Iddio, che aveva predestinato Claudio ad essere il direttore ed il cooperatore di S. Margherita M. Alacoque (+1690) nella diffusione della devozione al Sacro Cuore di Gesù, gli fece capire che la Compagnia di Gesù era un asilo sicuro in cui avrebbe potuto praticare quella perfezione alla quale aspirava. Fece il gran passo senza entusiasmo. Più tardi scriverà: “Io so che avevo un’orribile avversione alla vita che ho abbracciato, quando mi feci religioso… I disegni che si fanno per servire Dio, non si eseguiscono mai senza una gran pena”. Claudio entrò nel noviziato dei gesuiti della provincia di Lione nel 1658. Un contemporaneo lo descrisse “di complessione robusta, di spirito vivace e naturalmente gentile, d’intelligenza ferma e sottile, di sentimenti onesti, abile e grazioso in ogni cosa”. Il Beato attestava di essere entrato nella Compagnia di Gesù per la stima che aveva delle sue sapienti regole e perché aveva veduto i superiori esigerne tanto l’osservanza che stimava cosa facile in essa santificare se stesso e gli altri.
” L’amico vero e servo fedele” del Sacro Cuore di Gesù nacque il 2-2-1641 a St-Sinforien d’Ozon, nella diocesi di Grenoble (Francia), dal benestante Bertrando, il quale dei sette figli che ebbe quattro li consacrò al Signore. Quando divenne notaio regio e si trasferì a Vienne (1650), affidò Claudio, il terzogenito, ai gesuiti di Lione, i quali lo educarono per tre anni nel piccolo collegio della Madonna del Buon Soccorso, e per cinque anni nel gran collegio della Trinità. In entrambi gl’istituti il giovanotto appartenne alla Congregazione Mariana che fioriva tra gli scolari.
Iddio, che aveva predestinato Claudio ad essere il direttore ed il cooperatore di S. Margherita M. Alacoque (+1690) nella diffusione della devozione al Sacro Cuore di Gesù, gli fece capire che la Compagnia di Gesù era un asilo sicuro in cui avrebbe potuto praticare quella perfezione alla quale aspirava. Fece il gran passo senza entusiasmo. Più tardi scriverà: “Io so che avevo un’orribile avversione alla vita che ho abbracciato, quando mi feci religioso… I disegni che si fanno per servire Dio, non si eseguiscono mai senza una gran pena”.
Claudio entrò nel noviziato dei gesuiti della provincia di Lione nel 1658. Un contemporaneo lo descrisse “di complessione robusta, di spirito vivace e naturalmente gentile, d’intelligenza ferma e sottile, di sentimenti onesti, abile e grazioso in ogni cosa”. Il Beato attestava di essere entrato nella Compagnia di Gesù per la stima che aveva delle sue sapienti regole e perché aveva veduto i superiori esigerne tanto l’osservanza che stimava cosa facile in essa santificare se stesso e gli altri. Il maestro dei novizi così si espresse nei suoi riguardi: “E un giovane di una prudenza superiore alla sua età, di giudizio solido, di rara pietà, e le più alte virtù non sembrano eccessive al suo fervore”.
Ad Avignone Claudio compì gli studi di filosofìa già iniziati a Lione e, dopo cinque anni d’insegnamento ai ragazzi del collegio della Trinità, fu mandato a studiare teologia nel collegio di Clermont a Parigi ( 1666), dove venne a contatto dei maggiori eruditi e polemisti del tempo e fu il pedagogo dei due figli di G. B. Colbert (+1683), celebre ministro del re Luigi XIV (+1715). Dopo l’ordinazione sacerdotale (1669) fu richiamato ad insegnare a Lione per tre anni retorica nel collegio della Trinità, ma siccome aveva particolare attitudine alla predicazione, per un anno si fece banditore della divina parola nei conventi e nelle parrocchie.
Il P. Gian Paolo Oliva (+1681), proposito generale dei gesuiti, da tempo aveva notato nella provincia di Lione diversi difetti che attribuiva in parte ai superiori in quanto trattavano i giovani come dei servi, e in parte agli inferiori in quanto erano privi di spirito soprannaturale e non osservavano alla perfezione le regole per il cattivo esempio di qualche anziano. Per togliere ogni abuso aveva posto a Lione due gesuiti parigini: il P. Stefano de Champs, come provinciale, e il P. de La Chaize, come rettore del collegio della Trinità. Il P. Claudio, testimone del relativo rilassamento, si adoperò perché la comunità ritornasse al primitivo fervore formulando per proprio conto, durante il terzo anno di probazione (1674), il voto di osservare tutte le regole e le costituzioni dell’Ordine per imporsi come una necessità indispensabile l’adempimento dei doveri del proprio stato, per spezzare d’un colpo tutte le catene dell’amor proprio e riparare le passate irregolarità. Il desiderio di darsi a Dio senza riserva affiorerà di continuo nelle sue lettere e costituirà l’essenza delle direttive che impartirà alle anime desiderose di perfezione.
Il 2-2-1675 il P. de La Colombière fu ammesso ai voti solenni e pochi giorni dopo fu nominato superiore della piccola casa di Paray-le-Monial. Quando vi giunse i preti del luogo, richiesti del loro parere dalla badessa Madre de Saumaise, discutevano animatamente riguardo alla giovane visitandina Margherita Maria, la quale trasmetteva dei messaggi da parte del Sacro Cuore di Gesù. Il priore della vicina abbazia benedettina da parte sua sentenziava: “Fate mangiare della buona zuppa a questa figlia, e tutto andrà meglio”‘. La veggente cercava per ubbidienza di resistere alle mozioni dello Spirito Santo, ma non le era possibile. Poiché soffriva crudelmente per l’incomprensione delle consorelle, il Signore la consolò dicendole: “Ti manderò il mio fedele servitore e perfetto amico il quale t’insegnerà a conoscermi e ad abbandonarti a me”.
Pochi giorni dopo il suo arrivo, il beato si presentò alla Visitazione per prendere contatto con la comunità di cui doveva essere, come il suo predecessore, il confessore straordinario. Madre de Saumaise riunì le monache in parlatorio e mentre il Padre rivolgeva loro alcune parole di edificazione, Margherita Maria udì internamente una voce che le diceva: “Ecco colui che io ti mando”. La santa scrisse: “Io riconobbi ben presto la verità di queste parole giacché alla prima confessione delle quattro tempora, senza che noi ci fossimo mai veduti né parlato, egli mi parlò come se avesse già conosciuto tutto quello che accadeva in me… Egli mi assicurò che non vi era nulla da temere nella condotta dello spirito che agiva in me, finché esso non mi ritraeva dall’ubbidienza; che io dovevo seguire le sue mozioni, abbandonandogli tutto il mio essere per sacrificarmi e immolarmi a suo piacere”.
Il mutato parere del P. Claudio sulla visitandina diede esca alle male lingue. La santa stessa confessò: “Il Padre ebbe molto da soffrire per cagione mia: si diceva che io volevo ingannarlo, come gli altri, come le mie illusioni. Ma questo non gli faceva alcuna pena: egli continuò ad aiutarmi durante il poco tempo che rimase in questa città e continuò ad aiutarmi sempre in seguito. Del resto non risparmiava nulla per umiliarmi e rendermi forte, la qual cosa mi faceva gran piacere”. Il Signore le diede ben presto un segno tangibile della sua predilezione divina. Narra la santa: “Un volta che il P. de la Colombière venne a dire la Messa nella nostra chiesa, Nostro Signore fece a lui ed a me grazie assai grandi. Difatti mentre mi accostavo alla comunione, Egli mi mostrò il suo Cuore come una fornace ardente, e due altri cuori che stavano per unirsi al suo ed inabissarvisi, e frattanto mi disse: “Così il mio puro amore unisce questi tre cuori per sempre”. Mi fece capire che questa unione sarebbe stata tutta per la gloria del suo Sacro Cuore, del quale voleva che io scoprissi al Padre i tesori, affinchè egli ne facesse conoscere e ne pubblicasse la ricchezza e l’utilità, e che per questo Egli voleva che noi fossimo come fratello e sorella egualmente partecipi di beni spirituali”.
Il 16-6-1675 il Sacro Cuore apparve alla sua confidente per chiederle l’istituzione della festa riparatrice da celebrarsi in suo onore il venerdì seguente l’ottava del Corpus Christi. Poiché la santa gli chiese il mezzo per fare quello che le comandava, si sentì rispondere: “Rivolgiti al mio servo, il P. de La Colombière, e digli da parte mia di fare quanto gli è possibile per stabilire questa devozione e dare questo piacere al mio Cuore. Non si scoraggi per le difficoltà che incontrerà, giacché non ne mancheranno; ma egli deve sapere che quegli appunto è onnipotente, il quale diffida di sé per confidare unicamente in me”. Per conto suo il beato volle essere il primo a fare al S. Cuore proprio il venerdì indicato, una totale consacrazione di sé per riparare a tanti oltraggi e ingratitudini che riceveva anche da parte delle persone a Lui consacrate.
Finché rimase a Paray il P. Claudio continuò a fare da padre e da maestro a Margherita Maria, e a prodigarsi nelle più svariate opere apostoliche. Nella città i protestanti tenevano sotto controllo quasi tutta la popolazione per via di prestiti e di vessazioni. Il beato si oppose alla loro azione fondando la Congregazione Mariana dei nobili e dei professionisti e accendendoli di tanto amore e zelo da vedere presto passare nelle mani dei cattolici le cariche prima tenute dai protestanti.
Da qualche tempo l’umile visitandina aveva avvertito il suo direttore che sarebbe stato presto allontanato per essere impiegato nella conversione delle anime tra gli eretici. Per interessamento del P. de La Chaize, confessore di Luigi XIV, fu nominato infatti predicatore di Maria Beatrice d’Este, passata a nozze con Giacomo II, erede del trono d’Inghilterra, con il titolo di duchessa di York. Fu alloggiato nello stesso palazzo di lei, separato dal castello reale soltanto da un grande parco, ma il beato non si lasciò soggiogare dalla movimentata vita di corte. Durante i diciotto mesi in cui soggiornò a Londra non prese parte ad alcuno spettacolo, non visitò la città, si astenne dal frequentare conoscenti senza vera necessità o utilità, e poiché godeva di una pensione, ne utilizzava al massimo per sollevare i poveri ed i malati o per aiutare i convertiti. Quanto al suo spirito di mortificazione basti ricordare che visse senza fuoco tutto un inverno particolarmente rigido, il che contribuì ad aggravare la tubercolosi che lo avrebbe portato alla tomba.
La cappella in cui il beato doveva predicare in francese era piccola e in principio l’accesso era vietato agl’inglesi. Nonostante tali limitazioni, egli conquistò rapidamente un grande ascendente su tutti. Appena giunse a Londra si mise a studiare l’inglese e riuscì in breve tempo ad esprimersi in detta lingua con le religiose che si erano stabilite clandestinamente in città. Esse formavano la sua ammirazione e opponeva la loro condotta a quella di molti cattolici i quali, per paura o per debolezza, si lasciavano influenzare dagli anglicani. I cattolici costituivano una buona parte del suo uditorio, che istruiva con zelo infaticabile nella devozione all’Eucaristia, tanto osteggiata dai giansenisti, e nell’amore al Sacro Cuore di Gesù. Tuttavia non disse in pubblico quello che scrisse durante gli esercizi spirituali del 1677 e la cui pubblicazione, dopo la sua morte, fece conoscere al mondo le rivelazioni che il Cuore di Gesù aveva fatto alla sua confidente. Tra tanti peccatori egli ricondusse a Dio venticinque religiosi apostati da vari Ordini e intere famiglie di eretici. Numerose anime della più eletta società di Londra, in seguito al suo consiglio, andarono a rinchiudersi nei monasteri di Francia o si adunarono nei pressi della chiesa di San Paolo in comunità religiosa senza le esterne apparenze.
Alle numerose occupazioni il beato aggiunse un’intensa corrispondenza con le persone da lui dirette, certune delle quali erano importune. Molto conforto gli recavano le lettere di Madre de Saumaise e Margherita Maria. Egli mostrava loro la sua riconoscenza dando notizie della sua salute. Verso la metà del 1678 cominciò a sentire i primi disturbi di petto che credeva la parte più resistente del suo fisico. La vigilia dell’Assunta ebbe i primi sputi sanguigni e in seguito peggiorò tanto sensibilmente che i superiori gli consigliarono di ritornare in patria. Non essendo in grado di fare il viaggio, i medici si opposero. Era stabilito da Dio che lasciasse l’Inghilterra all’improvviso. Da un po’ di tempo il ministro anglicano Tito Oates, perché era stato scacciato dai collegi dei gesuiti in cui era riuscito a farsi ammettere fingendosi convertito, andava accusando detti religiosi di avere ordito una congiura per uccidere il re Carlo II, fare strage dei protestanti e restaurare la Chiesa cattolica in Inghilterra. Tra i 2.000 arrestati figurò anche il B. Claudio de La Colombière. Il prete apostata Oliviero du Fiquet lo accusò di averlo aiutato con del denaro per ricondurlo al cattolicesimo. Essendo il gesuita speciale inviato di Luigi XIV, contro di lui furono accettate solamente le accuse di avere ricevuto abiure, di avere organizzato a Londra un monastero clandestino, di avere procurato alla Virginia, colonia inglese, sacerdoti cattolici.
I rigori della prigione in cui fu chiuso per alcune settimane cagionarono al P. Claudio nuovi sbocchi di sangue, ma egli scrisse poco dopo ad un confratello che “non si era mai trovato così felice, come in quella tempesta”. Bandito per sempre dall’Inghilterra il 6-12-1678 perché il suo modo di agire era pericoloso e si opponeva alla pace e al buon governo del regno, confidò ad un confratello: “Io ero indegno di una maggiore fortuna e son tutto confuso quando penso che nostro Signore è stato obbligato a ritirarmi dalla sua vigna per non avere trovato in me il fervore e la fedeltà ch’egli richiede dai suoi operai”.
Il P. Claudio nel viaggio di ritorno si incontrò a Digione con la Madre de Saumaise, che per prima aveva ricevuto le confidenze di Margherita Maria, e a Paray-le-Monial andò a trovare le Visitandine e le Orsoline. Appena giunse a Lione, prima preoccupazione del suo provinciale fu di mandarlo a curarsi in famiglia, poi gli affidò la direzione spirituale dei religiosi che, dopo il noviziato, studiavano per due anni filosofia nel collegio della Trinità. Costretto dalla malattia e dai medici a curarsi, P. Claudio si accusava di dare cattivo esempio. Un suo figlio spirituale, il P. de Gallifert, che fu in seguito uno dei migliori apostoli del Sacro Cuore, testimoniò invece che destava grande ammirazione in tutti per la fedeltà con cui osservava il voto che aveva fatto di mettere in pratica tutte le regole dell’Ordine.
La malattia seguiva intanto il suo corso inesorabile. Il beato se ne rendeva conto e diceva: “Nostro Signore m’insegna da qualche giorno a fargli un sacrificio ancora più grande, cioè di essere pronto a fare nulla del tutto, se tale è la sua volontà, a morire il primo giorno ed a spegnere con la morte lo zelo ed i grandi desideri che ho di lavorare per la santificazione delle anime”. Nell’agosto del 1681 fu mandato di nuovo a Paray-le-Monial, ma vi giunse talmente indebolito da non potersi spogliare da solo. Dopo un momentaneo miglioramento, ricadde in uno stato ancora peggiore. Pienamente conformato alla volontà di Dio, considerava la malattia come “una delle più grandi misericordie che il Signore gli avesse usato”.
Mentre pensava se era il caso di ritirarsi presso un suo fratello, arcidiacono di Vienne, per cambiare aria, Margherita Maria gli fece pervenire un biglietto su cui aveva scritto: “Il Signore mi ha detto che vuole il sacrificio della vostra vita qui”. P. Claudio capì a volo il valore di quell’espressione. Difatti, dopo pochi giorni, fu assalito da una febbre altissima e morì in uno sbocco di sangue il 15-2-1682. Alla persona che gliene portò l’annuncio Margherita Maria disse semplicemente: “Cessate dall’affliggervi; invocatelo e non temete; egli è più che mai potente per soccorrervi”. Alla superiora confidò che non aveva bisogno di suffragi perché “solo per soddisfare ad alcune negligenze, che gli erano rimaste, nell’esercizio dell’amor divino, l’anima sua fu privata dal vedere Dio appena uscita dal corpo fino al momento in cui fu deposto nel sepolcro”.
Pochi anni dopo la morte furono pubblicati i ritiri, i sermoni e le lettere del beato al quale Pio XI decretò l’onore degli altari il 15-6-1929. Le sue reliquie sono conservate nella cappella dei gesuiti di Paray-le-Monial.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 183-189.
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