B. PLACIDA VIEL (1815-1877)

Nel 1843 un uragano abbatté il campanile dell’abbazia. Madre Postel affidò allora a Suor Placida l’ingrato compito di andare nel mondo a questuare il denaro occorrente per ricostruirlo, nonostante la sua giovane età. La Beata, timidissima, si sforzò di ubbidire, ma al momento di varcare la soglia di casa, il coraggio le venne meno. Ritornò sui suoi passi e, piangendo, andò a buttarsi alle ginocchia della fondatrice che le disse: “Come, figlia mia, il tuo viaggio non è stato lungo! È questa la tua fede? Va’ a trascorrere una mezz’ora davanti al Santissimo Sacramento”. A partire da quel giorno il coraggio della Beata Placida non venne più meno.

La successora di S. Maria Maddalena Postel nel governo
delle Suore delle Scuole Cristiane della Misericordia è nata il 26-9-1815 a
Quettehou, nella diocesi di Coutanches (Manche), ottava tra gli 11 figli che il
modesto coltivatore Hervé ebbe da Anna La Lande. Alla scuola dei genitori la
Beata crebbe pia e umile, ma molto timida. A11 anni i suoi compaesani la
chiamavano già “santa figlia”. Fece presto la prima comunione e con
tanta devozione che il curato si credette in dovere di dirle: “Ignoro
quello che il Signore ti chiederà più tardi, ma sono persuaso che ha disegni
particolari sulla tua anima, ai quali bisogna che fin d’ora ti prepari a rispondere
amando questo divin Maestro con tutto il tuo cuore e cercando di fare sempre la
sua adorabile volontà”.
 Nella sua giovinezza la Viel amava catechizzare i bambini
e ripetere loro quello che udiva in chiesa dal curato. Avendo appreso bene
l’arte del cucito presso una sarta, suo fratello Michele avrebbe voluto che
fosse rimasta con lui a governare la casa, ma la Beata, dopo una visita fatta
alla zia materna, Suor Maria, nell’abbazia di St.-Sauveur-le Vicomte, nel 1833
propose di ritornarvi per consacrarsi a Dio sotto la guida di S. Maria
Maddalena Postel (11846). Detestava talmente il mondo che, quando doveva
comparire davanti agli estranei o percorrere le vie della città, “provava
una sofferenza simile a quella che provava nostro Signore nell’attraversare le
vie di Gerusalemme, carico del pesante legno della croce”.
 La fondatrice, che si compiaceva di chiamare la Viel
“la piccola Agnese”, le diede l’abito nel 1835 e la destinò alla
cucina, dove fu di modello alle compagne per diligenza, obbedienza e carità.
Fin dall’inizio della vita religiosa la Beata aveva cominciato a fare ogni
giorno la comunione benché in quel tempo non se ne fosse ancora introdotta
l’usanza nelle case religiose. Madre Postel riconobbe subito e apprezzò il
tesoro che il cielo le aveva inviato. Disse infatti con sicurezza a Mons.
Dancel che un giorno le manifestava i suoi timori riguardo all’avvenire
dell’Istituto: “Vedete quella giovane suora di vent’anni che se ne ritorna
da lavorare in cucina? Sarà lei che mi sostituirà e Dio l’ispirerà”.
 Dopo la professione religiosa (1838) in cui assunse il
nome di Suor Placida, non essendo sufficientemente istruita, la Viel fu inviata
ad Argentan perché completasse la sua formazione pedagogica. Fece tali
progressi nello studio che fu in grado d’istruire le novizie, di dare lezioni
nel pensionato e di continuare nell’abbazia la preparazione delle religiose
inviate con lei ad Argentan. La fondatrice l’apprezzava tanto, per il suo
spirito di ubbidienza, che la volle preporre alla direzione del noviziato.
 Nel 1843 un uragano abbatté il campanile dell’abbazia.
Madre Postel affidò allora a Suor Placida l’ingrato compito di andare nel mondo
a questuare il denaro occorrente per ricostruirlo, nonostante la sua giovane
età. La Beata, timidissima, si sforzò di ubbidire, ma al momento di varcare la
soglia di casa, il coraggio le venne meno. Ritornò sui suoi passi e, piangendo,
andò a buttarsi alle ginocchia della fondatrice che le disse: “Come,
figlia mia, il tuo viaggio non è stato lungo! È questa la tua fede? Va’ a
trascorrere una mezz’ora davanti al Santissimo Sacramento”. A partire da
quel giorno il coraggio della Beata Placida non venne più meno. Si presenterà
con semplicità a Parigi, in tre successivi viaggi, presso ministeri e persone
private, non esclusa la regina Maria Amelia per la quale ebbe una lettera di
raccomandazione. Nei momenti di sconforto si rianimava dicendo: “Mia
Madre, che è una santa, mi manda”. Quando ritornò dalla questua in
Bretagna dovette mettersi a letto perché “vittima dei pii eccessi del suo
zelo e della sua mortificazione”.
 Alla morte della fondatrice, il reverendo Lerenard,
cappellano della comunità e diverse religiose, speravano che fosse eletta a
succederle Suor Maria, compagna di Madre Postel da 1803, assistente ed economa,
invece il 5-9-1846 venne nominata superiora generale Suor Placida di 31 anni e
consigliera dal 1838. La scelta mandò su tutte le furie l’autoritaria Suor
Maria. L’eletta ne rimase talmente sconvolta che, per 3 ore, andò a nascondersi
in un fienile, non osando presentarsi per umiltà e deferenza davanti alla zia.
 Nel governo dell’Istituto, Madre Placida incontrò subito
una irriducibile opposizione. Approfittando del prestigio che conferiva loro
l’anzianità, il cappellano e Suor Maria usurparono le prerogative della
superiora generale giungendo fino al punto di aprire le lettere che le erano
indirizzate e di dare risposte senza neppure consultarla. La Beata, per non
creare dissensi nella comunità, seppe eroicamente sopportare in silenzio le
umiliazioni alle quali veniva frequentemente sottoposta dalla zia, senza
tuttavia rinunciare alla libertà delle decisioni quando la sua carica lo
esigeva. In quei contrasti, come in tutte le difficoltà, non faceva affidamento
che sull’aiuto di Dio. La sua fiducia nell’efficacia della preghiera era
irremovibile. Per questo era difficile incontrarla per i corridoi e le scale
dell’abbazia senza la corona del rosario in mano.
 Madre Placida, anziché rivendicare a viva forza i suoi
diritti conculcati, preferì temporeggiare, continuando ad esercitare il compito
che la fondatrice le aveva affidato. Si rimise dunque in viaggio per questuare,
fare conoscere la congregazione, raccogliere postulanti e fondare case, a
prezzo di continui e duri sacrifici. Quando si trovava in campagna, per spirito
di povertà, camminava a piedi, con un parapioggia e una sporta al braccio, in
cui teneva in serbo un po’ di pane, burro e sidro per sfamarsi lungo il
cammino, seduta su un mucchio di ghiaia che fiancheggiava la strada. Lungo il
giorno ogni tanto si fermava sotto i portici delle chiese per riposarsi e
pregare o presso i Calvari, che sorgevano qua e là, per leggere le lettere che
riceveva dalla abbazia e rispondervi. Di notte trovava asilo d’ordinario nei
presbiteri. Non la scoraggiava né la pioggia, né la neve, né le ripulse, né le
umiliazioni. Più volte venne a trovarsi in terrificanti situazioni, ma ne uscì
sempre con l’aiuto della divina Provvidenza in cui aveva riposto tutta la sua
fiducia.
 Verso il 1850 Madre
Placida fece da sola un viaggio in Austria e in Germania, benché ignorasse il
tedesco. Nel corso di una cerimonia in onore della Santissima Vergine, svoltasi
nella chiesa parigina di St.-Nicolas-du-Chardonnet, la questuante si era come
sentita investita dalla grazia e aveva avuto la sensazione che Maria Santissima
si sarebbe presa l’impegno di farle da guida, a condizione, però, che non
manifestasse ad alcuno il suo segreto. La beata lo promise e poi iniziò
fiduciosa e serena il suo lungo viaggio. Iddio la condusse quasi per mano
perché, ovunque giunse, trovò persone che la compresero, le diedero le
opportune informazioni e le prepararono le migliori accoglienze presso il
principe Enrico V d’Austria e persino presso il re di Prussia.
 Con i 700.000 franchi raccolti, la beata, nel 1856, riuscì
a portare a termine e a fare consacrare la chiesa dell’abbazia che la
fondatrice aveva cominciato a ricostruire. In essa nel 1872 farà porre la statua
di S. Michele Arcangelo, in ringraziamento della protezione concessa alla
congregazione durante la guerra franco-prussiana del 1870.
 Con la morte di Suor Maria (1857), Madre Placida ebbe modo
di dimostrare che la sua pretesa imperizia nella direzione della congregazione
esisteva soltanto nella testa di certe religiose. Difatti si recò a Roma e
ottenne, dopo essere stata ricevuta in udienza privata da Pio IX, il decreto di
lode per il suo Istituto (1859). Sia in Germania che in Francia l’opera di S.
Maria Maddalena Postel si sviluppò incessantemente. Durante il generalato di
Madre Placida il numero delle case fondate passò da 30 a 141, il numero delle
suore da 170 a 1301. Le regole dei Fratelli delle Scuole Cristiane, adottate
nel 1838 dalla fondatrice, per interessamento della beata erano già state
adattate fin dal 1852 alle esigenze e alle opere della congregazione.
 Costante preoccupazione della beata fu di conservare
intatto nell’Istituto lo spirito della fondatrice e di vigilare sulla regolare
osservanza. La sua parola d’ordine era: “Dimenticarsi e dedicarsi al bene
comune” per “fare morire Madama Natura che non cessa di reclamare i
suo diritti”. Nelle sue conferenze alle suore diceva sovente: “Fate
tutto il vostro dovere, non preoccupatevi del successo, esso non dipende da voi.
Se saprete essere degli strumenti flessibili e docili nelle mani del divino
artefice, compirete meraviglie. Forse che Dio ha bisogno di voi per compiere la
sua opera? Non è sufficientemente potente per fare il suo lavoro con dei
cattivi utensili?”. Alla vigilia della chiusura degli esercizi spirituali
riuniva le consorelle per raccomandare loro di pregare secondo le intenzioni
della Madre Fondatrice e di conservare l’unione e la carità fraterna. In casa
esigeva la perfetta osservanza del silenzio e del raccoglimento, perché da essi
dipende il progresso nella virtù. Non tollerava che si parlasse a voce alta e
che si ridesse rumorosamente. Soprattutto durante i ritiri, il minimo rumore le
riusciva intollerabile. Ordinava perciò che si facessero tacere gli operai che
parlavano un po’ troppo forte tra loro, preferendo, se non volevano darle
ascolto, rimandarli a casa pagando loro la giornata, anziché lasciare turbare
così il raccoglimento della comunità.
 Per sollecitare le suore all’amore del prossimo, mandandole
in certe regioni in cui la religione era poco praticata, diceva loro:
“Figlio mie, non abbiamo bisogno di andare in Cina per guadagnare delle
anime a Dio. La Cina è attorno a noi, in queste contrade così poco cristiane,
dove mediante la grazia, potete fare molto bene con la vostra carità, il
vostri; zelo e la vostra dedizione”. E perché fossero di edificazione a
tutti, non tollerava in esse atteggiamenti leggeri nel camminare e nel gestire
i espressioni sdolcinate, proprie delle persone del mondo. Anche in questo le
precedeva con il suo esempio. Chi la conobbe dice che “il suo portamento
grave e maestoso, il suo incedere grave e senza affettazione, il suono della
sua voce, l’espressione stessa del suo viso indicavano che ella viveva incessantemente
alla presenza di Dio”.
 Desiderando la perfezione delle sue figlio, Madre Placida
evitava con cura ciò che avrebbe potuto favorire in loro la vanità e
l’orgoglio. Per questo ripeteva ogni tanto nelle sue conferenze spirituali: “Dio
non ha bisogno di noi. Non dobbiamo ritenerci tanto necessario. Egli ci
sostituisce come un mattone rotto”. Quando una di loro meritava un elogio,
per non mettere a repentaglio la sua umiltà non voleva che le fosse fatto
conoscere. Sapeva, molto a proposito, imporre una mortificazione o una
penitenza ora a questa ora a quella suora, per mantenerle nello spirito di
umiltà e di rinuncia, ma lo faceva in maniera così materna che nessuna di loro
provava pena a sottomettersi. Del resto, alla sua scuola, tutte le suore si erano
ormai convinte che “le croci sono per le anime più amate dal Signore”
e che l’unica disgrazia nella vita è il peccato, non quello che a ognuno capita
di più o meno triste.
 Per distaccarle dalle famiglie, la Beata non permetteva
alle suore che inviassero loro dei piccoli oggetti, magari fabbricati con le
proprie mani. Non si stancava mai di ripetere ad esse: “Voi siete morte al
mondo; non bisogna che riviviate con questi piccoli presenti”. Tutto ciò
che poteva turbare l’unione con Dio, la rattristava e la feriva. Lei stessa
scriveva molto raramente ai genitori. Un giorno disse a suo padre: “Quando
ricevo una tua lettera o ti scrivo, mi sento distratta per diversi
giorni”. Il padre le rispose: “Quand’è così, figlia mia, non scriviamoci
più. Il nostro silenzio sarà la prova che stiamo entrambi bene di salute. Ci
daremo notizie soltanto in caso di malattia”.
 Madre Placida si occupava assai anche delle aspiranti alla
vita religiosa. Quando ritornava da un viaggio la sua prima preoccupazione era
d’informarsi di ciascuna delle novizie, per conoscere le loro difficoltà e
spronarle all’amor di Dio e del prossimo, tanto che le religiose più anziane
dicevano con una punta di gelosia: “Nostra Madre non ama che le
giovani”. In esse cercava di trasfondere il suo spirito di fede, che la
portava a vedere Dio in tutte le cose. Mentre mostrava per esse una grande
bontà, faceva uso di una grande fermezza nel riprenderle dei loro difetti. Ella
detestava soprattutto la mediocrità in tutto quello che riguardava Dio e la
religione.
 La notevole intelligenza e le qualità di cuore di Madre
Placida, unite a virtù eccezionali, le permisero di governare il suo Istituto
in maniera da destare l’ammirazione di tutti coloro che furono in relazione con
lei. Nel 1874, Monsignore Guilbert, vescovo di Gap, parlando ad un amico degli
affari di Francia disse: “Per rimetterli in ordine non conosco che un
uomo. Si trova nell’abbazia di St.-Sauveur-le-Vicomte: è Suor Placida”. Lo
stesso San Giovanni M. Vianney, curato d’Ars (+1859), disse a una giovane che
era andata a consultarlo riguardo la propria vocazione: “Entra tra le
Suore delle Scuole Cristiane della Misericordia, la fondatrice è una santa e
colei che la sostituisce cammina sulle sue orme”. Dal canto suo la Beata
si considerava soltanto “il piccolo strumento di Dio e di sua Madre”,
convinta che “la perfetta ubbidienza compie miracoli e che l’ubbidienza va
in cielo sulle spalle altrui”.

 Per Madre Placida gli ultimi diciassette anni di vita
furono un susseguirsi d’infermità cagionate dall’asma, dal mal di cuore e
dall’idropisia, ma Dio le diede la forza di bastare al suo ufficio. Sopportò
pazientemente tutti i dolori in suffragio delle anime purganti di cui era
devotissima. Il 4-3-1883, poche ore prima di morire, in un santo trasporto vide
che la sua camera era cosparsa di fiori e di rose bianche e vermiglie. Allora
esclamò: “Faccio sacrificio della mia vita perché lo spirito della nostra
venerata fondatrice si conservi in pieno vigore nell’Istituto”. Appena la notizia
della sua morte si sparse nei dintorni dell’abbazia, il popolo gemette:
“La madre dei poveri è morta. Quale perdita per noi!”.
 Pio XII il 6-5-1951 beatificò Madre Placida Viel le cui
reliquie, dal 1883, sono venerate nella chiesa che ella aveva ricostruito a
prezzo di tanti sacrifici.
___________________
 Sac. Guido Pettinati
SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 65-70.

http://www.edizionisegno.it/