Il santo era un abile direttore e organizzatore. Eppure si riteneva incapace di governare la sua famiglia spirituale. Eugenio III, quando lo incontrò in Francia, si rammaricò di non averlo conosciuto prima di designare un titolare per l’arcivescovado di York. Dio permise che l’esemplare fondatore fosse esposto alla persecuzione del re Enrico II, capostipite della dinastia di Angiò-Plantageneto. Costui aveva costretto a fuggire in Francia S. Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra, perché aveva coraggiosamente difeso il privilegio del foro ecclesiastico accettando la legge eversiva del parlamento soltanto con la riserva salvo ordine nostro et jure Ecclesiae. Gilberto fu accusato di aver inviato soccorsi al prelato in esilio. L’accusa era falsa, ma il santo preferì essere gettato in prigione, correre il rischio di vedere soppresso il suo Ordine, anziché dare l’impressione di condannare un atto giusto e buono in se stesso. Si salvò solo perché era troppo grande la stima che godeva presso il re.
Gilberto occupa un posto importante nel rifiorimento degli Ordini Religiosi nel secolo XII. Egli nacque verso il 1083 da madre normanna e dal cavaliere inglese Jocelino che, in ricompensa degli eccellenti servizi resi, come soldato, al re Guglielmo I il Conquistatore, aveva ricevuto la signoria di Sempringham nel Lincoinshire (Inghilterra). Gilberto non presentò la stoffa del guerriero, perciò il padre lo mandò a completare i suoi studi a Parigi, allora celebre in tutta Europa per le sue scuole.
Ne ritornò con il diploma di maestro di umanità e filosofia, e aprì a Sempringham una scuola per dare alla gioventù abbandonata i primi elementi della scienza e della fede.
Jocelino, che aveva fatto costruire sulle sue terre due chiese, una a Sempringham e l’altra a Tirington, ne volle affidare i benefici al suo piissimo figlio. Gilberto non poté rifiutarsi per la sottomissione che doveva al padre, ma si considerò soltanto l’economo della divina Provvidenza. Il superfluo delle rendite volle difatti che fosse distribuito tutto ai poveri e ai malati. Il vescovo di Lincoln, Robert Bloet, edificato della sua virtù, lo aggregò alla propria famiglia episcopale esortandolo a entrare nei sacri ordini. Gilberto, nella sua profonda umiltà, non volle salire più in alto dell’accolitato. Fu Alessandro, successore del Bloet, che gli fece dolce violenza per la grande stima che aveva concepito di lui, e lo ordinò prete verso il 1123, penitenziere della diocesi, e quindi parroco di Sempringham.
Alla morte del padre, Gilberto divenne signore di tutte le terre. Si decise quindi a lasciare il palazzo episcopale (1130) per vivere in mezzo ai suoi fedeli e istruirli. Delle pingui rendite egli se ne servì per raccogliere (1131) nella casa paterna sette fanciulle povere, alle quali fece emettere i voti religiosi, dedicandole esclusivamente alla vita contemplativa secondo la regola benedettina. In seguito aggiunse loro delle converse per gli uffici domestici, e dei fratelli laici per i lavori dei campi, secondo statuti che egli compose ispirandosi agli usi dell’ordine Cistercense. Gilberto, che si era legato di amicizia con San Bernardo di Chiaravalle (+1153), avrebbe voluto affidare ai cistercensi la direzione delle sue religiose. Nel 1145-1146 si presentò alla riunione con il suo padre spirituale; S. Bernardo, approvò la fondazione di Gilberto e lo autorizzò ad aggiungere un nuovo ramo all’istituzione, quello dei canonici regolari, per la cura spirituale dei vari monasteri, sotto la regola di S. Agostino e particolari statuti.
I monasteri doppi dei Gilbertini, che costituirono l’unico Ordine religioso inglese, si svilupparono con le donazioni di terre e di consigli da parte di Guglielmo, abate cistercense di Rievaulx, di Alessandro, vescovo di Lincoln e di altri generosi prelati e nobili. Nei monasteri vivevano in quattro reparti separati le monache coriste, le converse, i fratelli laici ed i sacerdoti chiamati canonici, sotto l’unica amministrazione delle monache. Si radunavano tutti in una sola chiesa, divisa in due parti disuguali da un muro interno: quella più vasta era riservata alle religiose, il cui monastero era situato nella parte settentrionale della chiesa, quella più ristretta era riservata ai canonici, il cui priorato era situato nella parte meridionale. Per la Messa i canonici accedevano all’altare dalla parte della chiesa riservata alle moniali.
Il Priore, o Maestro dell’Ordine, era eletto dal capitolo generale, ed aveva dei poteri molto estesi. Spettava a lui ammettere i novizi alla professione, nominare gli ufficiali dei diversi priorati e convalidare gli atti conventuali. Accompagnato da alcuni canonici e da alcune monache, egli visitava i priorati tra un capitolo generale e l’altro, che radunavano a Sempringham, per le Rogazioni, i priori, i cellerari, e le priore di tutte le case. Nel 1154 l’Ordine contava già dieci monasteri. Ben presto fu sentita la necessità di limitare in ogni monastero il numero delle religiose e dei fratelli conversi, i quali d’ordinario erano la metà delle monache. Il numero dei canonici fu fissato invariabilmente a otto nei monasteri doppi e a tredici nei priorati di uomini. Talora i conversi, incaricati dei lavori manuali e del mantenimento degli altri membri della comunità, cercarono di sottrarsi all’autorità dei canonici. Nel 1165 certuni calunniarono, persino a Roma presso Alessandro III, il fondatore nell’intento di sbarazzarsene, ma il pontefice, meglio informato da tutti i vescovi inglesi, ricolmò Gilberto di lodi e gli ordinò di non cambiare nulla alle costituzioni, se non con il beneplacito della parte migliore dei religiosi. I suoi scritti, giunti fino a noi, comprendono gli statuti dell’Ordine, una lettera ai suoi religiosi e alcuni discorsi.
Il santo era un abile direttore e organizzatore. Eppure si riteneva incapace di governare la sua famiglia spirituale. Eugenio III, quando lo incontrò in Francia, si rammaricò di non averlo conosciuto prima di designare un titolare per l’arcivescovado di York. Dio permise che l’esemplare fondatore fosse esposto alla persecuzione del re Enrico II, capostipite della dinastia di Angiò-Plantageneto. Costui aveva costretto a fuggire in Francia S. Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra, perché aveva coraggiosamente difeso il privilegio del foro ecclesiastico accettando la legge eversiva del parlamento soltanto con la riserva salvo ordine nostro et jure Ecclesiae. Gilberto fu accusato di aver inviato soccorsi al prelato in esilio. L’accusa era falsa, ma il santo preferì essere gettato in prigione, correre il rischio di vedere soppresso il suo Ordine, anziché dare l’impressione di condannare un atto giusto e buono in se stesso. Si salvò solo perché era troppo grande la stima che godeva presso il re.
Negli ultimi anni di vita Gilberto si dimise dalla carica di Priore generale. Egli fece eleggere uno dei suoi più antichi allievi, Ruggero di Sempringham e gli fu sottomesso come l’ultimo dei fratelli. La sua lunga vita fu una continua penitenza. Egli non mangiava che una piccola quantità di radicchi e di legumi. A tavola voleva che accanto gli fosse posto un piatto che chiamava “il piatto del Signore Gesù”. In esso riponeva quanto di meglio veniva servito e lo faceva distribuire ai bisognosi. Al termine della vita divenne cieco e perdette insensibilmente tutte le forze.
Gilberto ricevette la santa unzione la notte di Natale 1188 nell’abbazia di Kaadeneia. Poiché temeva che, dopo la sua morte, sorgessero contese per il possesso del suo corpo, volle che lo trasportassero a Sempringham.
Il 3 febbraio 1189, non avendo al suo fianco che Ruggero, primo superiore generale, ebbe una sincope da cui si riebbe e dopo la quale esclamò con il salmista: “Fortunato l’uomo pietoso… che distribuisce largamente ai poveri” (Sal. 112). “Ecco – soggiunse il morente – quello che dovete fare d’ora innanzi”. Morì il giorno dopo a 106 anni. Il suo corpo fu seppellito nella chiesa di Sempringham. Sul suo sepolcro si verificarono dei miracoli della cui autenticità s’interessò l’arcivescovo di Canterbury, Uberto. Innocenzo III lo canonizzò nel 1202.
Alla sua morte S. Gilberto lasciò 700 religiosi e 500 monache sparsi in nove monasteri doppi, e quattro priorati di uomini nelle contee di Lincoln e in quelle limitrofe, con un lebbrosario per i membri malati dell’Ordine. Quando i Gilbertini nel 1538 furono soppressi dal re Enrico VIII, insieme con le altre famiglie religiose, contavano ventisei monasteri popolati soltanto da 150 canonici e 120 monache. L’ultimo Maestro Generale, Roberto Holgate, prelato di corte e vescovo di Llandaff, non fece nessuna opposizione alla soppressione del suo Ordine. La remissività che dimostrò gli valse la nomina alla sede archiepiscopale di York che resse per nove anni. Fu deposto da Maria Tudor che, con il cardinale Reginaldo Pole, lavorò per ripristinare il cattolicesimo in Inghilterra.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 85-88.
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