B. ROSA VENERINI (1656-1728)

Rosa, sotto la guida del P. Domenico Balestra S.J., radunò in casa alcune donne, per la recita del S. Rosario. La beata si avvide subito che tante di loro ignoravano persino i primi rudimenti della fede. Decise allora di sostituire al rosario una vera scuola di catechismo. I frutti che ottenne furono tanto copiosi che i parroci la supplicarono a continuare l\’opera intrapresa. Nasceva così la Congregazione delle Maestre Pie che, sotto la guida del P. Ignazio Martinelli S.J. (1633-1716), si sarebbe propagata rapidamente negli Stati Pontifici.

E\’ una gloria di Viterbo dove nacque il 9-2-1656, terza dei quattro figli che ebbe dalla moglie il medico marchigiano Gottifredo. Rosa fu educata alla ritiratezza e alla virtù dalla mamma. Quando giunse all\’uso di ragione emise segretamente il voto di farsi religiosa ma, col passare degli anni, trovò difficoltà a distaccarsi da questa terra. S\’innamorò di un giovane e indulse alle vanità femminili. Con la morte prematura del fidanzato, il Signore le fece comprendere che, se avesse amato Luì solo, avrebbe trovato uno sposo che non le sarebbe venuto a mancare mai.
Nel 1676 la beata ottenne il permesso dai genitori di entrare per un anno, come esterna, nel monastero domenicano dì Santa Caterina, ma dopo sei mesi ne uscì disillusa perché vi aveva trovato mancanza d\’austerità e di vita comune. A contatto del mondo, Rosa si rilassò di nuovo spiritualmente. Essendo dotata di un temperamento molto nero, per rispetto umano non tollerava che in casa i parenti la vedessero pregare o meditare. Inquieta, un giorno andò al Santuario della Quercia, e si confessò al maestro dei novizi domenicani, il quale la convinse a riprendere le pratiche di devozione e a mettersi sotto la direzione del P. Ventura Bandinelli, Rettore del Collegio dei Gesuiti. Costui l\’abituò a meditare secondo le regole di S. Ignazio, l\’aiutò a fare la confessione generale e a vincere certi scrupoli. La beata, ripiena d\’intima consolazione, si sentì spinta ad un così alacre servizio di Dio che il suo direttore un giorno non poté fare a meno di dirle: "Iddio vuole qualche grande cosa da voi, state attenta a corrispondergli".
La Venerini si sforzò di progredire nella perfezione trascorrendo alcune ore del giorno in sante conversazioni; sottoponendo il proprio corpo a digiuni, cilici e flagelli; riservandosi, in casa, gli uffici propri della persona di servizio; assistendo una povera vecchia, inferma e abbandonata da tutti. Quando s\’accorse che il timore di quello che la gente avrebbe detto di lei minacciava di dissuaderla di compiere il bene, con un temperino incise sulla suola delle scarpe le parole: "Che diranno?". Appena una tentazione di rispetto umano le si affacciava alla mente, rispondeva immediatamente: "Il che diranno lo tengo sotto i piedi". Un giorno, mentre si recava alla chiesa, s\’imbatté in una ragazzetta che trasportava a fatica alcune tavole di un letto. Rosa ne ebbe compassione e, superando l\’interno tumulto, l\’aiutò a portare le suppellettili per un buon tratto di strada benché il fratello Orazio, che aveva incontrato suo malgrado, le avesse espresso il suo disappunto.
Alla morte della madre (1680), Rosa, sotto la guida del P. Domenico Balestra S.J., nell\’attesa di farsi suora, poté darsi con maggior libertà alla preghiera. Non sapendo come impiegare il pomeriggio, il suo direttore le suggerì di fare radunare in casa, al suono di un campanello, alcune donne, per la recita del rosario. La beata ubbidì, ma si avvide subito che tante di loro ignoravano persino i primi rudimenti della fede. Decise allora di sostituire al rosario una vera scuola di catechismo. I frutti che ottenne furono tanto copiosi che i parroci la supplicarono a continuare l\’opera intrapresa. Nasceva così la Congregazione delle Maestre Pie che, sotto la guida del P. Ignazio Martinelli SJ. (1633-1716), si sarebbe propagata rapidamente negli Stati Pontifici.
La prima scuola gratuita fu aperta dalla Venerini a Viterbo, nel 1685, con l\’aiuto di due compagne ed il permesso del vescovo, il cardinale Urbano Sacchetti (+1699). Le tre zitelle, perché vivevano insieme come religiose, ma non avevano monastero, ne rendite fisse, furono tacciate di pazzia. La beata, fidente solo in Dio, continuò imperterrita il suo lavoro, e le ragazze alla sua scuola divennero tanto pie che, in breve tempo, anche le famiglie nobili le vollero affidare le loro figliole perché le educasse. La Venerini non si perse d\’animo nemmeno quando i superiori trasferirono il P. Martinelli al collegio illirico di Loreto (1691). Al P. Girolamo Moirani, che successe al confratello nella direzione della Scuola Pia, confidò infatti di sentirsi spinta ad offrire se stessa e la sua opera ai vescovi delle diocesi limitrofe. In Italia, la prima vera Scuola Pia gratuita per i fanciulli fu istituita a Roma, nel 1597, da S. Giuseppe Calasanzio (+1648), fondatore degli Scolopi. Le fanciulle di buona famiglia ricevevano una formazione elementare o superiore in qualche monastero o conservatorio, le altre crescevano analfabete. Al tempo della Venerini, in Italia esistevano soltanto due Istituti di tipo tradizionale monastico, che si occupavano dell\’educazione della gioventù femminile: quello delle Orsoline, fondate nel 1535 a Brescia da S. Angela Merici, e quello delle Oblate del Bambino Gesù, fondato a Roma nel 1667 dalla lucchese Anna Moroni (+1674).
In tutto lo Stato Pontificio esistevano in larga misura le Scuole della Dottrina Cristiana, ma in esse mancava una formazione elementare essendo soltanto domenicali. A Roma, nel 1655, per merito di Mons. Farnese, maggiordomo di Alessandro VII, furono aperte in ogni rione scuole gratuite per le fanciulle, ma in Italia fu merito della Venerini l\’avere, per prima, concepito l\’idea di un istituto di Maestre destinate a moltiplicare le scuole gratuite per tutte le bambine sia della città che delle campagne. In principio ella pensò di dare alla sua istituzione un ordinamento per quanto possibile claustrale, in seguito l\’esperienza le insegnò che era meglio adottare un regolamento in armonia con le esigenze della scuola.
Nel 1692 la Venerini fu chiamata a Montefiascone dal cardinale Marcantonio Barbarigo (+1706) perché avviasse l\’opera delle Scuole Pie anche nella sua diocesi. Trovò alloggio nel conservatorio di Santa Chiara, dove si trovava già, come educanda, S. Lucia Filippini (+1732). La scuola che aprì fu subito frequentata da una quarantina di alunne, il numero massimo consentito dal locale preso in affitto dal cardinale. In stanze a parte furono ammesse anche le loro madri ed altre donne, la mattina per la meditazione e il pomeriggio per la lettura spirituale. Nei due anni che rimase a Montefiascone la beata riuscì ad aprire una decina di scuole nei paesi situati attorno al lago di Bolsena. Nonostante gli abbondanti frutti di bene che ovunque mieteva non si stancava di ripetere: "I miei peccati mi fanno non solo essere tela incerata, ma telaccia macchiata e puzzolente, eppure l\’eterno amore non si stanca di beneficarmi dandomi gagliardi impulsi e desideri di piacere a Lui solo, e non avere altra stima che della sua santissima grazia!".
Uno scisma verificatosi nella Scuola Pia dì Viterbo costrinse la fondatrice a farvi ritorno. Il cardinal Barbarigo le chiese con quale favore avrebbe potuto dimostrarle la sua gratitudine per il generoso aiuto prestatogli. Rosa lo supplicò di adoperarsi affinchè il P. Martinelli fosse rimandato a Viterbo essendo "l\’unico che, con la sua autorità su tutte le Maestre, avrebbe potuto riportare la concordia e la pace". Soltanto una maestra le era rimasta fedele. Se la strinse tra le braccia gemendo: "Non vi meravigliate di questo disturbo perché io tengo di certo che i miei peccati abbiano irritato il Signore. Spero tuttavia che la sua gloria trionferà". Con le Maestre dissidenti, anziché interrompere le relazioni, pazientò. Col ritorno del P. Martinelli l\’opera di persuasione iniziata dalla Venerini diede i suoi frutti (1695).
Appena fu ristabilita la pace nell\’unione, le vocazioni aumentarono talmente che fu possibile alla beata moltiplicare le fondazioni delle scuole non solo nella diocesi di Viterbo con l\’aiuto del vescovo, il cardìnal Andrea Santacroce (+1712), ma anche in quelle dello Stato Pontificio. I vescovi non sempre l\’aiutavano con la liberalità del cardinal Barbarigo, ma ella, abituata a contare di più su Dio che sugli uomini, non si arrestò nella sua attività anche quando prevedeva che le fondazioni avrebbero avuto per compagna la povertà. Prima di morire fonderà una cinquantina di scuole. Il numero è senza dubbio imponente se si pensa alla novità dell\’istituzione, alla forma dell\’apostolato e alla difficoltà dei viaggi di allora, che bisognava fare a piedi o a dorso di asinelli. Le difficoltà incontrate furono numerose se la beata stessa confidò al suo direttore: "Se quel buon Dio, che tanto ha sofferto e tuttavia soffre per i miei gran peccati ed ingratitudini, non fortificasse il mio povero cuore, un solo giorno d\’esperienza di ciò che accade nel dar principio a questa santa opera, quasi per tutti i luoghi dove s\’è introdotta, basterebbe per non più mettersi a tale impresa". Invece dì turbarsi quando una scuola era ostacolata o impedita nel suo funzionamento, si limitava a scrivere alla sua guida: "Non mi dispiace ciò che piace a Dio, anzi adoro il suo giusto volere in qualsivoglia cosa; se a Lui piacerà consolarmi, sia benedetto, e se vuole tenermi ancora perplessa sia ugualmente benedetto".
Le raccomandazioni più frequenti che la Venerini faceva alle alunne delle scuole era: "Mai nulla contro Dio". Non rare volte le discepole si facevano maestre delle mamme analfabete contribuendo inconsciamente al risanamento della società. La fondatrice poté difatti scrivere al P. Martinelli: "Riceviamo tanta consolazione dalla scuola che contempera ogni altra amarezza. Abbiamo alcune giovani che ci rapiscono con la loro modestia, con l\’attenzione e con il desiderio di trarre profitto dalle virtù".
Le visite della Venerini alle scuole di Montefiascone andarono diradandosi di numero di mano in mano che la Filippini acquistava esperienza nella direzione dell\’Istituto. Esse cessarono del tutto quando il cardinale Barbarigo pose l\’istituzione al servizio della diocesi, sotto la direzione della Congregazione dei Pii Operai, fondata a Napoli nel 1606 dal Ven. Carlo Carafa (+1633). Costoro, e specialmente il P. Tommaso Falcoia, primo parroco e superiore di San Lorenzo ai Monti nei pressi della colonna Traiana, si adoperarono perché la Filippini aprisse una scuola presso la loro chiesa (1707). Furono accontentati, ma la santa poté dirigere personalmente la scuola soltanto sette mesi, a causa del sospetto di quietismo che gravava sui Pii Operai. A continuare la scuola fu chiamata la Venerini, ma la scolaresca invece di adattarsi alla nuova maestra e al suo metodo d\’insegnamento, preferì abbandonarla.
Mai come allora la Venerini ebbe coscienza di essere uno "strumento inutile", come soleva ripetere. Il suo insuccesso impressionò il pubblico e la curia romana. L\’Istituto ne sofferse tanto che dal 1708 al 1713 non riuscì ad aprire che due o tre scuole. Il P. Martinelli ritenne necessario che la sua figlia spirituale ristabilisse in Roma, con una sua fondazione, la stima perduta e facesse conoscere così i pregi specifici della sua opera. Per molto tempo la Venerini rimase a Roma come in un deserto, senza una persona cui potersi rivolgere. Ne approfittò per ritoccare le regole delle Maestre Pie, che pubblicò nel 1714.
Finalmente riuscì ad aprire una scuola nei pressi del Campidoglio con l\’aiuto dell\’abate commendatario Degli Atti (+1724), viterbese pure lui e membro della curia romana. La beata la diresse personalmente perché ad essa erano legati il buon nome e l\’avvenire dell\’Istituto. Le ragazze di tutte le classi sociali accorsero subito numerose. La vita esemplare delle Maestre e la loro maniera di fare scuola piacquero al popolo. Anche il papa Clemente XI apprezzò l\’opera della Venerini, dispose nel 1714 che l\’onere del mantenimento della scuola fosse assunto dalla S. Sede e nel 1716 volle andarla a visitare con sei cardinali. L\’Istituto ne ricevette immediato incremento per opera dei vescovi, del patriziato romano e dei comuni. Il B. Antonio Baldinucci S. (+1717) chiese la fondazione di una Scuola Pia a Frascati, perché era convinto che bastasse da sola a riformare il paese ed il P. Martinelli, che per trent\’anni aveva affrontato travagli e contraddizioni per l\’opera della Venerini, prima di morire, volle introdurre una scuola a Perugia, sua città natale.
La Venerini soffrì assai della perdita della sua guida spirituale perché l\’aveva aiutata ad acquistare l\’umiltà e a superare le deficienze del proprio temperamento, scacciandola talora dal suo confessionale, proibendole per alcuni giorni di fare la comunione o riprendendola con parole aspre per motivi da nulla, conforme alle discutibili consuetudini del tempo. Poté così a sua volta dirigere con saggezza le Maestre Pie nonostante il suo abituale stato di prostrazione fisica e morale che richiedeva un costante superamento di sé.
La beata soffriva di calcolosi e di frequenti emicranie, eppure, invece di concedersi qualche ristoro, amareggiava il suo cibo con assenzio, raramente mangiava frutta e beveva un po\’ di vino annacquato. Bramando una conformità sempre più perfetta con Gesù crocifisso, giunse a chiedere a Dio un genere di mortificazione che, sfuggendo agli sguardi delle creature, la tenesse costantemente inchiodata alla croce. Fu esaudita perché, la sua anima, trovò soltanto ripugnanza e disgusto negli esercizi di pietà. Tuttavia, invece di abbreviare la meditazione, la faceva talora stando genuflessa con le mani sotto le ginocchia. In seguito fu tormentata pure da tentazioni d\’infedeltà, di disperazione e di orribili bestemmie, ma quanti le vivevano accanto la trovarono sempre uguale, raccolta, modello dì quella uniformità d\’umore che dev\’essere la nota caratteristica di ogni educatore. Anzi, notando la sua assiduità alla preghiera ed ascoltando le sue infuocate esortazioni ad amare Iddio, e vedendo con quale instancabile zelo passava di fondazione in fondazione e ridestava energie sopite e correggeva errori e spronava al bene, le Maestre Pie credevano che l\’anima sua godesse le consolazioni dell\’intimità divina.
Fin dal 1713 la Venerini aveva stabilito la sua dimora in Roma per il bene dell\’Istituto, ma aveva preso l\’abitudine di non uscire di casa se non per recarsi a pregare e a ricevere i sacramenti nella chiesa del Gesù. Non cedette mai alla tentazione di recarsi a vedere le solenni funzioni della corte papale o a visitare le belle chiese della Città Eterna. Poteva quindi scrivere al fratello Orazio; "Per me Roma è un mezzo deserto a gloria di Dio, per il cui solo amore mi protesto starvi". Sembrava che il Signore l\’avesse dotata di una particolare attitudine per consolare gli afflitti. Qualsiasi regalo le veniva fatto lo inviava immancabilmente ai poveri ed agli infermi. Tutti i pezzenti, che chiedevano l\’elemosina nelle vicinanze del Gesù, avevano imparato a conoscerla.
Benché fosse insidiata dall\’etisia, finché le fu possibile la Venerini visitò le scuole più vicine e insegnò. Quando le forze l\’abbandonarono continuò ad assistere le sue figlie spirituali con la corrispondenza e la sofferenza. Il confessore un giorno la esortò a chiedere al Signore la salute per poterlo servire più a lungo, ma ella esclamò: "Oh, padre! Io mi trovo tanto inchiodata nella divina volontà, che non m\’importa né morte né vita: voglio vivere quanto Egli vuole e voglio servirlo quanto a Lui piace e niente più!".
La Venerini morì il 7-5-1728 e fu sepolta nella Chiesa del Gesù. Pio XII la beatificò il 4-5-1952. Le sue reliquie sono venerate a Roma nella cappella della curia generalizia delle Maestre Pie.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 118-124.
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