Sant’Anselmo. Al numero degli angeli decaduti devono essere sostituiti altrettanti uomini? Non si può dubitare che le creature razionali siano da Lui previste secondo un numero ragionevole e perfetto. Quindi, o gli angeli caduti erano stati creati per essere compresi in quel numero; oppure essi caddero necessariamente perché, non essendo compresi in quel numero, dovettero esserne esclusi. E questo è assurdo … 8 – Benchè le umiliazioni del Cristo non riguardino la divinità tuttavia agli infedeli sembra sconveniente attribuirle a Lui in quanto uomo. Ragion per cui a loro sembra che questo uomo non sia morto spontaneamente. 9 – Egli è morto spontaneamente.
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BENCHÉ LE UMILIAZIONI DEL CRISTO NON RIGUARDINO LA DIVINITÀ TUTTAVIA AGLI INFEDELI SEMBRA SCONVENIENTE ATTRIBUIRLE A LUI IN QUANTO UOMO. RAGION PER CUI A LORO SEMBRA CHE QUESTO UOMO NON SIA MORTO SPONTANEAMENTE
ANSELMO – Quando la volontà di Dio compie una opera, il fatto stesso che lui la vuole dovrebbe soddisfare la nostra ragione, anche se non ne vediamo il perché. La volontà di Dio non è mai irragionevole.
BOSONE – Vero, purché sia evidente che Dio vuole ciò di cui si tratta. E infatti molti non ammettono assolutamente che Dio voglia una cosa, se hanno l’impressione che essa contrasti con la ragione.
ANSELMO – Che cosa ci vedi di irragionevole, quando noi dichiariamo che Dio volle quello che crediamo della sua incarnazione?
BOSONE – In poche parole: che l’Altissimo si sia piegato a tali abbassamenti e che l’Onnipotente abbia compiuto un’opera con tanta fatica.
ANSELMO – Chi parla così non capisce l’oggetto della nostra fede. Noi affermiamo senza il minimo dubbio che la natura divina è impassibile e non può decadere dalla propria altezza né faticare nel compiere quello che vuole. Diciamo però che il Signore Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, una sola persona in due nature e due nature in una sola persona. Perciò, quando diciamo che Dio subisce qualche umiliazione o infermità, non lo riferiamo alla sublimità della natura impassibile, ma alla debolezza della natura umana che egli portava in sé; e così non si capisce come vi siano delle ragioni contro la nostra fede.
Usando questo linguaggio, non intendiamo abbassare la natura divina, ma indicare che unica è la persona di Dio e dell’uomo. Quindi noi intendiamo l’incarnazione non abbassamento di Dio, ma esaltazione della natura umana.
BOSONE – Accetto che non si attribuisca alla natura divina quello che si dice di Cristo secondo l’umana debolezza. Ma, come si potrà provare giusto e ragionevole che Dio tratti, o permetta che venga trattato così quell’uomo che il Padre chiamò Figlio diletto nel quale ha posto le sue compiacenze (cf Mt 3, 17) e che il Figlio identificò con se stesso? Che giustizia è condannare a morte il più giusto degli uomini in luogo del peccatore?
Quale uomo non sarebbe giudicato colpevole, qualora condannasse un giusto per liberare un reo?
Sembra che così si arrivi al medesimo inconveniente di cui parlavamo prima. Se infatti non poté salvare i peccatori che condannando il giusto, dove è la sua onnipotenza? Se invece poté ma non volle, come difenderemo la sua sapienza e la sua giustizia?
ANSELMO – Dio Padre non trattò quell’uomo come mi pare lo intenda tu; né condannò a morte l’innocente in luogo del colpevole. Non lo costrinse a morire e neppure permise che fosse fatto morire contro volontà; ma piuttosto fu proprio questi ad abbracciare spontaneamente la morte per salvare gli uomini.
BOSONE – Anche se non morì contro volontà, in quanto consentì alla volontà del Padre, sembra tuttavia che questi ve lo abbia in qualche modo cc> stretto dandogliene l’ordine. E’ detto infatti che “umiliò se stesso facendosi obbediente ” al Padre fino alla morte, anzi fino alla morte di croce. Per questo anche Dio lo ha sovranamente esaltato” (Fl 2, 8-9); e ” imparò da ciò che sofferse, che cosa significhi obbedire” (Eb 5, 8); e il Padre ” non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma l’ha sacrificato per tutti noi ” (Rm 8, 32). E il Figlio stesso dice: “Sono venuto, non per fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato” (Gv 6, 38) e, poco prima della passione: ” Opero come il Padre mi ha ordinato” (Gv 14, 31). Così pure: “Non berrò io il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18, 11). E altrove: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; tuttavia non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu” (Mt 26, 39). E ancora: “Padre mio, se non è possibile che si allontani questo calice, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà” (Mt 26, 42).
In tutte queste citazioni si ha l’impressione che Cristo sia morto più per impulso dell’obbedienza che per spontanea volontà.
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EGLI E’ MORTO SPONTANEAMENTE
Significato delle espressioni “facendosi obbediente fino a/la morte” (Fl 2, 8) e “per questo Dio lo ha esaltato” (Fl 2, 9) e “sono venuto, non per fare la mia volontà” (Gv 6, 38) e “Dio non ha risparmiato il proprio Figlio” (Rm 8, 32) e “non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu ” (Mt 26, 39).
ANSELMO – Mi pare che tu non distingui bene tra quello che egli fece per obbedienza e quello che subì perché fedele all’obbedienza, benché questa non 10 esigesse.
BOSONE – Occorre che tu ti spieghi meglio.
ANSELMO – Perché mai i Giudei lo perseguitarono fino alla morte?
BOSONE – Per questo solo motivo: perché si teneva tenacemente attaccato alla verità e alla giustizia nella vita e nell’insegnamento.
ANSELMO – Penso che Dio voglia questo da ogni creatura ragionevole e che essa glielo debba dare per mezzo dell’obbedienza.
BOSONE – E’ doveroso affermarlo.
ANSELMO – Perciò quell’uomo doveva a Dio Padre tale obbedienza, l’umanità alla divinità; e il Padre esigeva da lui questa obbedienza.
BOSONE – Nessuno ne dubita.
ANSELMO – Ecco dunque che egli fece ciò perché l’obbedienza lo esigeva.
BOSONE – E’ vero; e già vedo quello che egli subì per la sua perseveranza nell’obbedienza. Perché continuò a obbedire gli fu inflitta la morte ed egli la subì. Non comprendo però come anche questo suo accettare la morte non rientri nelle esigenze dell’obbedienza.
ANSELMO – Se l’uomo non avesse mai peccato, dovrebbe egli subire la morte? Dio dovrebbe esigerla da lui?
BOSONE – Secondo la nostra fede, l’uomo non morrebbe e Dio non esigerebbe da lui questo. Vorrei però che tu me ne spiegassi la ragione.
ANSELMO – Ammetti certamente che la creatura ragionevole fu creata giusta e lo fu perché fosse beata nella fruizione di Dio.
BOSONE – Non ne dubito.
ANSELMO – Tu poi non stimerai cosa degna di Dio che, dopo aver creato l’uomo giusto e per la beatitudine, lo costringa a essere infelice senza colpa. E’ doloroso che l’uomo abbia a morire pur essendone riluttante.
BOSONE – E’ evidente che, qualora l’uomo non avesse peccato, Dio non dovrebbe esigere da lui la morte.
ANSELMO – Non trovando in lui peccato alcuno, Dio non costrinse Cristo a morire. Questi però subì spontaneamente la morte non perché l’obbedienza gli imponesse di abbandonare la vita, ma perché lo spingeva a osservare la giustizia; e in tale osservanza egli perseverò sì fermamente da incontrare la morte.
Si può anche dire che il Padre gli comandò di morire, in quanto gli comandò una cosa dalla quale gli venne la morte. E’ in questo senso che egli fece come il Padre gli comandò (cf Gv 14, 31), bevve il calice che gli diede (cf Gv 18, 11), si fece obbediente fino alla morte (cf Fl 2, 8) e imparò l’obbedienza da ciò che patì (cf Eb 5, 8), cioè fino a qual punto bisogna obbedire.
La parola “didicit” può essere presa in due sensi. Può significare: “fece imparare agli altri” oppure: ” egli imparò anche per esperienza quello che la sua coscienza già sapeva”.
Quando poi l’Apostolo, dopo aver detto: “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, anzi fino alla morte di croce” (Fl 2, 8), aggiunge: “Per questo anche Dio lo ha sovranamente esaltato e gli ha dato un nome che è sopra ogni altro nome” (Fl 2, 9) – quasi riecheggiando l’espressione di David: “Berrà dal torrente per via, e rialzerà il capo” (Sal 110, 7) – non intende dire che Gesù non avrebbe potuto affatto giungere a questa esaltazione se non per l’obbedienza di morte e che tale esaltazione non gli fu data se non per questa obbedienza. Tant’è vero che, prima di patire, Gesù stesso disse che tutto gli era stato dato dal Padre (cf Lc 10, 22) e che tutte le cose erano sue (cf Gv 16, 15).
L’Apostolo intende dire solamente che Gesù, insieme con il Padre e con lo Spirito Santo, aveva disposto di non mostrare al mondo la sublimità della sua onnipotenza se non per mezzo della morte. Era stato stabilito che ciò non si sarebbe effettuato se non per mezzo di quella morte: quindi, siccome avviene per mezzo di essa, non è inesatto dire che avviene a causa di essa.
Avviene per esempio che noi intendiamo fare una cosa, ma ci proponiamo insieme di farne prima un’altra che ci serva di strumento per compierla. Finita questa, che volevamo eseguita per prima, ci mettiamo a compiere quella cui è diretta la nostra intenzione. In tal caso non si sbaglia dicendo che noi la compiamo perché è già stata fatta quella che ne ritardava il compimento; perché era già prestabilito che quella non sarebbe stata fatta se non per mezzo di questa.
Se, potendo attraversare un fiume sia a cavallo che per nave, io stabilisco di non passarlo che in nave, e attendo di passare perché la nave non c’è e poi lo passo quando c’è la nave, giustamente si può dire di me: fu preparata la nave e per questo egli passò.
E non parliamo in questo modo solamente quando abbiamo deciso di fare una cosa solo per mezzo di un’altra che vogliamo la preceda, ma anche quando abbiamo deciso di fare una cosa dopo di un’altra ma non per mezzo di essa.
Se infatti uno aspetta di mangiare perché in quel giorno non ha assistito alla celebrazione della Messa, una volta che egli ha terminato l’azione che voleva compiere prima, gli si dice giustamente: mangia pure, dal momento che hai già compiuto ciò per cui aspettavi di mangiare.
Si usa perciò un modo di dire assai meno improprio quando si dice che Cristo è stato esaltato perché subì la morte, in quanto aveva decretato di realizzare per mezzo di essa e dopo di essa la propria esaltazione.
Si può interpretare anche questo passo nella stessa maniera con cui spieghiamo quello in cui si legge che il Signore “cresceva in grazia e in sapienza davanti a Dio” (Lc 2, 52): non era così, ma egli si comportava come se così fosse. Similmente è stato esaltato dopo la morte come se questa fosse la causa dell’esaltazione.
Quando poi dice: “Sono venuto per fare non la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato” (Gv 6, 38), è come quando dice: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7, 16). Quello che non ha da se stesso ma da Dio, non lo deve tanto dire suo quanto di Dio.
Ora nessun uomo ha da se stesso la dottrina che insegna o la volontà retta, ma da Dio. Quindi Cristo non venne a fare la sua volontà ma quella del Padre, perché la volontà retta di cui era in possesso non proveniva dall’umanità ma dalla divinità.
La frase: “Dio non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha sacrificato per tutti noi” (Rm 8, 32) significa solo che non l’ha liberato. Si trovano infatti molti esempi simili nella Sacra Scrittura. E quando il Cristo dice: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; tuttavia non quello che voglio io ma quello che vuoi tu” (Mt 26, 39) e: “Se non è possibile che si allontani da me questo calice, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà” (Mt 26, 42), parlando della propria volontà intende designare il naturale desiderio di benessere per il quale la carne umana rifugge dal dolore della morte; parlando invece della volontà del Padre non intende dire che il Padre preferisca la morte alla vita del Figlio, ma che il Padre non vuole la riabilitazione dell’umanità senza che l’uomo compia un atto tanto grande quale è quella morte.
Poiché la ragione non poteva chiedere quello che nessuno poteva dare, il Figlio dice che il Padre vuole la sua morte, e che egli stesso preferisce subirla piuttosto che l’umanità non sia salva. Come se dicesse: dal momento che non vuoi la riconciliazione del mondo in un altro modo, dico che perciò stesso tu vuoi la mia morte. Sia fatta quindi la tua volontà, cioè venga la mia morte così che il mondo sia riconciliato con te.
Spesso infatti diciamo che uno vuole una cosa in quanto non ne vuole un’altra che, voluta, gli impedirebbe di fare quello che egli dice di volere; per esempio diciamo che uno spegne il lume per il fatto che non vuole chiudere la finestra da cui entra l’aria che spegne il lume. Dunque il Padre volle la morte del Figlio nel senso che non volle salvare il mondo per un’altra via, cioè, come ho detto, senza che l’uomo compisse una cosa così grande. E questo, per il Figlio che voleva la salvezza degli uomini, equivaleva – dal momento che nessun altro lo poteva fare, – al comando di morire.
Perciò egli fece come il Padre gli comandò (Gv 14, 31) e, obbediente fino alla morte (Fl 2, 8), bevve il calice che il Padre gli diede (Gv 18, 11).