1.
L’invidia è una passione abominevole.
2.
L’invidia tormenta chi la possiede.
3. Furori
e stragi dell’invidia.
4. Rimedi
contro l’invidia.
1.
L’INVIDIA È UNA PASSIONE ABOMINEVOLE. – «L’invidia, dice
S. Agostino, è odio della felicità altrui»;
Aristotile chiama l’invidia l’antagonista della prosperità
(Ethic.). L’invidia è
il triste e segreto effetto di un orgoglio pusillanime che si sente
diminuito od eclissato per ogni menomo splendore che si veda negli
altri, ed ogni più tenue raggio di gloria e di felicità
che risplenda in altri lo inquieta.
«L’invidia,
predicava il Bossuet, è la più vile, la più
odiosa e la più screditata delle passioni; ma forse la più
comune e tale che poche anime ne sono del tutto immuni. Gli uomini
pretendono di essere delicati ed il nostro amor proprio ci gonfia
talmente agli occhi nostri, che la più piccola contraddizione
ci sembra un attentato contro la nostra dignità e felicità
e la menoma scalfittura ci fa imbronciare. Ma il peggio si è
che ci teniamo offesi, tanto s’amo teneri di noi stessi, anche quando
nessuno ci ha urtati; strilliamo come feriti, quando non ci hanno
nemmeno toccati. Un tale migliora le sue condizioni nella maniera più
onesta ed ecco che la sua buona fortuna ci rende suoi nemici
senz’altro motivo; la virtù di quell’altro ci fa tristi, la
fama di un terzo ci toglie il sonno. Gli scribi e i farisei non
potevano soffrire Gesù Cristo né la purezza della sua
dottrina, né l’innocente semplicità della sua vita e
della sua condotta, perché erano un rimprovero tacito, ma
potente, contro l’ipocrita loro invidia e il sordido loro orgoglio»
(Sur la Passion de J. C.).
«O
invidia, esclama il Nazianzeno, tu sei la più giusta e la più
ingiusta insieme delle passioni! Ingiusta sì, perché
rattristi ingiustamente gli innocenti; ma giusta ancora, perché
punisci i colpevoli. Ingiusta, perché metti a disagio tutto il
genere umano; ma sommamente giusta, perché produci prima di
tutto i maligni tuoi frutti nel cuore dove sei allignata»
(Anton. in Meliss.
lib. I, c. XXVI).
L’invidia
e la gelosia sono un conflitto con le passioni più furiose…
2.
L’INVIDIA TORMENTA CHI LA POSSIEDE. – L’invidia è la tortura
del cuore che l’alberga. Come la ruggine consuma il ferro da cui è
originata, così, dice Antistene, l’invidioso è
consumato dal suo proprio vizio (Ap. Laert.
lib. VI. c. I). E più spiegatamente il Crisostomo: «L’invidia
fa sempre da carnefice col suo proprio autore: irrita i sensi,
tormenta lo spirito, corrompe il cuore. Chi ha l’invidia sempre ne
soffre la tirannia e i supplizi, perché vuole accarezzarsi in
seno questo molesto persecutore. E quando infatti, potrà
vedere il fine dei suoi tormenti colui che soffre della fortuna
altrui? (Serm.
CLXXII)». Con tutta ragione S. Agostino chiama l’invidia:
«Tignola, consunzione, vipera, carnefice dell’anima (De
Morib.)»; Socrate paragonava l’azione
dell’invidia su l’anima, all’effetto di Dna sega sui corpi
(Anton. in Meliss. 1.
I, c. XXVI).
L’invidioso
è sempre irrequieto, permaloso, triste, scontento, come ben si
conosce dall’occhio livido, dai lineamenti contratti, dalla faccia
smorta e scura: egli va ruminando odio, collera e vendetta; ne sono
esempio i fratelli di Giuseppe, i quali concepirono contro il loro
fratello un odio tale da volerne la morte, quando divennero gelosi di
lui perché Giacobbe lo amava più di essi (Gen.
XXXVII, 4).
L’invidia
è un tormento perpetuo come l’inferno, ardente come il fuoco,
divorante come la fiamma (Cant.
VIII, 6); è un lento veleno che consuma le midolla delle ossa
(Prov. XIV, 30);
conduce alla miseria (Prov.
XXVIII, 22); è la più crudele malattia, la più
terribile morte del cuore. «O invidia, esclama il Crisostomo,
sorgente della morte, malattia complicata, chiodo acutissimo nel
cuore! (Ibid.)».
L’invidioso
ha le pupille inferme, perché offese da ciò che è
splendido e bello, la gloria, la virtù, la fama, il benessere
degli altri lo inquieta e lo tormenta; l’invidia sua cresce col
crescere della gloria e della virtù del prossimo. Domandato
Socrate qual cosa sia di danno ai buoni e di tormento ai malvagi,
rispose: La felicità dei cattivi è dannosa ai buoni; la
prosperità dei buoni tormenta i cattivi per mezzo dell’invidia
(Anton. in Meliss.
lib. I, c. XXVI).
L’invidioso
è doppiamente infelice: per i mali suoi e per i beni degli
altri. Egli rende qualche volta, con la sua invidia, molto più
grandi e fortunati coloro di cui è geloso; come si vide nei
figli di Giacobbe, i quali furono, con la loro invidia e gelosia, la
causa per cm il loro fratello Giuseppe fu innalzato a viceré
di Egitto. «L’invidioso, come osserva S. Gregorio, è di
animo pusillanime, di cuore gretto e vile, perché portando
invidia agli altri, dimostra di essere inferiore a loro; fa vedere la
sua piccolezza e povertà; che cosa è infatti invidiare,
se non confessare che manca quella cosa di cui si ha invidia!»
(Moral. lib. V).
L’invidioso è dolente che altri abbia ciò che
egli ha; gli dispiace di avere meno di un altro o che un altro abbia
più di lui; si rattrista perché le sue sostanze non
uguagliano quelle del suo emulo. «O somma ingiustizia della
gelosia, esclama Palladio (Apud Stobaeum,
serm. XXXVIII), l’invidioso perseguita il
fortunato!».
«
L’invidia, predica S. Bernardo, è il tarlo dell’anima;
distrugge il buon senso, brucia le viscere, turba lo spinto, rode
come cancro il cuore, alimenta col pestilenziale suo fiato ogni sorta
di beni. L’invidioso converte l’altrui bene in suo
peccato. O tu che ti mostri geloso dell’altrui benessere, bada
di non distruggere il tuo! perché se la morte spirituale è
compagna indivisibile dell’invidia, certamente tu non puoi essere
invidioso e vivere (De inter. domo,
c. XLII)».
L’invidia
è veleno più pericoloso che l’amor proprio: esso
incomincia a dare la morte a colui che lo vomita su gli altri e lo
porta ai peggiori attentati. L’orgoglio è naturalmente
ardimentoso e ama sfoggiare; ma l’invidia è ipocrita, si
camuffa sotto ogni pretesto, lavora nel segreto e trama all’oscuro.
3.
FURORI E STRAGI DELL’INVIDIA. – «L’invidia, morbo
pestilenziale, dice il Crisostomo, ha ridotto l’uomo alla condizione
del demoni e ne ha fatto un ferocissimo diavolo. Il primo omicidio fu
commesso dalla mano dell’invidia; essa fu che calpestò
l’amor fraterno (Homil. XLI, in
Matth.)». In altro luogo il medesimo
santo chiama l’invidia, invenzione di Satana, peste orribile, il più
nero dei vizi, bestia feroce che sopra ogni cosa devasta e distrugge
la salute (Homil. XXII,
in Gen.).
L’invidia
è: 1° il segnale o il marchio di un animo vile e
spregevole… 2° L’invidia non patisce superiorità… 3°
Impedisce e manda a monte bene spesso le più grandi imprese…
4° E amara e riboccante di fiele… 5° Si rallegra del male e
si rattrista del bene degli altri… 6° Essa è la più
grande infelicità dell’uomo… Fu essa infatti, come
dice il Savio, la prima introduttrice della morte nel mondo (Sap.
II, 24). Non è forse infelice colui che è in
esecrazione a tutti, che vive sempre sbattuto come nave in mare
tempestoso, che rassomiglia ai demoni? Orbene, tale è
l’invidioso, dice S. Basilio (Homil.
de Invid.).
«L’invidia
dice S. Agostino, cacciò l’angelo dal cielo, esiliò
l’uomo dal paradiso, uccise Abele, armò contro Giuseppe i suoi
fratelli, precipitò Daniele nella fossa dei leoni, crocifisse
Gesù, il nostro capo, strangolò Giuda. O miei fratelli,
annunziate ai quattro venti che l’invidia è quella belva
feroce che toglie la fede, distrugge la concordia, disperde la
giustizia e genera tutti mali. Essa crollò le mura di
Gerusalemme, spopolò Roma, abbatté Cartagine, diroccò
Troia (Serm. XVIII,
de Temp.)».
«L’invidia, dice il Nisseno, è
il maggiore dei mali, la madre della morte, la prima porta del
peccato, la radice dei vizi; è il principio del dolori,
l’origine della miseria, la causa della disobbedienza, la
sorgente dell’ignominia, morbo della natura; è una lama
avvelenata, un pugnale nascosto, una bile rabbiosa, una piaga
funesta, un calice di fiele, un patibolo al quale l’uomo si impicca,
una fiamma che divora il cuore, un fuoco interno. Gli invidiosi sono
uccelli di rapina» (Homil. in Gen.).
«Fuggiamo
l’invidia, esclama S. Basilio, perché è un male
intollerabile, precetto del serpente, invenzione del demonio, cibo
del nostro nemico, caparra del castigo, ostacolo alla pietà,
esclusione dal paradiso, strada dello inferno. Gli invidiosi dànno
colore di vizio alle virtù anche più belle, non
mancando mai di calunniare tutto ciò che è degno di
lode», Dice Aristonimo: «L’invidia contrasta tutte quante
le azioni oneste (In Diatrib.)».
«Gli
invidiosi, dice S. Giovanni Crisostomo, sono peggiori dei leoni;
simili, e starei per dire, più malvagi dei demoni. Infatti i
leoni ci assaltano solo quando sono spinti dalla fame o si vedono
provocati, mentre gli invidiosi, vi mordono proprio quando la vostra
mano con favori li accarezza, vi perseguitano e dilacerano quando li
beneficate. I demoni poi, quantunque accanitamente e implacabilmente
ci guerreggino, non si azzuffano però mai fra loro, secondo
l’osservazione con cui Gesù Cristo chiudeva la bocca agli
invidiosi Farisei, i quali per gelosia contro di lui dicevano che
egli scacciava i demoni in nome di Beelzebù, principe dei
diavoli. Infatti, diceva loro, non vedete che se Satana facesse la
guerra a Satana, per lui sarebbe finita? Per ciò i
demoni saranno vostri giudici (MATTH. XII, 26-27). Gli invidiosi al
contrario si accapigliano, si lacerano tra di loro… Questo peccato
non trova perdono. Il libidinoso può scusarsi con la forza
della concupiscenza, il ladro col bisogno e con la fame; l’assassino
con la collera; ma che scusa potrete trovare per i vostri misfatti,
voi, o invidiosi, se non quella di una somma malvagità? Questo
vizio è peggiore della fornicazione e perfino dell’adulterio,
perché il furore del vizio impuro si arresta nell’azione
medesima, ma il furore e le stragi dell’invidia scompigliano la
Chiesa e il mondo intero. Per l’invidia il demonio ha ucciso il
genere umano in Adamo (Hom. XXII,
In Gen.). In
altro luogo (Homil.
LXII, in Ioann.), il
medesimo padre chiama l’invidia, spaventoso flagello che si stende
per tutta la terra e tutta la mette a soqquadro: da lei
l’ingiustizia, gli odi, l’avarizia, le zuffe…
L’invidia
ha per corteo e famiglia la maldicenza, la calunnia, le truffe, i
sospetti, le simulazioni, gli odi, le seduzioni, le guerre, gli
scismi, le eresie, le ribellioni politiche e religiose. Perisca
dunque l’invidia, madre di tanti mali e di tante sciagure! «Gli
invidiosi, come dice S. Prospero, amano il male, piangono il bene,
godono dell’altrui rovina, si rattristano dell’altrui fortuna,
si consumano nell’odio, sono pieni di ipocrisia; sempre riboccanti di
amarezza e di livore, sempre infidi, sono amici del demonio,
avversari di Dio, nemici della società e di se stessi.
Afflitti e tormentati di ciò che dovrebbe consolarli, lieti e
ridenti di quello di cui dovrebbero piangere, si rendono ridicoli e
odiosi a tutto il mondo. Perversi e crudeli con se stessi, tali sono
ancora a danno degli altri» (De vita
contempl. lb. III, C. IX).
L’
invidia dapprima si nasconde; sono parole monche, frasi equivoche,
maldicenze coperte; poi divengono calunnie, frodi, tradimenti; sono
le movenze del serpente; ma quando è giunta, per mezzo di
queste subdole arti, ad ottenere sopravvento, allora scoppia e
scarica contro l’innocente, la cui gloria la confonde, insulti e
beffe, con tutta l’impetuosità dell’odio e del rancore
lungamente repressi; allora si abbandona agli eccessi della crudeltà,
tanto più feroce quanto più ritardata.
Ecco
come ne parla S. Cipriano: «Palpabili e molteplici sono le
stragi che fa l’invidia. Essa è la radice di tutti i mali, la
sorgente delle contese, la causa dei processi, l’arsenale dei
misfatti, la materia di tutti i disordini; l’invidia soffoca il timor
di Dio, dissipa la scienza di Gesù Cristo, bandisce dalla
memoria la morte, il giudizio, la salvezza, Dio medesimo. Irrita
l’ambizione, l’orgoglio, porta alla collera, alle discordie, alla
prevaricazione, alla perfidia, alla crudeltà al disprezzo di
Dio e del suo servizio; quando trova nel suo cammino l’intoppo
dell’autorità non può né reggersi, né
temperarsi. Spezza il legame della pace e della carità,
corrompe la verità, scinde l’unione e spinge all’eresia e allo
scisma. Che delitto è mai questo di vedere di malocchio,
d’ingelosire della virtù o della felicità degli altri,
di odiare in essi i loro meriti o naturali o soprannaturali! Che
peccato cambiare in male il bene degli altri, rattristarsi del
progresso e della fortuna del prossimo! Che pazza mania è mai
quella di accarezzare e introdurre in casa nostra un carnefice, un
manigoldo che ci schianta le viscere!… Gli altri mali hanno almeno
un termine, l’invidia non ne conosce nessuno; è un male che
dura sempre, è un peccato che non conosce fine (Serm.
de Zelo et Livore)».
4.
RIMEDI CONTRO L’INVIDIA. – Rimedi efficaci contro l’invidia sono
l’umiltà, la modestia, il disprezzo della gloria e dei beni
temporali, il desiderio degli eterni, la temperanza in mezzo alle
ricchezze, la dolcezza, la mansuetudine, la bontà e la
carità… Bisogna schivare le occasioni, i motivi d’invidia.
«Non siate avidi di vana gloria, scriveva S. Paolo ai Galati,
non provocatevi, non portatevi invidia» (V, 26). Bisogna
rallegrarsi del bene degli altri. «Che cosa ci deve importare
il resto? dice S. Paolo, purché Gesù Cristo sia
annunziato, da chiunque si faccia ed in qualunque modo avvenga, io ne
giubilo e ne giubilerò sempre» (Philipp.
I, 18). «Gioite con chi è in festa, rattristatevi con
chi piange» (Rom.
XII, 15).