CROCE

"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica". CROCE (dal lat. crux = tormento dal verbo cruciare). Questo supplizio infamante e crudele era nel diritto romano, al vertice nella scala delle pene capitali. Fu usato prima dal Persiani e poi introdotto in Grecia da Alessandro Magno. I Romani lo derivarono da Cartagine.

Era la condanna classica degli schiavi per la espiazione anche di colpe irrisorie.
 Cicerone (C. verrem, II, 5, 62-67) sostenne la tesi che nessun cittadino romano doveva, per nessuna ragione, essere crocifisso. Al tempo dell\’Impero, nelle province – come la Giudea – la croce era destinata ai rivoltosi, ai briganti ed ai miserabili. Pilato, sotto la pressione del Sinedrio e della folla, condannò alla croce Gesù. Nessun evangelista descrive la crocifissione che avvenne secondo l\’uso romano. Il condannato si recava al luogo della esecuzione portando sulle spalle la croce, o, più esattamente, la sbarra trasversale di essa, detta patibulum. Il palo verticale era stabilmente infisso sul luogo destinato alla crocifissione.
 La croce di Gesù fu una crux immissa nella quale i due pali si incrociavano ad angolo retto ad una grande distanza dalla base (è la croce detta anche «latina»). Sul piccolo segmento oltre la sbarra traversale era inchiodata la tavoletta con la motivazione della condanna. La croce di Gesù misurava circa 4 m. di altezza perché il soldato ha bisogno di una canna per porgere al crocifisso la spugna imbevuta di acqua acidula.
 Verso la metà del palo verticale c\’era un sostegno sporgente sul quale il condannato sedeva per non gravare col peso di tutto il corpo sui chiodi delle mani. E\’ probabile che i Romani abbiano tenuto in considerazione il delicato senso di pudore degli Ebrei, ed abbiano consentito che, contro l\’uso romano, Gesù avesse un panno ai fianchi.