Di Adolfo Tanquerey. CAPITOLO II. Natura della vita cristiana. I nostri doveri verso la SS Trinità che vive in noi. II. Dell’organismo della vita cristiana. Della grazia abituale. Definizione.
2° I NOSTRI DOVERI VERSO LA SS. TRINITÀ CHE VIVE IN NOI.
98. Possedendo un tesoro così prezioso come la SS. Trinità, bisogna pensarvi spesso “ambulare cum Deo intus”. Or questo pensiero fa nascere tre principali sentimenti: l’adorazione, l’amore, l’imitazione 98-1.
99. A) Il primo sentimento che scaturisce come spontaneamente dal cuore è quello dell’adorazione: “Glorificate et portate Deum in corpore vestro 99-1“. Come, infatti, non benedire, glorificare, ringraziare quest’ospite divino che trasforma l’anima nostra in un vero santuario? Dopochè Maria ebbe ricevuto nel casto suo seno il Verbo Incarnato, la sua vita non fu più che un perpetuo atto d’adorazione e di riconoscenza: “Magnificat anima mea Dominum… fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus“; e tali pure sono i sentimenti, benchè in grado minore, di un’anima che prende coscienza dell’abitazione dello Spirito Santo in lei: capisce che, essendo tempio di Dio, deve incessantemente offrirsi come ostia di lode alla gloria delle tre divine persone. a) Al principio delle proprie azioni, facendo il segno di croce in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, consacra loro ogni sua opera; terminandole, riconosce che tutto il bene da lei fatto si deve ad esse attribuire: Gloria Patri et Filio et Spiritui sancto. b) Ama ripetere quelle preghiere liturgiche che ne celebrano le lodi: il Gloria in excelsis Deo, che esprime così bene tutti i sentimenti di religione verso le divine persone e specialmente verso il Verbo Incarnato; il Sanctus, che proclama la santità divina; il Te Deum, che è il suo primo principio e il suo ultimo fine; la sua incapacità a lodarlo come egli si merita, e in questo sentimento si unisce allo Spirito di Gesù che solo può rendere a Dio quella gloria a cui ha diritto: “Lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perchè noi non sappiamo ciò che dobbiamo chiedere nelle nostre preghiere, secondo i nostri bisogni; ma lo Spirito prega egli stesso per noi con gemiti inenarrabili; “Spiritus adiuvat infirmitatem nostram; nam quid oremus sicut oportet, nescimus; sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus 99-2“.
100. B) Dopo avere adorato Dio e proclamato il proprio nulla, l’anima si abbandona ai sentimenti del più confidente amore. Per quanto sia infinito pur Dio si abbassa a noi, come il padre più amoroso verso il proprio figlio, e c’invita ad amarlo e a dargli il cuore: “Præbe, fili, cor tuum mihi 100-1“; questo amore egli potrebbe esigerlo imperiosamente ma preferisce chiederlo dolcemente, affettuosamente, perchè vi sia, a così dire, più spontaneità nella nostra risposta, più abbandono filiale nel nostro ricorso a lui. E come non rispondere con confidente amore a tanti e sì delicati riguardi, a tante così materne sollecitudini? Sarà un amore penitente, per espiare le nostre troppo numerose infedeltà passate e presenti; un amore riconoscente, per ringraziare quest’insigne benefattore, questo collaboratore premuroso che lavora l’anima nostra con tanta assiduità; ma principalmente un amore d’amicizia, che ci farà conversare dolcemente col più fedele e più generoso degli amici, ci farà caldeggiare tutti i suoi interessi, procurarne la gloria e farne benedire il santo nome. Non sarà quindi un semplice sentimento affettuoso, ma un amore generoso, che va fino al sacrifizio, all’oblio di se, alla rinunzia della propria volontà, per sottomettersi ai precetti e ai consigli divini.
101. C) Quest’amore ci condurrà dunque all’imitazione dell’adorabile Trinità in quel grado che è compatibile con l’umana debolezza. Figli adottivi d’un Padre tre volte santo, tempii viventi dello spirito Santo, intendiamo meglio la necessità di rispettare il nostro corpo e la nostra anima. Tale era la conclusione che l’Apostolo inculcava ai discepoli: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno violerà il tempio di Dio, Dio lo sperderà; poichè santo è il tempio di Dio che siete voi; Nescitis quia templum Dei estis, et Spiritus Dei habitat in vobis? Si quis autem templum Dei violaverit, disperdet illum Deus. Templum enim Dei sanctum est quod estis vos 101-1“. L’esperienza prova che per le anime generose non v’è motivo più potente di questo per allontanarle dal peccato ed eccitarle alla pratica delle virtù; infatti, non si deve forse purificare e ornare continuamente un tempio ove risiede il Dio tre volte santo? Del resto quando Nostro Signore volle proporci un ideale di perfezione, non andò a cercarlo fuori della SS. Trinità: “Siate perfetti, egli dice, come è perfetto il vostro Padre celeste: “Estote ergo perfecti, sicut et Pater vester cælestis perfectus est 101-2“. A prima vista, quest’ideale sembra troppo elevato; ma quando ci ricordiamo che siamo figli adottivi del Padre, e che egli vive in noi per imprimervi la sua immagine e collaborare alla nostra santificazione, capiamo bene che nobiltà obbliga e che abbiamo il dovere d’avvicinarci sempre più alle perfezioni divine. Specialmente per praticare la carità fraterna Gesù ch chiede di avere dinanzi agli occhi quel perfetto modello che è l’indivisibile unità delle tre divine persone: “Che siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, e io in te, che siano anch’essi una cosa sola in noi; Ut omnes unum sint, sicut tu, Pater, in me et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint 101-3“. Tenera preghiera, di cui san Paolo si faceva eco quando supplicava i cari discepoli di non dimenticare che, essendo un solo corpo e un solo spirito, non avendo che un solo ed unico Padre che abita in tutti i giusti, dovevano conservare l’unità dello spirito col vincolo della pace 101-4.
Riepilogando possiamo conchiudere che la vita cristiana consiste prima di tutto in una unione intima, affettuosa e santificante colle tre divine persone, che ci conserva nello spirito di religione, d’amore e di sacrifizio.
II. Dell’organismo della vita cristiana 102-1.
102. Le tre divine persone che abitano nel santuario dell’anima nostra si dilettano di arricchirla di doni soprannaturali e ci comunicano una vita simile alla loro che si chiama la vita della grazia o vita deiforme.
Ora in ogni vita vi è un triplice elemento: un principio vitale che è, per così dire, la sorgente della vita; delle facoltà che fanno produrre operazioni vitali; e in fine degli atti, che ne sono l’espansione e contribuiscono al suo accrescimento. Nell’ordine soprannaturale, Dio, che vive in noi, produce nelle anime nostre questi tre elementi. a) Ci comunica dapprima la grazia abituale, che fa in noi l’ufficio di principio vitale soprannaturale102-2 e divinizza, a così dire, la sostanza stessa dell’anima nostra, rendendola atta, benchè remotamente, alla visione beatifica e agli atti che la preparano.
103. b) Da questa grazia sgorgano le virtù infuse103-1 e i doni dello Spirito Santo, che perfezionano le nostre facoltà e ci danno il potere immediato di fare atti deiformi, soprannaturali e meritorii.
c) Per mettere in moto queste facoltà, Dio ci concede le grazie attuali, che illuminano la nostra intelligenza, fortificano la nostra volontà, ci aiutano ad operare soprannaturalmente e ad aumentare così il capitale di grazia abituale che ci ha compartito.
104. Questa vita della grazia, benchè distinta dalla vita naturale, non è semplicemente a lei sovrapposta ma la compenetra tutta quanta, la trasforma e la divinizza. Si assimila tutto ciò che vi è di buono nella natura, nell’educazione e nelle abitudini acquisite; perfeziona e soprannaturalizza tutti questi elementi volgendosi verso l’ultimo fine, che è il possesso di Dio per mezzo della visione beatifica e dell’amore che l’accompagna.
Spetta a questa vita soprannaturale il dirigere la vita naturale, in virtù del principio generale già esposto al n. 54, che gli esseri inferiori sono subordinati agli esseri superiori 104-1. Non può durare nè svilupparsi se non a patto di dominare e serbare sotto la sua influenza gli atti dell’intelligenza, della volontà e delle altre facoltà; con ciò non distrugge nè diminuisce la natura, ma anzi la esalta e la perfeziona. Il che dimostreremo, studiandone per ordine i tre elementi.
1° DELLA GRAZIA ABITUALE. 105-1
105. Dio, volendo nell’infinita sua bontà elevarci a lui per quanto è permesso alla debole nostra natura, ci dà un principio vitale, soprannaturale deiforme: la grazia abituale, grazia che si chiama creata 105-2 per opposizione alla grazia increata che consiste nell’abitazione dello Spirito Santo in noi. Questa grazia ci rende simili a Dio e ci unisce strettissimamente a lui: “Est autem hæc deificatio, Deo quædem, quoad fieri potest, assimilatio unioque 105-3“. Sono questi i due aspetti della grazia che esporremo, dandone la definizione tradizionale e determinando l’unione prodotta dalla grazia tra l’anima e Dio.
A) Definizione.
106. La grazia ordinariamente si definisce una qualità soprannaturale, inerente all’anima nostra, che ci fa partecipare in modo reale, formale, ma accidentale, alla vita divina.
a) È dunque una realtà di ordine soprannaturale ma non una sostanza, perchè nessuna sostanza creata può essere soprannaturale; è un modo d’essere, uno stato dell’anima, una qualità inerente alla sostanza dell’anima nostra, che la trasforma, la eleva sopra tutti gli esseri anche più perfetti; qualità permanente di sua natura, che sta in noi finchè non la scacciamo dall’anima nostra commettendo volontariamente un peccato mortale. “La grazie, dice il Card. Mercier106-1 appoggiandosi su Bossuet, è quella qualità spirituale che Gesù diffonde nelle anime nostre, che penetra nel più intimo della nostra sostanza, che s’imprime nel più secreto delle anime nostre, e che si spande (per mezzo delle virtù) in tutte le potenze e le facoltà dell’anima, che possiede interiormente l’anima e la rende pura e grata agli occhi di questo divin Salvatore, la fa suo Santuario, suo tempio, suo tabernacolo, insomma suo luogo di delizie.”
107. b) Questa qualità ci rende, secondo l’energica espressione di S. Pietro, partecipi della natura divina, divinæ consortes naturæ; ci fa entrare, come dice S. Paolo, in comunione con lo Spirito Santo “communicatio Sancti Spiritus 107-1“, in società col Padre e col FIglio, come aggiunge S. Giovanni 107-2. Non ci fa certamente uguali a Dio, ma esseri deiformi simili a lui; e ci dà, non la vita stessa di Dio che è essenzialmente incomunicabile, ma una vita simile alla sua. Il che ora spiegheremo, per quanto l’umana intelligenza vi può arrivare.
108. 1) La vita propria di Dio è di contemplare direttamente sè stesso e di infinitamente amarsi. Nessuna creatura, per quanto sia perfetta, può contemplare da se stessa l’essenza divina “che abita una luce inaccessibile, lucem inhabitat inaccessibilem” 108-1. Ma Dio, per un privilegio intieramente gratuito, chiama l’uomo a contemplare questa essenza divina nel cielo; ed essendone l’uomo incapace, ne eleva, ne dilata, ne fortifica l’intelligenza col lume della gloria. Allora, dice S. Giovanni, saremo simili a Dio, perchè lo vedremo come egli vede se stesso, o, che è lo stesso, come egli è in se: “Simile ei erimus, quoniam videbimus eum sicuti est 108-2“. Lo vedremo, aggiunge S. Paolo, non più attraverso lo specchio delle creature, ma faccia a faccia, senza intermedio, senza nubi, con una fulgida chiarezza: “Nunc per speculum et in œnigmate, tunc autem facie ad faciem 108-3“. Così parteciperemo, benchè in modo finito, alla vita stessa di Dio, poichè lo conosceremo come egli conosce se stesso e lo ameremo come egli ama se stesso. Il che spieghano i teologi dicendo che l’essenza divina verrà ad unirsi alla parte più intima dell’anima nostra e ci servirà di specie impressa, per renderci capaci di vederla senza alcuno intermedio creato, senza immagine alcuna.
109. 2) Ora la grazia abituale è già una preparazione alla visione beatifica e quasi un saggio di questo favore, prælibatio visionis beatificæ; è la gemma che già contiene il fiore, benchè questo non debba sbocciare che più tardi; è quindi dello stesso genere della visione beatifica e partecipa della sua natura.
Cerchiamo di spiegarci con un paragone, per quanto possa riuscire imperfetto. Io posso conoscere un artista in tre modi: dallo studio delle sue opere, – dal ritratto che me ne fa un suo intimo amico – o finalmente dalle relazioni dirette che io ho con lui. La prima di queste conoscenze di Dio è quella che abbiamo dalla vista delle sue opere, conoscenza induttiva molto imperfetta, perchè le sue opere, pur manifestandoci la sua sapienza e la sua potenza, nulla ci dicono della sua vita interiore. La seconda risponde assai bene alla conoscenza che se ne fa la fede: sulla testimonianza degli scrittori sacri e principalmente del Figlio di Dio, io credo tutto ciò che Dio si degnò di rivelarmi non solamente sulle sue opere e sui suoi attributi, ma anche sulla sua vita intima; io credo che da tutta l’eternità egli genera un Verbo che è suo Figlio, che ama e dal quale è riamato, e che da questo mutuo amore procede lo Spirito Santo. Certo io non capisco, e sopratutto io non vedo, ma io credo con incrollabile certezza, e questa fede mi fa partecipare in modo velato, oscuro, ma reale, alla conoscenza che Dio ha di sè stesso. Solo più tardi, per mezzo della visione beatifica, si avvererà il terzo modo di conoscenza; ma, com’è chiaro, il secondo è in sostanza della stessa natura di quest’ultimo, e certamente molto superiore alla conoscenza razionale.
110. c) Questa partecipazione della vita divina non è semplicemente virtuale ma formale. La partecipazione virtuale non ci fa possedere una data qualità che in un modo diverso da quello in cui si trova nella causa principale; così la ragione è una partecipazione solo virtuale dell’intelletto divino, perchè ci fa conoscere la verità, ma in un modo assai diverso dalla conoscenza che ne ha Dio. Non è così della visione beatifica, e, salve le proporzioni, della fede; queste ci fanno conoscere Dio some egli conosce se stesso, non certo nello stesso grado ma nello stesso modo.
111. d) Questa partecipazione non è sostanziale ma accidentale. Così essa si distingue dalla generazione del Verbo, che riceve tutta la sostanza del Padre; e dalla unione ipostatica, che è un’unione sostanziale della natura umana con la natura divina nell’unica persona del Verbo; noi conserviamo infatti la nostra personalità e la nostra unione con Dio non è sostanziale. Tale è la dottrina di S. Tommaso: 111-1 “Essendo la grazia molto superiore alla natura umana, non può esserne che la forma accidentale”. E, per spiegare il suo pensiero, aggiunge che tutto ciò che è sostanzialmente in Dio ci vien dato accidentalmente e ci fa partecipare alla divina bontà: “Id enim quod substantialiter esi in Deo, accidentaliter fit in anima participante divinam bonitatem, ut de scientia patet”.
Con queste restrizioni si evita di cadere nel panteismo, e si ha non dimento un’idea altissima della grazia, che ci apparisce come una divina somiglianza impressa da Dio nell;anima nostra: “faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram 111-2“.
112. Per farci intendere questa divina somiglianza, i Padri usano diversi paragoni. 1) L’anima nostra, essi dicono, è una immagine vivente della Trinità, una specie di ritratto in miniatura, poichè lo Spirito Santo stesso viene ad imprimersi in noi come il sigillo sulla molle cera e vi lascia così la sua divina somiglianza 112-1. ne concludono che l’anima in stato di grazia è d’una meravigliosa bellezza, poichè l’artista che vi dipinge questa immagine è infinitamente perfetto, non essendo altri che Dio stesso: “Pictus es ergo, o homo, et pictus es a Domino Deo tuo. Bonum habes artificem atque pictorem 112-2“. E ne conchiudono pure con ragione che noi non solo non dobbiamo distruggere od offuscare questa immagine ma anzi renderla ogni giorno più rassomigliante. — Paragonano anche l’anima nostra a quei corpi trasparenti che, ricevendo la luce del sole, ne son ocome pentrati e acquistono un incomparabile fulgore che diffondono poi tutto intorno a loro 112-3; così l’anima nostra, simile a un globo di cristallo illuminato dal sole, riceve la luce divina, risplende di vivo fulgore e lo riflette sugli oggetti circostanti.
113. 2) Per dimostrare che questa rassomiglianza non è cosa superficiale ma penetra nel più intimo dell’anima nostra, riorrono al paragone del ferro e del fuoco. Come, dicono essi, una verga di ferro, immersa in un ardente braciere, acquista subito lo splendore, il calore e la phieghevolezza del fuoco, così l’anima nostra, immersa nella fornace del divino amore, si libera dalle scorie e diviene brillante, ardente e docile alle ispirazioni divine.
114. 3) Un autore contemporaneo, volendo esprimere l’idea che la grazia è una vita nuova, la paragona a un innesto divino fatto sul ramo salvatico della nostra natura e che si fonde coll’anima nostra per costituire un nuovo principio vitale e quindi una vita assai superiore. Però, come l’innesto non conferisce al ramo salvatico tutta la vita di quella natura onde è stato tolto ma soltanto questa o quella delle sue proprietà vitali, così la grazia santificante non ci dà tutta la natura di Dio ma qualche cosa della sua vita che costituisce per noi una nuova vita; noi quindi partecipiamo alla vita divina ma non a possediamo nella sua pienezza 114-1.
È chiaro che questa divina somiglianza prepara l’anima nostra ad una intimissima unione con l’adorabile Trinità che abita in lei.
NOTE
98-1 Tutti questi sentimenti sono magnificamente espressi nella bella preghiera del mattino composta dall’Olier, La Journéee chrétienne p. 18-24 dell’ed. 1907 e che è riprodotta nel Manuel du Séminariste de St Sulpice, e nelle Meditazioni del P. Chaignon, S. J.
99-1 I Cor., VI, 20.
99-2 Rom., VIII, 26.
100-1 Prov., XXIII, 26.
101-1 I Cor., III, 16-17.
101-2 Matth., V, 48.
101-3 Joan., XVII, 21.
101-4 “Solliciti servare unitatem spiritus in vinculo pacis. Unum corpus et unus spiritus… Unus Deus et Pater omnium, qui est super omnes et per omnia et in omnibus.” (Ephes., IV, 3-6.)
102-1 S. Tommaso IIª IIæ, q. 110; Alvarez de Paz, S. J., De vita spirituali ejusque perfectione, 1602, t. I, l. II, c. 1; Terrein, S. J., La Grâce et la Gloire, t. I, p. 75 sq.; Bellamy, La vie surnaturelle.
102-2 “Gratia præsupponitur virtutibus infusis, sicut earum principium et finis” (Sum. Theol., Ia IIæ, q. 110, a. 3).
103-1 “Sicut ab essentia animæ affluunt eius potentiæ, quæ sunt operum principia, ita etiam ab ipsâ gratiâ effluunt virtutes in potentias animæ, per quas potentiæ moventur ad actum” (Ibid., a. 4, ad 1.)
104-1 Eymieu, op. cit., p. 150-151.
105-1 Cfr. S. Tommaso IIª IIæ, q. 110; Syn. Theol. Dogm., t. III, n. 186-191; Froget, op. cit., IVe P.; Terrien, S. I. La grâce et la gloire, p. 75, ss; Bellamy, La Vie surnaturelle, 1895; Nieremberg, Del aprecio y estima de la divina gracia, trad. franc., Le prix de la grâce (presso Plon); V. Many, La vraie vie, 1922, p. 1-79.
105-2 Questa espressione non è del tutto esatta, perchè la grazia non è una sostanza, ma un accidente o modificazione accidentale dell’anima nostra. Essendo però qualche cosa di finito e non potendo venire che da Dio, senza essere da noi meritata, le si dà questo nome, o talvolta si chiama anche concreata, per notare ch’essa è tratta dalla potenza obbedienziale dell’anima nostra.
105-3 Ps.-Dionigi., De eccl. hierarchiâ, c. I, n. 3, P. G., III, 373.
106-1 La Vie Intèrieure, p. 401; (La Vita interiore, Libreria Fiorentina, Firenze).
107-1 II Cor., XIII, 13.
107-2 “Societas nostra cum Patre et cum Filio ejus Jesu Christo” I Joan., I, 3.
108-1 I Tim., VI, 16.
108-2 I Joan., III, 2.
108-3 I Cor., XIII, 12-13.
111-1 Sum. theol., Ia IIæ, q. 110, a. 2, ad 2.
111-2 Gen., I, 26.
112-1 “Divinam figurationem in nobis imprimens quodammodo per seipsum”. (Homil. Paschales), X, 2, P. G., LXXVII, 617.
112-2 S. Abrogio, In Hexæm., l. VI, c. 8, P. L., XIV, 260.
112-3 S. Basilio, De Spiritu S., IX, 23, P. G., XXXII, 109.
114-1 Eymieu, La loi de la vie, p. 148-149.