proverbi (VI, 3-4): Corri, affrettati, sveglia il tuo amico, nega il sonno ai tuoi occhi, non chiudere palpebra (Moral. I. XXII). Dice S. Giovanni Crisostomo: «Se dodici uomini bastarono già a fare sì che il lievito della fede fermentasse in quasi tutto il mondo, pensa quanta sia la poltroneria e la viltà nostra, che essendo già cresciuti in si gran numero da dover bastare a mille mondi, non possiamo nemmeno finire la conversione di quelle poche genti che rimangono (Homil. III, in Act.)». Anche S. Bernardo avverte che le colpe degli inferiori a nessun altro si possono attribuire con ragione che ai sacerdoti e vescovi tiepidi e negligenti (De Consid.): i quali, come dice S. Pier Damiani: «Ambiscono di essere i primi, ma non si curano di rendersi utili» (Lib. II, epist. II).
Gedeone licenziò dal suo esercito, 1° tutti i timidi, i paurosi; così Gesù Cristo ripudia, come soldati vili e indegni, quei sacerdoti che, troppo teneri di se stessi, non portano la sua croce, che esagerando la loro debolezza, quietano nell\’infingardaggine e nella tepidezza… 2° Rinviò a casa quelli che avevano bevuto piegando il ginocchio; così Gesù rigetta da sé quei preti che, pieni di freddezza, di pusillanimità, si curvano verso le cose terrene, vi si appigliano e non fanno nulla per le anime. Di costoro parla Iddio in Ezechiele: «Guai a voi che non avete pasciuto il mio gregge, non avete guarito la pecora inferma, non fortificato la debole, non fasciato la ferita, non rialzato la caduta, non cercato la smarrita. E i miei agnelli andarono sbrancati perché non avevano pastore» (EZECH. XXXIV, 3-5). Questi sono quei pastori di cui scrive S. Gregorio Magno: «I pastori che si contentano d\’insegnare, ma conducono vita tiepida, uccidono i loro uditori non facendo per pigrizia quello che predicano, ancorché li nutriscano con la parola; e soffocano con la negligenza coloro che sembrano nutrire col latte della parola (Moral.)».
Tale razza di sacerdoti Dio minacciò che darebbe ai popoli per loro castigo. «Io susciterò su la terra, dice il Signore, un pastore che non guarderà le pecore abbandonate, che non cercherà le smarrite. Pastore inutile, che abbandona il gregge» (ZACH. XI, 16-17). In questo caso si avvera quell\’imprecazione di Osea: «Dà loro, o Signore, ma che darai? Viscere sterili ed aride mammelle» (OSE. IX, 14). Questo avviene nei predicatori, nei pastori, nei prelati, nei confessori, e in tutti quelli che devono generare assieme a Dio. Perché quando si sforzano di adempire il loro ministero per puro zelo della gloria di Dio e della salute delle anime, essi risplendono per il numero e le virtù dei loro figli spirituali: ma se cercano se stessi, se desiderano il denaro, se amano gli agi e il riposo, ben presto le loro viscere divengono sterili e le mammelle della grazia si disseccano; di maniera che essi non possono più né partorire figli spirituali a Gesù Cristo, né allattare ed allevare i già partoriti, come appunto insinuò il Redentore con quelle parole: Chi non rimane in me, sarà stralciato come sarmento secco e gettato ad ardere sul fuoco. Come il sarmento non può dare frutto da se stesso, se non rimane attaccato alla vite, così anche voi non potete nulla, se in me e con me non rimanete (IOANN. XV, 4-6). Perché tutto il succo e il vigore della grazia, per cui viviamo, cresciamo, ci rinforziamo e produciamo frutti, ci provengono da Gesù Cristo.

17. DEL PECCATO D\’INCONTINENZA NEL SACERDOTE. – Se è vera la regola generale, che l\’insegnamento dato per mezzo di buoni costumi è puro ed efficace, e che i discorsi e le prediche di chi ha cattiva condotta sono fiato sprecato, sono frasi sparse al vento; tanto più ciò avviene se chi dà l\’insegnamento lascia trasparire nella sua vita macchie d\’incontinenza e di lussuria, La lingua impura macchia il Vangelo che predica, Quindi, assennatamente, Papa S. Gregorio osserva che chi vuole correggere gli altrui vizi, deve andarne esente egli il primo: perché l\’occhio ingombro di polvere non può scorgere bene la macchia che è nel corpo; ed una mano lorda di fango, non può pulire un abito dalle zacchere. Davide, uomo di sangue, non può, per divieto del Signore, innalzare un tempio a Dio, Chi si macchia del peccato carnale, deve vergognarsi d\’insegnare e condurre spiritualmente le anime degli altri (Moral. 1. VI, CXVI).
All\’incontinenza più che mai conviene la sentenza di Tertulliano: «Bisogna avvalorare con l\’autorità di una vita la forza dell\’insegnamento, affinché le parole non si volgano in soggetto di vergogna, perché non confortate dalle buone opere (Lib. I. de Pat. c. 1)». Infatti, come sentenzia S. Isidoro: «Se la purità fa il prete, l\’impudicizia distrugge la dignità del prete» (Lib. III, epist. LXV). E quelli solamente, dice Clemente Alessandrino, sono veri sacerdoti di Dio, che menano una vita pura (Strom. Lib. III).
Nessuno può, dice S. Ambrogio, farsi medico agli altri, se prima non ha purgato il suo cuore da ogni neo di peccato. Cominci dunque il sacerdote a stabilire la pace in se stesso, affinché possa darla agli altri. Come gli basterà l\’animo di mettersi a mondare gli altrui cuori, se non ha prima mondato il suo? (Lib. V, in Luc. VI). «O preti lussuriosi, grida S. Pier Damiani, voi siete le vittime del demonio, destinate all\’eterna morte, e il diavolo di voi si pasce e s\’ingrassa come di squisitissime vivande. E come mai, voi che predicate la castità, non arrossite d\’essere i vili schiavi del vizio impuro? (Lib. V. epist. III). Non viola egli, l\’impudico, il tempio di Dio? esclama in altro luogo il medesimo Santo; deh! non convertite in vasi d\’ignominia, i vasi consecrati a Dio (Opusc. X, d. II)». E non è cosa indegna, dice Papa Innocenzo II, che siano schiavi dell\’impurità coloro i quali devono essere il tempio e il tabernacolo dello Spirito Santo? (Cap. Decernimus, distinct. XXVIII)».
I popoli si mostrano scandalizzati e guardano inorriditi un prete incontinente e lussurioso: invece di portare loro soccorso, è per essi mi soggetto di vergogna, di confusione e di morte. A tutta ragione Papa Innocenzo III stabiliva che nessuno si deva ammettere agli ordini sacri, se non è vergine, o di castità lungamente provata (A multis de qual. et aetate ord.); e S. Gregorio Papa voleva che chi cade in peccato carnale dopo ricevuti gli ordini sacri fosse privato dell\’esercizio del suo ordine per modo che più non si accostasse all\’altare (In Cap. Pervenit, distinc. L). E infatti i preti impuri, come dice Clemente Alessandrino, insultano, oltraggiano, e per quanto sta da loro imbrattano e macchiano Dio medesimo, volendolo associare alle loro impurità (Paedag. lib. II, c. X).
Questo è il lamento che fanno parecchi altri Santi Padri: «Chi sarà così empio, dice S. Agostino, da ascendere all\’altare con le mani lorde di fango? ( Serm. CCXLIV, de Temp.). Le mani le quali si bagnano del sangue di Cristo, non s\’imbrattino mai del sudiciume del peccato (Serm. XXXVII, Tract. ad Ioann.)». «O sacerdote, esclama S. Pier Damiani, che devi offrire la santa vittima, non immolare prima te medesimo in vittima allo spirito maligno (De coelesti Sacrif. c. III)». «Come può mai essere, dice inorridito S. Bernardo, che preti impuri asino maneggiare le carni dell\’Agnello immacolato, e bagnare le mani nel sangue del Salvatore? (In Declam.)». Frasi ancora più energiche e terribili adopera S. Pietro di Blois: «Chi pronunzia le parole sacramentali con lingua impura, sputa sul volto al Salvatore, e quando nella bocca infame mette l\’ostia santa, la getta in una fogna (Serm. XXXVIII)». «Quando un prete, scrive S. Gregorio Magno, si incarica della cura di un popolo, egli è come un medico che si avvicina al letto di un infermo. Ora se la passione della carne è tuttavia in lui ardente, con qual fronte s\’accingerà a portare rimedio al ferito, lui che mostra in viso la piaga della lussuria? (Pastor. P. l, c. IX)».
Dei sacerdoti incontinenti possiamo dire col Profeta: «Come mai: si è annerito l\’oro, ed oscurato il suo vivo splendore! Le pietre del santuario giacciono disperse in capo ad ogni strada. Quelli che vivevano delicatamente caddero sfiniti su le pubbliche vie; quelli che banchettavano squisitamente nella casa del Signore, si gettarono a sfamarsi su le immondizie» (Lament. IV, 1-5).
«Con quanto gelosa cura non dovrebbero custodire la castità coloro che si nutrono tutti i giorni delle carni sacratissime dell\’Agnello?», esclama Cassiano (Lib. VI, c. VIII). La pudicizia sacerdotale deve essere esente, come scrive S. Gerolamo, non solo da ogni azione disonesta, ma ancora da ogni sguardo indecente (In c. I Epist. ad Tit.); anzi è necessario, dice il Crisostomo (De Sacerd. lib. III, c. IV), che il prete sia così puro, che se fosse trasportato in cielo, potesse sedere con onore in mezzo alle angeliche schiere. Quindi San Paolo raccomandava al suo discepolo Timoteo di conservarsi affatto puro (1, V, 22); e S. Ignazio martire scriveva al diacono Onorio : Mantieniti mondo, essendo tu la casa di Dio, il tempio di Gesù Cristo (Epl. X, ad Honor. diac.).
Inoltre, chi più del sacerdote ha bisogno di tenersi in comunicazione e stretta unione con Dio? Ora questo non si ottiene meglio. che con la castità la quale purificando le menti degli uomini fa loro vedere Iddio (Serm. August. CCXLIX, de Temp.), secondo la formale promessa fatta da Gesù Cristo con quelle parole: «Beati i mondi di cuore, perché vedranno Iddio» (MATTH. V, 8). Mentre al contrario per l\’incontinenza l\’uomo si allontana enormemente da Dio (S. THOM. 1.a 2.ae q. 37, art. 1-5); appena datosi all\’impurità, comincia a deviare dalla retta fede, scrive S. Ambrogio (Epist. I, ad Sabin). Tremendo castigo riservato particolarmente al sacerdote incontinente! Ascoltiamo tremando queste spaventose parole di S. Pier Damiani: «Chiunque arde della fiamma della concupiscenza carnale, e non teme di ascendere al sacro altare, questi sarà consumato dal fuoco della divina vendetta (Opusc. XXVII, de Comm. vitae, can. c. III)». E quale àncora di speranza rimane a colui che, ammesso alla tavola celeste, non solamente non ci va abbigliato con lo splendido indumento spirituale, ma vi si presenta spandendo da lungi la puzza della pestifera lussuria? (Opusc. XVIII, dist. I, C. IV).
S. Tommaso insegna che l\’impurità genera la cecità di spirito, l\’odio di Dio, l\’amore del secolo presente, l\’orrore dell\’avvenire (2.a 2ae, q. 153, art. 4). «I vizi della carne, dice altrove questo santo Dottore, soffocano il giudizio della ragione, perché la lussuria trascina l\’anima tutta intera nel piacere (2a 2ae q. 53, art. 6, ad 3.m) ». Di modo che S. Giovanni Crisostomo non dubita di asserire che «né avvertimenti, né consigli, né altro mezzo qualunque giova a salvare un\’anima ingolfata nella passione impura (Homil. contra Luxur.)». E così avviene per quella ragione notata già da S. Agostino, che cioè nessun\’altra passione al pari di questa si cambia più facilmente in abito, per poco che le si permetta di mettere radice, e non resistendo all\’abitudine, questa diventa presto una necessità (Confess. lib. VIII, c. XXV). «Ah! verrà quel giorno, o piuttosto quella notte, esclama S. Pier Damiani, in cui questa passione brutale si convertirà in pece la quale servirà a nutrire quel fuoco inestinguibile che vi divorerà le viscere in eterno (Opusc. XVII, de coelest. Sacerdot.)».

18. DEL PECCATO DI SCANDALO NEL PRETE. – Udite, o sacerdoti scandalosi, i terribili giudizi dei santi Padri: «Le colpe degli inferiori hanno la loro più frequente e principale origine dalle colpe dei superiori, dice S. Bernardo (De Consider. lib. II): e la rovina morale del popolo deriva dalla scandalosa condotta del prete (Id. in Converso S. Pauli). «I cattivi sacerdoti, dice S. Gregorio Magno, sono la causa della perdita dei popoli (Lib. XIV, epist. LXIV) i quali si credono permesso ciò che vedono farsi dai loro pastori, e dietro l\’esempio di costoro più spudoratamente si abbandonano al vizio (Pastor. Pars. I, c. II)».
Il Signore dice al peccatore scandaloso: «Perché mai ti arroghi l\’uffizio di annunziare i miei voleri? come osa la tua bocca farsi predicatrice della mia parola? Tu il quale odi l\’ordine, e ti sei gettato dietro le spalle i miei comandi! Tu, che con gli adulteri hai scelto la tua porzione!» (Psalm. XLIX, 16-18). Il medesimo linguaggio tiene S. Paolo il quale così investe uno di questi tali: «E tu che agli altri insegni, te medesimo non ammaestri? tu comandi di non rubare, e sei il primo a rubare; proibisci l\’adulterio, e tu lo studi; dici di abominare gli idoli, e commetti sacrilegio; ti vanti di appartenere alla legge, e disonori Dio violando la legge. Infatti per causa vostra il nome dell\’Onnipotente è bestemmiato in mezzo alle nazioni» (Rom. II, 21-24). «Insegnare rettamente e vivere scandalosamente che altro è, dice S. Prospero, se non condannarsi di propria bocca? (In Epl. ad Rom.)». «Cosa mostruosa, dice S. Bernardo, è accoppiare un grado elevato ad un animo ignobile; un seggio ragguardevole ad una vita plebea; una lingua magniloquente ad una mano oziosa; un volto grave ad opere leggere; una faccia severa ad una bocca burlesca: molte parole e nessun frutto, grande autorità e nessuna fermezza (De Consider. I, II)». Quindi il medesimo Dottore nota piangendo in altro luogo: «Che un gran numero di fedeli, vedendo la malvagia condotta dei preti scandalosi, si sentono vacillare e anche, non di rado, mancare nella fede; non schivano più i vizi, disprezzano i sacramenti, non hanno più orrore dell\’inferno, non più desiderio del paradiso (De XII Poenit. imp. serm. XIX)».
Il prete scandaloso è simile ad un pozzo le cui acque lavano, ma egli ha bisogno di essere nettato; S. Gregorio lo paragona all\’onda battesimale la quale monda dal peccato originale, e intanto essa medesima va a perdersi in una cloaca. «Non si dà cosa più vergognosa, scrive Salviano, che sedere in altissimo luogo, e strisciare bassissimo per viltà di costumi (Lib. ad Eccles. cathol.)». «Che farà il laico, domanda Pietro di Blois, se non quello che vedrà fare dal suo padre spirituale? (Serm. LVII, ad Sacerd.)». O come giusta è quell\’osservazione di S. Agostino, che alla vista dei preti scandalosi, i popoli possono rispondere ai sacerdoti buoni che li rimproverano dei loro traviamenti: Che ci venite a parlare di correzione? I laici in fin dei conti non fanno altro se non quello che vedono fare al prete! e voi volete costringermi a fare diversamente da lui? (Serm. LVII, De verb. Domini). Infatti, dice S. Gerolamo (Ad Heliod. Epist. III): «Tutti credono di poter fare quello che vedono fare al sacerdote. Guardatevi adunque dal mai fare cosa che possa indurre i laici a peccare».
Quando il pastore cammina in mezzo ai precipizi, ne viene per conseguenza che anche il gregge vi si sprofondi, osserva S. Gregario Papa; ed esclama: «O cielo! se pecchiamo noi che dobbiamo arrestare il corso dei peccati, pensate che ne sarà del gregge, quando i pastori diventano lupi. Quale intercessore rimarrà per colui il quale si lancia da sé nel baratro con la trasgressione della legge, mentre per l\’uffizio doveva intercedere per gli altri? (Pastor. pars I, lib. II)». O qual valore avrà presso Dio l\’intercessione di quel prete che è nemico di Dio? «Pensa, dice S. Bernardino da Siena, che fosti costituito perché regga, non perché rapini; perché governi, non perché diserti; ministro, non despota; dispensario, non dissipatore od usurpatore; tutore non scialacquatore (In eius Vita)». «Non si è mai veduto, scrive S. Giovanni Crisostomo, che uno stando nella valle possa gridare sul monte; ma o parla di dove stai, o sta’ di dove parli. Se l\’anima tua striscia su la terra, come puoi discorrere del cielo? E meglio fare e non insegnare, piuttosto che insegnare e non fare; poiché colui il quale fa buone opere, può ben essere che corregga qualcuno col suo buon esempio; ma colui che insegna e non opera, non solamente non corregge nessuno, ma di più ne scandalizza molti. Infatti come non si sentirà uno fortemente tentato a peccare, quando vede peccare i Dottori medesimi della giustizia? (Homil. IX et X, in Matth.) ».
Elia chiuse il cielo, trattenne la pioggia, e cagionò la carestia in Israele per tre anni. Questo Profeta così fece per castigare i Giudei colpevoli: e così fa nello spirituale il sacerdote scandaloso, per la rovina delle anime. E questa un\’osservazione di S. Giovanni Crisostomo (Hom. in lib. Reg.). Davide scrisse una lettera a Gioabbo, in cui ordinavagli che cercasse modo di spacciare Uria, e quella lettera fu recapitata a Gioabbo da Uria medesimo (II Reg. XI, 14). Bella figura, dice S. Tommaso, dei sacerdoti istruiti i quali, mentre sanno e insegnano, e non fanno, portano essi medesimi le lettere della loro morte. Sono lettere non munite di sigillo, cioè la scienza non corroborata dalla buona condotta; perciò non si presta loro credenza (Praef. in Epist. can.). O come bene a questi tali s\’adattano quelle parole della Sacra Scrittura: «Com\’è caduto l\’uomo potente che salvava il popolo d\’Israele?» (1 Mach. IX, 21). Le anime sono trascurate, abbandonate; gemono nel duolo, languiscono nella miseria, muoiono di sfinitezza… Prete scandaloso, tu puoi in tutta verità fare tuo quel detto d\’Isaia: «Io ho profanato il mio patrimonio» (ISAI. XL VII, 6). Ho profanato il mio Dio, la mia anima, la Chiesa, il cielo, le anime che mi erano state date in eredità; eredità che io dovevo accudire ed ho perduto!…
Così ragiona S. Bernardo: «Se il Signore ha dato il proprio sangue per il riscatto delle anime, non vi pare evidente che più crudele persecuzione egli soffre da colui che con i suoi scandali gli ruba le anime da lui redente, che non da colui che fu la causa dello spargimento del suo sangue? (Serm. in Convers. S. Pauli)». A costoro accenna il Signore, quando si lagna per bocca di Geremia, che cattivi pastori hanno devastata la sua vigna e calpestata la sua eredità, cambiata in aspra solitudine la ridente e dilettevole sua campagna (IER. XII, 10-11). A loro sono diretti quei rimproveri del medesimo Profeta: «I custodi della legge non hanno punto conosciuto, dice il Signore, i pastori hanno violato i miei precetti; parlarono a nome di Baal, e corsero dietro gli idoli…Il mio popolo è stato un gregge perduto: i loro pastori li hanno ingannati e condotti a traviamento su per aridi monti; poi se li divorarono» (IEREM. Il, 8), (Id. L, 6-7).
Quando un albero ingiallisce, secca e muore, si vede che le sue radici sono corrose o infracidite; così pure se incontrate un popolo irreligioso, conchiudete pure in sul sicuro che ebbe od ha pastori e sacerdoti scandalosi. «Se un uomo del popolo, dice S. Bernardo, travia, perisce egli solo: ma l\’errore di un capo involge molti, e a tanti fa danno, a quanti sovrasta (Epist. CXXVII). I preti che si abbandonano alla mala via, vi trascinano i popoli, uccidendo e uccidendosi ad un tempo (Id Serm. LXXVII, in Cant.)». «Noi crediamo, predicava S. Gregorio Magno, che siano per i loro scandali, autori della rovina e morte del popolo, coloro che dovevano condurne le anime alla vita (Homil. XVII, in Evang.)». Infatti qual bene potrà ancora augurarsi da tale razza di preti? «Avete voi mai veduto, domanda San Bernardo, uomo così stolto, che vada a cercare acqua pura in mezzo ad una fogna? come giudicherò io atto a darmi buoni consigli un tale che vedo seguirne per conto suo dei pessimi? (Ad Caecil. c. XX)».
A parere del medesimo Padre, non vi è peste più esiziale nella Chiesa di Dio, principalmente presso gli animi meno robusti nella fede, che i preti ignoranti e viziosi (De Ord. Vitae, c. I); per i cui ribaldi costumi il santuario di Dio viene diroccato (S. HIER. Epist. XLVIII); e la legge cristiana diventa zimbello alle canzonature ed agli insulti degli empi (SALVIAN., lib IV, ad Eccles. cathol.). «Niente arreca tanto grave danno alla causa di Dio, ripete S. Gregorio, quanto il prete, che, posto a dare buon esempio, scandalizza il popolo con la cattiva condotta (Homil. XVII, in Evang.)»; egli si fa, come dice S. Efrem, amo avvelenato che coglie le anime (Serm. IV). Ma pensi, dice S. Gregorio, che di tanti omicidi egli si fa reo e di tanti morti si rende meritevole, quanti sono i cattivi esempi che dà al popolo (Pastor. pars III).
S. Bernardo parlando ai sacerdoti, usciva in questi lamenti: «Molti vi sono oggi di, cattolici nelle loro prediche, eretici nelle loro azioni. Ciò che quelli facevano con dogmi erronei, questi fanno coi loro costumi corrotti; con questa differenza, che il male cagionato dagli scandali dei sacerdoti è molto più grave di quello prodotto dagli eretici, perché assai maggiore efficacia hanno le opere che non le parole (Ad Pastor in Synod.)». Perciò S. Pietro di Blois avvertiva piangendo, come per i peccati e la trascuranza dei preti, le eresie avevano messo radice, e la Chiesa di Dio era divenuta oggetto di scherno, di obbrobrio, di disprezzo (Serm. LX, in V, c. Oseae); e S. Gerolamo constatava che, svolgendo le storie antiche, ne aveva raccolto che non mai da altri più fieramente assalita e più spietatamente lacerata era stata la Chiesa e sedotti i popoli, che dai cattivi sacerdoti (In Cant.). Infatti, come avverte S. Clemente, quella pecora che non segue il buon pastore corre pericolo di cadere nelle zanne del lupo; ma quella che segue un pastore cattivo, è certa della sua morte, perché è divorata (Strom. lib. I); non essendovi al mondo, per sentenza di S. Gerolamo, belva più crudele di un sacerdote cattivo (Epist. ad Damas.).

19. GRAVITÀ DEL PECCATO IN UN SACERDOTE. – «Grande è la dignità dei sacerdoti, esclama S. Gerolamo, ma grande ancora è la loro rovina se peccano (Lib. III, in Ezech. c. XXIV)». Infatti, si può cadere da più alto che dal cielo? Or bene cade dal cielo, dice S. Pier Crisologo, chi manca nei celesti uffizi (Serm. XXVI). Ora non sarà caduta gravissima e terribile, il cadere da tant\’alto? E, infatti, molto più enormi sono le colpe nei preti, che nei laici, 1° per ragione del loro carattere sacro; 2° per la loro elevazione; 3° per i maggiori lumi ch\’essi hanno; 4° per gli uffizi che esercitano; 5° per le grazIe più abbondanti che hanno ricevuto; 6° a cagione della loro maggiore ingratitudine; 7° per riguardo di quello che i popoli da loro hanno diritto di attendersi; 8° per le stragi che mena il loro peccato. Questo ci dà ragione di quel troppo di severità e di esagerazione che a prima vista ci pare di trovare in quella sentenza di S. Bernardo: «Le facezie nella bocca dei laici sono facezie, nella bocca dei sacerdoti suonano bestemmia»; e di quell\’altra d\’Innocenzo Papa III: «Vi sono non poche colpe che per i laici sono veniali, e per i chierici sono mortali» (Serm. in Const. pont.).

20. CASTIGHI DEI CATTIVI SACERDOTI. – «Voi avete abbandonato la buona strada, dice il Signore ai sacerdoti prevaricatori, avete
scandalizzato molti; voi avete resa vana la mia alleanza. Perciò io ho abbandonato voi al ludibrio ed ai vituperi del popolo» (MALACH. II, 8-9). E giusto che il prete il quale disprezza Dio, disprezza il proprio ministero, disprezza l\’anima sua, disprezza i fedeli, sia egli stesso ripagato di disprezzo dal popolo. E giusto che chi disonora e macchia il sacerdozio, sia egli medesimo fatto segno all\’onta, al vituperio universale. «O preti, continua Iddio, che non volete darmi retta, che vi ricusate di dare gloria al mio nome, che non rispettate voi medesimi, che disertate la mia vigna; sappiate ch\’io invierò sopra di voi la miseria, e maledirò le vostre benedizioni» (Id. II, 2).
A voi, o sacerdoti, sono dirette queste parole della Sapienza: «Udite ed istruitevi, voi che giudicate la terra; date orecchio voi che presiedete ai popoli. Il potere vi è stato dato dal Signore e la forza vi viene dall\’Altissimo il quale interrogherà le vostre opere e scruterà i vostri pensieri: poiché voi, essendo i ministri del suo regno, non avete giudicato con equità, non avete osservato la legge di giustizia, non vi siete regolati a norma della volontà di Dio. Egli vi comparirà innanzi improvviso e terribile, perché un giudizio rigorosissimo aspetta quelli che presiedono. Misericordia si userà coi piccoli, ma i potenti saranno potentemente tormentati. Ai più grandi un più grande supplizio sta riservato» (Sap. VI, 2-9).
Nei castighi descritti nel nono capitolo di Ezechiele, sta notato che Dio volle che i sacerdoti fossero. i primi ad essere puniti (IX, 6), e anche S. Pietro avverte che il giudizio dovrà incominciare dalla casa di Dio (I PETR. IV, 17).
«A chi fu dato molto, sarà anche domandato molto», disse Gesù Cristo (LUC. XII, 48). Il laico non avrà da rendere conto che di se stesso, ma il prete risponderà di tutto il popolo… «Io chiederò il sangue suo dalla tua mano, o sacerdote», dice Iddio per bocca di Ezechiele (EZECH. III, 18). E in altro luogo ripete: «Le mie pecore andarono disperse e caddero preda alle fiere dei boschi, perché non avevano pastore che le governasse. Perciò ascoltate, o pastori, quello che vi manda a dire il Signore: Io vengo, io in persona, a questi pastori, e dalle loro mani esigerò il mio gregge» (Id. XXXIV, 5-9). «Guai ai pastori che disperdono, sbaragliano, sventrano e sbranano il gregge delle mie pasture! I sacerdoti si sono macchiati del suo sangue ed io ne ho veduto le chiazze su le loro vesti e sui muri delle loro case: perciò la loro via sarà un sentiero di ghiaccio in mezzo alle tenebre; saranno incalzati e si urteranno, ed io rovescerò sopra di loro ogni sorta di mali» (IEREM. XXIII, 1, 11-12). Che gioia, che festa fa l\’inferno al giungervi di un cattivo prete! Pensava certamente a questo caso il Salmista, quando dettava quei versetti: «Tutto l\’inferno si è posto in moto per andargli incontro. Tutti i principi di quella terra di miseria si alzarono dai loro seggi per aprirgli libero il cammino fino al più profondo baratro, e lasciargli il primo posto vicino a Lucifero. Tutti al suo comparire diedero in sghignazzi e in urla, gridando: Ah! anche tu sei stato ferito come noi; anche tu sei divenuto simile a uno dei nostri» (Psalm. XVI, 9-10).