L’intrepida martire fu seppellita da pii fedeli in un cimitero cristiano che sorgeva nei sobborghi di Catania. L’anno successivo, nel giorno anniversario del martirio di Agata, la città fu minacciata dall’eruzione dell’Etna. Gli stessi pagani, pieni di venerazione per la martire, andarono a prendere il prezioso velo che copriva la sua tomba e l’esposero alla violenza della lava. L’eruzione vulcanica cessò all’istante. Nel corso dei secoli è tradizione che il miracolo si sia rinnovato altre volte. E’ naturale perciò che i catanesi la venerino come loro patrona e protettrice. Le feste in suo onore durano tre giorni.
S. Agata è una delle più popolari eroine dei primi secoli del cristianesimo. Palermo e Catania si disputano l’onore di averle dato i natali. Tuttavia, è certo che morì martire a Catania il 5 febbraio di un anno non precisato. Molto onorata in occidente e in oriente, dal secolo V il suo nome appare nel canone della Messa di Roma, Ravenna e Milano. Nella prima metà del secolo VI un anonimo ne compose la Passione in latino, ma è di scarso valore storico. Non sono purtroppo molti i racconti di martirio integralmente autentici e originali, che riportano i protocolli ufficiali del magistrato con lievi aggiunte o che almeno si rifanno a testimonianze oculari o auricolari. Più grande assai è il numero delle leggende intorno ai martiri, sorte dopo le persecuzioni, le quali variano, da una lieve rielaborazione di materiale autentico antico, alla pretta invenzione romanzesca e alla mistificazione fantastica.
Il martirio di S. Agata viene posto sotto l’imperatore Decio (249-251) e il consolare Quinziano. Dopo la breve persecuzione scatenata dall’imperatore Massimino Trace (235-238), il primo barbaro salito sul trono dei Cesari, specialmente contro l’alto clero, la Chiesa godette pace per quarant’anni. Ne approfittò per sviluppare la sua organizzazione e penetrare tra i nobili e i funzionari dello stato. Asseriscono Bihimeyer e Tuechle nella Storia della Chiesa, vol. I, par. 16: “Ma all’accrescimento esterno non corrispondeva il perfezionamento inferiore. La lunga pace aveva portato un certo rilassamento. Parecchi chierici e laici si erano dati alla vita mondana ed erano diventati cristiani tiepidi. Come osserva Cipriano (De lapsis 5), “per mettere alla prova la sua famiglia” Dio mandò un’altra persecuzione. Fu di breve durata, ma violentissima e pericolosa.
E’ dovuta a Decio, uno di quegli imperatori militari poco colti, ma pieni di energia, di origine pannonico-illirica, che fecero una politica di restaurazione in grande stile. Egli voleva dare all’impero quasi in rovina per la corruzione e l’invadenza soffocatrice del costume orientale, maggiore forza di resistenza contro i nemici esterni e interni, e riportarlo allo splendore di un tempo. Credeva quindi di dover sottomettere all’antica religione nazionale unitaria in primo luogo i cristiani, a suo avviso i nemici più pericolosi dello Stato romano. Procedette con tale decisione, e così sistematicamente, che la sua persecuzione ha un’importanza superiore a tutte le precedenti, e inaugura un periodo nuovo nella storia delle stesse. Un editto della fine del 249 o dell’inizio del 250 ordinava a tutti i sudditi di offrire agli dèi, unitamente alle mogli e ai figli, un solenne sacrificio propiziatorio. Contro gli esitanti si doveva procedere ricorrendo a tutti i mezzi propri di una giustizia crudele: carcere, confisca dei beni, esilio, lavori forzati, poi, crescendo in asprezza, la tortura e finalmente, anche la pena di morte. I vescovi erano presi di mira in modo speciale. Decio diceva di tollerare più facilmente un rivale nell’impero che un vescovo cristiano a Roma. Poiché il colpo venne come un fulmine a ciel sereno, grande fu lo spavento dei cristiani. Purtroppo in molti casi essi diedero prova di scarsa forza di resistenza… tradirono la fede persino alcuni vescovi… Ma ci fu pure “una moltitudine” di confessori e di martiri di ogni età e sesso saldi nella loro fede”.
Tra costoro viene annoverata S. Agata, appartenente con probabilità a una nobile e ricca famiglia catanese. Educata fin dall’infanzia nel timor di Dio, ebbe la forza di resistere alle seduzioni della società pagana del tempo. Il consolare Quinziano, uomo avaro e licenzioso, se ne invaghì, ma vedendosi respinto da lei, credette di poter soddisfare le sue basse passioni servendosi dell’editto dell’imperatore Decio contro i cristiani. Sapendo che la giovane credeva in Gesù Cristo, la fece prima arrestare, e poi l’affidò ad una donna di facili costumi perché la pervertisse o con le lusinghe o con le minacce. S. Agata, senza impressionarsi, cercò nella preghiera e nelle lacrime la forza di resistere a tutte le seduzioni. Dopo trenta giorni, riusciti vani tutti i suoi tentativi, la donna malvagia dovette confessarsi vinta.
Quinziano ordinò allora che S. Agata fosse condotta davanti al suo tribunale. Un primo interrogatorio servì solo a mettere in risalto come l’essere serva di Gesù Cristo costituisse per la giovane l’unica libertà e la più illustre nobiltà. Il governatore per tutta risposta, la fece schiaffeggiare e ricondurre in prigione. Un secondo interrogatorio ebbe luogo qualche giorno più tardi, ma la vergine si mostrò ancora più di prima attaccata a Gesù Cristo, sua vita e sua salvezza. Il magistrato ordinò che fosse stesa sul cavalletto e flagellata. Mentre la tormentavano con uncini di ferro, mentre le bruciavano le piaghe sanguinanti con torce, l’innocente vittima si proclamava contenta di soffrire per l’amato Signore. Quinziano divenne allora tanto furibondo che ordinò ai carnefici di reciderle le mammelle. “Crudele tiranno – lo redarguì l’intrepida vergine – non ti vergogni di mutilare così in una donna quello che hai succhiato da bambino?” Dopo quell’orribile supplizio, il governatore fece ricondurre la sua vittima in prigione, con l’ordine esplicito di non prestarle alcuna cura. La notte successiva, però, l’apostolo S. Pietro le apparve circonfuso di luce e la guarì da tutte le ferite.
Quattro giorni dopo Quinziano ordinò che Agata fosse di nuovo condotta davanti al suo tribunale. Affettando indifferenza per l’avvenuta guarigione, raddoppiò gli sforzi per costringerla a sacrificare alle divinità romane. “Le tue parole – gli rispose la martire – sono insensate. Che idea andare a cercare soccorso presso vani idoli quando si ha il vero Dio che guarisce tutte le piaghe e restituisce al corpo la sua integrità!” “Chi ti ha guarita in questa maniera?” – le domandò il giudice. “Il Cristo, il Figlio di Dio!” le rispose sicura Agata. “Come osi pronunciare questo nome alla mia presenza?” – bofonchiò Quinziano. “Le mie labbra confessano il Cristo e il mio cuore non cesserà mai d’invocarlo!” – esclamò trasfigurata la Santa.
Secondo la Passione, per Agata cominciarono nuovi tormenti. Il governatore fece cospargere il pavimento della prigione di cocci di vasi rotti mescolati a carboni accesi. Poi ordinò che la martire fosse spogliata delle vesti e rotolata su quel tormentoso letto. Tuttavia, appena l’inaudito supplizio ebbe inizio, un terremoto scosse la città e il carcere dalle fondamenta. Mentre la gente spaventata accorreva al pretorio, Quinziano fuggiva a nascondersi in un stanza appartata. S. Agata invece così pregò: “O Dio, che mi hai creata e conservata fin dalla mia infanzia che mi hai dato fin dal fiore dell’età una virtù superiore al mio sesso, che hai allontanato dal mio cuore l’amore del secolo e sottratto il mio corpo alla corruzione, che mi hai resa vittoriosa dei tormenti del carnefice e mi hai fatto disprezzare la spada, il fuoco, le catene, ti supplico, ricevi adesso il mio spirito, ritirami dal mondo per introdurmi nel seno della tua misericordia”. Quand’ebbe terminato di pregare gettò un alto grido e spirò alla presenza di numerosi testimoni.
L’intrepida martire fu seppellita da pii fedeli in un cimitero cristiano che sorgeva nei sobborghi di Catania. Quinziano fu raggiunto dalla divina giustizia, mentre cercava d’impadronirsi dei beni della sua vittima facendo imprigionare i membri della famiglia di lei. L’anno successivo, nel giorno anniversario del martirio di Agata, la città fu minacciata dall’eruzione dell’Etna. Gli stessi pagani, pieni di venerazione per la martire, andarono a prendere il prezioso velo che copriva la sua tomba e l’esposero alla violenza della lava. L’eruzione vulcanica cessò all’istante. Nel corso dei secoli è tradizione che il miracolo si sia rinnovato altre volte. E’ naturale perciò che i catanesi la venerino come loro patrona e protettrice. Le feste in suo onore durano tre giorni. Oltre alla “bara” con la statua della santa, trascinata dai soci vestiti di ampio camice bianco, sono caratteristiche della solenne processione le “candelore “, grandi macchine di legno, simulanti un enorme cero adorno con lumini, bandierine, figurazioni e sculture: le recano a braccia le varie corporazioni. La luminaria, che accompagna la processione e sfolgora in tutte le facciate delle case lungo il percorso, è pure uno dei tratti più salienti della festa, la quale viene celebrata il 5 febbraio e verso la fine di agosto per ricordare il ritorno a Catania delle reliquie della santa.
In molti luoghi sono sorte chiese in suo onore. A Roma è soprattutto nota quella della Suburra, detta S. Agata dei Goti, fatta costruire da Ricimero, adibita al culto ariano e riconsacrata al culto cattolico da S. Gregorio il Grande. Nel 592 egli inviò reliquie della martire a Capri, e dedicò alla santa un monastero fatto da lui costruire a Palermo.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 100-104.
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