La gioventù è leggera. La gioventù è esposta ai pericoli. La saviezza nella gioventù è una fortuna rara. La gioventù passa presto: mezzi di passarla saggiamente.
1. LA GIOVENTÙ È LEGGERA. – «Tre cose, dice il Savio sono per me difficili a intendersi, cioè le volte dell’aquila nel cielo, le spire del serpe sulla pietra, i solchi della nave in mezzo al mare. Ma ve n’è una quarta che affatto non comprendo, ed è il cammino dell’uomo nella sua adolescenza» (Prov. XXX, 18-19), Questo detto del Savio prova quanto sia grande la leggerezza del giovane, la sua instabilità, effetto del suo ardore e della sua irriflessione. Come le vie dell’aquila, del serpe, del vascello, sono oblique, tortuose, a giri e rigiri, così è la via che tiene la gioventù. Difficilmente si può tenerle dietro tanto è leggera, saltellante, incostante: or qui, or là, il giovane cangia ad ogni ora, ad ogni istante, desideri, discorsi, posizione, condotta; non si può comprendere dove miri, né vedere dove penda. La via dell’aquila è incostante, quella del serpente è tortuosa, quella della nave non lascia dopo di sé orma; quindi la sacra Scrittura paragonando a queste tre cose la gioventù, rappresenta al vivo la condotta di uno spirito leggero e mobile, che ora trafela dietro la gloria mondana, ora cede al fascino di piaceri vani e colpevoli, ora si consuma in frivolezze.
Le vie dell’aquila significano ancora che la sapienza, i pensieri, la dottrina celeste, raffigurati nel volo sublimissimo dell’aquila, si perdono tra le dissipazioni della gioventù, quasi fosse negli sterminati spazi dell’aria, di modo che non vi rimane nessuna impressione delle cose celesti. Il serpe, colla sua astuzia, coi suoi rigiri, fa perdere la traccia del suo cammino; vera immagine della gioventù che raramente segue una via retta e uniforme e non lascia dopo di sé orma. La vigilanza, la costanza nei buoni propositi, ogni virtù insomma passa, pur troppo, nella gioventù, come una nave che fende il mare e non lascia vestigio del suo passaggio. Tutti questi paragoni indicano che non vi è nulla di stabile nella gioventù, che le buone abitudini non prendono radice, ma tutto passa e talmente si muta, che quello che oggi vedete giovine modesto, ragazza pudica, ecc. non potete dire che tale sia ancora domani. Non potete indovinare che cosa nasconde nei più segreti ripostigli del cuore, quali siano le sue affezioni, dove penda il suo amore od il suo odio.
La vita della gioventù si compendia in quelle parole della Scrittura: «Il popolo si sedette per mangiare e bere, quindi si alzò per divertirsi» (Exod. XXXII, 6). Mangiare, bere, dormire, divertirsi, ecco la gioventù. Oh Dio, che vita inutile! Eppure, non dice forse il Savio: «Come vorrai tu mietere nella vecchiaia quello che non hai seminato nella giovinezza?» (Eccli. XXV, 5).
Ridere, correre, oziare, divagarsi è questa tutta l’occupazione della gioventù… Ella è sempre divagata, e questa dissipazione, questo allontanamento del suo interno è disposizione deplorabile e funesta; vi si logora tutta l’età giovanile e si arriva alla virilità senza valere a nulla di sodo.
2. LA GIOVENTÙ È ESPOSTA AI PERICOLI. – Quattro cose concorrono a fare della gioventù l’età più esposta ai pericoli: 1° l’inclinazione che è in lei fortissima al male…; 2° l’ignoranza e l’inesperienza…; 3° la difficoltà di correggersi…; 4° l’incostanza grandissima nel bene.
Debole di corpo, la gioventù lo è ancora di più di spirito, di intelligenza, di volontà. «La gioventù, nota S. Ambrogio, abbandonata a se stessa è fiacca di forze, debole di consiglio. Il fuoco delle passioni nascenti la infiamma; gli ammonimenti l’annoiano e disgustano; i piaceri la sollecitano; il bollimento del sangue e della concupiscenza la travaglia (In cap. XVIII Luc.)».
S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo dipingono la gioventù a vivi colori. Il primo così scrive: «Leggerissima è la gioventù ed inclinata al male; porta in sé concupiscenze sfrenate e indomabili; dà in trasporti d’ira sfrenati e bestiali; nessuna riservatezza nel parlare; l’insolenza, la boria, l’arroganza, la petulanza, che vengono dall’orgoglio, e mille altri vizi ronzano attorno alla gioventù e vi si annidano, (In Melissa, p. XX)». Ed il secondo: «Alla puerizia succedono le tempeste dell’adolescenza, le quali più gagliarde delle onde Egee, agitano i cuori dei giovani; tanto più che ben sovente a questa età manca l’occhio e la correzione dei parenti e di coloro che dovrebbero vigilarla (Homil. LXXXIV, in Matth.)».
A ragione S. Paolo ordinava a Tito che esortasse i giovani a tenersi sobri e pii (Tit. II, 6); ed il profeta, che tutti dovremmo imitare, diceva al Signore che degli errori e delle colpe della sua gioventù non tenesse conto (Psalm. XXIV, 7).
3. LA SAVIEZZA NELLA GIOVENTÙ È UNA FORTUNA RARA. – L’agnello pasquale doveva essere senza macchia (Exod. XII, 5). Tale deve apparire l’infanzia e l’adolescenza, se ha da essere la realtà del simbolo che è l’agnello…
Un giovane che abbia senno e virtù, si sente pieni di vigore i sensi del corpo; la vista è più penetrante, l’udito più delicato, il portamento più franco, il viso più lieto. Quelli che sanno vincersi a quest’età, che si uniscono a Dio e vivono di lui e in lui, otterranno la mercede del Battista. Giovani siffatti offrono a Dio un’ostia viva, cara, immacolata; sono agnelli senza macchia, seguaci e delizia dell’Agnello divino.
La gioventù possiede quattro grandi tesori: 1° la verginità del corpo portata dal nascere…; 2° l’innocenza dell’anima ricevuta al battesimo…; 3° molta pieghevolezza ed attitudine alla virtù…; 4° la modestia e castigatezza dei costumi… Niente è tanto bello e glorioso quanto la virtù ed il coraggio dei giovani, il cui spirito, l’anima ed il corpo sono puri e santi. Come riesce gradita e mirabile la conversazione matura e saggia di un giovane forte e generoso che, precoce nella virtù, ha già vissuto un mezzo secolo agli occhi di Dio e previene la maturità degli anni! A lui conviene quel detto dello Spirito Santo: «Consumato in pochi giorni, ha compito una lunga carriera» (Sap. IV, 13). Un giovane di questa tempra ricorda, vincendola però al paragone, la robustezza dell’aquila, la prudenza del serpente, l’abilità del pilota. Infatti in un corpo fragile e in un’anima inesperta, domina i suoi movimenti, medita le cose divine, tiene sua conversazione nel cielo: è un’aquila che d sprezzando la terra, s’innalza e spazia nelle divine regioni. Portandosi in ogni impresa con circospezione e assennatezza, ancorché non conosca quella prudenza che è frutto dell’esperienza, somiglia tuttavia al serpe astuto che, senza artigli e senza zampe, con la sola sua agilità naturale, fugge velocemente, attraversa rocce, burroni e precipizi e arriva su la vetta delle alte montagne. Finalmente, scansando con cautela i pericoli e le tentazioni della carne, del mondo, del demonio, valicandone gli aspri gioghi e traghettandone gli insidiosi guadi, è come una nave guidata da un esperto pilota, che trionfa dei marosi e delle bufere, ora resistendo ed ora fendendo le onde, e giunge, superando tutti gli scogli seminati sul suo passaggio, felicemente ad ancorarsi nel porto…
Siffatti giovani avranno la corona della verginità e del martirio e, collocati in cielo tra i serafini, seguiranno per ogni dove l’Agnello (Apoc. XIV, 4). Ma oh quanto rari si vedono tali modelli! quanto grande è la turba di quelli che consumano nell’inerzia e nel vizio la loro giovinezza!
4. LA GIOVENTÙ PASSA PRESTO; MEZZI DI PASSAR LA SAGGIAMENTE. Giusto e vero è il paragone. che si fa della gioventù e della brevità dei suoi piaceri col volo dell’aquila e col corso di una nave spinta dal vento in alto mare; ma si potrebbe anche meglio paragonare al lampo, a un sogno, a una goccia di rugiada, a un fiore che appena sbocciato avvizzisce e spesso è falciato dalla morte al suo primo aprirsi…
Perciò è necessario che il ragazzo attenda di buon’ora a fornirsi, e chi ne ha la direzione procuri di fornirlo per tempo di saggezza e d’intelligenza (Prov. I, 4). Per ottenere questo, il giovane deve interrogare il padre suo, ed esso gli dirà quello che avrà da fare; i suoi maggiori, i quali lo istruiranno dei suoi doveri (Deuter. XXXII, 7). Deve essere parco nel parlare, anche in propria difesa (Eccli. XXXIII, 10); non rispondere a caso, ma dopo averci riflettuto, e sbrigarsi in poche parole (Ib. 11); riconoscere in molte cose la sua ignoranza, e non rompere il silenzio se non per interrogare; là dove si trovano vecchi, non mettere bocca comunque nei loro discorsi (Ib. 12-13).
In quattro cose principalmente i giovani devono esercitarsi, le quali comprendono tutta la saggezza: la prima è che si avvezzino per tempissimo alle pratiche di pietà…; la seconda è che considerino di tratto in tratto con attenzione quello che sia la vita presente…; la terza è che obbediscano pronti alla vocazione di Dio, dopo averla seriamente studiata…; la quarta è che perseverino costanti nella buona strada, quando vi sono entrati.
Aristotile dice che tre cose bisognano ai giovani: lo spirito, l’esercizio, la disciplina (Ethic.). Un antico poeta loro raccomanda che, per quanto basso trovino il luogo loro assegnato, ne siano contenti e non cerchino di cambiarlo di loro capriccio. In modo speciale è diretto ai giovani quell’ammonimento di Paolo apostolo: «Di quello che sa d’impurità e di avarizia, non si faccia tra di voi nemmeno il più leggero cenno, come ai santi si conviene. Guardatevi anche dal parlare o troppo, o sconcio, o sciocco» (Eph. V, 3-4).