La Russia antica ha trovato il suo ideale di vita religiosa nella persona di S. Teodosio di Pecersk. L\’influsso che egli esercitò sulla spiritualità russa fu grandissimo, anche se lasciò soltanto pochi, ma bellissimi discorsi ai monaci. Egli fu pure il confessore e il direttore spirituale di principi e cortigiani, di ministri e guerrieri. E evidente che con questi contatti egli esercitò un salutare influsso sulla società russa e la radicò in Dio. Colui che è considerato il fondatore e il modello del monachesimo russo morì nella sua laura il 3-5-1074. Fu canonizzato nel 1108 da un concilio di vescovi russi riuniti a Kiev. La laura di Pecersk resta ancora oggi un luogo di pellegrinaggio caro a tutti i credenti.
Lo stato dei Russi ebbe origine dall\’attività e intraprendenza dei Vichinghi Variaghi, chiamati così perché avevano formato un\’"associazione vincolata dal giuramento". Guidati dal loro sovrano Normandt Rurit, essi si stabilirono a Kiev che divenne il centro stabile del loro stato. I bizantini lo chiamarono "Rosìa" essendo dominata da signori che provenivano dal territorio di Roslagen (Svezia). La via chiamata "dai Variaghi ai Greci", che collegava il Mar Baltico al Mar Nero, contribuì non solo alla formazione di un nuovo regno, diventato in seguito, attraverso il granducato di Mosca, l\’impero russo, ma rese possibile lo scambio culturale e religioso tra l\’occidente e l\’oriente europeo.
I primi influssi cristiani nelle colonie militari e commerciali dei Variaghi si verificarono nel secolo IX. Il patriarca di Costantinopoli, Fozio (+891), in una lettera circolare agli arcivescovi dell\’oriente, notificò che anche i "Rhos", dopo un\’incursione brigantesca a Bisanzio (860), si erano convertiti e avevano accettato un vescovo. Un trattato concluso solennemente a Kiev tra il granduca Igor I (+945) e i greci rivela la presenza di numerosi cristiani nel suo seguito. Mentre costoro si recarono a pregare nella chiesa eretta in onore di Sant\’Elia, i pagani si recarono a pregare nel tempio di Donar. La moglie di Igor I, S. Olga (+969), madre di Svjatoslav, nel 957 compì un viaggio a Costantinopoli dove ricevette il battesimo. Tuttavia lo sforzo che fece per introdurre il cristianesimo nel granducato non riuscì. S. Adalberto, vescovo di Magdeburgo (+981), inviato a Kiev in occasione di un\’ambasciata di Olga all\’imperatore Ottone I (+973), dovette fuggire di fronte all\’opposizione degli slavi pagani.
Il cristianesimo entrò definitivamente nella storia dei popoli della Russia con S. Vladimiro il Grande (+1015), figlio di Svjatoslav. Si distinse talmente nella lotta contro Boemi e Bizantini che fu chiamato in aiuto dagli stessi imperatori di Costantinopoli, Basilio II e Costantino VIII, in occasione di una sommossa militare. Come ricompensa, egli chiese la mano della loro sorella Anna. Gli fu concessa a condizione che si convertisse al cristianesimo. L\’atto di battesimo e di matrimonio avvenne nella città di Cherson in Crimea nel 984. Ritornato a Kiev, il santo obbligò tutti i suoi sudditi a ricevere il battesimo e ad accettare il rito bizantino in lingua slava. Fece erigere una chiesa in onore di Maria SS. e volle che la devozione verso di lei fosse una caratteristica della sua gente. Principe energico, condusse una politica d\’indipendenza, anche in campo ecclesiastico, tanto con l\’oriente quanto con l\’occidente.
Per la loro opera di evangelizzazione Olga e Vladimiro furono chiamati "uguali agli apostoli". La chiesa cattolica li riconobbe come santi insieme ai principi Boris e Gleb, figli di Vladimiro, fatti assassinare nel 1015, per motivi dinastici, dal fratello maggiore Svjatopolk. Essi accettarono la morte senza resistenza, per amore di Cristo crocifisso, mentre avrebbero potuto difendere i loro diritti. Alle loro reliquie si attribuirono miracoli e la Chiesa russa venerò i due come martiri, primi santi nazionali e patroni.
Il cristianesimo penetrò soltanto lentamente nell\’animo della popolazione, e fu alimentato dalla cultura spirituale bizantina. Esso fu importato in Russia soprattutto sotto la forma monastica. I grandi conventi di Costantinopoli con le scuole, gli ospedali, le biblioteche, gli orfanotrofi annessi, esercitarono un grande influsso sulla vita sociale e intellettuale del popolo russo. Tra esso il monachesimo divenne veramente nazionale quando fu fondata la laura di Pecersk presso Kiev, per opera di S. Antonio e S. Teodosio. Una cronaca li chiama difatti "i primi grandi ceri accesi nel nome della Terra russa dinanzi all\’immagine universale del Cristo". Costituendo cronologicamente il primo monastero russo, la laura di Pecersk viene considerata la culla della vita spirituale russa. Da essa partirono i primi missionari che andarono ad evangelizzare le popolazioni sparse nelle foreste vergini del nord e delle immense steppe del sud.
Nella laura e per mezzo della laura la nuova religione fu predicata con la parola, ma soprattutto con l\’esempio. Sono 381 i martiri, i principi, i vescovi, i monaci, gli startzi (vegliardi) che in Russia riscuotono culto pubblico. Tra essi occupano un posto d\’onore, anche tra i latini, S. Varlaam di Chutyn, successore di S. Antonio nella direzione della laura di Pecersk, S. Nichita di Novgorod, S. Leonzio di Rostow e S. Sergio di Radonez. La Chiesa cattolica riconosce come santi tutti quelli che la Chiesa russa scismatica riconosce come tali purché siano vissuti prima del concilio di Firenze (1439) e non abbiano avuto un contegno ostile verso i cattolici. Allorché Bisanzio fu definitivamente considerato fuori della Chiesa (1054), i Russi non furono scomunicati dal legato papale Umberto di Silva Candida (+1061) perché il metropolita di Kiev non era in comunione con Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli. La Chiesa russa fu considerata come scismatica soltanto dopo che respinse l\’unione accettata a Firenze da Isidoro, metropolita di Kiev.
Originario di Lubetch, nella terra di Tchernigov, Antonio era stato monaco a Monte Athos (Grecia). Un giorno l\’igumeno (superiore) gli aveva ordinato di ritornare in Russia perché prevedeva che alla sua scuola "sarebbe uscita una folla di religiosi". A Kiev, non sentendosi contento in nessuno dei conventi bizantini, si stabilì in una grotta vicino alla città, in cui visse nella preghiera, nel digiuno e nel lavoro. Altri uomini, attratti dalla fama delle sue virtù, chiesero di diventare discepoli di lui. Il duca Isjaslav se ne interessò, ma Antonio, che non poteva sopportare il "tumulto", si ritirò in una montagna più solitaria ove terminò i suoi giorni (+1073) nel più assoluto silenzio e nella preghiera. A lui successe prima S. Varlaam e quindi S. Teodosio, che fino alla morte rimase fedele a Isjaslav, anche quando questi viveva in occidente, presso l\’imperatore della Germania Enrico IV (+1106), in attesa di un aiuto che gli venne invece dal papa S. Gregorio VII (+1085).
La Russia antica ha trovato il suo ideale di vita religiosa nella persona di S. Teodosio di Pecersk. Egli, S. Sergio di Radonez (+1392), S. Ticone di Zadonsk (+1783), S. Serafino di Sarov (+1833), sono i più popolari fra i santi monaci russi. Di Teodosio ignoriamo l\’anno di nascita. Apparteneva ad una famiglia agiata, abitante prima a Vasiikof, poi a Koursk. La morte prematura del padre lo lasciò in balia della madre, che era un\’autentica "virago". L\’adolescente, trascurando i giuochi dei coetanei, si diede di propria volontà alla contemplazione, alla frequenza delle chiese, allo studio della Sacra Scrittura sotto la guida di un maestro che meravigliò con il senno, l\’intelligenza, il carattere dolce e umile. Amava andare vestito di abiti poveri e rappezzati, nonostante le riprensioni dei parenti. Quando fu posto al servizio del governatore di Koursk, portò a malincuore i bei vestiti. Appena poteva, era felice di donarli ai bisognosi.
Dopo la morte del padre, Teodosio andò a lavorare con i servi nel villaggio. Poiché la madre considerava la sua occupazione oltraggiosa all\’onore della famiglia, egli, che amava essere considerato alla stregua di un miserabile, le diceva: "Gesù Cristo è diventato lui stesso povero e umile per darci l\’esempio affinchè anche noi, sul suo esempio, ci umiliamo". In seguito divenne fornaio del pane eucaristico.
Ricordando alla madre come il Figlio di Dio non aveva disdegnato il lavoro, le faceva notare come dovesse rallegrarsi per essere stato scelto dal Signore a impastare il pane che si sarebbe trasformato nel divin corpo. Tormentato dall\’idea della salvezza eterna, fuggì da casa per andare in Terra Santa. Fu presto riacciuffato, battuto e incatenato dalla madre bramosa di togliergli la voglia di ritentare la fuga. Cercò pure di impedirgli con le percosse di continuare a preparare il pane eucaristico, che costituiva oggetto di derisione per i suoi amici, ma egli, amareggiato, di notte se ne fuggì in una città vicina dove continuò ad occuparsi del medesimo lavoro. La madre ne andò in cerca e ancora una volta lo ricondusse a casa a suon di busse.
Il santo sopportò in silenzio i cattivi trattamenti. Invece di lamentarsene raddoppiò le preghiere. Tutti i giorni si recava in chiesa. Ad un fabbro ordinò delle catene da attorcigliare al corpo per tenere a freno la concupiscenza della carne. Una domenica, prima di recarsi a prestare servizio presso il governatore, fu costretto dalla madre a indossare alla sua presenza abiti da festa. Avendo scorto del sangue sulla camicia del figlio e delle catene sul corpo di lui, gliele strappò furente di dosso e lo malmenò. In fondo al proprio cuore Teodosio non cessava di sentire la voce di Dio che gli diceva: "Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me". Fuggì allora a Kiev e si presentò ad Antonio che lo accettò alla sua sequela. Teodosio poté così darsi interamente al servizio di Dio. Per vincere le tentazioni della carne di notte si recava sopra una collina vicina, esponeva metà del suo corpo al morso delle zanzare e filava la lana cantando dei salmi. Sotto le vesti portava il cilicio. In cella dormiva seduto sopra una cassa. Una notte un monaco lo udì pregare piangendo e battendo la testa per terra. La sua preghiera era sovente turbata dagli spiriti infernali che, per spaventarlo, gli apparivano sotto forma di animali.
Giorno e notte Teodosio lavorava per sé e per gli altri, ma consacrava la quaresima esclusivamente alla preghiera ritirandosi in una caverna. Allora si copriva di polvere e non parlava a nessuno. Diceva soltanto poche parole attraverso una finestra quando aveva bisogno di qualche cosa. "Perché – diceva – l\’anima si purifica durante questi giorni; in seguito, essa celebra la risurrezione del Signore". Al termine della quaresima ritornava presso i confratelli per festeggiare con loro la Pasqua mangiando del grano cotto nel miele e dell\’olio di papavero.
Divenuto igumeno, Teodosio pose fine alla vita cavernicola facendo costruire, in superficie, attorno alla chiesa, delle celle per il crescente numero dei monaci ai quali diede da osservare la regola del monastero di Stoudion, seguita più tardi da tutti i conventi russi. Lungi dal pensare che, in qualità di superiore, non era tenuto all\’osservanza regolare, il santo volle essere di esempio a tutti anche nello spaccare la legna, nell\’andare ad attingere l\’acqua e nel macinare il grano. Nei giorni feriali non si nutriva che di pane secco; nelle feste prendeva qualche legume cotto nell\’acqua. Ciò nonostante, in refettorio aveva il viso gaio e radioso. Egli sottometteva quest\’ascesi corporale, che praticava per ottenere la purezza del cuore, alla pratica delle virtù evangeliche. Diceva ai suoi monaci: "Non siate mai bruschi, collerici, ma misericordiosi e dolci. Avendo fatto professione di vita religiosa, facciamo incessantemente penitenza per i nostri peccati; è la chiave del regno dei cieli… Che i giovani ascoltino i vecchi con umiltà e ubbidienza… Quanto agli anziani, che prodighino ai giovani l\’amore, ammaestrandoli e consolandoli. Tutti si diano alla preghiera, ciascuno come può".
Secondo Teodosio il monaco doveva sentirsi legato da un amore spoglio di orgoglio e di egoismo non soltanto con i propri confratelli, ma anche con i laici. Egli infatti non temeva di andare a visitare le famiglie di Kiev e prendere parte a feste presso il principe e i suoi amici. Buono, dolce, umile verso tutti, egli diventava inesorabile quando vedeva violata la giustizia. Per questo non volle riconoscere il principe Sviatoslav che aveva usurpato il trono di suo fratello e si rifiutò di commemorarlo negli uffici divini. Di notte si recava nei quartieri dei giudei per discutere con loro e convertirli alla fede.
La "laura" viveva di elemosine e perché andavano aumentando, tanto era grande la stima che i fedeli avevano concepito di essa, Teodosio fece costruire nel recinto del monastero un ospedale e un ricovero per i poveri, gli storpi e i pellegrini. Tutti i sabati mandava ai carcerati delle vetture cariche di pane. I monaci mormoravano di tanta sua prodigalità, ma egli rispondeva loro: "E bene per noi nutrire con il nostro lavoro i poveri e i miserabili di ogni sorta invece di restare oziosi e bighellonare di cella in cella". La sua fiducia nella Provvidenza era assoluta. Non sperava in nessun aiuto terreno o umano, ma soltanto in Dio. Il monaco Nestore, che lo conobbe e ne scrisse la vita, gli attribuisce molti miracoli per colmare il vuoto cagionato dalle esigenze della carità. Principio fondamentale di tutta la sua vita spirituale fu; "Dare tutto a Dio, attendere tutto da Dio". Ignorò quindi la prudenziale economia propria di coloro che sono incaricati di provvedere al bene materiale di una comunità.
La dolcezza non impedì al santo igumeno di governare il suo convento con mano forte. Esigeva che nella comunità tutto fosse compiuto secondo la regola e con devozione. Ogni sera faceva la ronda del monastero e se udiva i monaci chiacchierare nelle loro celle, dopo la preghiera, egli batteva dolcemente alla loro porta. Il giorno dopo li mandava a chiamare e li esortava al pentimento con grande tatto. Dai dipendenti esigeva un\’obbedienza a tutta prova. Visitava le celle dei monaci e faceva gettare nel fuoco tutti gli oggetti conservati senza permesso. Tuttavia, invece di punire, egli preferiva conservare la disciplina con l\’esempio dell\’umiltà e carità. Per due anni curò amorevolmente il monaco Isacco, che era talmente indebolito di corpo e di animo da non potere né voltarsi, né alzarsi, né sedersi. Quando un monaco si rifiutava di eseguire un lavoro, egli lo sostituiva; quando commetteva una mancanza, egli se ne rammaricava, ma lo accoglieva con gioia se si pentiva. Essendo facile al perdono diversi monaci abusarono della sua indulgenza, ma l\’irraggiamento della sua vita spirituale era tale che, nell\’insieme, finché fu egumeno, la disciplina regnò nella "laura".
Tanta dolcezza attirò al santo l\’inimicizia di coloro che erano animati da spirito mondano. Ebbe così modo di accentuare ancora di più la sua rassomiglianza con Cristo. Non cessò tuttavia di lanciare la sua parola autoritaria e forte contro i vizi del tempo, quali l\’ubriachezza, l\’incredulità e l\’eterodossia. L\’influsso che Teodosio esercitò sulla spiritualità russa fu grandissimo, anche se lasciò soltanto pochi, ma bellissimi discorsi ai monaci. Egli fu pure il confessore e il direttore spirituale di principi e cortigiani, di ministri e guerrieri. E evidente che con questi contatti egli esercitò un salutare influsso sulla società russa e la radicò in Dio. Colui che è considerato il fondatore e il modello del monachesimo russo morì nella sua laura il 3-5-1074. Fu canonizzato nel 1108 da un concilio di vescovi russi riuniti a Kiev. La laura di Pecersk resta ancora oggi un luogo di pellegrinaggio caro a tutti i credenti.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 44-49.
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