Nasce a Reus il 24 marzo 1815. Entrata tra le Figlie della Carità, nel 1841 prende l\’abito religioso: è superiora, dirige una scuola femminile di ricamo; lavora in ospedale. Ma le difficoltà sono infinite, sia per le vicende politiche del momento che per le tensioni interne. Nasce così la nuova congregazione religiosa, denominata di Nostra Signora della Consolazione, dedita a ospedali e collegi, case di carità e insegnamento. Suor M. Rosa muore, nel 1876. Giovanni Paolo II l\’ha proclamata santa l\’11 novembre 1988.
La fondatrice delle Suore di Nostra Signora della Consolazione nacque il 24-3-1815 a Reus, nella provincia e nell\’archidiocesi di Tarragona (Catalogna), secondogenita di Giuseppe Molas, di professione lattaio, e di Maria Vallvé, molto devota come il marito, della Madonna Addolorata.
Entrambi diedero ai loro due figli una soda educazione cristiana. Fino ai sette anni Maria imparò a leggere e a scrivere presso due pie signore, poi frequentò la scuola di un distinto maestro che, a distanza di molti anni, parlava ancora della sua alunna come di "un angelo". La santa dimostrò tanto interesse soprattutto per lo studio del catechismo che il suo parroco ritenne conveniente ammetterla alla prima comunione a dieci anni anziché a dodici, come voleva la consuetudine. Quel giorno, suo padre l\’iscrisse alla Confraternita del Rosario e le fece dono di una corona, che la figlia conservò e fece scorrere tutti i giorni della sua vita.
Sotto la guida del P. Pedro Pablo Salvador, francescano, suo direttore spirituale, Maria trascorse la fanciullezza nell\’innocenza, nella laboriosità, nella frequenza ai sacramenti. Dopo la morte della madre, per colera (1834), sentendosi attratta alla vita religiosa, chiese al padre il permesso di entrare tra le Figlio della Carità di S. Vincenzo de\’ Paoli che si prodigavano per il servizio dei malati nell\’ospedale di Reus, ma costui, benché fosse chiamato dai concittadini "il figlio dell\’Addolorata" tant\’era grande la sua devozione per i dolori della Vergine SS., non solo non le diede il permesso bramato, ma le proibì persino di parlargliene in avvenire. La figlia gli ubbidì ciecamente, pur continuando a conservare quel desiderio in fondo la cuore.
Sentendosi portata per amor di Dio ad assistere i malati e i poveri, tutte le domeniche Maria si recava, nel pomeriggio, a visitarli nell\’ospedale.
A cominciare dal 1838 le suore, essendosi ribellate alla loro superiora, formarono una pia associazione, senza alcuna approvazione da parte dell\’autorità ecclesiastica. Addette all\’ospedale e alla Casa di Misericordia, godevano soltanto dell\’appoggio delle autorità cittadine. Continuavano a vestire da religiose ed erano governate da una certa Suor Luisa Estivil. La santa, ignorando forse la loro vera posizione e non esistendo a Reus altra comunità religiosa, il 6-1-1841, quindi a venticinque anni, chiese di farne parte. La superiora la ricevette a braccia aperte benché fosse senza dote e senza corredo perché ne conosceva bene le straordinarie capacità. Il padre avrebbe voluto che fosse rimasta a casa, ma la figlia preferì dare ascolto piuttosto alla voce di Dio che a quella del sangue.
A Reus la santa rimase otto anni prima al servizio dei malati dell\’ospedale e poi al servizio dei poveri della Casa di Misericordia. Ovunque edificò tutti con la gentilezza del tratto, l\’esemplarità della vita e le doti manifestate nell\’adempimento della varie mansioni. Non le mancarono sofferenze da parte di consorelle gelose e poco osservanti, ma tutto sopportò per amore di Dio.
Nel 1849 il sindaco di Tortosa, impressionato del disordine e della sporcizia che regnava nella Casa di Misericordia del Gesù, sobborgo della città, chiese alla superiora di Reus alcune suore perché ne assumessero l\’amministrazione.
Suor Luisa vi mandò la santa, con altre quattro suore, le quali in pochi giorni rimisero in ordine i locali della Casa della Misericordia e si interessarono perché i poveri vecchi, ad orario fisso, ascoltassero la Messa e recitassero il rosario. Nello stesso anno, Madre Maria Rosa aprì una scuola per i bambini ricoverati e un\’altra per le bambine povere del sobborgo del Gesù. La municipalità di Tortosa, entusiasmata per gli eccellenti risultati ottenuti da Maria Rosa, decise di affidarle anche una scuola pubblica in città (1851) e la direzione e l\’amministrazione dell\’ospedale di Santa Croce (1852).
In poco tempo, con l\’aiuto di altre suore inviatele da Reus, la Madre fece risplendere in esso l\’assetto e la pulizia, riordinò l\’amministrazione, prescrisse l\’assistenza degli infermi e provvide ai bisogni dei bambini lattanti con balie in buon stato di salute. Abitualmente risiedeva nella Casa di Misericordia, ma ogni giorno doveva recarsi pure in città per provvedere al buon funzionamento della scuola e dell\’ospedale. A tutti era di esempio per attività, puntualità e discrezione.
Quando Madre M. Rosa da Reus fu mandata a Tolosa, non aveva altra preparazione all\’infuori di quella ricevuta in famiglia e nella scuola elementare. Per fare fronte ai nuovi impegni scolastici e per non essere privata del diritto all\’insegnamento nelle scuole pubbliche in caso di rivolgimenti politici, accolse l\’imposizione della sua superiora (1852) di studiare privatamente per conseguire il titolo di maestra nella scuola normale di Tarragona. Il nuovo compito le impose uno sforzo non indifferente, non potendo nello steso tempo disinteressarsi della direzione delle tre case. Un po\’ di aiuto nello studio le prestò un impiegato della Casa della Misericordia, ma le sue consorelle gridarono alla scandalo quando si avvidero che, per alcune ore al giorno, s\’intratteneva con lui nell\’ufficio dell\’amministrazione.
Fin dai primi anni della sua permanenza a Tortosa, la santa aveva pensato di separarsi dall\’Istituto di Reus non ancora approvato dall\’ordinario del luogo, ma aveva esitato a lungo, perché quell\’atto "le suonava come uno scisma, una specie di apostasia". A Reus frattanto le suore, ridotte oramai di numero, non bastavano più per far fronte alla direzione dell\’ospedale, della Casa della Misericordia e del Collegio che avevano aperto. Il municipio stabilì che limitassero il loro servizio all\’ospedale e alla Casa di Misericordia, ma Suor Luisa Estivil, più preoccupata della gloria del mondo che del servizio dei poveri, fece ogni sforzo per conservare la direzione del collegio. L\’arcivescovo di Tarragona offrì la sua mediazione a condizione che si sottomettesse alla sua autorità, ma la superiora e altre tre consorelle preferirono abbandonare la comunità e stabilirsi in una casa privata, come secolari.
Appena Madre M. Rosa venne a conoscenza del falso atteggiamento assunto dalle sue consorelle di Reus nei confronti dell\’autorità ecclesiastica, scrisse loro scongiurandole di sottomettersi all\’arcivescovo, ma ne ricevette un risposta quanto mai sprezzante. Capì allora che l\’associazione alla quale apparteneva non era voluta da Dio. Decise perciò (14-3-1857) di rivolgere una supplica al Vicario Capitolare della diocesi, Don Angelo Sancho, firmata da tutte e dieci le suore di Tortosa, in cui gli chiedeva che la sua comunità fosse riconosciuta come congregazione sottomessa in tutto all\’ordinario del luogo. L\’istanza fu accettata un mese dopo. Madre M. Rosa fu eletta per un anno superiora e ammessa ai voti. Le suore ricevettero norme provvisorie adatte allo scopo che si erano prefisso, di attendere all\’istruzione e all\’educazione della gioventù, e alla cura dei malati. Il nuovo Vicario Capitolare, Don Raimondo Manero, ridesse per un anno la fondatrice superiora dell\’incipiente congregazione.
Il 14-11-1858 diede un nuovo regolamento per l\’Istituto, e l\’autorizzò ad aprire un noviziato nella Casa della Misericordia. Le religiose si sarebbero chiamate Suore di Nostra Signora della Misericordia. La congregazione fu definitivamente approvata il 4-1-1868 dal vescovo di Tortosa, Mons. Benedetto Vilamitjana, che le diede le definitive costituzioni e confermò ripetutamente la fondatrice superiora generale fino alla morte. Madre M. Rosa approfittò della protezione accordatale dall\’ordinario del luogo per aprire altre quattordici case in diverse città della Spagna.
Per esse dovette intraprendere viaggi, vincere difficoltà di ogni genere, mancanza di personale, scarsezza di risorse e talvolta anche slealtà da parte dei sindaci. In tutte le occasioni ella diede prova di grande costanza nel servizio di Dio, di molta pazienza, ma anche di grande fermezza nel sostenere i diritti delle suore e nell\’esigere che non mancasse il necessario ai malati e ai ricoverati. Era tanta la prudenza e l\’abilità con cui trattava gl\’interessi della sua congregazione che veniva chiamata "la diplomatica". Fidente in Dio, quando era convinta che un\’opera era necessaria per il bene del prossimo, niente la tratteneva dal portarla a termine. E poiché non ebbe alcun attaccamento ai beni di questo mondo, quando ebbe bisogno di denari, la Provvidenza glieli faceva avere inaspettatamente da persone rimaste sconosciute.
A Tortosa, dove nella Casa della Misericordia erano ricoverate circa cinquecento persone, non mancarono alla fondatrice, alle sue figlie e al loro confessore, Don Sebastiano Leone Tomàs, critiche e persino calunnie. Per farle cessare le suore decisero di stendere un rapporto per il sindaco della città, ma la santa se lo fece consegnare e con le sue mani lo lacerò. A lei interessava soltanto essere "il buon samaritano" per i malati, i vecchi, i bambini, assistendoli di notte, sorvegliandoli perché non facessero il male, sopportandoli nelle loro debolezze, favorendo tra loro l\’armonia e la pace.
Ai travagli esterni si aggiunsero quelli interni. Don Tomàs, che diresse Madre Maria Rosa per ventisei anni, attesta nella vita che di lei scrisse: "Il demonio turbò tanto crudelmente la pace del suo cuore, che la lasciò con l\’anima inquieta per il grave dubbio, permesso da Dio, di non essere più degna di amarlo e di mancare della sufficiente disposizione per riceverlo sacramentalmente… Tanto profonda ferita aprì nel suo tenero cuore, da immergerlo in un mare di angustie e scrupoli di morte per tutta la vita". Le pene interne della fondatrice aumentavano a dismisura quando doveva confessarsi. Il martirio che allora provava era tanto grande che non poteva trattenere le lacrime, e aveva bisogno di essere sostenuta da qualche persona per non cadere in terra. Alle medesime agitazioni andava sovente soggetta anche quando, tre volte alla settimana, secondo la consuetudine del tempo, faceva la comunione. Esternamente Madre M. Rosa non lasciava trasparire nulla dei suoi scrupoli e delle sue ansietà. Non conversava mai di cose inutili, ma di quanto aveva attinenza alla vita spirituale.
Durante il giorno recitava molte giaculatorie, specialmente in onore della S. Trinità di cui era devotissima, e dava sapienti consigli alle sue figlie. Sua massima era: "Ama Dio, disprezza ciò che è passeggero e metti in Dio tutta la tua fiducia". Oppure: "Tutto per Dio, nulla per noi". Dagli scritti che ha lasciato, la fondatrice appare una religiosa pia, diligente, esatta, che sa attendere al buon governo dell\’Istituto con precisione di vedute e fermezza nelle decisioni da prendere. In comunità non ammetteva quelle giovani che non sapevano sacrificarsi per il prossimo, e alla professione non ammetteva quelle novizie che si mostravano restie all\’ubbidienza. Nei collegi voleva che le aule scolastiche non fossero spaziose o lussuosamente decorate, ma modeste e ordinate, ed esigeva che le suore insegnassero ai bambini soprattutto le verità della fede perché per le altre materie erano più che sufficienti i maestri di professione.
Nonostante il suo naturale talento e la chiarezza delle idee, Madre M. Rosa non era attaccata al proprio giudizio, ma accettava anche e domandava consigli, senza lasciarsi trasportare da simpatia o da personalismi. Trattava le suddite e gl\’inferiori con l\’amore di una vera madre. Quando doveva correggere una religiosa non lo faceva mai alla presenza delle consorelle e tanto meno degli estranei. Sovente si trovava nella necessità di dare qualche disposizione, ma lo faceva quasi pregando. A contatto di tanta varietà di persone, non si può dire che, dato il suo temperamento vivace e la sua costituzione robusta, non cadesse ogni tanto in qualche impazienza, ma si riprendeva subito. Diverse suore attestarono che, dopo un colloquio con lei, si sentivano infervorate nella pratica delle virtù di più che se avessero fatto una lettura spirituale o avessero udito una predica.
La santa rifuggiva dalla naturale ricerca delle comodità. Difatti si occupava anche delle faccende più umili, e quando le sue figlie l\’obbligavano a indossare biancheria nuova, ella se ne rattristava perché riteneva di non meritarla. A mensa non beveva vino e si atteneva al cibo della comunità. Oltre i digiuni prescritti dalla Chiesa, ne faceva altri di propria iniziativa. Usava strumenti di penitenza a discrezione del direttore spirituale, per non rendersi inabile ai propri doveri. Se durante il giorno, per gravi motivi, non poteva compiere le pratiche di devozione prescritte dalla regola, le compiva di notte. Era sempre l\’ultima ad andare a letto e la prima ad alzarsi per prendere parte alla Messa e alla meditazione nonostante le aridità alle quali andava soggetta. Perciò non soltanto le suore, ma anche i ricoverati e le bambine ne parlavano con elogio e la ricordavano con affetto.
Negli ultimi anni di vita, Madre M. Rosa andò soggetta a mal di cuore, a gonfiori alle gambe, a vomiti di sangue, e a difficoltà di respirazione, motivo per cui doveva passare sovente la maggior parte della notte seduta sopra un sofà non potendo distendersi sul letto. Fra tante sofferenze si conservò serena, benché gli scrupoli e le angosce anziché diminuire andassero aumentando d\’intensità. Il medico le ordinò un\’alimentazione speciale, ma l\’inferma se ne afflisse fino alle lacrime temendo di non essere di buon esempio alle suore. Poco prima di morire esortò le sue figlie alla vicendevole carità e alla confidenza in Dio. Il confessore le suggerì di chiedere al Signore la guarigione, ma la morente gli rispose: "Lasciatemi ormai andare alla gloria".
La santa morì a Tolosa l\’11-6-1876, festa della SS. Trinità, tra l\’universale compianto. Fu seppellita nel cimitero pubblico del Gesù. A molti anni dalla sua morte una signora affermò: "Non vi è stata, né vi sarà un\’altra Madre come lei". Nel 1892 il corpo della fondatrice, ancora ben conservato, fu traslato nella chiesa del noviziato della congregazione. Paolo VI ne riconobbe l\’eroicità delle virtù il 4-10-1974 e la beatificò 1\’8-5-1977. Giovanni Paolo II la canonizzò l\’11-12-1988.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 6, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 128-135
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