di Jean Ousset. (Traduzione a cura di totustuus.it del Cap. IV (La Revolución. Su Quinta columna) del volume “Para que El reine” ("Affinché Egli regni"), Speiro, Madrid 1972, pp. 191-237. [INCOERENZA DEI CATTOLICI LIBERALI] L’apostata Renan se la prende con quel che egli chiama “(…) l’illusione dei cattolici laici che si dicono liberali. Non sapendo di teologia né di esegesi, fanno dell’adesione al cristianesimo una semplice iscrizione ad un’associazione. Prendono e lasciano a piacere (…) Chiunque abbia studiato teologia non sarebbe capace di tali contraddizioni (…) ”.
INCOERENZA DEI CATTOLICI LIBERALI
I rivoluzionari, come dimenticano presto l’interesse che li spinge ad applaudire i cattolici liberali che servono la loro causa, così non hanno mai smesso di sottolineare l’assurdità profonda e la contraddizione fondamentale della loro posizione.
“Immaginate – scriveva Michelet – un nodo ferroviario dal quale si parte verso il nord per Lilla e verso il mezzogiorno per Burdeos. Chi sarà il tonto che ritiene che quelle strade si incontreranno? Si danno le spalle: quanto più avanzano, tanto più diventano lontani l’una dall’altra. Pensate, dunque, prima di salire su quei treni. Scegliete bene il vostro vagone. I democratici cristiani non cercano forse di salire su due treni alla volta, unendo i principi della Rivoluzione e del cattolicesimo?” (cit. in Mon curé à sa place, Cavalier y de Cheyssac, Bossard, edit.).
L’apostata Renan non sarà più delicato. Dopo aver segnalato nei suoi Souvenirs d’enfance et de jeunesse (Nelson edit., p. 21), che una “delle peggiori rovine intellettuali è quella dei giochi di parole”, se la prende con quel che egli chiama “l’illusione dei cattolici laici che si dicono liberali. Non sapendo di teologia né di esegesi, fanno dell’adesione al cristianesimo una semplice iscrizione ad un’associazione. Prendono e lasciano a piacere … Chiunque abbia studiato teologia non sarebbe capace di tali contraddizioni … Il cattolicesimo che io ho imparato non è questo bolso compromesso valido per laici, che ai nostri giorni ha dato luogo a tanti malintesi … ”.
Se questo è stato il verdetto di non cattolici dichiarati, si deve accettare la severità del Cardinal Billot quando, nel suo celebre trattato De Ecclesia, scriveva: “Il liberalismo dei cosiddetti ‘cattolici liberali’ è refrattario ad ogni classificazione e non possiede se non una sola nota distintiva e caratteristica: quella della più perfetta e assoluta incoerenza”.
“La verità di questa proposizione risalta facilmente – procede l’illustre teologo – anche solo considerando i termini uniti nella denominazione ‘cattolico – liberale’”.
Infatti, cattolico è chi professa gli insegnamenti della fede cristiana e, innanzi tutto, questa verità fondamentale contenuta nel catechismo: “Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell\’altra in paradiso”.
Passiamo ora alla professione di fede liberale. Non c’è dubbio che il liberale, secondo l’attuale accezione del termine, è colui che professa, approva e cerca di promuovere i cosiddetti “immortali principi del 1789”.
Vediamo cosa contengono quei principi.
Innanzi tutto, mettiamo da parte ciò che, in quei principi, non ne fa propriamente parte in quanto preso dall’antico fondo comune del diritto naturale, della giustizia naturale di cui qui non parliamo.
Sostengo che quei principi, ridotti all’espressione più semplice e seguendo la loro più esatta comprensione, proclamano l’indipendenza delle cose umane di fronte alla cose divine; la sottrazione delle istituzioni civili alla legge religiosa, la separazione del regime temporale da quello che persegue il fine ultimo e supremo; infine, in una parola, il passaggio della Città a una sfera privata dove cessa la giurisdizione divina, dove per l’uomo termina l’obbligo di riconoscere Dio e rendergli culto …
Ecco il contenuto di quei principi e questa è interpretazione ad essi più favorevole. Infatti, lo spirito degli antenati della Rivoluzione che è, d’altra parte, perfettamente conforme alla logica dei fatti realmente accaduti, porta con se anche la secolarizzazione completa e assoluta, cioè l’espulsione del principio della sovranità di Dio dal mondo e la rottura definitiva di ogni società umana con la Chiesa, Gesù Cristo, Dio …
Anche non accettandoli che in modo mitigato, come non vedere che questi principi sono tali da essere inconciliabili con i principi fondamentali del cristianesimo?; che ogni tentativo di conciliazione non può dare, necessariamente, altro risultato che la più perfetta incoerenza?
Questa incoerenza appare, dapprima, tra coloro che distinguono tra i principi astratti e la loro applicazione riconoscendo come vero quanto si è detto sulla necessità dell’unione e subordinazione dei poteri, ma solo finché resta una verità esclusivamente speculativa.
Infatti, per costoro, una cosa è l’oggetto della speculazione, altro è quanto accade nell’ordine concreto, per molti aspetti in disaccordo con le condizioni della teoria: e così pensano di aver soddisfatto le esigenze della verità, relegandola alle regioni dell’astrazione.
Ci si permetta, ciò nonostante, una domanda: i principi che essi trattano come astratti, fanno parte o no del capitolo sulla morale? Forniscono o no una norma agli atti umani, una regola che domini il nostro agire, cioè un agire che nella società umana deve essere orientato nella direzione richiesta dal fine che si deve cercare di ottenere? E se, come è evidente, quei principi sono comandamenti pratici, come non tacciare di incoerente colui che li ammettesse e, allo stesso tempo, non volesse metterli in pratica?
Peraltro, dal fatto che l’ordine concreto delle cose differisce dalle condizioni ideali della teoria, si deduce soltanto che le cose concrete non avranno mai la perfezione dell’ideale; ma non si possono derivare altre deduzioni.
Con quel modo di ragionare, si potrebbe sostenere che anche i precetti relativi alle virtù devono essere relegati al campo della speculazioni, perché le condizioni della vita non permettono tale realizzazione. Allo stesso modo si potrebbe sostenere che le scienze matematiche non possono o non devono essere applicate alle arti, magari adducendo il pretesto che il triangolo ideale – esatto, geometrico – non si incontra nella realtà o perché l’effetto sperimentale contraddice sempre il rigore del calcolo.
La stessa incoerenza si riscontra nella distinzione tipica dei cattolici liberali tra il diritto e il fatto, tra ciò che il diritto dovrebbe essere e ciò che è, di fatto, utile alla Chiesa. “Di fatto – dicono essi – il regime di unione con lo Stato è sempre stato pernicioso per la Chiesa. Infatti, questa non ha mai sofferto mali peggiori che quelli dovuti alla presenza dei “vescovi esterni”, ossia dei principi protettori, come testimoniano le lotte incessanti con gli imperatori di Bisanzio, i Cesari germanici, i Re di Francia, Inghilterra e Spagna, ecc. … La Chiesa muore a causa degli appoggi temporali che si è imprudentemente procurata. Conclusione: non c’è che un solo mezzo di salvezza, la libertà. E’ la libertà che metterà sulla fronte augusta della Chiesa la sua perduta corona. Si confiderà nella libertà come in un’amica fedele e non sarà necessario sapararsi da essa in nome di principi a priori, che conviene lasciare religiosamente nella loro regione ideale, con tutto il rispetto ad essi dovuto”.
Ecco ciò che essi pretendono.
“La peggiore condizione del cristianesimo si raggiunge quando i cristiani detengono il potere politico” (F. Mauriac, cit. da Th. Le Moign-Klipfel in Ecclesia, giugno 1952).
Ma ciò che pretendono è incoerente.
Primo, perché se i principi a priori enunciano un ordine istituito e voluto da Dio, è impossibile che il suo abbandono vada a maggior vantaggio dalla Chiesa.
Secondo, perché i fatti evocati dai cattolici liberali provano soltanto che l’uomo, per la sua debolezza, corrompe frequentemente le istituzioni divine, senza provare che, per questa stessa ragione, ciò che Dio ha ordinato e regolato debba essere revocato o ripudiato, anche solo in parte.
Terzo, perché l’argomento storico addotto dai cattolici liberali pecca d’incompletezza, perché menziona solo i mali provocati dal regime d’unione e nasconde oppure omette gli immensi beni che derivarono da esso. Beni manifestamente così abbondanti che la protezione dei principi poté alcune volte degenerare in oppressione ma che fu, nella maggior parte dei casi, un grande soccorso e un potente aiuto per la Chiesa (12).
Quarto, perché il difetto di tale incompleta enumerazione è aggravato dal fatto che ci astiene dal confrontare i mali dovuti al regime d’unione con gli orrori provocati dal regime di separazione, essendo evidente che questi ultimi superano enormemente i primi, come è provato dall’esperienza che facciamo ogni giorno.
Quinto, perché nulla è più caratteristico in questa argomentazione illogica ed informe, che il ricorso alla Libertà come soluzione, poiché la libertà contiene una tendenza al male. Ed è questo che si vuole istituire come rimedio!
«Sì, ma – dicono costoro – l’unione e la subordinazione dei poteri, per quanto sia desiderabile in se stessa, è oggi irrealizzabile. Essa ripugna allo spirito moderno e, contro questo spirito, è impossibile lottare. Prudenza vuole, pertanto, che si accetti il nuovo stato di cose, sia per impedire che peggiori che per ricavarne il maggior frutto possibile».
Così, si attaccano a questo argomento, non avendone più altri.
Orbene, dicendo questo – come osserva giudiziosamente P. Matteo Liberatore S. J. – cadono in un’incoerenza peggiore della precedente, perché vanno fuori tema.
Infatti, non si tratta assolutamente di sapere se, data la perversità del nostro secolo, si debba soffrire pazientemente ciò che non possiamo impedire o si debba, invece, lottare senza tregua per evitare un male maggiore e cercare il bene possibile (13). La questione è, semplicemente, se dobbiamo prostrarci ai principi che sono alla base di questo ordine di cose, di promuoverli con la parola, l’insegnamento e l’azione, come fanno quanti – attribuendosi ancora il nome di cattolici – si vantano anche del nome di liberali.
Sono proprio queste persone che non giungeranno a nulla, perché tenendo i piedi in due staffe nel loro vano sforzo di conciliazione, non sono riconosciuti come veri fratelli dai figli di Dio, né come partigiani sinceri dai figli della Rivoluzione (14).
* * *
L’incoerenza è, dunque, il carattere fondamentale dell’atteggiamento cattolico-liberale. Se ne possono intuire le conseguenze disastrose.
E’ chiaro che tale tendenza verso la conciliazione dell’inconciliabile conduce all’indifferenza dogmatica: «una specie di cristianesimo vago e non definito – dirà San Pio X nella Singulari quadam – che si suol chiamare interconfessionale».Tendenza terribile per la fede della maggioranza, quella fede cioè non sufficientemente formata sui dogmi, che non è di difesa di un sentimento religioso non educato!
Questo è il pericolo intravisto da San Gregorio Magno quando, nei suoi Commentari al Libro di Giobbe, parla dei cristiani che, alla fine dei tempi, «obbedendo ad una falsa politica, saranno timidi e vigliacchi nel difendere la verità e, per una colpevole tolleranza, taceranno di fronte alla violazione delle leggi divine e umane. Predicheranno la prudenza e la politica mondane e pervertiranno, con i loro sofismi e la loro parlantina, lo spirito dei semplici».
La realtà è che «credendo di portare la fede in seno alle idee liberali alcuni l’hanno perduta» (Blanc de Saint-Bonnet).
Note
(12) Per questo aspetto si considerino le parole di Pio XII: «Né bisognerebbe lasciar passare inosservata, e senza riconoscerne la benefica influenza, la stretta unione che, fino alla Rivoluzione francese, metteva in scambievoli rapporti, nel mondo cattolico, le due autorità stabilite da Dio: la Chiesa e lo Stato. L’intimità dei loro rapporti, sul terreno comune della vita pubblica, creava, generalmente, come un’atmosfera di spirito cristiano, che in buona parte dispensava dal lavoro delicato, cui oggi debbono sobbarcarsi i sacerdoti e i laici per assicurare la tutela e il valore pratico della fede» (Discorso al I Congresso Mondiale dell’Apostolato dei Laici, 14 ottobre 1951, in: Insegnamenti pontifici. Vol. 4, Il laicato, Ed. Paoline 1958, pag. 555).
(13) Cfr. Pio XII: «Potrà darsi che su questo o quel particolare sia necessario cedere davanti alla superiorità delle forze politiche. Ma in questo caso si pazienta, non si capitola. E’ ancora necessario, in caso simile, che si salvi la dottrina e si mettano in opera tutti i mezzi efficaci pera avviare la cosa a poco a poco al fine cui non si rinuncia» (Allocuzione ai padri di famiglia francesi, 18 settembre 1951, in: Insegnamenti pontifici. Vol. 6, La pace interna delle nazioni, Ed. Paoline 1962, pag. 613-614).
(14) Cfr., tra i tanti, questo passaggio di un discorso di Jules Ferry all’Assemblea Nazionale dell’11-12 giungo 1875: «Credo, signori, che nel fondo di questa dottrina (quella dei cattolici) esista qualcosa di molto diverso da una tesi liberale e voglio dirvi molto francamente e direttamente ciò che percepisco in essa. Vedo in essa la rivendicazione della Chiesa Cattolica del monopolio dell’insegnamento … Sia chiaro che la parola “libertà d’insegnamento” significa nel suo linguaggio una cosa molto diversa da quanto intendiamo noi (Approvazione della sinistra, esclamazioni dalla destra). Dal punto di vista liberale, la loro tesi non è coerente. Infatti, se chiunque ha il diritto di insegnare ha pure il diritto di conferire titoli è contraddittoria in se stessa, perché conduce, puramente e semplicemente, alla negazione assoluta dei titoli stessi».