…I mezzi esterni di perfezione. Della direzione spirituale. Il regolamento di vita. Le letture e le esortazioni spirituali. La santificazione delle relazioni sociali. Santificazione delle relazioni d’amicizia. Santificazione delle relazioni professionali. Santificazione delle relazioni d’apostolato….
Compendio di Teologia Ascetica e Mistica
Art. II. I mezzi esterni di perfezione.
530 . Questi mezzi possono ridursi a quattro principali: la direzione, che ci dà una guida sicura; il regolamento di vita, che ne continua e ne compie l’azione; le letture e le esortazioni spirituali, che ci propongono l’ideale da attuare; e la santificazione delle relazioni sociali, che rende soprannaturali tutte le nostre relazioni col prossimo.
I. Della direzione spirituale.
Cercheremo di porre bene in luce due cose; 1° la necessità morale della direzione; 2° i mezzi per assicurarne la buona riuscita.
I. Necessità morale della direzione.
La direzione, benché non sia assolutamente necessaria alla santificazione delle anime, è per loro il mezzo normale di progresso spirituale, come viene dimostrato dall’autorità e dalla ragione fondata sull’esperienza.
1° PROVA D’AUTORITA’.
531. A ) Dio, avendo costituita la Chiesa come società gerarchica, volle che le anime fossero santificate per mezzo della sottomissione al Papa e ai Vescovi nel foro esterno, ai confessori nel foro interno. Quindi quando Saulo si convertì, Gesù, in cambio di rivelargli egli stesso i suoi disegni, lo manda ad Anania perché conoscesse dalla sua bocca ciò che doveva fare. Partendo da questo fatto, Cassiano, S. Francesco di Sales e Leone XIII mostrano la necessità della direzione: “Troviamo, dice quest’ultimo, alle origini stesse della Chiesa una celebre manifestazione di questa legge: benché Saulo, spirante minacce e carneficine, avesse inteso la voce di Cristo stesso e gli avesse chiesto: Signore, che volete ch’io faccia? pure fu inviato ad Anania, in Damasco: Entra in città e là li sarà dello quel che devi fare. ” E aggiunge: “Così fu sempre praticato nella Chiesa; questa è la dottrina unanimemente professata da tutti coloro che, nel corso dei secoli, rifulsero per scienza e santità” [1].
532. B ) Non potendo citare tutte le tradizionali autorità, daremo uno sguardo ad alcuni testimoni che si possono considerare come i rappresentanti autentici della teologia ascetica. Cassiano, che aveva passato lunghi anni fra i monaci della Palestina, della Siria e dell’Egitto, consegnò la loro e sua dottrina in due opere. Nella prima, il libro delle Istituzioni, raccomanda vivamente ai giovani cenobiti di aprire il cuore al vegliardo incaricato della loro direzione, di manifestargli senza falsa vergogna i più segreti pensieri, e di rimettersi intieramente al suo parere nel discernimento del buono e del cattivo [2]. Ritorna su questo punto nelle sue Conferenze, e, mostrati i pericoli a cui s’espongono coloro che non consultano gli anziani, conchiude che il miglior mezzo di trionfare delle più pericolose tentazioni è di manifestarle a un saggio consigliere, adducendo in ciò l’autorità di S. Antonio e dell’abate Serapione [3].
Ciò che Cassiano insegna ai monaci d’Occidente, S. Giovanni Climaco l’inculca ai monaci d’Oriente nella Scala del Paradiso. Agli incipienti fa notare che coloro che vogliono uscir dall’Egitto e domare le sregolate passioni, hanno bisogno d’ un Mosè che faccia loro da guida. Ai proficienti dichiara che, per seguir Gesù Cristo e godere della santa libertà dei figli di Dio, bisogna umilmente affidar la cura dell’anima propria a un uomo che sia il rappresentante del divino Maestro; e badare a sceglierlo bene, perché gli si dovrà ubbidire con semplicità, nonostante i piccoli difetti che si potessero notare in lui, l’unica cosa da temersi essendo quella di seguire il proprio giudizio [4].
533 . Per il Medioevo basteranno due autorità. S. Bernardo vuole che i novizi nella vita religiosa abbiano una guida, un pedagogo che li istruisca, li diriga, li consoli e li animi [5]. Alle persone più avanzate in età, per esempio al canonico Ogier, dichiara che chi prende sé stesso a maestro o direttore, si fa discepolo d’uno stolto: “qui se sibi magistrum constituit, stulto se discipulum facit “; e aggiunge: ” Non so che cosa pensino gli altri di sé stessi su questo argomento; io parlo per esperienza, e quanto a me dico che mi è più facile e più sicuro comandare a molti che guidar me solo” [6]. Nel secolo XIV, S. Vincenzo Ferreri, eloquente predicatore domenicano, dopo avere affermato che la direzione fu sempre praticata dalle anime che vogliono progredire, ne dà questa ragione: “Chi ha un direttore al quale obbedisce senza riserva e in tutte le cose, arriverà molto più facilmente e più presto che non farebbe da solo, anche se fornito di vivissima intelligenza e di dotti libri in materia spirituale” [7].
534 . Non nelle sole comunità ma anche nel mondo si sentiva il bisogno d’ una guida spirituale: ne sono prova le lettere di S. Girolamo, di S. Agostino e di molti altri Padri a vedove, a vergini, a secolari [8]. Ha dunque ragione S. Alfonso di dire, spiegando i doveri del confessore, che uno dei principali è quello di dirigere le anime pie [9].
Del resto la ragione stessa, illuminata dalla fede e dall’esperienza, ci mostra la necessità d’ un direttore per progredire nella perfezione.
2° PROVA DI RAGIONE FONDATA SULLA NATURA DEL PROGRESSO SPIRITUALE.
535. A ) Il progresso Spirituale è lunga e penosa ascensione per ripido sentiero, fiancheggiato da precipizi: grave imprudenza sarebbe l’avventurarvisi senza un’ esperta guida. style=’mso-spacerun:yes’> E’ così facile illudersi sul conto proprio, Non è possibile che vediamo intieramente chiaro quando si tratta di noi stessi, dice S. Francesco di Sales, non possiamo essere giudici imparziali in causa propria, per una certa compiacenza “così segreta ed impercettibile che, se non si ha buona vista, non si può scoprire, e quelli stessi che ne son presi, non la conoscono se non la si fa loro vedere” [10]. Onde conchiude che abbiamo bisogno d’un medico spirituale per fare una diagnosi imparziale sullo stato dell’anima nostra e prescrivere i rimedii più efficaci: “Oh! perché vorremmo essere maestri di noi stessi per ciò che riguarda lo spirito, quando non lo siamo per ciò che riguarda il corpo? Non sappiamo forse che i medici, quando sono infermi, chiamano altri medici per farsi indicare i rimedi buoni per loro?” [11]
536. B ) A capir meglio questa necessità, basta esporre brevemente i principali scogli che s’incontrano in ognuna delle tre tappe nel cammino della perfezione.
a ) Gli incipienti hanno da temere le ricadute e, per evitarle, devono fare lunga e laboriosa penitenza, proporzionata al numero e alla gravità delle colpe. Ora gli uni, dimenticando presto il passato, vogliono entrar subito nella via dell’amore, e questa presunzione è presto seguita dal ritiro delle consolazioni sensibili, dallo scoraggiamento e da nuove cadute; gli altri si danno con eccesso alle mortificazioni esteriori compiacendosene vanamente, onde si guastano la salute, e, volendo poi curarsi, cadono nel rilassamento. È quindi necessario che un esperto direttore tenga gli uni nello spirito e nella pratica della penitenza, e calmi l’intempestivo ardore degli altri.
Altro scoglio è l’aridità spirituale che succede alle consolazioni sensibili: si teme allora essere abbandonati da Dio, si omettono gli esercizi di pietà perché paiono sterili, e si cade nella tiepidezza. Chi dunque farà schivare questo pericolo se non un saggio direttore, il quale, nel tempo delle consolazioni, avvertirà che non durano sempre, e al venire dell’aridità, consolerà, rassicurerà, fortificherà queste anime, mostrando che non c’è nulla di meglio per rassodarci nella virtù e purificare il nostro amore?
537. b ) Entrando nella via illuminativa, non occorre forse ancora una guida per discernere le principali virtù che convengono a questa, o a quella per sona, i mezzi per esercitarvisi, il metodo da seguire per fruttuosamente esaminarsi sui progressi fatti e sulle debolezze commesse? E quando sorga quel sentimento di stanchezza, che presto o tardi si prova accorgendosi che la via della perfezione è più lunga e più penosa di quanto uno s’immaginava, chi farà che questa impressione non degeneri in tiepidezza se non l’affetto paterno d’ un direttore che saprà indovinare l’ostacolo, prevenire lo scoraggiamento, consolare il penitente, stimolarlo a sforzi novelli e fargli intravedere i frutti di questa prova sopportata valorosamente?
538. c ) Più necessaria ancora è la direzione nella via unitiva. Per entrarvi, è necessario coltivare i doni dello Spirito Santo con generosa e costante docilità alle ispirazioni della grazia. Ora, per discernere le ispirazioni divine da quelle che vengono dalla natura o dal demonio si ha spesso bisogno degli avvisi di un savio e disinteressato consigliere. Più indispensabile ancora è quando si entra nelle prime prove passive,, quando le aridità, le noie, i timori della divina giustizia, le insistenti tentazioni, l’impossibilità di meditare in modo discorsivo e le contraddizioni del di fuori vengono a rovesciarsi addosso a una povera anima e a gettarla in profondo turbamento; è chiaro che ci vuole allora una guida che prenda a rimorchio questa sperduta navicella. Avviene lo stesso quando si godono le dolcezze della contemplazione: questo stato suppone tanta discrezione, umiltà, docilità, e principalmente tanta prudenza per saper ben conciliare la passività con l’attività, che è moralmente impossibile non smarrirsi senza i consigli d’ una guida molto accorta. Ecco perché Santa Teresa apriva l’anima con tanta semplicità ai suoi direttori; ecco perché S. Giovanni della Croce ritorna spesso sulla necessità di aprirsi tutto al direttore: “Dio, dice, brama talmente che l’uomo si assoggetti alla direzione d’un altro uomo, che non vuole assolutamente vederci prestar piena credenza alle verità soprannaturali da lui stesso comunicate prima che siano passate per il canale d’una bocca umana” [12].
539 . A compendiate quanto abbiamo detto, non c’è di meglio che citare le parole del P. Godinez: “Su mille persone che Dio chiama alla perfezione dieci appena corrispondono, e su cento che Dio chiama alla contemplazione, novantanove mancano all’appello… Bisogna riconoscere che una. delle cause principali è la mancanza di maestri spirituali… Costoro sono, dopo la grazia di Dio, i nocchieri che guidano le anime attraverso lo sconosciuto mare della vita spirituale. E se nessuna scienza, nessuna arte, per semplice che sia, può essere imparata senza un maestro che l’insegni, tanto meno si potrà imparare quell’alta sapienza della perfezione evangelica ove s’incontrano così profondi misteri… Stimo quindi cosa moralmente impossibile che, senza miracolo o senza maestro, un’anima possa per lunghi anni passare per ciò che vi è di più alto e di più arduo nella vita spirituale style=’mso-spacerun:yes’> senza correr rischio di perdersi”.
540 . Sì può dunque dire che la via normale per far Progressi nella vita spirituale sta nel seguire i consigli d’un saggio direttore. Infatti la maggior parte delle anime fervorose ne sono persuase e praticano la direzione al santo tribunale della penitenza. Quando, in questi ultimi anni, si volle formare una schiera di anime elette, nessun altro mezzo fu giudicato migliore della direzione premurosamente praticata nei patronati, nelle colonie estive e principalmente nei ritiri chiusi. Nulla dunque di più efficace per santificar le anime, a patto che vi si osservino le regole che ora richiameremo.
II. Regole per assicurare la buona riuscita della direzione.
Perché la direzione sia proficua, è necessario: 1° determinarne bene l’oggetto; 2° procurare la collaborazione del direttore e del diretto.
I° OGGETTO DELLA DIREZIONE.
541 . A) Principio generale. L’oggetto della direzione è tutto ciò che riguarda la formazione spirituale delle anime. La confessione tocca soltanto l’accusa delle colpe; la direzione va molto più in là. Risale alle cause dei peccati, alle inclinazioni profonde, al temperamento, al carattere, alle abitudini contratte, alle tentazioni, alle imprudenze; e ciò per poter trovare i veri rimedii, quelli che mirano alla radice stessa del male. Per meglio combattere i difetti, sì occupa delle opposte virtù, virtù comuni a tutti i cristiani e virtù speciali a ogni categoria di persone; dei mezzi per meglio praticarle; degli esercizi spirituali che, come la meditazione, l’esame particolare, la devozione al SS. Sacramento, al Sacro Cuore, alla SS. Vergine, ci forniscono armi spirituali per avanzarci nella pratica delle virtù. Tratta della vocazione, e, regolata che sia questa partita, dei doveri particolari di ogni stato. L’oggetto dunque, come si vede. ne è molto esteso.
542. B ) Applicazioni. a) Per ben dirigere un’anima, il direttore deve conoscere ciò che vi è di principale nella sua vita passata, le colpe abituali, gli sforzi già tentati per correggersene e i risultati ottenuti, a fine di veder bene ciò che resta da fare; poi le disposizioni presenti, le inclinazioni, le ripugnanze, il genere di vita che si mena, le tentazioni che si provano e la tattica tenuta per vincerle, le virtù di cui si sente maggior bisogno e i mezzi usati per acquistarle; tutto ciò per poter dare più opportuni consigli.
b ) Solo allora si può più facilmente stendere un programma di direzione; programma pieghevole che s’adatti allo stato attuale del penitente per renderlo migliore. Non si può infatti guidare tutte le anime allo stesso modo; bisogna prenderle al punto in cui si trovano, per aiutarle a salire gradatamente, senza far troppi salti, il ripido sentiero della perfezione. E poi le une sono. più ardenti e generose, le altre più calme e più lente; non tutte sono chiamate allo stesso grado di perfezione.
543 . Vi è però un ordine progressivo da seguire, onde si può avere una certa unità di direzione. Diamone alcuni esempi.
1) Da principio si deve insegnare alle anime a santificar belle tutte le azioni ordinarie, offrendole a Dio in unione con Nostro Signore (n. 238). È questa una pratica da osservare per tutta la vita e su cui bisogna ritornare assai spesso, collegandola collo spirito di fede che è così necessario in tempi di tanto naturalismo.
2) La purificazione dell’ anima con la pratica della penitenza e della mortificazione non deve mai smettersi intieramente e bisogna richiamarvi spesso le anime dirette, tenendo conto delle loro spirituali disposizioni per variare opportunamente gli esercizi di questa virtù.
3) L’umiltà, come virtù fondamentale, dev’essere inculcata quasi fin da principio e richiamata spesso ai penitenti in tutti gli stadii della vita spirituale.
4) La carità verso il prossimo viene frequentemente violata anche dalle persone devote, onde vi si insisterà molta negli esami di coscienza e nelle confessioni.
5) Essendo l’unione abituale con Nostro Signore, modello e collaboratore, uno dei mezzi più efficaci di santificazione, non si deve temere di ritornarvi sopra di frequente.
6) La forza di carattere, fondata su convinzioni profonde è virtù particolarmente necessaria ai di nostri, onde bisogna diligentemente coltivarla e aggiungervi l’onestà e la lealtà che ne sono inseparabili.
7) L’apostolato è specialmente richiesto in un secolo di proselitismo come il nostro, e il direttore deve mirare a formar schiere di anime elette, che possano aiutare il sacerdote nelle mille occorrenze dell’ evangelizzazione delle anime.
Quanto al resto, non c’è che da tener conto di quanto diremo spiegando le tre vie.
2° DOVERI DEL DIRETTORE E DEL DIRETTO.
La direzione non otterrà serii risultati se direttore e diretto non lavorano insieme a quest’ opera comune, animati tutti e due di buona volontà.
1) I doveri del direttore.
544 . S. Francesco di Sales dichiara che il direttore deve possedere tre doti principali[13]” bisogna che sia pieno di carità, di scienza e di prudenza: se manca una di queste tre doti, c’è pericolo”.
A ) La carità che gli è necessaria è un affetto soprannaturale e paterno che gli fa vedere nei diretti figli spirituali affidatigli da Dio stesso, perché vi faccia crescere Gesù Cristo e le sue virtù “Filioli mei, quos iterum parturio donec formetur Christus in vobis“ [14].
a ) Li circonda quindi tutti della stessa sollecitudine e delle stesse premure facendosi tutto a tutti per tutti santificarli, spendendo tempo, cure e anche se stesso, per formare in loro le cristiane virtù. Avverrà certamente che, nonostante gli sforzi si sentirà talora attratto più verso gli uni che verso gli altri, ma dovrà con la volontà reagire contro le simpatie od antipatie naturali; e schiverà con la massima cura quelle affezioni sensibili che mirerebbero a crear degli attacchi, innocenti da principio, poi disturbanti e pericolosi così per la sua riputazione come per la sua virtù. Voler affezionare a sé cuori fatti per amar Dio, è una specie di tradimento, come ben dice l’Olier: “Avendoli Nostro Signore scelti (si tratta dei direttori di anime) per andare a conquistargli dei regni, vale a dire i cuori degli uomini, che gli appartengono, che acquistò coll’efflusione del sangue e in cui vuole stabilire il suo impero, in cambio di dargli questi cuori come a loro legittimo sovrano, li prendono per sé e se ne rendono padroni e proprietari Oh! quale ingratitudine, quale infedeltà, quale oltraggio, quale perfidia!” [15]. E sarebbe pure porre quasi insormontabile ostacolo al progresso spirituale dei diretti, come all’ avanzamento proprio, non volendo Dio saperne di cuori divisi.
545. b ) Questa bontà non deve però essere debolezza ma associarsi alla fermezza e alla franchezza; il direttore avrà il coraggio di fare paterne ammonizioni, di additare e di combatterei difetti dei penitenti, e di non lasciarsi dirigere scienza cioè da loro. Vi sono persone molto destre, molto cerimoniose, che vogliono sì un direttore ma a patto che s’acconci ai loro gusti e alle loro fantasie; più che direzione costoro cercano approvazione della loro condotta: per star in guardia contro abusi di questo genere, ove potrebbe andarne anche della sua coscienza, il direttore non si lascerà cogliere dai raggiri di questi o di queste penitenti, ma, ricordandosi che rappresenta Gesù Cristo, darà ferme decisioni secondo le regole della perfezione e non secondo i desideri dei diretti.
546. c ) Specialmente nella direzione delle donne occorre riserbo e fermezza. Il P. Desurmont, uomo di grande esperienza, scrive a questo proposito [16]: “Nessuna parola affettuosa, nessuna espressione di tenerezza, nessun secreto colloquio che non sia indispensabile; nulla di troppo espressivo né nello sguardo né nel gesto, neppur l’ombra di familiarità; in fatto di conversazioni il puro necessario; in fatto di relazioni diverse da relazioni di coscienza, solo quelle che hanno seria utilità; nessuna direzione fuori del confessionale e nessun commercio epistolare per quanto è possibile”. Quindi, pur mostrando la premura che si porta alla loro anima, bisogna nascondere quella che si porta alla loro persona: “ non devono neppur sospettare che si pensa a loro o che si ha premura di loro, perché sono cosiffatte che, se si accorgono che ci sia stima particolare o affezione, cadono quasi irresistibilmente nel naturale o per vanità o per affetto”. E aggiunge: ” Generalmente è bene che ignorino quasi di esser dirette. La donna ha il difetto della sua buona qualità: è istintivamente pia ma è anche istintivamente osa della sua pietà. L’addobbo dell’ anima la impressiona come quello del corpo. L’accorgersi che si vuole ornarla di virtù, è ordinariamente un pericolo per lei”. Si dirigono quindi senza dirlo; e si danno loro consigli di perfezione come se si trattasse di cose comuni alle anime.
547. B ) Alla santa premura aggiungerà la scienza, la conoscenza della teologia ascetica tanto necessaria al confessore, come abbiamo provato al n. 36. Non lascerà dunque di leggere e rileggere autori spirituali, correggendo i giudizi suoi su quelli di cotesti autori e confrontando la condotta sua con quella dei Santi.
548. C ) Ma gli occorre sopratutto prudenza e sagacia per dirigere le anime non secondo le proprie idee ma secondo i movimenti della grazia, il temperamento e il carattere dei penitenti, e le soprannaturali loro inclinazioni[17].
10.0pt’>a ) Il P. Libermann faceva giustamente osservare che il direttore non è che uno strumento a servizio dello Spirito Santo[18]; deve quindi prima di tutto studiarsi di conoscere, con prudenti interrogazioni, l’azione di questo divino Spirito in un’ anima: ” Considero, scriveva, come punto capitale in fatto di direzione, il discernere in ogni anima le disposizioni che vi si trovano: ciò che lo stato interiore di quest’anima può portare; il lasciar operare la grazia con grande libertà; il distinguere le false ispirazioni dalle vere e impedire alle anime di deviare o di eccedere nelle loro inclinazioni”. In un’altra lettera aggiunge: “Il direttore, visto che abbia e accertato che Dio opera in un’anima, non deve far altro che guidare quest’anima in guisa che essa segua la grazia e le sia fedele. Mai deve ispirarle i propri gusti e le proprie inclinazioni, né guidarla secondo il suo modo di fare o il suo modo di vedere. Il direttore che si regolasse così, stornerebbe spesso le anime dalla condotta di Dio e contrarierebbe spesso la grazia di Dio in loro”.
Aggiungeva però che questo si applica alle anime che corrono difilate alla perfezione. Per le tiepide e rilassate sta al direttore a studiarsi con esortazioni, consigli, riprensioni, con tutte le industrie dello zelo, di strapparle al loro letargo spirituale.
549. b ) La prudenza di cui qui si tratta, è dunque prudenza soprannaturale, fortificata dal dono del consiglio, che il direttore deve continuamente chiedere allo Spirito Santo. L’invocherà particolarmente nei casi difficili, recitando in cuore un Veni Sancte Spiritus prima di dare importanti risoluzioni; e, dopo averlo consultato, baderà ad ascoltarne con filiale docilità la interiore risposta, per trasmetterla al suo diretto: “Sicut audio, judico, et judicium meum justum est[19]”. Sarà allora veramente lo strumento dello Spirito Santo, instrumentum Deo conjunctum, e fruttuoso ne sarà il ministero.
Tuttavia questa attenzione di prender consiglio da Dio non gl’impedirà di adoprare tutti i mezzi suggeriti dalla prudenza per ben conoscere il diretto. Non si contenterà delle sue affermazioni ma ne osserverà la condotta, ascolterà quelli che lo conoscono, e senza accettarne tutti i giudizi, ne terrà conto secondo le regole della prudenza.
550 . c) La prudenza lo guiderà non solo nei consigli che darà ma anche in tutte le circostanze che riguardano la direzione. 1) Così non consacrerà che il tempo necessario a questa parte del suo ministero per quanto importante sia; non lunghe conversazioni, non chiacchiere inutili, non domande indiscrete; tenersi solo a ciò che è essenziale e veramente utile al bene delle anime: un consiglio preciso, una pratica chiaramente esposta bastano ad occupare un’anima per una quindicina di giorni o per un mese. Sopratutto poi avrà direzione virile, e si studierà di guidare i diretti in modo che possano, dopo qualche tempo, non già, fare intieramente da sé ma almeno contentarsi di più breve direzione e risolvere le difficoltà ordinarie per mezzo dei principii generali loro inculcati.
2) Se per giovani e uomini si può far la direzione dovunque, anche passeggiando o in un cortile di ricreazione, bisogna essere assai riservati con donne; d’ordinario non si devono ricevere che in confessionale e dirigere che in confessione, brevemente, senza lasciarle entrare in particolari inutili. Noi siamo di tutti e avendo il tempo assai limitato, non conviene sprecarlo. Si deve certamente esser pazienti e dare a ogni anima tutto il tempo necessario, ma ricordarsi pure che vi sono altre anime bisognose del nostro ministero.
2) I doveri del diretto.
551 . Il diretto vedrà Nostro Signore nella persona del direttore; infatti se è vero che ogni autorità viene da Dio, la cosa è anche più vera quando si tratta dell’autorità che il sacerdote esercita sulle coscienze: il potere di legare e di sciogliere, di aprire e di chiudere le porte del cielo, di guidar le anime nelle vie della perfezione, è il più divino di tutti i poteri, e non può quindi trovarsi se in chi è il rappresentante ufficiale e l’ambasciatore di Cristo: “Pro Christo ergo legatione, fungimur, tamquam Deo exhortante per nos“ [20]. E questo il principio da cui derivano i tre doveri verso il direttore: rispetto, confidenza, docilità.
552. A ) Bisogna rispettarlo come il rappresentante di Dio, rivestito della sua autorità in ciò che ha di più intimo e di più onorevole. Perciò se avesse qualche difetto, non ci si fissa il pensiero e non se ne guarda che l’autorità e la missione. Si schiveranno quindi attentamente quelle critiche acerbe che fanno perdere o attenuano il rispetto filiale che gli si deve avere. Si eviterà pure quella eccessiva ,familiarità che è difficilmente compatibile col vero rispetto. Questo rispetto sarà temperato dall’affetto, affetto semplice e cordiale ma rispettoso come di figlio a padre; affetto che escluda il desiderio d’esserne amato in particolare, e le piccole gelosie che talora ne seguono. ” Deve insomma essere amicizia forte e dolce, tutta santa, tutta sacra, tutta divina e tutta spirituale “ [21].
553. B ) Rispetto accompagnato pure da filiale confidenza e da rande apertura di cuore. “Trattate con lui (col direttore) a cuore aperto, dice S. Francesco di Sales [22], con tutta sincerità e fedeltà, manifestandogli chiaramente il bene e il male vostro senza finzioni né dissimulazioni: a questo modo il vostro bene sarà esaminato e diverrà più sicuro e il male sarà corretto e rimediato… Abbiate in lui somma confidenza associata a sacra riverenza, in modo che la riverenza non diminuisca la confidenza e la confidenza non impedisca la riverenza”. Bisogna quindi aprirgli il cuore con intiera confidenza, palesargli le tentazioni e le debolezze perché ci aiuti a vincerle o a guarirle, i desideri e le risoluzioni per averne l’approvazione, il bene che intendiamo fare perché lo rinsaldi, i futuri disegni perché li esamini e ci suggerisca i mezzi di porli in esecuzione, tutto ciò insomma che si riferisce al bene dell’anima nostra. Quanto più ci conoscerà tanto più potrà saviamente consigliarci, incoraggiarci, consolarci, fortificarci, cosicché, uscendo dalla direzione, ripeteremo le parole dei discepoli d’Emmaus: ” Non è vero che il cuore ci ardeva dentro mentre ci parlava?” [23]
554 . Vi sono persone che bramerebbero di aver questa perfetta apertura, ma che, per una certa timidità o riserbo, non sanno come esporre lo stato dell’anima loro. Ne facciano parola col direttore ed egli le aiuterà con opportune interrogazioni, e, occorrendo, col prestar loro qualche libro che insegni il modo di conoscersi e di scrutarsi; rotto che sia il ghiaccio, le comunicazioni diverranno poi facili.
Altri invece sono inclinati a discorrer troppo e cangiar la direzione in pia chiacchierata; si ricordino costoro che il tempo del sacerdote è limitato, che altri aspettano il loro turno e potrebbero impazientirsi di queste lungaggini. Bisogna quindi sbrigarsi, lasciando pur qualche cosa per la prossima seduta.
555. C ) La franchezza dev’essere accompagnata da rande docilità nell’ascoltare e nel seguire i consigli del direttore. Non c’è nulla di meno soprannaturale che volerlo indurre nei nostri sentimenti e nelle nostre idee; nulla pure di più nocivo al bene dell’anima; perché non sì cerca allora la volontà di Dio ma la propria, con questa circostanza aggravante che si abusa d’un mezzo divino a fine egoistico. L’unico nostro desiderio dev’essere di conoscere la divina volontà per mezzo del direttore, e non di estorcerne l’approvazione con più o meno abili raggiri; si potrà riuscire a ingannare il direttore ma non a ingannare chi è da lui rappresentato.
Abbiamo certo il dovere di fargli conoscere i nostri gusti e le nostre ripugnanze, e se scorgiamo difficoltà o una specie d’impossibilità a mettere in pratica quel tal suo consiglio, dobbiamo diglielo con tutta semplicità; ma, fatto questo, non ci resta che sottometterci. Assolutamente parlando, il direttore può ingannarsi ma non c’inganniamo noi nell’ubbidirgli, salvo naturalmente il caso che ci consigliasse qualche cosa di contrario alla fede o ai costumi, che allora bisognerebbe cambiar direttore.
556. D ) Ma solo per gravi ragioni e dopo matura riflessione bisogna scegliere un altro direttore. È infatti necessario aver certa continuità nella direzione, che non può aversi quando si cambia di frequente guida spirituale.
a ) vi sono persone tentate di cambiar confessore: per curiosità, per sapere quale sarà la condotta d’un altro; è facile che uno si stanchi di sentir spesso gli stessi consigli, tanto più se riguardano cose sgradite alla natura; per incostanza perché riesce sempre un poco difficile attenersi a lungo alle stesse pratiche; per superbia, volendo andare al direttore che gode maggior riputazione o che è più in voga, oppure desiderando trovarne uno che ci lisci di più; per una specie d’inquietudine, la quale fa che non si è mai contenti di ciò che si ha e che si vada sempre sognando perfezione immaginaria; per mal regolato desiderio di far conoscere il proprio interno a vari confessori, perché se ne prendano pensiero o ci rassicurino; per falsa vergogna, per nascondere al direttore ordinario certe umilianti debolezze. E’ chiaro che questi sono motivi insufficienti e quindi da scartarsi se si vuole alacremente progredire nella vita spirituale.
557. b ) Per altro verso bisogna rammentare che la Chiesa insiste sempre più sulla libertà che si deve avere nella scelta del confessore; chi dunque ha buone ragioni per rivolgersi ad altri, non deve esitare a farlo. Quali sono queste ragioni? 1) Se, nonostante tutti gli sforzi fatti, uno non riesce ad aver pel proprio direttore il rispetto, la confidenza e l’apertura di cui abbiamo parlato, bisogna cambiarlo, quand’anche si trattasse di sentimenti privi di buono o sodo fondamento [24]; perché non si potrebbe allora trar profitto dai suoi consigli. 2) Tanto più poi se ci fosse fondatamente da temere che ci distogliesse dalla perfezione o per motivi troppo naturali o per affetto troppo vivo e troppo sensibile che ci dimostrasse. 3) Così pure se uno chiaramente si accorgesse che il direttore non ha né la scienza, né la prudenza, né la discrezione necessaria.
Sono certamente casi rari; ma quando si presentassero, bisogna ricordarsi che la direzione non fa del bene se non quando direttore e diretto lavorano insieme con mutua confidenza.
§ II. Il regolamento di vita.
558 . Questo regolamento è destinato a continuar l’opera del direttore, dando al penitente principii e regole che lo aiutino a santificar tutte le azioni con l’obbedienza, e a porgergli una savia e sicura norma di condotta. Ne esporremo: 1° l’utilità; 2° le qualità; 3° il modo d’osservarlo.
I. Utilità d’una regola di vita.
Utile anche ai semplici fedeli che vogliano santificarsi nel mondo, questa regola è più specialmente necessaria ai membri di comunità e ai sacerdoti che vivono nel ministero. Giova non solo alla santificazione nostra ma anche alla santificazione del prossimo.
559 . 1° Utilità per la santificazione nostra. Per santificarsi è necessario utilizzar bene il tempo, rendere soprannaturali le proprie azioni e seguire un certo programma di perfezione. Ora una regola di vita, ben concertata col direttore, ci procura questo triplice vantaggio.
A ) Ci fa utilizzar meglio il tempo. Confrontiamo infatti la vita d’una persona che segue una regola di vita e quella d’un’altra che non ne ha.
a ) Senza style=’mso-spacerun:yes’> si spreca fatalmente molto tempo: 1) nascono infatti allora esitazioni su ciò che sia meglio fare; s’impiega tempo a deliberare, a pesare il pro ed il contro, e poiché per molte cose non si trova ragion decisiva, si può rimanere incerti; onde, prendendo la natura il sopravvento, si è esposti a lasciarsi trascinare dalla curiosità, dal piacere o dalla vanità. 2) Si trasanda pure facilmente un certo numero di doveri: non essendosi previsto né determinato il momento e il luogo favorevole di adempiere cotesti doveri, se ne omettono alcuni perché non si trova più il tempo di farli.
3) Tali negligenze rendono incostanti: uno fa ora un vigoroso sforzo per ripigliarsi e ora si abbandona alla naturale indolenza, appunto perché non si ha una regola fissa per correggere l’incostanza della natura.
560. b ) Invece con un ben determinato regolamento si risparmia molto tempo: 1) Non più esitazioni: si sa esattamente ciò che si deve fare e quando; se non si riesce a fissar l’orario in modo matematico, almeno si sono posti dei punti fermi e fissati, dei principii sugli esercizi di pietà, sul lavoro, sulle ricreazioni, ecc 2) Non più l’imprevisto o almeno poca cosa: perché, anche per le circostanze straordinarie che possono capitare, si è già determinato quali esercizi si possono abbreviare, e come vi si può supplire con altre pratiche; in ogni caso, cessando l’imprevisto, si ritorna immediatamente alla regola. 3) Non M incostanza, perché il regolamento ci sollecita a far sempre ciò che è prescritto ogni giorno e nelle principali ore del giorno. Si formano così buone abitudini che danno stabile ordine alla nostra vita e ne assicurano la perseveranza; i nostri giorni diventano giorni pieni, pieni di opere buone e di meriti.
561. B ) La regola ci aiuta a rendere soprannaturali tutte le nostre azioni. a) Infatti vengono tutte fatte per obbedienza; onde questa virtù aggiunge lo speciale suo merito al merito proprio di ogni atto virtuoso. In questo senso vale il detto che vivere secondo la regola è vivere per Dio, perché è fare costantemente la santa sua volontà. Vi è pure in questa fedeltà alla regola un innegabile valore educativo: in cambio del capriccio e del disordine, che tendono a prevalere in una vita mal regolata, prendono il sopravvento la volontà e il dovere e quindi l’ordine e l’assestamento: la volontà è assoggettata a Dio e le facoltà inferiori si piegano ad obbedire alla volontà: è un progressivo ritorno allo stato di giustizia originale.
b ) è facile allora avere, in tutte le azioni, intenzioni soprannaturali: il solo fatto di vincere i propri gusti e i propri capricci mette già ordine nella vita e dirige le azioni a Dio; inoltre un buon regolamento di vita prescrive un momento di raccoglimento prima di ogni principale azione e ci suggerisce le migliori intenzioni soprannaturali per ben compirla; ognuna quindi viene esplicitamente santificata e diventa atto d’amor di Dio. Chi potrà dire il numero di meriti così accumulati ogni giorno!
562. C ) La regola traccia un programma di perfezione.
a ) Ed è veramente un programma quello che abbiamo descritto e il seguirlo è un progredire verso la perfezione: è la via della conformità alla volontà di Dio tanto lodata dai Santi.
b ) E poi non vi è compita regola di vita che non indichi le principali virtù da praticare secondo la condizione del penitente e il suo stato spirituale. Occorrerà certo di dover talora modificare questo piccolo programma pei nuovi bisogni che potranno
nascere; ma è cosa che si farà d’accordo col direttore, inserendola poi nel regolamento di vita perché serva di guida.
563 . 2° La santificazione del prossimo, com’è chiaro, non potrà che guadagnarci. Per santificar gli altri, bisogna unire la preghiera all’azione, utilizzar bene il tempo consacrato all’apostolato e dar buon esempio. Or questo fa per l’appunto chi è fedele al regolamento.
A ) Trova in una vita ben regolata il modo pratico di conciliar la preghiera con l’azione. Persuaso che anima dell’apostolato è la vita interiore, si fissa nel regolamento un certo numero di ore per la meditazione, per la santa messa, per il ringraziamento e per tutti gli esercizi necessari allo spirituale alimento dell’anima (n. 523).
Il che non toglie che consacri un notevole tempo all’apostolato; sa infatti disporre bene di tutti gli istanti (n. 560), e ne trova quindi per far tutto con ordine e metodo; ha le ore stabilite per le diverse opere parrocchiali, per le confessioni, per l’amministrazione dei sacramenti; i fedeli ne sono avvertiti, e, purché si dia loro il tempo veramente necessario, sono anche essi contenti di sapere a qual preciso momento possono trovare il sacerdote.
564. B ) Rimangono pure edificati degli esempi di puntualità e di regolarità che dà il sacerdote: non possono fare a meno di pensare e di dire che è l’uomo del dovere, costantemente fedele ai regolamenti fissati dall’autorità ecclesiastica. Quindi quando poi lo sentono proclamare dal pulpito o dal confessionale l’obbligo d’obbedire alle leggi di Dio e della Chiesa, ci si sentono stimolati dal suo esempio più ancora che dalle sue parole, e osservano più fedelmente i divini comandamenti.
Ecco come un sacerdote, il quale osservi il regolamento di vita, santifica sé e gli altri; il che è vero anche per i laici che si consacrano all’apostolato.
II. Qualità di una regola di vita.
A produrre questi santi effetti, la regola dev’essere concertata col direttore, pieghevole e salda nello stesso tempo e distribuire i doveri secondo la relativa loro importanza.
565 . 1° Dev’essere concertata col direttore, come richiedono la prudenza e l’obbedienza: a) la prudenza, perché, per stendere una regola di vita pratica, occorre molta discrezione ed esperienza, vedere non solo ciò che è bene in sé ma anche ciò che è bene per quella determinata persona; ciò che le è possibile e ciò che ne supera le forze; ciò che è opportuno nell’ambiente in cui vive e ciò che non lo è. Ora ci son ben poche persone che possano saviamente regolare tutte queste cose. b) D’altra parte uno dei vantaggi del regolamento è quello di porgere occasione a praticar l’obbedienza: il che non avverrebbe se uno se lo fissasse da sé senza sottoporlo a una legittima autorità.
566 . 2° Dev’essere abbastanza salda per reggere la volontà e insieme abbastanza pieghevole per adattarsi alle varie circostanze che occorrono nella vita reale e che sconcertano talora le nostre previsioni.
a ) Sarà salda, se contiene tutto ciò che è necessario per fissare, almeno come principio, il tempo e il modo di fare i vari esercizi spirituali, di compiere i doveri del nostro stato, di praticar le virtù che convengono al nostro genere di vita.
567. b ) Sarà pieghevole, se, pur determinando questi punti, lasci una certa latitudine per modificar l’orario, per sostituire ad una pratica, che non sia essenziale, un’altra equivalente e che meglio convenga alle circostanze, e anche per abbreviare qualche esercizio quando la carità o uno stringente dovere lo esiga, salvo poi a compierlo in un altro momento.
Questa pieghevolezza deve principalmente applicarsi alle formule di preghiera o d’offerta delle azioni, secondo la savia osservazione di S. G. Eudes [25]: ” Onde io vi prego di ben notare che la pratica delle pratiche, il secreto dei secreti, la devozione delle devozioni, sta nel non essere attaccati ad alcuna pratica od esercizio particolare di devozione, ma di avere grande cura in tutti i vostri esercizi ed azioni di darvi allo Spirito Santo di Gesù, e di darvigli con umiltà, confidenza e distacco da tutte le cose, affinché, trovandovi senza attaccamento al vostro pensiero e alle vostre devozioni e disposizioni, abbia pieno potere e libertà di operare. in voi secondo i suoi desideri, di mettere in voi quelle disposizioni e quei sentimenti di devozione che vorrà, e di condurvi per le vie che gli piacerà”.
568 . 3° Darà finalmente a ogni dovere la rispettiva importanza. Vi è infatti una gerarchia nei doveri: a) style=’text-transform:uppercase’>è chiaro che Dio vi deve occupare il primo posto, poi la salute dell’anima nostra e da ultimo la santificazione del prossimo. Non vi è certamente alcun vero conflitto tra questi doveri; devono invece, se vogliamo, conciliarsi fra loro molto bene: chi glorifica Dio in sostanza lo conosce e lo ama, cioè si santifica e lo fa pure conoscere ed amare dal prossimo. Ma chi volesse occupar tutto il tempo nell’apostolato trascurando il gran dovere della preghiera, è evidente che trascurerebbe per ciò stesso il mezzo più efficace dello zelo; ed è parimente chiaro che se uno mette da parte la cura della propria santificazione, si sentirà presto mancare il vero zelo per santificar gli altri. Procurando dunque di dare a Dio la parte sua, che è la prima, e di serbarsi il tempo di lavorare, coi più essenziali esercizi, alla propria santificazione, si è sicuri d’esercitar l’apostolato in modo più fecondo, Quindi i primi e gli ultimi momenti del giorno saranno per Dio e per noi; potremo poi darci all’azione, pur interrompendola ogni tanto con qualche buon pensiero a Dio. Così la nostra vita sarà divisa tra la preghiera e l’apostolato.
b ) Ma in certe urgenti circostanze bisogna applicare un altro principio ed è questo: si deve fare ciò che preme di più, id prius quod est magis necessarium. Sarebbe il caso d’un sacerdote chiamato al letto d’un moribondo: si lascia tutto per corrervi; cercando però di occuparsi per via in santi pensieri, che tengano il posto dell’esercizio spirituale che si doveva fare in quel momento
III. Del modo d’osservar la propria regola.
569 10.0pt’>. Perché la regola sia santificante, bisogna osservarla integralmente e cristianamente.
1° Integralmente, vale a dire in tutte le sue parti, compresa la puntualità. Se infatti, senza motivo ragionevole, sceglieremo tra i vari punti, ne verrà che osserveremo quelli che sono meno incomodi e trascureremo quelli che sono più penosi. Perderemo così i principali vantaggi annessi all’esatta sua osservanza; perché anche nei punti osservati saremo esposti a lasciarci guidare dal capriccio o almeno dalla propria volontà. Bisogna quindi praticar tutta intiera la regola e, se è possibile, alla lettera; che se per grave ragione non si può, è necessario seguir lo spirito della regola facendo tutto ciò che, moralmente parlando, è possibile.
570 . Vi sono due difetti da evitare, lo scrupolo e la rilassatezza. 1) Via gli scrupoli: se c’è qualche grave ragione di dispensarsi da un punto, di differirlo o di sostituirlo con qualche equivalente, si faccia senza inquietudine. Così un urgente dovere del nostro stato, per esempio la visita d’un infermo ci dispensa dalla visita al SS. Sacramento nel caso che tornassimo troppo tardi; e vi suppliremo allora pensando a Nostro Signore lungo la via; così pure la cura dei bambini dispensa una madre di famiglia da una comunione di regola se non è possibile conciliare questi due doveri: la comunione spirituale sostituisce allora la comunione sacramentale.
2) Ma via pure la rilassatezza: l’immortificazione, il desiderio di discorrere a lungo senza necessità, la curiosità ecc., non sono ragioni sufficienti per differire un esercizio, col rischio d’ometterlo poi intieramente. Così, chi non può compiere un dato dovere nella forma abituale deve studiarsi di compierlo sotto altra forma: per esempio, un sacerdote obbligato a portare il viatico in tempo di meditazione, si studierà di convertire in una specie di meditazione affettiva l’adempimento di questo dovere, porgendo ossequi al Dio dell’Eucaristia che porta sul cuore [26].
571 . La puntualità fa parte dell’osservanza integrale della regola: chi, senza buona ragione, non comincia un esercizio al tempo stabilito, resiste già alla grazia che non conosce ritardi, si espone a non aver poi più il tempo di farlo intieramente, o, se si tratta di eserciz