Finché visse, Fra Egidio passò tra i napoletani facendo del bene a tutti, consolando gli afflitti, mettendo pace nelle famiglie e consigliando i dubbiosi. Con il passare degli anni oltre che dalla sciatica egli fu afflitto anche dall’asma e dalla idropisia di petto. Quando dalla sua cella fu trasportato all’infermeria supplicò i confratelli che gli mettessero sul petto le immagini della Madonna e di S. Giuseppe che aveva sempre venerato, e che iniziassero la novena alla Madonna del Pozzo perché al termine di essa sarebbe morto. A chi gli chiese come si sentiva rispose: “Parto per la casa mia”. A un confratello che era andato a trovarlo per chiedergli un ricordo disse: “Osserva la regola con esattezza e non avere paura di niente”.
Questo taumaturgo, fratello laico alcantarino, nacque a Taranto il 16-11-1729 da Cataldo Pontillo, povero fabbricante di corde, e fu battezzato nella cattedrale con il nome di Francesco. Crescendo negli anni, anziché andare a scuola imparò a fare il tessitore di felpa, ma per non udire nella bottega i cattivi discorsi dei compagni di lavoro si ridusse a fare il fornaio. Francesco rimase orfano di padre in tenera età. La madre passò a seconde nozze, ed egli, sentendosi attratto alla vita religiosa, cominciò a recarsi ogni giorno nel convento degli alcantarini per ascoltare la Messa, fare elemosine, comunicarsi di frequente. I domenicani avevano eretto nella propria chiesa la Confraternita del Rosario ed egli vi si aggregò.
Il padrone presso il quale lavorava lo riteneva un santo perché pregava quasi senza interruzione. Al termine delle fatiche il beato ritornava in chiesa a fare una visita a Gesù sacramentato, e se per strada trovava dei poveri li soccorreva a costo di levarsi il pane di bocca, se s’imbatteva con dei bambini li istruiva nei rudimenti della fede, se incontrava un sacerdote che recava il viatico agli infermi lo accompagnava.
A venticinque anni Francesco fece una novena alla Madonna perché gli facesse conoscere qual era la volontà di Dio nei suoi riguardi. Al settimo giorno egli vide in sogno due santi i quali lo invitarono a farsi alcantarino. La mattina dopo si recò a Messa e con sua grande meraviglia vide ai lati dell’altare maggiore le statue dei due santi che gli erano apparsi in sogno : S. Pietro d’Alcantara e S. Pasquale Baylón. Chiese allora al superiore degli alcantarini di essere ammesso nel suo Ordine in qualità di frate laico. Quando vestì l’abito con il nome di Fra Egidio M. di S. Giuseppe egli ne pianse di consolazione. Dopo il noviziato fatto a Galatone (Lecce) con edificazione di tutti, il beato fu mandato a fare il cuoco a Squinzano (Lecce) e quindi a Napoli nel convento di San Pasquale a Ghiaia dove per tutta la vita svolse il compito di Frate cercatore.
Ai confratelli diede grandi esempi di umiltà, di carità, di perfetta osservanza delle regole e di fervente pietà. Il tempo che gli restava libero il beato lo dedicava alla preghiera durante la quale non voleva essere disturbato. Se qualcuno gli si avvicinava per parlargli, gli rispondeva con garbo: “Aspettate, aspettate che finisca e vi servirò”. A chi si raccomandava alle sue preghiere rispondeva con umiltà: “Che venite a fare da me? Andate in chiesa, ricorrete a Gesù sacramentato, andate da Maria SS., da essi avrete tutto”.
Fra Egidio viveva immerso in Dio. Per strada se scorgeva un’immagine o passava davanti a una chiesa si toglieva il cappuccio e mormorava qualche giaculatoria. Persino quando parlava con altri si udiva mormorare qualche preghiera elevando gli occhi al cielo. Era molto devoto di Gesù Bambino. In uno stipo della sua colletta aveva costruito un piccolo presepio davanti al quale il giorno di Natale e di Capodanno chiamava a raccolta i confratelli, e con loro cantava devoti lodi al divino Infante.
La Passione del Signore formava l’oggetto della sua meditazione. Ogni giorno ascoltava la Messa in ginocchio e faceva in coro la Via Crucis. Era felice quando i superiori gli davano il permesso di fare la comunione. In quaresima si accostava al banchetto eucaristico fino a quattro volte la settimana non senza avere prima preso la disciplina. Quando si celebravano le quarantore e in occasione di solennità liturgiche non badava a fatiche per adornare bene l’altare che doveva servire all’esposizione del SS. Sacramento.
Particolare devozione Fra Egidio nutrì verso Maria SS. Dal convento degli alcantarini di Capurso, presso Bari, fece venire una copia della Madonna del Pozzo, la collocò nella cappella di S. Giuseppe, l’adorno di fiori e le tenne accesi davanti quattro ceri da mane a sera. Non usciva di convento per la questua, ne si ritirava in cella senza averle fatto prima una visita. Una volta fu udito pregarla così: “Mamma mia, io sono stato chiamato in casa di un uomo che ha tanti figli e la moglie ammalata. Sarebbe una disgrazia se morisse. Che vado a fare da solo? Accompagnami tu stessa, io non posso niente”.
Ugual devozione Fra Egidio nutrì per S. Giuseppe in onore del quale tutti i giorni recitava una Coroncina. Una notte, stanco per le fatiche del giorno, si dimenticò di recitarla, e si addormentò lasciando acceso un lumicino accanto al letto. Ad un certo momento s’intese come scuotere e udì una voce che gli diceva: “Alzati, fammi la coroncina”. Destatesi dal sonno, vide la sua cella invasa dalle fiamme. Invocò S. Giuseppe e si accinse a spegnere il fuoco che stava per appiccarsi ad un vaso pieno di polvere da sparo che doveva servire per i mortaretti in occasione della festa della Madonna del Pozzo. Quella notte il beato recitò con più devozione del solito la coroncina al santo che chiamava “padre” e “avvocato” della sua morte.
Per questa sua devozione, ma soprattutto per la perfetta osservanza delle regole i confratelli lo ritenevano un santo. Il P. Guardiano lo proponeva come modello agli altri religiosi. Il beato difatti non si lagnava degli ordini che riceveva e li eseguiva con serenità di spirito. Da tutti era considerato il sostegno, la colonna del convento, tanto abbondanti erano le elemosine che i napoletani gli facevano in ricompensa delle grazie che otteneva loro. I superiori gli avevano concesso di farne parte ai poveri che andavano a trovarlo in cella o che lo attendevano per strada o davanti al convento. A qualche confratello non garbava la sua generosità, ma il superiore ne prendeva le difese dicendo: “Tutto quello che Fra Egidio fa, è tutto ben fatto”.
Talora veniva mandato a visitare qualche infermo perché godeva fama di taumaturgo, e siccome non sempre riusciva a giungere a tempo per il pranzo o per la cena, subiva con pazienza i rimbrotti del cuoco che così lo riprendeva: “Tu fai il santo e fai me diavolo perché mi fai aspettare e mi fai fare penitenza”. Fra Egidio era geloso della stima altrui. Se udiva qualche confratello mormorare del prossimo, lo riprendeva dicendo: “Pensiamo a Dio e ci faremo santi”.
Era rigido osservante del silenzio, di poche parole anche quando veniva interrogato, e non s’interessava delle cose che non lo riguardavano. Benché fosse cagionevole di salute, fino alla morte Fra Egidio non ebbe riguardi per il proprio corpo. Pur essendo tormentato dalla sciatica fu tenace nell’andare scalzo e a piedi. I barrocciai che lo conoscevano, si facevano un onore di trasportarlo con il frutto delle sue questue, ben sapendo quanto sarebbero stati ricompensati da lui con le preghiere. Il Beato per molti anni da Napoli si recò a piedi alla fiera di Salerno, Le schiavine e le pelli di pecora che riusciva ad avere in dono le trasportava a spalla al convento.
I suoi confratelli ogni tre anni ricevevano dall’economo un abito nuovo in regalo. Fra Egidio si accontentava del vecchio che cambiava soltanto quando cadeva a brandelli. I devoti glielo tagliuzzavano per farne reliquie, ed egli cercò di mettervi rimedio facendo applicare un fil di ferro all’orlo di esso. Chi doveva rappezzarglielo gli raccomandava di camminare più guardingo, ma l’umile fraticello rispondeva piangendo: “Ma io che debbo fare di quegli screanzati? Io non so che cosa vogliono da questo povero vecchio”.
Di notte Fra Egidio dormiva vestito per poche ore sopra un letto composto da assi, ricoperto da alcune logore pelli di pecora e da un cuscino di paglia. A lato del letto aveva posto due discipline: una di cordicelle che usava per vincere le tentazioni più deboli, e l’altra di maglie di ferro che usava per vincere le tentazioni più forti. A mensa era molto parco. Beveva sempre vino annacquato e riservava quasi tutta la sua porzione di cibo ai poveri. Metteva dell’acqua in quello che si riservava e vi inzuppava del pane per sentirne minor diletto. Alla sera si cibava soltanto di erbe e di qualche frutto, raramente di pancotto. Non fu mai visto fare uso di caffè, di liquori o di altre leccornie che i superiori provvedevano alla comunità in occasione di certe solennità con la scusa che non le gradiva.
In premio di tanta virtù Dio concesse a Fra Egidio il dono della profezia e dei miracoli. Per questo i malati di Napoli e dei dintorni lo mandavano a chiamare. Egli accorreva al capezzale di tutti con sollecitudine senza fare distinzione di persone. Accanto a loro pregava, e quando vedeva che il loro stato era grave li preparava alla morte senza timore di spaventarli. D’ordinario applicava loro la reliquia di S. Pasquale Baylón e il suo cordone, e lasciava ai familiari l’immagine della Madonna del Pozzo perché la venerassero. Dai processi canonici risulta che tanti malati guarì dalle loro infermità, che a diverse partorienti predisse il sesso dei loro figli e la loro vocazione, e ad altri il loro avvenire. Ad un suo nipote, per esempio, che era stato ingiustamente condannato ai triremi, predisse che sarebbe stato posto in libertà a cinque giorni dalla sua morte, come avvenne.
Oltre che dei malati il Beato ebbe compassione anche della povera gente. Un giorno giunse in calesse accanto a una donna in lacrime perché era scivolata e aveva rotto tutte le uova che portava in un canestro. Il Beato sceso dal calesse, la consolò dicendole: “Non piangere perché è un cosa da niente”. Si chinò per terra, prese ad uno ad uno i gusci delle uova rotte e le restituì sane alla padrona tra la meraviglia degli astanti. Più volte Fra Egidio ai pescatori restituì vivi i pesci che erano loro morti dicendo: “Svegliatevi in nome di Dio”, o dando loro delle briciole di pane benedetto alla mensa dei frati ed esclamando: “Piccirilli, piccirilli, mangiate!”
Un certo Antonio Di Grazia aveva comperato a Terracina quattordici cantàri di anguille, e le aveva trasportate a Napoli di notte sopra un burchiello. Sul far del giorno con suo grande sgomento le trovò morte, motivo per cui cominciò a farle trasportare a terra. Appena Fra Egidio, che stava questuando in quei paraggi, venne a conoscenza della disgrazia che aveva colpito quell’uomo, salì sopra una barchetta, raggiunse in alto mare il burchiello e disse all’afflitto padrone: “Antonio, non ti spaventare: dormono, dormono”. Il poveretto non seppe trattenere una bestemmia, ma il Beato toccò l’acqua in cui galleggiavano le anguille morte con la reliquia di S. Pasquale Baylón e per lo spazio di un quarto d’ora pregando e sudando non cessò dal ripetere ogni tanto: “Svegliatevi, animaletti di Dio; non fate spaventare le creature”. Dio premiò la sua fede. Improvvisamente le anguille si rimisero con la pancia all’ingiù tra il pianto dei presenti.
Un certo Luca Perrella nel 1797 era morto per febbre contratta nelle campagne di Capua dove si era recato a comperare dei bufali. Il figlio, mentre ne piangeva la morte stando sul balcone di casa, vide passare Fra Egidio per la via, lo chiamò perché richiamasse in vita il genitore. Il Beato lo consolò dicendo che suo padre non era morto, ma che dormiva. Si accostò al letto del defunto, lo chiamò per nome, ma non ne ebbe risposta. “Non vuoi rispondere?” – disse il Beato – Allora cavò dai suoi maniconi alcuni pezzi di pane duro, li diede alla moglie e le ordinò di farne del pan cotto. Si tolse quindi il mantello di dosso, lo pose sul cadavere e fece delle preghiere. Avuto il pan cotto, ne riempì un cucchiaio, lo accosto alle labbra del morto e mentre gli astanti bisbigliavano: “Com’è possibile che il morto resusciti con il pan cotto?” Luca cominciò a muoversi, ad aprire gli occhi, a girare la testa da un lato e a vomitare una grande quantità di feccia nera. Il Beato si limitò a dire: “Non ve lo dicevo io che non era morto? Una grande grazia avete ricevuto da Dio e da S. Pasquale Baylón”.
In quel tempo c’era l’usanza da parte degli Alcantarini di lasciare andare libere per Napoli delle giovenche affinchè i devoti dell’Ordine le dessero da mangiare. Un macellaio ne adocchiò una più pingue delle altre, la rubò, la condusse nella sua grotta e la uccise. Fra Egidio, non si sa come, ne venne a conoscenza. Il giorno dopo si presentò nella bottega del macellaio e, senza tanti preamboli, gli ordinò di accendere la lucerna, di prendere la chiave della grotta e di seguirlo. Il ladro, vistosi scoperto, impallidì. Ben sapendo che con Fra Egidio c’era poco da scherzare, ordinò al suo garzone di fare quanto il fraticello gli avrebbe ordinato. Nella grotta si trovava la bestia squartata. Fra Egidio disse al garzone di stendere per terra la pelle della vacca e di disporvi sopra i vari quarti, le interiora e la testa. Fatto questo, il Beato prese la pelle della vacca per le estremità, la congiunse con le mani, fece un segno di croce con il cordiglio su quell’ammasso di carne e comandò con fede: “In nome di Dio e di S. Pasquale, alzati, Caterinella”. A tali parole la giovenca si animò, muggì e si alzò sana e vegeta come quando era stata rapita. Alla notizia del prodigio la gente si affollò attorno al Beato e poco mancò che non lo lasciasse seminudo in mezzo alla strada tanto grande fu la sua furia nel tagliuzzargli gli abiti.
Finché visse, Fra Egidio passò tra i napoletani facendo del bene a tutti, consolando gli afflitti, mettendo pace nelle famiglie e consigliando i dubbiosi. Con il passare degli anni oltre che dalla sciatica egli fu afflitto anche dall’asma e dalla idropisia di petto. Quando dalla sua cella fu trasportato all’infermeria supplicò i confratelli che gli mettessero sul petto le immagini della Madonna e di S. Giuseppe che aveva sempre venerato, e che iniziassero la novena alla Madonna del Pozzo perché al termine di essa sarebbe morto. A chi gli chiese come si sentiva rispose: “Parto per la casa mia”. A un confratello che era andato a trovarlo per chiedergli un ricordo disse: “Osserva la regola con esattezza e non avere paura di niente”.
Al capezzale del morente fu chiamato un pittore perché ne ritraesse le sembianze, ma Fra Egidio, per tutto il tempo che il pittore si fermò accanto a lui, non ristette un momento dal muovere la testa. Presso a morire, dopo aver supplicato il P. Guardiano di seppellirlo con l’abito più vecchio e più logoro che avesse, gli chiese che ora era. Avendo saputo che mancava un quarto d’ora a mezzogiorno gli rispose: “P. Guardiano, dite le litanie perché io debbo partire”.
Morì il 17-2-1812 dopo aver mormorato più volte: “Madonna mia, S. Giuseppe mio, portatemi in paradiso con voi”.
Il suo corpo si conservò flessibile e divenne fragrante. Al terzo giorno gli fu cavato del sangue che zampillò vermiglio. Gli alcantarini più volte dovettero cambiargli la tonaca perché i devoti la facevano a brandelli. Dopo la morte di Fra Egidio fu visto un soldato aggirarsi in lacrime nel chiostro del convento. A chi gliene chiese il motivo rispose: “Questo Fra Egidio è un gran santo. Ne ho una prova. Trovandomi un giorno nei pressi di Capodimonte a duellare con un mio rivale, vidi da lontano Fra Egidio correre in calesse verso di noi e gridare di smettere di batterci con le spade. Poiché non volevamo dargli retta, egli disse: “Visto e considerato che non volete ubbidirmi, mi ubbidiranno le vostre spade: che si rompano”. Appena si allontanò, al primo urto le nostre spade caddero a pezzi”.
Le reliquie di Fra Egidio sono venerate nel convento di San Pasquale a Ghiaia in Napoli. Leone XIII lo beatificò il 3-2-1888.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 115-121.
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