Parlare dell’etero-autorità non è molto difficile: anche perché è quella che, nel comune discorso, si confonde, d’abitudine, col concetto stesso di autorità senz’altre qualificazioni.
di MARIO CASOTTI
BISOGNO DELL'” ALTRO “
Abbiamo parlato dell’auto-autorità. Non più difficile ci riuscirà, crediamo, parlare dell’etero – autorità : anche perché è quella che, nel comune discorso, si confonde, d’abitudine, col concetto stesso di autorità senz’altre qualificazioni. Eppure non ci vorrebbe molto ad accorgersi che anche l’etero-autorità coincide, ed è contenuta nell’auto-autorità medesima.
Torniamo, per un momento, ai fatti ed esempi dai quali prendemmo le mosse. Io voglio prendere la patente automobilistica. Forse che salgo su un’automobile e mi metto a pasticciare da me? No, no davvero. Anche se non sussistessero le varie difficoltà legali e penali che me lo inibiscono, nonché la paura di fracassare la macchina e rompermi la testa contro un muro – io cerco una scuola, ami una buona scuola, fornita dei migliori, più competenti ed abili maestri-istruttori che è possibile trovare. A costoro m’affido: con essi salgo sul veicolo e ci torno, tante e tante volte, finchè non m’hanno dichiarato “maturo” per affrontare l’esame di guida.
Il quale, poi, cos’è, se non mettermi, daccapo, nelle mani di un altro esperto istruttore, affinchè saggi le mie capacità, e mi conceda, o (ahimè) mi neghi la bramata patente? – E si noti che il plurale qui si usa sempre per metafora: che uno solo è l’istruttore il quale mi fa da maestro e m’insegna davvero, e si piglia la responsabilità di condurmi alla patente: e non certo buon nome si farebbe la scuola che me lo cambiasse ogni volta.
La scuola è un’entità collettiva; ma l’insegnamento è individuale: e la responsabilità del direttore è grande senza dubbio: ma consiste, in sostanza, nel fatto ch’egli sappia trovare e mantenere efficienti un gruppo d’insegnanti: che dovrà guidare, ma non potrà certo, quand’anche lo volesse (se non talvolta e “per accidens “) sostituire. (Di qui la grave inefficienza della scuola detta ” pubblica ” presso certe nazioni. ove gl’insegnanti danzano attraverso una ridda di ” trasferimenti “, e non sono mai gli stessi. Ed anche un grave errore della riforma Gentile nell’estendere oltremodo l’autorità dei direttori e dei presidi, per malinteso autoritarismo).
Si noti ancora: sono sempre ” io ” che ho scelto la scuola-guida e, possibilmente, l’istruttore: sono io che l’accetto e guardo di conformarmi diligentemente alle sue istruzioni; io che posso giungere fino a lasciarlo e cambiare scuola s’egli non mi soddisfa, o mi par troppo scarso il profitto che faccio sotto di lui. Sono ” io “, ma…ho bisogno di lui: l’altro.
Fino a che punto? Non esiste, forse, l’autodidattica? Non imparano tanti le lingue da sé? Pascal non scoperse da sé non ricordo più quanti teoremi della geometria euclidea? Mettiamo da parte, per ora, la difficile questione. Basta ci sia concesso che, in ogni caso, l’autodidattismo puro è una via difficile ed eccezionale: e che quella più abituale e comoda consista nel domandare l’opera di un altro come maestro.
Tommaso Pinch, nel Chuzzlewit di Dickens, tenta d’imparare il violino da sé a letto, sotto le coperte: non vi riesce, ma anche vi riuscisse nessuno consiglierebbe d’imitare tal metodo, pur fuori del letto e avendo un’ampia camera a disposizione. Nella migliore, o peggiore, ipotesi, la scelta e l’uso dell’altro , cioè di un buon maestro, è la via più pratica ed efficace, alla quale tutti, ragionevolmente, ricorrono, anche per evitare perdite di tempo e insuccessi. – Si veda, per es. giacché abbiamo cominciato coll’insegnamento del violino: fino a non molti anni fa, si credeva che l’istrumento dovesse venire sorretto dalla mano e dal braccio: grave errore che produceva una tecnica dura e difficile, spesso non disgiunta da vere e proprie forme morbose, come il famoso ” crampo del violinista “. Una migliore e più moderna tecnica avendoci rivelato, anche col sussidio di più chiare nozioni anatomiche, che il violino va sorretto solo colla pressione fra il mento e la spalla, e l’impatto delle dita sulle corde dev’essere leggero e non implicare azione di altri muscoli fuor di quelli delle dita stesse – l’apprendimento dell’istrumento di Paganini è divenuto agevole, iniziabile anche ad età relativamente avanzata e compatibile, per dispendio quotidiano di ore, anche colle numerose e opprimenti occupazioni dell’uomo contemporaneo: il ” crampo del violinista ” è, poi, al tutto scomparso. – Orbene, chi non vede che colui il quale volesse apprendere da sé e senza maestro, il violino, rischierebbe, pur se ci riuscisse, una falsa impostazione sull’istrumento capace d’impedirgli un sicuro progresso espressivo, nonché di portarlo all’esaurimento per eccesso di fatica?
È ovvio, poi, che l’altro come maestro è necessario per prepararci alla patente automobilistica. Ho letto, non ricordo dove e quando, d’un soldato, un bel tipo di pazzo, che un bei giorno è salito su un aeroplano da bombardamento e se n’è venuto, calmo e placido, dall’America in Europa senz’aver conseguito mai un diploma aviatorio; anzi, avendo pochissima dimestichezza coll’aviazione e i suoi apparecchi in generale. Ma, nonché coll’areoplano, abbiamo già detto, nemmeno coll’automobile, nessuno si fiderebbe di compiere simili imprese (qualche volta, purtroppo, è accaduto che, vittima della sciagurata anti-educazione ” permissiva ” moderna, un ragazzo ci lasciasse la pelle, infilandosi nel mare coll’auto, sul quale la mamma lo aveva lasciato solo un momento, pur con tutte le raccomandazioni e obiurgazioni del caso!). Il Signore Iddio non è obbligato a fare un miracolo tutti i giorni, né pel soldato statunitense, né per la infelice, ma sventatissima, madre d’altre nazioni.
Comunque, siamo sempre alla questione, che abbiamo sfiorato ma non vogliamo adesso approfondire a cui, del resto, e necessario riferirsi per definire i caratteri di quello che abbiamo chiamato l’altro. Questo ” altro ” di cui abbiamo bisogno, sia per imparare il violino od altro istrumento, sia per la patente automobilistica od aviatoria, sia per qualsiasi arte, scienza, sport o gioco, dal sanscrito e il greco al tennis ed alla cucinaria o al bridge – è un altro soggetto simile, ma non identico a me (e qui l’errore dell’idealismo panteistico-monista). Io non posso chiedere alla sedia su cui sono seduto, né alla macchina colla quale scrivo, d’insegnarmi tutte quelle belle cose. Mi ci vuole, per maestro, un uomo simile a me. Anzi, diciamo il vero, alquanto superiore. Perché?
Ma perché ognuna di quelle arti o scienze o attività ludiche che deve insegnarmi, deve conoscere a fondo (almeno secondo il grado della cultura ch’io gli richiedo) mentre io non ne so nulla, altro che, confusamente, l’oggetto e i principi primi. Un maestro che risultasse sapere quanto me o meno di me, lo respingerei indignato, né ci spenderei davvero tempo e denari.
Diciamo il vero: l’etero-autorità non gode d’una, come si dice, ” buona stampa “, forse collegata al fatto ch’essa si deve necessariamente adoperare verso i fanciulli e, in genere, i soggetti non ancor giunti ad una piena autonomia. L’uomo poi, e già lo notava il Rousseau nell’Emilio, deve attraversare un lungo periodo, prima d’arrivare a questa autonomia, talché, mentre vediamo animali giungere alla fase adulta e alla indipendenza dai genitori solo dopo pochi mesi dalla nascita, l’individuo umano abbisogna di anni ed anni prima di attingere il medesimo risultato. Fatto dal quale vediamo nascere, presso gli studiosi, due conseguenze egualmente dannose a una retta intelligenza del fatto autoritario: il disprezzare come ” minorile ” od ” infantile ” il periodo del l’ “eteroautorità” – o addirittura il negarlo, o, almeno, cercare artifici perché sia ridotto al minimo possibile. (Ahimè, diceva, se non erro il Pananti, in un noto epigramma contro questo ” precocismo “: – Spesso da un Socrate – adolescente – nasce un decrepito – birba o demente) (2).
L’ALTRO COME ” MODELLO “
Per evitare questo pericolo, effettuiamo, nella nostra esposizione, un ” salto ” – e prendiamo l’etero-autorità non nelle sue forme primitive ed elementari, bensì nel massimo suo spiegamento, così come, in una ricerca su oggetti materiali, ci serviremo d’una lente d’ingrandimento o d’un microscopio.
” Soldati freschi, finalmente! Chi saranno?… Garibaldi è davanti a loro… Ritto in arcione, battendo a colpi ripetuti la groppa del cavallo con una striscia di cuoio, guidava alla carica quel rimasuglio di esercito… E percuoteva il cavallo e gridava, con voce vibrata, le cui inflessioni mi fanno fremere tuttavia: “Venite a morire con me!… Avete paura di venire a morire con me? “… E tutti allora, i reduci sfiniti, i cadenti spettatori della scena terribile, tutti a riprendere le forze; e tutti con un grido disperato: – Con voi, Generale, con voi; viva l’Italia! ” (3).
Maestro, Giuseppe Garibaldi: scolari i suoi volontari. Si noti che a questi ultimi, il maestro non domanda di ripetere una lezione libresca, ne promette un buon voto, o minaccia bocciature: chiede che vengano a morire con lui: cioè, non offre un premio, anzi domanda che rinuncino a quella vita stessa senza la quale nessun premio è godibile. Eppure, basta la voce, e tutti sono pronti a lanciarsi nel baratro e, se non fosse per Canzio, che si precipita ad afferrare la briglia del cavallo, chiedendo: ” Per chi, volete morire, generale? Per chi? “, Montana avrebbe un’altra pagina sanguinosa da aggiungere alle molte ond’è costellata la nostra storia nazionale, e al molto sangue che, direbbe il Manzoni, sorgerà da questa terra infelice in giudizio. E si noti, per questa volta (non sempre fu così, ma il ” generale ” aveva bisogno del campo di battaglia per trovarvi l’ispirazione) la genialità pedagogica dell’espediente. Avesse detto: ” Coraggio! Vinciamo “, si sarebbe fatto prendere in giro. Avesse detto: ” Siam rovinati; abbiamo perso! “, correva il rischio che tutti si mettessero le gambe in spalla e si squagliassero. ” Moriamo insieme! “, ecco l’idea geniale: morire con l’eroe dei due mondi è una gloria che nessuno, neanche dei più timidi e paurosi, si sente di rifiutare.
Caso eccezionale e patologico? Si pensi a Napoleone I. Quali ” scolari ” avevano ragione d’amare questo maestro terribile, che strapazzava, al bisogno, pure i suoi migliori amici e collaboratori; che faceva pagare cara la gloria della nazione francese spandendo come acqua il sangue dei suoi figli: cui quasi ogni famiglia doveva morti, feriti, mutilati, dispersi?
Eppure, quando egli torna dall’isola d’Elba, i soldati inviati a fermarlo, prorompono in un irresistibile ” Viva l’Imperatore! ” e lo riconducono trionfalmente, alle Tuileries. E, se non fosse stato che il quadrante della storia segnava, ormai, ” Waterloo “, il còrso non sarebbe morto a Sant’Elena, ma sul trono (4).
Diciamo di più, com’è noto, e il Balzac scrisse in un celebre romanzo: Le médecin de campagne, fra le classi popolari rimase a lungo non il ” mito ” di Napoleone, ma la precisa idea ch’egli non fosse morto, ma nascosto in qualche luogo ignorato da tutti, onde sarebbe, un giorno, ritornato! E persino di Hitler si è favoleggiato che non fosse morto, ma, errante in qualche luogo tra le viscere della terra, aspettasse di ricomparire impugnando qualche terribile arma, per aggiogare l’umanità a un nuovo, spaventoso Reich!
Si può osservare che simile uso dell’e t e r o – a u t o r i t à lo incontriamo piuttosto nel mondo antico, dove infatti le leggi di città quali Atene, Sparta, Roma sono presentate come sacre ed inviolabili perché opera di un antico fondatore ormai assurto fra gli dèi e i semidei. E i poeti stessi avvalorano le loro creazioni non sull’originalità, anzi sulla imitazione di favole precedenti antichissime: e Virgilio, il maestro di Dante, si gloria di aver imitato nella prima parte del suo poema l’Odissea omerica, e nella seconda parte l’Iliade: e Dante medesimo non vuol da sé, ma, appunto dall’antico Virgilio, ” lo bello stile che m’ha fatto onore “.
Ma non si creda trattarsi d’una moda, o di un’usanza che passa e va. Forse che oggi il sinistrismo marxistico non eleva sugli altari Marx e Lenin, e non riconosce in essi il modello di quell’assoluta verità dalla quale nessuno può allontanarsi senza meritare, colla qualifica di ” deviazionista “, la condanna all’espulsione dalla società e poco meno che la morte? (5).
Di fronte a questi fatti macroscopici può parere una piccola cosa, eppure è ugualmente significativo il fiorire e moltiplicassi di scuole con cui s’inizia 1a storia della filosofia e prosegue la storia della cultura umana in ogni campo, dalla speculazione metafisica e religiosa alla politica, alle arti; allo sport e alla culinaria persino? Per citare un autore non certo sospetto di clericalismo si pensi che Giorgio Sorel, in quel suo libro misto, come al solito, di genialissime intuizioni e di estremi ed ultrarussoiani paradossi che è La ruine du monte antique, attribuisce 1a vittoria del cristianesimo sul paganesimo antico, appunto alla sua energia di formarsi in ” scuola ” chiusa ed intollerante nella quale si sopportano tormenti e la morte stessa, piuttosto che rinnegarne i principi (anche quando si tratterebbe, in sostanza, solo di bruciare qualche granello d’incenso innanzi alle divinità di cartapesta del tollerantissimo ” pantheon ” pagano).
I cristiani andavano, entusiasti, alla morte, meglio e più dei soldati di Mentana: più diciamo, e intendiamo prescindere da ogni considerazione teologica e soprannaturalistica, perché non la morte in battaglia, ma le tenaglie ardenti e i ferri dei carnefici, e le belve feroci dell’arena erano lì, pronti e sicuri ad aspettarli. Si dirà che gl’imperatori esigevano d’esser riconosciuti dèi: ma che altro, salvo la parola (e talvolta nemmeno quella) esigono i Capi, i Fuehrers e i ” Migliori ” del totalitarismo moderno, compreso il grande Stalin che fa ” fiorire le costellazioni “? E i famigerati ” campi di concentramento ” e la Siberia non sono forse le tenaglie dei carnefici che attendono i ” deviazionisti ” moderni?
L’etero-autorità c’è sempre, e non solo pei bambini o gli adolescenti. Per gli adulti sarà una scuola, fondata sopra l’ammirazione e l’amore di un modello-maestro: che può esser pacifica e innocua come nelle scuole presocratiche, o nelle scuole poetiche dei petrarchisti e dell’Arcadia, e giù fino all’ermetismo e all'”imagismo ” di Ezra Pound; ma può diventare sanguinaria e infernale nel totalitarismo politico (che cosa sono i vari ” kamikaze ” dei ” commandos ” moderni che massacrano le folle innocue e torturano, e prendono in ostaggio, ed esigono taglie e riscatti, mentre polizia e magistratura li inseguono cogli… articoli del codice e la procedura penale, quando non li assolvono o difendono addirittura sotto pretesto di… democrazia?) (6).
In realtà, nell’etero-autorità c’è sempre una sintesi di amore e timore che può effettuarsi in vari gradi: dai costumi e dai codici di una ben ordinata società o d’un innocuo e benefico consorzio privato (si compatisca anche al ” tifo ” delle società sportive, od ai ” fans ” teatrali e cine-televisivi: dopo tutto ciò impedisce a tanti individui di dedicarsi a ” tifi ” molto peggiori) fino al sacrificio di discepoli ed apostoli che in vari campi culturali e ideali fanno progredire la società umana. E un ” tifo ” vi fu sempre: le folle che plaudivano ai rapsodi e gli aedi. non esultavano forse alla descrizione delle botte che si scambiavano gli eroi?
Ma non ci si faccia ridere pretendendo che nessun modello esistesse e funzionasse in tali scuole, allorché è evidente ch’esse tutte si fondavano su un modello cui ciascun individuo si sforzava di somigliare: dall’Achille ed Ulisse dei Greci ai virtuosi romani disegnati da Tito Livio, e Orazio Coclite e Muzio Scevola, e gli Orazi vincitori dei Curiazi, e Cincinnato, e Attilio Regolo, e della e Lucrezia, e il Bruto maggiore, e il Bruto minore: e Cesare, l’Augusto in cui, infine, il Duce Imperiale fu assurto definitivamente fra gli dèi ed ebbe un culto regolare, anche se, come Caligola, nominava senatore il suo cavallo, o, come Nerone, oltre giocare a palla colle teste dei cittadini e prendersi certe… libertà (dicono i maligni) colle Vestali, pretendeva farsi applaudire sui palcoscenici, nonostante il suo ventre a pera e 1a sua voce di zanzara. (Si legga la bellissima novella di Arturo Conan Doyle in cui un vero musico-poeta abitatore dei monti, ma ignorantissimo delle vicende politiche, osò salire sul palcoscenico e sfidare l’Enobarbo matricida al canto. Benché subissato dai fischi dei pretoriani, riuscì a cavarsela e tagliare la corda. E il Tigellino di turno, comandato di catturare l’audace e trascinarlo alla divina presenza, elegantemente se la cavò affermando correre fondata voce che quel musico non fosse un uomo, sì il dio Pan sceso in persona dai monti e le selve per confortare il suo prediletto: al qual detto l’imperatore si calmò, tutto sorridente all’idea d’aver gareggiato con un tal personaggio, e persino – così credeva – esser riuscito a superarlo!).
Possiamo tracciare, anche per l’etero-autorità, una specie di ” scala “. Essa comincia colla nascita dell’individuo, col latte materno e con tutte le cure, materiali e spirituali, ch’esso deve ricevere da genitori, parenti ed altri finché non sia arrivato all’autonomia dell’adulto (anche l'” hippy ” e l’anarchico, pur maledicendo il fatto, devono accettarlo) – e finisce, in alto, coi soldati di Garibaldi e di Napoleone, coi martiri delle religioni, e colla vastissima legione degli scolari in ogni ordine di scuole, che faticano e, magari soffrono e muoiono, fedeli a un modello che partiti, fazioni, gruppi d’ogni genere, politici o religiosi, estetici o letterari, atletici e sportivi, e magari snobistici e mondani, hanno loro posto innanzi – persino il Rodolfo e il Colline, eroi della Vie de Bohème murgeriana e pucciniana, soffrono il freddo e la fame e piangono sul letto di morte della povera Mimì, piuttosto che rinunciare alla loro personalità semizingaresca di artisti. (Da una biografia dell’anteguerra: il famoso burattinaio Italo Ferrari aveva cominciato come attore: ma quando i colleghi s’accorsero che arrotondava la paga scarsissima facendo, ad ore, il calzolaio presso un negozio lo scacciarono, indignati, dalla loro compagnia: Euterpe non si doveva contaminare con Crispino!).
SIGNIFICATO SOCIALE DEL ” MODELLO “
L’etero – autorità è poi un fatto socialmente cospicuo. Le società, anche le meglio ordinate, impongono ai loro cittadini dei modelli detti codici, civili e penali, onde chiunque si allontani rischia l’internamento in una di quelle scuole molto dure, che si chiamano prigioni. Oggi vi è l'” obiezione di coscienza”: ma ieri ogni valido cittadino di sesso maschile era obbligato a passare per quell’altra scuola molto sbrigativa e poco complimentosa che è il servizio militare, dove (vedasi il vecchio esercito austriaco) anche i1 bastone veniva generosamente adoperato, e, comunque, la recluta, fosse pur stata un Kant o un Dante Alighieri, doveva scattare sull’attenti e ricevere epiteti poco parlamentari da un rozzo caporale semi-analfabeta (7).
Come, del resto, l’autorità, anche l’etero-autorità non è un processo materiale-meccanico. Vi sono individui che non riescono ad esercitare l’autorità su se stessi e, quindi, falliscono, non solo a scuola, ma nell’imparare qualsiasi mestiere o professione, per ridursi vagabondi o frequentatori di osterie: chiunque ha pratica di istituzioni benefiche, sa che esistono gli inevitabili ” abbonati “, i quali si tenta di collocare presso questo o quel ” datore di lavoro “, ma invano: ci restano, se va bene, un mese o due e poi sono pregati d’andarsene.
Naturalmente, ciò va inteso ” cum grano salis “. Nessuno è, finché resta un essere umano, del tutto incapace d’auto-autorità: il guaio, socialmente, è che tale capacità rimane troppo scarsa. E che cosa può farvi anche l’etero-autorità? Imporre loro una forma, rinchiudendoli nelle prigioni o nei penitenziari, o negli ospedali psichiatrici. Un crasso naturalismo materialistico pretenderebbe che tali individui non esistessero: purtroppo, ci sono, e la delinquenza, lungi dallo sparire, sembra aumentare: tanto più in quanto l’etero-autorità derivante, non solo da leggi, ma da usanze e costumi, perde efficacia divenendo, ogni giorno, più permissiva. L’autorità scadendo come auto-autorità, scade anche come etero-autorità.
Si badi, però, che, siccome non è possibile farne a meno, anche l’etero-autorità risorge subito in forma patologica, e la delinquenza, colle sue ” cosche ” e ” mafie ” la esercita in maniera sommaria e sbrigativa, condannando alla tortura e alla morte non solo chi le disubbidisce, ma chiunque nel quale pensi ravvisare un nemico, un ” reazionario “, un ” borghese ” (è noto poi come la cosa degeneri ancor più nei gruppi razziali o politici). Qui c’è il vantaggio, se così si può chiamarlo, che non esistono ” residui “: gl’individui ” disadattati ” al sistema vengono soppressi e tutto è finito.
Vi ha chi spera che un giorno, coi progressi della medicina, della psichiatria, della pedagogia e psicologia, tali individui ” disadattati ” divengano suscettibili di guarigione. Lo speriamo e auguriamo, senza farci troppe illusioni: un tal progresso lo si osserva, in parte, nella medicina e chirurgia: non certo nelle altre scienze sunnominate, in cui l’anti-metodo ” permissivo ” e la delinquenza crescono di pari passo, e sembrano trovare sempre nuovi motivi.
Non è difficile per l’etero-autorità, come per l’auto-autorità, tracciare una scala. Nel secondo caso si va dagli uomini comuni che s’inseriscono nella società con un utile lavoro esercitando correttamente le varie professioni, arti e mestieri necessari e adempiendo i loro doveri di cittadini agli eroi di tipo garibaldino ed ai martiri, noti ed ignoti in tutti i campi, senza i quali la società stessa si dissolverebbe sotto gl’influssi negativi che la corrodono dal suo stesso seno (chi non vuol credere, e ride del ” peccato originale “, creda almeno a Freud e alla patologia psicologica diguazzante, oggi, nella più spudorata pornografia).
L’etero-autorità l’abbiamo già vista nel grado più basso: il codice penale e le prigioni, o i penitenziari ove la società rinchiude, colla forza, coloro che non si adattano alle sue forme. Ma nel grado più alto?
Qui bisogna, anzitutto, liberarsi da un equivoco. Autoautorità ed etero-autorità si possono distinguere, ma non separare poiché, in ultima analisi, non sono che aspetti di un unico processo che si può chiamare volontà, o, kantianamente, ragion pura pratica dello spirito umano. Non si può sottomettersi all’etero-autorità senza in qualche modo, accettarla e farla divenire, così autoautorità: né esercitare quest’ultima senza seguire, in qualche modo, un modello: cioè un’eteroautorità. Quei soldati garibaldini cui abbiamo inneggiato, esercitavano certo nel modo sommo e completo, l’utoautorità.
Ma, al tempo stesso, erano soldati e seguivano, colla massima fede, una bandiera e un modello: il garibaldinismo, il loro Generale e Capo, con cui andavano entusiasti alla morte: né fame, né sete, né ferite, né esortazioni o ragionamenti li avrebbero indotti a tanto.
E Canzio stesso esercitava l’eteroautorità, quando, gettatesi alla briglia del generale, lo fermava, domandandogli Per chi voleva morire? – ossia troncando alla base e smotivandolo, il processo dell’autoautorità.
LA VITA MILITARE
E qui vengo ad una scoperta… prodigiosa che il lettore avrà già fatto da sé. Di dove abbiamo preso quel fiammeggiare eroico di autoautorità che ci ha un po’ storditi poco prima? Quegli uomini che andavano alla morte col loro capo e modello Garibaldi? – Da una forma di vita che è proprio detestata dai moderni autoritaristi od antieteroautoritaristi puri. Dicesi: LA VITA MILITARE! I seguaci di Garibaldi a Mentana che cos’erano? SOLDATI! Magari un po’ irregolarmente formati, ma, bisogna ammetterlo, ben riusciti: se poi, anche nello scontro sul Volturno colle truppe del deposto e infelice Francesco, inferiori di numero ed armi quali erano, lasciarono numerosi morti sul terreno, ma le suonarono così energicamente agli altri che l’esercito
borbonico fu distrutto e le truppe del pur ottimo generale Cialdini non l’avrebbero spuntata senza l’impeto dell’altro generale ” irregolare ” Giuseppe Garibaldi che si mostrò bravo nella guerra manovriera come in quella di posizione (7).
Ora, il servizio militare è sembrato, e sembra tuttora a parecchi, proprio l’essenza e il tipo perfetto della eteroautorità. Tutti si devono vestire allo stesso modo: tutti avere i capelli tagliati corti, tutti mettersi sull’ “attenti” e rispondere ” signorsì ” anche ai cicchetti più immeritati: tutti eseguire le stesse manovre, in piazza d’armi o dove che sia: tutti consumare lo stesso rancio in una gavetta: tutti subire le medesime punizioni, di ” consegna ” o ” prigione ” e peggio, fino al tribunale militare e alla fucilazione il caso occorrendo: persino quando viaggiano in libertà, per la strada, guai se dimenticano di salutare, nelle prescritte forme, i superiori che incontrano. E, si noti bene, non è una eteroautorità subita da ragazzi e bambini deboli, i quali vedono da sé la necessità d’essere aiutati e diretti anche nelle elementari contingenze della vita: è subita da uomini adulti i quali ingoiano, senza proteste, i rospi che un qualsiasi caporale o sergente caccia loro per il gozzo.
Si obietterà che i garibaldini erano soldati volontari, e, perciò, una tal disciplina di tipo prussiano non appariva possibile fra loro. Facilmente si risponde che i loro ufficiali, tipo Nino Bixio, non erano proprio di pasta zuccherina e non se ne lasciavano scappare una. Vera o no la risposta è pertinente: comunque, in principio, alla partenza dei Mille, le uniformi dei volontari fossero, almeno, diciamo, ” irregolari “: più tardi, quando ci si accorse che i garibaldini vincevano, di ” camicie rosse ” d’ordinanza ne spuntò una quantità strabocchevole, né ci fu pudica fanciulla che non si gloriasse di confezionarne una. In ogni modo, uniforme regolare o no, ogni volontario aveva dovuto imparare l'” un-due ed ogni altro esercizio militaresco, tanto più sotto lo svegliarino delle pallottole borboniche, e le lunghe marce, e la fame e la sete al sole ardente di Sicilia. E così arrivarono a Messina, e passarono lo stretto, e risalirono fino a Napoli e poi, sul Volturno, non sfigurarono davvero a fianco delle regolarissime e addestratissime truppe del generale Cialdini. Erano SOLDATI o no? (8)
Ci si permetta di finire con uno svegliarino ai soliti, poco simpatici, ” smitizzatori “. Incontrando Vittorio Emanuele II a Teano, Garibaldi avrebbe detto: ” Saluto il primo re d’Italia! ” E Vittorio in risposta: ” Ed io saluto il mio più grande amico “. – No, gli spulciatori d’archivi e manoscritti affermano che, invece, il Savoia avrebbe detto soltanto: ” Grazie “. Ora. tutti i difetti si possono trovare (se si vuole) in Re Vittorio, salvo l’irruenza della parola e un gran cuore, sia pure, se così piace, di ” soldataccio “. Avrebbe detto magari: ” Contacc! Ormai, caro Garibaldi, ce l’abbiamo fatta! “. Ma mai e poi mai avrebbe pronunciato quell’insulso ” grazie ” che sembra il famoso ” si figuri! ” del sarto manzoniano onde gli fu amareggiato per sempre il ricordo di Federigo Borromeo (9).
1 Oggi questa verità si tende facilmente a dimenticarla: e si crede vera democrazia lo sminuzzare ogni autorità in “gruppi”, “consiglio”, ” parlamentini ” ecc. ecc. E non ci si accorge che, in questo modo, non solo s’instaura il regime dell’irresponsabilità: ma effettivamente l’autorità si affida ad alcuni maneggioni i quali, non avendo altro da fare (perché, spesso, ne sarebbero incapaci) passano il loro tempo a ” organizzare ” i colleghi.
Si veda il sistema detto ” assembleare “, che consiste nell’adunare sì i votanti, ma prolungare la durata delle adunanze stesse finché i soggetti che hanno sul serio qualcosa da fare (per esempio, studiare o leggere libri) perdono la pazienza e se ne vanno, lasciando presenti e volanti solo i designati ad hoc. Non si capisce poi, o meglio, si capisce troppo bene perché questo sistema non si applichi p. es. alla medicina, all’ingegneria, o all’arte navigatoria talché il primario dell’ospedale non possa applicare il bisturi od effettuare un qualsiasi intervento, senza prima averlo fatto votare a maggioranza da tutti gli assistenti, infermieri, bidelli e rappresentanti delle famiglie presenti – e allo stesso modo l’ingegnere non possa comandare che si elevi un piano di casa, né il capitano condur la nave in porto senza l’approvazione, ben discussa, dei muratori o dei marinai. – Sono cose che farebbero ridere se non se ne conoscesse troppo bene la ragione. – Del resto. ” nihil sub sole novi “: S. Agostino non si fermò all’università di Cartagine, perché ivi quella che oggi chiameremmo la ” contestazione ” studentesca era arrivata a tal punto da rendere impossibile un corso regolare di lezioni. Andò, dunque, all’università di Roma, e poi, di lì, a Milano (città allora, sede della corte imperiale) dove, provvidenzialmente, trovò Vescovo S. Ambrogio. Ad abundantiam aggiungiamo che un simile sistema di ” frazionismo ” non si trova davvero in Russia ed altri Stati simili la cui costituzione si vorrebbe prendere a modello.
2 Verrebbe da ridere, se non venisse, invece, da piangere, ove si consideri che l’umanità intera, per venti secoli, è cresciuta su un modello, magari eccessivo, di eteroautorità, il cui simbolo era la verga, deplorata, ma intanto, maneggiata con vigorosa mano, dal maestro. Agostino stesso si lamenta che gli adulti dei suoi tempi, ridessero delle lacrime infantili quando costoro ricevevano qualche energica ” bussata ” dal pedagogo e ” ridevano delle mie busse che allora rappresentavano per me un male grande e serio ” (Confess. I cap. IX). Eppure il sistema, con tutti i suoi difetti, non doveva esser del tutto cattivo, se l’umanità non solo vi si è educata, ma ha prodotto, in tutti i campi, dei grandi uomini. Si obietteranno i casi dei grandi filosofi e pedagogisti che proponevano, e praticavano, altri sistemi – ma costoro, diciamo il vero (salvo piccole élites) chi li ha mai ascoltati e seguiti? – Si può asserire, forse con maggior ragione, di essi quanto il Manzoni dice dei poeti e delle loro previsioni storiche: se le cose andarono, di fatto, così, dite pure ch’erano state decise, altrimenti, in quel modo, ed essi non ci ebbero colpa, né peccato.
3 Cfr. Barrilli, Memorie garibaldine, cit. in Croce, Letteratura della nuova Italia, vol. IV.
4 Si riderà (e lasciamo ridere!) circa la nostra ingenuità di voler ipotizzare sulla storia. Eppure e chiaro che, se vogliamo sapere perché le cose sono andate ” così ” e non altrimenti, dobbiamo trovarne delle ragioni: e queste implicano sempre la considerazione d’un possibile diverso corso delle cose. Certo, par difficile concedere a Napoleone una vita così lunga da fargli toccare il 1852, anno in cui salì sul trono il III Napoleone. Ma se egli avesse condotto una vita da trappista, e fosse rimasto tranquillo all’Isola d’Elba avrebbe potuto, sì, ridere di cuore alla politica delle nazioni europee che, dopo tanto anfanare e combattere, erano costrette a sorbirsi un altro Napoleone. Capace, sì, d’aiutare l’Italia riconquistare almeno la Lombardia ma così poco intelligente da lasciare il Reich prussiano crescergli alle spalle e cacciare l’Austria dalla lega germanica e soccombere sotto il disastro del ’70. Politica insensata che vanamente il grande Antonio Rosmini (un altro ” filosofo”) denunciò. Così Napoleone III finì male. Irrequieto, indeciso fra l’appoggio ai cattolici e l’anticlericalismo (lasciò che la Grotta di Lourdes fosse chiusa dai gendarmi, e fu svergognato dalla moglie che vi si recò facendo togliere le chiusure: lei donna aveva capito che quella era l’ultima speranza dell’Impero: d’un impero non fondato sulle armi ma sulla pacifica espansione della Fede, in cui Roma poteva restare al Papa ma senza escludere un Cesare, assurgendo, anzi a quell’immensa autorità spirituale internazionale che oggi esercita).
5 Non v’è, forse, cosa tanto stupida come il disdegno col quale, oggi si parla di ” scuole ” e di ” modelli “, e tanto peggio se ne parla proprio da quelle comunità sociali che vorrebbero, anzi, impongono di fatto, la costruzione dei cittadini in un modello unico-partitico che si propongono d’imporre al mondo intero. Eppure anche qui abbiamo un’allegra vendetta della logica: il non voler “modelli” porta all’imposizione violenta di un unico modello. I famosi ” cento fiori ” d’un celebre duce cinese, presto si convertirono in un’unica erbaccia. Con ciò, intendiamoci, non vogliamo dir male della Cina: l’unica nazione, anzi, riuscita ad instaurare una forma vitale di comunismo, in cui tutti gli uomini trovano soddisfatti almeno gli elementari bisogni della vita, e in cui il vecchio dogmatismo industrialistico è superato. Se la “rivoluzione culturale ” salirà ancora un poco, fino a ricongiungersi colla ricchissima spiritualità del mondo cinese, vedremo forse qualcosa di cui il Merton andava in cerca a Bangkok, poco prima che i suoi occhi si chiudessero alla luce di questo mondo.
6 Un’idea, suggerita da un fatto recente, sul come funzionano i consigli ” e i “parlamentini “. La direttrice d’una scuola montessoriana fa esporre al muro delle frasi ingiuriose per la religione. Il Capo del consiglio ” Scuola-famiglia ” denuncia il fatto, davvero inaudito e non certo in accordo col libro della Montessori sui Bambini viventi nella Chiesa. Un altro Capo o sottocapo di non so qual altro consiglio denuncia il suddetto della ” scuola-famiglia al Provveditore: motivazione ignota. Si noti che tutto ciò avviene nella città di Roma, ove la Montessori scrisse e presentò all’allora sedente Pontefice perché lo benedicesse, il libro sopra citato. Si chiede, ora, chi denuncerà il Provveditore al Ministro, e, magari, poi il Ministro al Presidente del Consiglio e via seguitando, che so? alla Corte Costituzionale – La repubblica di Firenze, a forza di ” parlamentini ” era giunta a non permettere cariche di durata superiore a due mesi: anche Dante fu ” priore ” per tal durata. Ma tutti sanno come poi il sistema andasse a finire.
Le frasi ” montessoriane ” (ma io non le ho lette mai nei libri della Montessori, pur essendo umile autore d’un libro su tale metodo, che anzi mi procurò una severa ” sgridata ” da parte di un gruppo di fedelissime montessoriane che mancò poco mi denunziassero…al Sant’Uffizio come ateo, o almeno, irreligioso per non aver menzionalo tra i libri sacri I Bambini viventi nella Chiesa) su cartelloni preparati da alunni della V elementare B dicevano: ” La religione cattolica è l’oscuramento della verità… La Chiesa ha inventato il paradiso… Le armi dei padroni sono la religione, la televisione, la scuola. La confessione serve a farci sentire in colpa, così noi, convinti di essere colpevoli, accettiamo il potere, cioè di essere sfruttati ” e simili. Meravigliosa, poi, quell’eguaglianza: POTERE = ESSERE SFRUTTATI: ma dunque in Russia il “potere” non c’è, ma solo una libera anarchia? O sono ” sfruttati ” anche là? Mi pare impossibile! – Da notare che gli alunni della V elementare, secondo la nostra legislazione, hanno circa undici anni, eppure già discutono di alte questioni teologiche: e non è questo il solo caso. In un’altra “quinta”, non montessoriana, ma pur di Roma: in occasione del referendum del 12 maggio scorso, fu dato come tema se votare ” Sì ” o ” No “, dopo che il maestro aveva ” indottrinato ” la classe in senso, si capisce, divorzista.
7 Anche la regolarità dell’uniforme ed altre cose che paiono ripugnanti nella vita militare, hanno la loro importanza. Impariamo, dal numero di agosto ’74 del Readers’s Digest che ci sono stati ammutinamenti sulle navi americane. Par di sognare. Ammutinamenti fra i marinai di quella nazione che tutti indicano (e anche noi abbiamo visto in Italia) come la perfetta instauratrice d’una disciplina larga e comprensiva, fondata sulla miglior possibile psicologia!!!. Eppure è bastato (“si vera sunt exposita “) il permesso dato a ciascuno di non tagliarsi i capelli, ma di portarli a modo suo, nonché l’altro di indossare, anziché la divisa, abiti frusti qualunque durante i lavori pesanti, per generare un tal bailamme. Evidentemente gli psicologi non avevano studiato un particolare importante dell’etero-autorità: se l’entusiasmo poté, per un momento, sostituire le divise regolari dei Mille (un momento ” solo, dicemmo, che poi le camicie rosse regolari si trovavano ad ogni angolo, come le gentili fanciulle che le componevano) di entusiasmo per la guerra del Vietnam non crediamo che ne fosse rimasto un… vulcano ardente a bordo delle corazzate americane.
Gli ufficiali austriaci erano allevati nell’idea che la perfezione dei bottoni e l’indurimento dei baffi col sego fossero essenziali alla disciplina. Napoleone amaramente li deluse: ma anch’egli era uomo da prendere a calci chiunque gli si presentasse coll’uniforme in disordine, e da tenersi addosso tutto un giorno una nuova divisa propostagli per dimostrare che non andava. Molti di questi nuovi psicologi in realtà capiscono poco perché ignorano una parte essenziale della loro psicologia: la psicologia filosofica. Da questa imparerebbero che il ” sustine et abstine ” sono alla base d’ogni disciplina, specie militare e che il soldato deve sopportare ed agire ogni cosa per pura forza di volontà, cioè non perché gli piaccia o la trovi comoda (” appetitus sensitivus “), ma unicamente perché ciò è stato comandato (” appetitus rationis”: volontà). Troviamo l’esempio più perfetto (sul quale non insisto per non passare da “clericale”) nella obbedienza religiosa, nella quale il novizio, datosi ad annaffiare aridi stecchi perché così aveva ordinato il superiore, vide fiorirne a un tratto, fiori meravigliosi.
8 Non è certo un autore “clericale” Indro Montanelli: perciò gli possiamo credere senza rimorsi quando ci dice che i ” generali ” di formazione garibaldina, quali i Cosenz e i Turr, travasati poi nell’esercito regolare non sfigurarono davvero di fronte ai loro colleghi che venivano dalla normale carriera. Si pensi poi che, nella guerra franco-tedesca del ’70 Garibaldi, coi suoi volontari, fu l’unico a suonarle così vigorosamente alle truppe prussiane agguerritissime, da poter catturare e inviare in dono al comando francese, le insegne d’un reggimento (Montanelli, Garibaldi, Rizzoli ed., Milano, 2′ ed. 1965 pag. 415) raccomandando la clemenza verso i prigionieri.
Questo ci ripaga (solo un poco) delle sciagure di Custoza e di Lissa, ove generali e ammiragli con tinti i crismi si fecero vergognosamente sconfiggere e persero due belle navi come la Re d’Italia e la Palestro. Se fosse poi vero ciò di cui ” a malapena sen bisbiglia ” che l’Austria, prima di Sadowa, ci aveva offerto gratis il Veneto purché ci tenessimo neutrali, e noi rifiutammo per orgoglio… Bè, e meglio ch’io taccia, o le direi troppo grosse! – Dirò solo che a me sembra una delle tante disgrazie colle quali un misericordioso Signore colpì l’ateismo implicito, o, almeno, l’anticlericalismo, velenoso verme distruttore del nostro Risorgimento, in tante azioni e ideologie: fino al Concordato che ristabilì la pace religiosa e, perciò, e la bestia nera di tutti i materialisti e ateisti. – Se si osasse parlare un po’ leggermente, di argomenti così gravi, diremmo che Iddio pagò abbondantemente il Concordato e la religione nella scuola circondando M. d’una serie di successi (compresa l’Etiopia). – Che furono poi la causa della sua rovina, quando si lasciò ” intedeschire ” da Hitler e lo seguì in quella funesta politica le cui conseguenze stiamo tuttora scontando.
9 E’ lecito dubitare, qui, molto, delle versioni ” ufficiali “. Chi raccolse la risposta di Vittorio a Garibaldi? Qualche vecchio ufficiale un po’ sordo, o qualche giovane che aveva una gran ” fifa ” di Cavour e dei ” moderati ” e temeva di danneggiarsi la carriera? Allora non c’erano stenografi. – Si noti che l’eteroautorità è sempre presente, nella società, non solo coi codici e le leggi, ma anche attraverso quelle leggi ” non scritte ” che si attuano nel costume e nella moda. ” Guai a te, o torrente della moda umana! Chi può resisterti? Quando ti seccherai? Fino a quando agiterai nei tuoi gorghi i figli di Eva in questo vasto e pauroso mare? ” Così S. Agostino in Confessioni (lib. 1 cap. XVI).