Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO II. La via illuminativa o lo stato delle anime proficienti. CAPITOLO III. Le virtù teologali. II. Efficacia santificatrice dell’amor di Dio. III. La pratica progressiva dell’amor di Dio. § II. Della carità verso il prossimo. I. Natura della carità fraterna. II. Efficacia santificatrice della carità fraterna.
II. Efficacia santificatrice dell’amor di Dio.
1218. 1° La carità è in sè la più eccellente e
quindi la più santificante delle virtù; l’abbiamo già provato dimostrando
che costituisce l’essenza stessa della perfezione, che comprende tutte le virtù
e loro conferisce speciale perfezione, facendone convergere gli atti verso Dio
amato sopra ogni cosa (n. 310-319).
È quello che in lirici accenti dichiara S. Paolo: 1218-1 “Se nelle lingue degli uomini io parli e degli
angeli, ma non ho la carità, riesco bronzo risonante o timpano fragoroso. E se
ho profezia e sappia i misteri tutti e tutto lo scibile, e se ho tutta la fede
così da trasportar montagne, ma non ho la carità, niente sono. E se in cibo io
dispensi tutte le mie sostanze, e se abbandono il mio corpo ad essere arso, ma
non ho carità, non mi val nulla.
La carità è paziente, è benigna; la carità non invidia; la carità non si
vanta, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il suo, non s’irrita, non
imputa il male, non gioisce dell’ingiustizia ma congioisce con la verità: tutto
copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non viene mai meno… Restano dunque la fede, la speranza, la
carità: queste tre. Maggiore però di tutte la carità”.
1219. La carità infatti è più unificante e
trasformante della altre virtù:
a) L’anima intiera ella unisce a Dio con tutte le sue facoltà: la
mente, con la stima e col frequente pensiero di Dio; la volontà,
con la sottomissione perfetta alla divina volontà; il cuore, subordinando
tutti gli affetti all’amor di Dio; le forze, mettendole tutte a servizio
di Dio e delle anime.
b) Unendo l’anima intieramente a Dio, la trasforma: l’amore ci
fa uscire da noi stessi, ci eleva fino a Dio, ci induce ad imitarlo e a ritrarre
in noi le divine sue perfezioni; si brama infatti somigliare alla persona amata,
perchè è stimata come modello, e con l’assomigliarle di più si vuole entrare più
addentro nella sua intimità.
1220. 2° Negli effetti, la carità contribuisce
molto efficacemente alla nostra santificazione.
a) Forma tra l’anima nostra e Dio una certa simpatia o
connaturalità che ci fa meglio capire e gustare Dio e le
cose divine; la mutua simpatia è quella per cui gli amici s’intendono,
s’indovinano e si uniscono sempre più intimamente. Molte anime ignoranti, ma
accese d’amor di Dio, gustano e praticano meglio dei sapienti le grandi verità
cristiane: è effetto della carità.
1221. B) Centuplica le forze per il
bene, comunicandoci indomabile vigore a superar gli ostacoli e indurci ai più
esimii atti di virtù; perchè “l’amore è forte come la morte, fortis est ut
mors dilectio” 1221-1. Che intrepida vigoria non dà alla madre
l’amore pel suo bambino!
Nessuno forse descrisse meglio dell’autore dell’Imitazione i mirabili
effetti dell’amor di Dio: 1221-2 allevia i dolori e i pesi: “nam onus sine
onere portat et omne amarum dulce ac sapidum efficit“; ci inalza a
Dio, perchè è nato da Dio: “quia amor ex Deo natus est, nec potest nisi in
Deo quiescere“; c’impenna l’ali per volar lietamente agli atti più perfetti
e al dono totale di noi: “amans volat, currit et lætatur… dat omnia pro
omnibus“; ci stimola quindi a grandi cose facendoci mirare al più
perfetto: “amor Jesu nobilis ad magna operanda impellit, et ad desideranda
semper perfectiora excitat“; vigila continuamente, non si lagna delle
fatiche nè si lascia turbar dal timore; ma, come fiamma vivace, si spinge sempre
più in alto e, superando ogni difficoltà, va oltre securo: “amor vigilat…
fatigatus non lassatur, territus non conturbatur, sed sicut vivax flamma…
sursum erumpit secureque pertransit“.
1222. c) Produce pure gaudio grande e
allargamento di cuore: è infatti il possesso iniziale del Sommo Bene,
inchoatio vitæ æternæ in nobis; possesso che empie l’anima di gaudio:
“dans vera cordis gaudia” 1222-1.
Quindi, riprende l’Imitazione, nulla è più dolce, nulla è più
giocondo, nulla è migliore nè in cielo nè in terra: “Nihil dulcius est
amore… nihil jucundius, nihil plenius nec melius in cælo et in terrâ“. La
causa principale di tal gaudio sta in questo, che cominciamo a prendere più viva
coscienza della presenza di Gesù e della presenza di Dio in noi: “Esse cum
Jesu dulcis paradisus 1222-2… Te siquidem præsente, jucunda sunt omnia,
te autem absente fastidiunt cuncta” 1222-3.
1223. d) A questo gaudio tien dietro una pace profonda: quando si è persuasi che Dio è in noi e che esercita su
noi opera e sollecitudine paterna, uno gli si abbandona con dolce confidenza
sicuramente affidandogli la cura di tutti i suoi interessi, onde gode pace e
serenità perfetta: “Tu facis cor tranquillum et pacem magnam lætitiamque
festivam” 1223-1. Ora non v’è disposizione più favorevole al
progresso spirituale come la pace interiore: in silentio et quiete proficit
anima devota.
Quindi, da qualunque lato si consideri la carità, in sè o negli effetti, è la
più santificante di tutte le virtù; è veramente il vincolo della perfezione.
Vediamo ora come si pratica.
III. La pratica progressiva dell’amor di Dio.
1224. Principio generale. Essendo l’amore dono
di sè, il nostro amore per Dio sarà tanto più perfetto quanto più perfettamente
ci daremo a lui, senza riserva e senza ripresa: ex totâ animâ, ex toto
corde, ex totis viribus. E poichè sulla terra uno non può darsi senza
sacrificarsi, il nostro amore sarà tanto più perfetto quanto più generosamente
praticheremo lo spirito di sacrifizio per amor di Dio (n. 321).
1225. 1° Gl’incipienti praticano l’amor di Dio
sforzandosi di schivare il peccato, massime il peccato mortale e le sue
cause.
a) Praticano quindi l’amor penitente, amaramente deplorando di
avere offeso Dio e di avergli rubata la gloria (n. 743-745).
Quest’amore produce due effetti: 1) ci separa vieppiù dal peccato e
dalle creature a cui il diletto ci aveva attaccati; 2) ci reconcilia e ci
unisce a Dio, non solo rimovendo il peccato che è il grande ostacolo all’unione
divina, ma mettendoci in cuore questi sentimenti di contrizione e di umiltà che
sono già un principio d’amore, e che, sotto l’azione della grazia, si
trasformano talora in amore perfetto. “Perchè, come dice S. Francesco di
Sales, l’amore imperfetto desidera Dio e lo invoca, la penitenza lo cerca e lo
trova, l’amore perfetto lo tiene e lo stringe”. In ogni caso i peccati ci sono
rimessi tanto più intieramente quando [sic] più intenso è l’amore.
1226. b) Praticano pure il primo grado
dell’amore di conformità alla divina volontà, osservando i comandamenti
di Dio e quelli della Chiesa, e sopportando valorosamente le prove che la
Provvidenza loro manda per aiutarli a purificarsi (n. 747.)
c) E presto il loro amore diventa riconoscente. Vedendo che,
non ostante i loro peccati, Dio continua a colmarli di benefici, e che, appena
si pentono, largisce così liberale perdono, glie ne esprimono sincera e viva
riconoscenza, ne lodano la bontà e si sforzano di trar maggior profitto dalle
sue grazie. È nobile sentimento, è ottima preparazione al puro amore: ci è
facile inalzarci dal beneficio ricevuto all’amor del benefattore e desiderare
che la sua bontà sia riconosciuta e lodata per tutta la terra: e siamo così
all’amore di carità.
1227. 2° I proficienti
praticano l’amor di compiacenza, di benevolenza, di conformità
alla volontà di Dio, onde giungono all’amore di amicizia.
A) L’amor di compiacenza 1227-1 nasce dalla fede e dalla riflessione.
a) Per fede sappiamo e con la meditazione ci convinciamo che Dio è
la pienezza dell’essere e della perfezione, della sapienza, della potenza, della
bontà. Ora, per poco che siamo ben disposti, non possiamo non compiacerci di
questa perfezione infinita; godiamo di vedere che il nostro Dio è così ricco in
tutti i beni, ci sentiamo più lieti del piacere di Dio che del nostro, e questa
allegrezza manifestiamo con atti di ammirazione, di approvazione e di
congratulazione.
b) Attiriamo così in noi le perfezioni della divinità: Dio diventa il
nostro Dio; ci alimentiamo delle sue perfezioni, della sua bontà, della
sua dolcezza, della sua vita divina perchè il cuore si nutre delle cose in cui
si diletta; onde ci arricchiamo delle divine perfezioni che l’amore rende nostre
compiacendovisi.
1228. c) Ma, attirando in noi le divine
perfezioni, vi attiriamo anche Dio e ci diamo intieramente a lui, come
spiega molto bene S. Francesco di Sales: 1228-1
“Col santo amore di compiacenza noi godiamo dei beni che sono in Dio come se
fossero nostri; ma, essendo le perfezioni divine più forti del nostro spirito,
entrando in lui, a loro volta lo possedono; onde noi diciamo solo che Dio è nostro per ragione di questa compiacenza, ma anche che noi siamo
suoi“. Perciò l’anima nel sacro suo silenzio assiduamente grida: “Mi
basta che Dio sia Dio, che la sua bontà sia infinita, che la sua perfezione sia
immensa; poco m’importa che io muoia o che io viva, perchè il caro mio Diletto
vive eternamente di una vita tutta trionfante… Basta all’anima amante che
colui che ama più di se stessa sia ricolmo di beni eterni, perchè ella vive più
in Dio che ama che nel corpo che anima”.
1229. d) Quest’amore si trasforma in compassione e
condoglianza quando contempla Gesù paziente. L’anima
devota, vedendo quell’abisso di tristezze e di angoscie in cui questo divino
amante è immerso, non può non partecipare il santamente amoroso dolore. È ciò
che attirò su S. Francesco d’Assisi le stimate e su S. Caterina da
Siena le piaghe del Salvatore, poichè la compiacenza cagiona la compassione e la
compassione produce ferita simile a quella dell’oggetto amato.
1230. B) Dall’amore di compiacenza nasce
l’amore di benevolenza, vale a dire un desiderio ardente di glorificare e
far glorificare la persona amata. Il che si può praticare in due modi rispetto a
Dio.
a) Rispetto alla sua perfezione interna, non lo possiamo
praticare che in modo ipotetico, dicendo per esempio: O mio Dio, se, per
ipotesi impossibile, io potessi procurarvi qualche bene, lo vorrei desiderare a
costo anche della mia stessa vita. Se, essendo quello che siete, voi poteste
ricevere qualche aumento di bene, io ve lo desidererei con tutto il cuore.
1231. b) Ma rispetto alla sua gloria
esterna, desideriamo in modo assoluto di accrescerla in noi e negli altri; e
quindi di conoscere meglio e meglio amarlo noi, per farlo conoscere meglio e
meglio amare dagli altri. Onde poi quest’amore non sia puramente speculativo,
c’industriamo di studiare distintamente le bellezze e le perfezioni divine, per
lodarle e farle benedire, sacrificandovi studi ed occupazioni più geniali.
Pieni allora di stima e di ammirazione per Dio, desideriamo che il santo suo
nome sia benedetto, esaltato, lodato, onorato, adorato per tutta la terra. Ed
essendo incapaci di farlo perfettamente da noi, invitiamo tutte le creature a
lodare e benedire il Creatore: Benedicite omnia opera Domini
Domino; 1231-1 saliamo in ispirito in cielo per unirci ai cori
degli Angeli e dei Santi e cantar con loro: “Sanctus, Sanctus, Sanctus,
Dominus“… Ci uniamo pure alla SS. Vergine, che, inalzata sopra gli
Angeli, rende più lode a Dio che tutte le creature, e ripetiamo con lei: Magnificat anima mea Dominum. Ma ci uniamo soprattutto al Verbo
Incarnato, il grande Religioso del Padre, che, essendo Dio e uomo, offre alla
SS. Trinità lodi infinite.
Finalmente ci uniamo a Dio stesso, vale a dire alle tre divine persone che
mutuamente si lodano e si applaudono. “E allora esclamiamo: Gloria al padre e al
Figlio e allo Spirito Santo. Onde poi si sappia che non è la gloria essenziale
ed eterna ch’egli ha in sè, per sè e da sè, aggiungiamo: Come era nel principio,
ora e sempre… quasi che il nostro augurio volesse dire: Sia Dio sempre
glorificato della gloria che aveva prima della creazione nell’infinita sua
eternità ed eterna infinità” 1231-2.
Specialmente i Religiosi e i Sacerdoti si sentono
obbligati, in virtù dei voti o del sacerdozio, a promuovere così la gloria di
Dio: divorati dal desiderio di glorificarlo, non cessano, anche in mezzo alle
occupazioni, di benedirlo e lodarlo; e nel ministero hanno una sola ambizione,
quella di estendere il regno di Dio e fare eternamente lodare Colui che amano
come unica loro eredità.
1232. C) L’amor di benevolenza si manifesta
con l’amore di conformità: per ampliare in profondità il regno di Dio,
non v’è nulla di più efficace che il farne la santa volontà: fiat voluntas
tua sicut in cælo et in terra. L’amore infatti è prima di tutto unione e
fusione di due volontà in una sola: unum velle, unum nolle; ora essendo
la volontà di Dio la sola buona e sapiente, è chiaro che dobbiamo esser noi a
conformare la volontà nostra alla sua: “non mea voluntas, sed tua
fiat” 1232-1.
Questa conformità comprende, come abbiamo esposto, n. 480-492,
l’obbedienza ai comandamenti, ai consigli, alle ispirazioni della grazia; e
l’umile, affettuosa sottomissione agli eventi provvidenziali, lieti o tristi che
siano, ai cattivi successi, alle umiliazioni, alle prove di ogni specie, che ci
sono inviate solo per la santificazione nostra e per la gloria di Dio. Tale
conformità produce a sua volta la santa indifferenza per tutto ciò che
non è di servizio di Dio: persuasi che Dio è tutto e che la creatura è nulla,
noi non vogliamo che Dio e la sua gloria, restando con la volontà indifferenti a
tutto il resto. Non è stoica insensibilità, perchè continuiamo a sentire
inclinazione alle cose che ci dilettano, ma è indifferenza di stima e di
volontà. Non è neppure la noncuranza dei Quietisti, perchè non siamo
indifferenti alla nostra eterna salute, desiderandola ardentemente, ma
desiderandola in conformità alla divina volontà.
Questo santo abbandono cagiona una pace profonda: si sa che nulla ci
accadrà che non sia utile alla nostra santificazione: “diligentibus Deum
omnia cooperantur in bonum” 1232-2, ond’è che si abbracciano lietemente le prove e
le croci per amor del divin Crocifisso e per meglio assomigliarlo.
Quindi la perfetta conformità alla volontà di Dio, dice Bossuet, 1232-3 “fa che ci adattiamo volentieri alla gioia come
al dolore, secondo che piace a Colui che conosce ciò che ci torna bene. Ci fa
trovar riposo non nel piacere nostro ma in quello di Dio, pregandolo di fare a
suo grado e disporre sempre di noi come meglio gli talenta”.
1233. D) Cotesta conformità ci conduce
all’amicizia con Dio. L’amicizia include, oltre alla benevolenza, la
reciprocità o il mutuo darsi degli amici l’uno all’altro. Il che
si avvera nella carità.
È una vera amicizia, dice S. Francesco di Sales 1233-1 “perchè è
reciproca, avendo Dio da tutta
l’eternità amato ogni cuore che nel tempo amò, ama e amerà lui; è mutuamente
dichiarata e riconosciuta, atteso che Dio non può ignorare l’amore che
abbiamo per lui, dandocelo egli stesso, e neppur noi non possiamo ignorare
quello che egli ha per noi, avendolo egli tanto pubblicato,… e finalmente
siamo in perpetua comunicazione con lui, che ci parla continuamente al
cuore con ispirazioni, attrattive e sante mozioni”. Ed aggiunge: “Quest’amicizia
non è amicizia semplice, ma amicizia di predilezione con cui facciamo
scelta di Dio per amarlo di particolare amore”.
1234. Tale amicizia consiste nel dono che Dio fa di
sè a noi e in quello che noi facciamo della nostra persona a lui. Vediamo dunque
che cos’è l’amor di Dio per noi, per intendere quale dev’essere l’amor nostro
per lui.
a) L’amor suo per noi è: 1) eterno: “in caritate
perpetuâ dilexi te” 1234-1; 2) disinteressato, perchè,
bastando pienamente a sè, Dio non ci ama che per farci del bene;
3) generoso: perchè si dà intieramente, venendo egli stesso ad
abitare amichevolmente nell’anima nostra, n. 92-97;
4) preveniente, perchè non solo ci ama per il primo, ma sollecita e
mendica il nostro amore, come se avesse bisogno di noi: “Le mie delizie sono di
stare coi figli degli uomini,… figlio mio, dammi il tuo cuore: deliciæ meæ
esse cum filiis hominum… præbe, fili, cor tuum mihi” 1234-2. Chi avrebbe mai potuto immaginare tanta
delicatezza di sentimenti!
1235. b) Dobbiamo quindi corrispondere a così
fatto amore col più perfetto amore possibile: “sic nos amantem quis non
redamaret“?
1) Amore che sarà ognor progressivo: non avendo potuto amar Dio da
tutta l’eternità, nè potendolo mai amare quanto si merita, dobbiamo almeno
amarlo ogni giorno più, non ponendo limite alcuno al nostro affetto per lui, non
ricusandogli alcuno dei sacrifizi che ci chiede, e cercando sempre di tornargli
graditi: “quæ placita sunt ei facio semper” 1235-1. 2) Sarà
generoso: esprimendosi non
solo in pii affetti, in frequenti orazioni giaculatorie, in atti semplicissimi
d’amore: Vi amo con tutto il cuore; ma anche con le opere e soprattutto
col dono totale di noi. Bisogna che Dio sia il centro del nostro essere:
del nostro intelletto con voli frequenti a lui; della nostra
volontà, con l’umile sottomissione ai minimi suoi desideri; della nostra
sensibilità, non lasciando correre il cuore ad affetti che siano
d’ostacolo all’amor di Dio; di tutte le nostre azioni, sforzandoci di
farle per piacere a lui. 3) Sarà disinteressato: ameremo lui assai
più che i doni suoi; onde l’ameremo nelle aridità come nelle consolazioni,
ripetendogli spesso che vogliamo amarlo e amarlo per se stesso. Ci studieremo
così, nonostante la nostra impotenza, di corrispondere alla sua amicizia.
§ II. Della carità verso il prossimo.
Esposta la natura
di questa virtù e l’efficacia
santificatrice, indicheremo il modo
di praticarla.
I. Natura della carità fraterna.
1236. Anche la carità fraterna è, come abbiamo detto,
una virtù teologale, purchè nel prossimo si ami Dio, o in altre parole si
ami il prossimo per Dio. Se amassimo il prossimo unicamente per lui o per
i servizi che ci può prestare, non sarebbe carità.
A) Dio dunque bisogna vedere nel prossimo. Vi si manifesta con
i doni naturali, che sono una partecipazione dell’essere suo e dei suoi
attributi; e coi doni soprannaturali, che sono una partecipazione della
sua natura e della sua vita, n. 445. Essendo la carità virtù
soprannaturale, son queste soprannaturali qualità quelle che dobbiamo
guardare come motivo della nostra carità; se quindi consideriamo anche le sue
qualità naturali, dobbiamo farlo con l’occhio della fede, in quanto sono dalla
grazia rese soprannaturali.
1237. B) A cogliere meglio il vero motivo
della carità fraterna, possiamo analizzarlo, considerando gli uomini
nelle loro relazioni con Dio; allora ci appariranno come figli di Dio, membri
di Gesù Cristo, coeredi dello stesso regno celeste, (n. 93, 142-149).
Anche se non sono in istato di grazia o non hanno la fede, resta sempre che
sono chiamati a possedere questi doni soprannaturali, ed è nostro dovere di
contribuire, almeno con la preghiera e con l’esempio, alla loro conversione.
Quale potente motivo per farceli amare come fratelli e quanto piccola cosa è il
diverso modo di vedere che ci separa da loro di fronte a tutto ciò che ci
unisce!
II. Efficacia santificatrice della carità fraterna.
1238. 1° Non essendo l’amore soprannaturale del
prossimo che un modo di amar Dio, bisognerebbe ripetere qui quanto già dicemmo
sui mirabili effetti dell’amor di Dio.
Ci basti citare qualche testo di S. Giovanni: “Chi ama il suo fratello
sta nella luce e non vi è in lui ragione di caduta. Ma chi odia il suo fratello
è nelle tenebre” 1238-1. Ora lo stare nella luce, nello stile di
S. Giovanni, vale stare in Dio, fonte di ogni luce, ed essere nelle tenebre
vale essere nello stato di peccato. E prosegue: “Sappiamo che siamo passati
dalla morte alla vita perchè amiamo i fratelli… Chiunque odia il proprio
fratello è omicida” 1238-2. E conchiude così: “Carissimi, amiamoci l’un
l’altro: perchè la carità è da Dio, e chi ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi
non ama, non ha conosciuto Dio, perchè Dio è carità… Se ci amiamo l’un
l’altro, Dio abita in noi, e la carità di lui è in noi perfetta… Dio è amore;
e chi sta nell’amore sta in Dio e Dio è in lui… Se uno dice: io amo Dio e
odierà il suo fratello, è mentitore. Infatti chi non ama il suo fratello che
vede, come può amare Dio che non vede? E questo comandamento abbiamo da Dio: che
chi ama Dio, ami anche il proprio fratello” 1238-3. Non si può più esplicitamente affermare che
amare il prossimo è amar Dio e godere di tutti i privilegi annessi all’amor di
Dio.
1239. 2° D’altra parte Gesù ci dice che considera
come fatto a sè ogni servizio reso al minimo dei suoi: “Amen dico vobis,
quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi
fecistis” 1239-1. Ora è evidente che Gesù non si lascia vincere
in generosità e che rende centuplicato, con ogni sorta di grazie, il minimo
servizio che gli si rende nella persona dei suoi fratelli.
Quanto consolante è questo pensiero per coloro che praticano la carità
fraterna e fanno l’elemosina corporale o spirituale al prossimo! e molto più
ancora per coloro che la vita intiera consacrano alle opere di carità o
all’apostolato! Costoro rendono ad ogni istante servizio a Gesù nella persona
dei fratelli; e quindi ad ogni istante pure Gesù ne lavora l’anima per ornarla e
santificarla.
NOTE
1218-1 I Cor., XIII, 1-13. Cfr.
Prat, op.
cit., t. II, p. 404-408.
1221-1 Cant., VIII, 6.
1221-2 Imitazione, l. III, c. V.
1222-1 Inno della festa del SS. Nome di
Gesù.
1222-2 Imitazione, l. II, c. VIII.
1222-3 Imit., l. III, c. XXXIV.
1223-1 Imit., l. III, c. XXXI.
1227-1 S. Fr. di Sales, Il
Teotimo, l. V, c. I-V.
1228-1 Il Teotimo o Trattato
dell’amor di Dio, l. V, c. I-V (Salesiana, Torino).
1231-1 Dan., III, 57.
1231-2 S. Fr. di Sales, Il
Teotimo o Trattato ecc., l. V, c. XII, (Salesiana, Torino).
1232-1 Luc., XXII, 42.
1232-2 Rom., VIII, 28.
1232-3 Elévations, Sett. XIIIª, elev.
7ª.
1233-1 Il Teotimo o Trattato
dell’amor di Dio, l. II, c. XXII (Salesiana, Torino).
1234-1 Jerem., XXXI, 3.
1234-2 Prov., VIII, 31; XXIII, 26.
1235-1 Joan., VIII, 29.
1238-1 I Joan., II, 10-11.
1238-2 I Joan., III, 14-15.
1238-3 Joan., IV, 7, 8, 12, 16, 20,
21.
1239-1 Matth., XXV, 40.