"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica". BIBBIA: il sostantivo italiano riproduce il plurale neutro greco “i libri” che passò nel latino medievale e nelle lingue moderne come singolare femminile per indicare il complesso dei libri ispirati da Dio altrimenti detti Sacra Scrittura o Sacre Scritture.
Mentre il greco metteva in luce il carattere composito del libro divino: la molteplicità dei libri da esso contenuti, il latino ne mise in evidenza l\’autore e lo spirito unico.
I 74 libri che compongono la Bibbia sono distribuiti in due grandi sezioni: il Vecchio ed il Nuovo Testamento (v. le due voci). Il termine Testamento secondo il valore del vocabolo ebraico originale (berith) e del greco che fin dall\’inizio lo tradusse, può indicare o che quei libri contengono le disposizioni con le quali Dio prometteva (Vecchio Testamento) e concedeva (Nuovo Testamento) ai suoi fedeli i beni culminanti nel possesso della eterna felicità, o può designare la serie dei patti (si usa perciò parlare di Antico e Nuovo Patto) e delle alleanze con le quali, nel corso dei secoli, Dio legò a sé gli uomini in vista della loro redenzione.
Il Vecchio Testamento inizialmente patrimonio sacro del popolo ebraico, che Dio elesse come depositario delle sue promesse di redenzione, passò poi, completato dal Nuovo Testamento, in legittima eredità alla Chiesa, che è il vero Israele, l\’autentico popolo eletto, a favore del quale si realizzarono le antiche promesse divine.
La legislazione ecclesiastica mette in guardia dalle versioni che non abbiano l\’approvazione della Sede Apostolica e che non siano pubblicate sotto la vigilanza dei Vescovi; meglio sarebbe se fossero poi corredate di note estratte dai Padri e dagl\’interpreti cattolici. Le edizioni dei testi originali e delle antiche versioni e le traduzioni curate da cattolici sono permesse agli studiosi.
CANONE (della Bibbia) (gr. = regola); designa la collezione o il catalogo di quei libri che, per essere ispirati da Dio, sono la «regola» della verità e della vita. Canonico è, perciò, un libro che si trova nel canone, in quanto è ispirato da Dio e come tale è stato dalla Chiesa riconosciuto.
Dal sec. XVI in poi si usa chiamare protocanonici i libri sulla cui origine divina fin dall\’inizio si ebbe il consenso unanime di tutta la Chiesa e deuterocanonici quei libri della cui ispirazione si ebbero dei dubbi fino al sec. V circa. Il termine deuterocanonico non ha un valore assoluto in quanto esso non indica un libro che in un secondo momento è stato introdotto nel canone; anche i libri di cui si discuteva erano fin dall\’inizio ricevuti nel canone della Chiesa.
Attualmente gli Ebrei, seguiti dai Protestanti che hanno influito anche sulle cristianità dissidenti, ripudiano i seguenti libri deuterocanonici del Vecchio Testamento; Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, I e II dei Maccabei, brani di Ester e Daniele, libri e testi tutti scritti e conservati in greco. I deuterocanonici del Nuovo Testamento sono: le Lettere agli Ebrei, di Giacomo, la II di Pietro, la II e la III di Giovanni, di Giuda alle quali va aggiunta l\’Apocalisse.
Apocrifi sono libri di titolo e contenuto affine a quelli del Vecchio o al Nuovo Testamento, ma non riconosciuti dalla Chiesa come ispirati ed esclusi dal canone (v. Apocrifo).
I Protestanti chiamano apocrifi i libri deuterocanonici riservando a quelli che noi chiamiamo apocrifi il termine pseudepigrafo (= con falso titolo).
AUTENTICITÀ (nel significato posteriore di autorità o autore di un libro): in senso giuridico indica che un libro fa autorità, ha un valore indiscusso e definitivo. Tertulliano (De praescr. haer. 16) sembra essere stato il primo ad applicare questo aggettivo ai libri sacri.
Per opposizione ai libri apocrifi (v. Canone) scritti per iniziativa umana, le S. Scritture sono autentiche nel senso giuridico in quanto godono di autorità infallibile, perché ispirate da Dio, verità per essenza. Esse sono perciò documenti autentici della divina rivelazione.
Sono autentici nel senso pieno della parola gli autografi degli scritti ispirati e, in mancanza di questi. le copie in quanto riproducono fedelmente l\’originale. Il testo ebraico del Vecchio Testamento e il testo greco del Nuovo Testamento sono, quindi, da ritenersi autentici. Una versione può dirsi autentica quando dall\’autorità competente. cioè dalla Chiesa, venga dichiarata tale. Il Concilio Tridentino (EB, 41) dichiarò autentica la versione latina detta Volgata perché in uso già da molti secoli nella Chiesa, in quanto essa fa autorità, ha valore probativo in materia di fede e di morale (v. Volgata). L\’intensificarsi del metodo scientifico negli studi biblici diffuse molto il termine autenticità dandogli un senso che si può dire critico, in quanto si dice autentico un libro che è realmente dell\’autore o del tempo al quale viene attribuito o la cui origine è legittima, non viziata da frode. Si tratta quindi della origine umana della S. Scrittura, della ricerca degli autori umani dei libri sacri, ricerca che, tranne i casi in cui si hanno delle affermazioni esplicite della Scrittura stessa o del magistero della Chiesa, è condotta con l\’ausilio dei mezzi d\’indagine razionale.