Teologo della tradizione siriaca, Efrem nacque a Nisibi, nella Mesopotamia settentrionale nel 306. La madre impartì al figlio una formazione cristiana. A 18 anni ricevette il battesimo e visse a Edessa. Nel 338 Nisibi venne attaccata dai Persiani ed Efrem accorse in suo aiuto. Quando Nisibi cadde sotto il dominio persiano, egli, divenuto diacono, nel 365 si stabilì definitivamente a Edessa, dove diresse una scuola. La tradizione ce lo ricorda come uomo austero che non conosceva il greco. Vi morì il 9 giugno 378.
Questo massimo dottore e scrittore della Chiesa siriaca, nacque circa il 306 da un sacerdote pagano di Nisibi (Mesopotamia), che doveva ingegnarsi di trarre dalla sua professione il necessario alla vita perché, in quel tempo, il culto degli dei s\’intiepidiva sempre di più e le commissioni di sacrifici si facevano sempre più rare ed irrisorie. Tuttavia, fin dall\’infanzia Efrem mostrò viva simpatia per i cristiani e li frequentò. I suoi parenti, che non ne volevano sapere, lo cacciarono di casa. Il santo vescovo della città, Giacomo, lo accolse caritatevolmente, lo istruì e gli amministrò li battesimo a diciott\’anni. La vita esemplare, l\’ingegno sveglio e il buon corredo di dottrina che in breve il neofita si era procurato glielo avevano reso sommamente caro.
Dopo il concilio di Nicea celebrato nel 325, Giacomo aprì una scuola a Nisibi, simile a quelle che altri vescovi avevano eretto in altre parti dell\’oriente, e vi mise come commentatore il suo figlio spirituale, Mar Efrem, oramai suo valido cooperatore e sapiente consigliere. Principale occupazione del santo, in questo periodo della sua vita, fu dunque l\’insegnamento. Frutto di esso furono certamente molti scritti dei quali solo una piccola parte è giunta a noi nei Carmina Nisibena. Ma una notevole parte del tempo egli doveva pure dedicarla ad una svariata attività spicciola a servizio del vescovo e della chiesa, alla propagazione della fede, alla lotta contro le eresie gnostiche sempre risorgenti. Scopo della scuola era difatti la catechesi all\’interno e l\’apologia all\’esterno. In essa si formavano i propagandisti e i difensori della fede cristiana, e per lo più anche i membri del clero. Perché potesse meglio adempiere queste gravi mansioni non è improbabile che abbia ordinato diacono S. Efrem. Per umiltà non volle accedere al sacerdozio.
Quando, nel 364, per i patti dell\’imperatore Gioviano, Nisibi ripetutamente attaccata dai persiani di Sapore II il Grande, cambiò padrone in seguito alla sconfitta toccata all\’imperatore Giuliano, S. Efrem con altri numerosi cristiani si rifugiò ad Edessa, fiorentissima città sira del patriarcato di Antiochia, che fin dal II secolo contava moltissimi cristiani. In essa trovò già avviata una scuola molto autorevole, tuttavia egli continuò la propria che per distinzione fu chiamata "Scuola dei Persiani", evidentemente perché frequentata da quegli studenti cristiani che avevano abbandonato la città oramai parte integrante del territorio persiano.
Edessa diventò per S. Efrem un luogo di consolazione e di pace. Là infatti poté stringere relazione con i monaci che vivevano asceticamente, secondo le norme dei maggiori, su di un monte situato a occidente della città, e condurre stabilmente con loro vita cenobitica. Gli esercizi ascetici e le composizioni di opere, benché numerosissime, non occuparono costantemente la maggior parte del suo tempo, tanto più che i suoi discorsi erano scritti per essere recitati, gli inni per essere insegnati ed eseguiti sotto la sua direzione, i commentari scritturistici per essere discussi e spiegati nella scuola. A tutto questo bisogna aggiungere le cure dell\’insegnamento, l\’attività contro le eresie, l\’apostolato a favore dei fedeli e qualche viaggio per le relazioni della sua chiesa o per interesse privato. Più frequentemente Efrem si allontanò dal suo cenobio per combattere Bardesane e Armonio, suo figlio, che avevano propagato i loro errori gnostici con centinaia di inni. Per neutralizzarne l\’efficacia ne compose di tipo somigliante, ma di contenuto diverso. Per diffonderli senza incorrere nelle violenze dei sostenitori dell\’eresia, ricorse alla collaborazione delle vergini di un monastero di Edessa. Di esse il santo fece un coro di cantatrici. Si mise egli stesso ad insegnare loro i suoi inni quando la mattina e la sera esse convenivano in chiesa, e quando insieme con loro si adunavano altre donne della città nelle feste solenni dei martiri. L\’iniziativa fu estesa anche alle borgate e terre circonvicine. Queste vergini, dette anche "Le Figlie del Patto", impararono pure inni speciali da cantare in occasione delle esequie dei defunti. Molti di detti inni sono giunti fino a noi. Tra gli scritti del santo, dice il Ricciotti, sono forse i più commoventi e i più ricchi di sentimento.
Gli ultimi anni del santo cenobita furono amareggiati da pubbliche calamità. Prima gli Unni devastarono il territorio attorno ad Edessa e distrussero i cenobi che sorgevano sul monte vicino alla città. Poi sopravvenne la carestia. In tali tristi circostanze apparve quanto fuoco di cristiana carità ardesse nel cuore dell\’austero asceta. Difatti, per nulla reso inetto all\’azione dai severi studi, abbandonò il monte dove era ritornato da poco a riparare i guasti causati dai barbari, si presentò egli steso a chiedere aiuto ai ricchi, organizzò i soccorsi, andò in giro per la città e per le campagne per raccogliere gli abbandonati e trasferirli nei luoghi di soccorso che aveva predisposto.
Passata la carestia, S. Efrem ritornò nel cenobio dove, consunto dalle fatiche e dalle penitenze, vi morì un mese dopo, il 9-6-378. Il suo biografo asserisce che, da quando aveva abbracciato la vita monastica, non aveva mangiato che pane di orzo e legumi secchi, qualche volta legumi verdi, e non aveva bevuto che acqua. Aveva un corpo talmente macilento, da sembrare un rottame di argilla. Portava un vestito di colore scuro, formato da numerose pezze. Egli era piccolo di statura; era sempre severo di aspetto; non rideva mai; era calvo e imberbe.
S. Efrem si distinse come polemista, oratore sacro, esegeta secondo il metodo della scuola antiochena, poeta soprattutto dalla fantasia ardita e inesauribile, capace di rivestire di immagini nuove anche gli argomenti più aridi. Ha lasciato una imponente mole di scritti non ancora sufficientemente studiati, in cui predomina l\’elemento morale parenetico. Dice l\’abate Ricciotti che Efrem, per dimostrare il dogma, non batte la via del ragionamento teologico interno, bensì, quasi addossandosi all\’autorità inconcussa della Chiesa, si limita ad esporre, con accurata e insistente precisione, gli insegnamenti tradizionali.
L\’ammirazione dei siri cattolici, monofìsiti e nestoriani per la dottrina e l\’eloquenza di S. Efrem è ben resa dai titoli con cui l\’hanno onorato: "Dottore dell\’universo, colonna della Chiesa, bocca eloquente, profeta dei siri, arpa dello Spirito Santo, poeta della Vergine". La fama di S. Efrem fu così grande che i suoi versi furono, subito dopo la morte di lui, tradotti in greco e letti dopo la S. Scrittura. Benedetto XV il 5-10-1920 lo dichiarò Dottore della Chiesa.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 6, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 109-112
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