Un Curato che ha esercitato molta influenza nella sua parrocchia, don Marco, Curato di S. Nicola di Troyes, in una lettera aperta ai padri e alle madri diceva: ” Vedo molti genitori… Essi mi supplicano di fare qualcosa dei loro bimbi. Vedo anche molti fanciulli… li conosco, ma una cosa manca a tutti: l’abitudine allo sforzo. Non sono stati formati su questo punto non si esige abbastanza da essi… si lascia passare… si capitola. Sono buoni, forniti di immense risorse, si potrebbe ottener molto dalla loro buona natura. Malauguratamente si lasciano vivere… Non hanno molta buona volontà… E il male dell’epoca. Bisogna assolutamente rimediare..sviluppare in essi l’energia. È urgente: essi portano in sé l’avvenire “.
* Un Curato che ha esercitato molta influenza nella sua parrocchia, don Marco, Curato di S. Nicola di Troyes, in una lettera aperta ai padri e alle madri diceva: ” Vedo molti genitori… Essi mi supplicano di fare qualcosa dei loro bimbi. Vedo anche molti fanciulli… li conosco, ma una cosa manca a tutti: l’abitudine allo sforzo. Non sono stati formati su questo punto: non si esige abbastanza da essi… si lascia passare… si capitola. Sono buoni, forniti di immense risorse, si potrebbe ottener molto dalla loro buona natura. Malauguratamente si lasciano vivere… Non hanno molta buona volontà… E il male dell’epoca. Bisogna assolutamente rimediare… sviluppare in essi l’energia. È urgente: essi portano in sé l’avvenire “.
* È un fatto che in molte famiglie, per leggerezza, si ha paura di chiedere sforzi ai propri figli; si ha paura di contrariarli, di addolorarli, di vedere far storie o di tenere il broncio. È un’educazione nulla, alla rovescia; perché questi fanciulli indisciplinati, immortificati, non sapranno donarsi per gli altri nel modo almeno possibile alla loro età, saranno in seguito dei vinti della vita, se non addirittura i tiranni di coloro che hanno loro insegnato a divenire tali.
* Una direttrice di colonia estiva scriveva nel suo resoconto:
” Le giovani comandano in molte famiglie e prendono le madri per domestiche. Sono fanciulle apatiche; bisogna ripetere a iosa un comando prima che ubbidiscano e prenderle con le buone, perché lo conducano a termine. Nell’insieme non hanno inciampi; hanno sete: bisogna dar loro da bere prontamente; hanno fame: non importa che manchi poco a cena, mangiano la loro ghiottoneria; sono stanche: è finita, impossibile proseguire, ecc. Per i genitori ciò è naturale e non reagiscono. Alcune madri rispondono: — Io sono stata educata duramente, e non voglio che mia figlia soffra come me; avrà tempo a provarne! “.
* Un’altra direttrice che aveva parlato a una madre sulla educazione della volontà per la sua bimba, ebbe questa risposta: ” Per carità, niente di tutto questo! Penserò io a darle dei ricostituenti, ma non posso permettere che le faccia compiere degli sforzi “.
* La vita è fatta per essere vinta, ha detto R. Bazin. Se un fanciullo, all’età in cui si formano le abitudini, si sforza di vincere una difficoltà invece di scoraggiarsi, arricchisce le sue riserve di energie che più tardi l’aiuteranno a superare l’assillo quotidiano.
* I genitori dovranno educare la volontà dei figli con l’esempio: è certo che su questo lato il fanciullo diventa, a sua volta, il più esigente educatore dei genitori: i quali devono fare attenzione alla loro condotta fisica e morale. Si sforzino di non lamentarsi mai dinanzi ai figli, di non mostrarsi tristi, cupi, abbattuti, scoraggiati.
* Non si abbia paura di chiedere cose un po’ ardue ai figli; è opportuno tuttavia prevenirli e incoraggiarli: ” Dovrai compiere una cosa un po’ difficile, ma vedrai che vi riuscirai “.
* Si approfitti pure del desiderio istintivo che ha il fanciullo di apparire ” qualcuno “. ” Se vuoi essere un giovane in gamba, fa’ vedere il tuo coraggio. — Su, tu sei una ragazza energica: e quando uno vuole, non teme un piccolo malessere “.
* All’occasione, bisogna saper rendere il figliolo fiero del suo coraggio. Un omino, lodato dal padre per la resistenza dimostrata durante una passeggiata più lunga del previsto, rispondeva: ” Oh, babbo, sono stanco, ma non lo manifesto! “.
* Si può approfittare anche della tendenza che il fanciullo ha di realizzare l’opinione che si ha di lui: questo, d’altronde, è un ottimo metodo pedagogico.
* Duhamel in ” La Possession du Monde ” scrive: ” Conobbi un uomo che aveva compiuto molte opere buone, ma anche alcune biasimevoli. Quando lo vedevo indeciso, cominciavo a dirgli presso a poco così: “Tu che sei buono… Che hai compiuto questa e quest’altra azione buona…”. Orbene il brav’uomo giunse ad essere veramente ottimo per non mancare alla stima acquistata. Se invece avessi calcato il lato brutto del suo carattere ne avrei fatto un pirata “.
* Si sviluppi il coraggio e lo spirito di sacrificio del fanciullo prima della pubertà, dato che questo periodo è quanto mai prezioso per l’acquisto delle virtù morali. Poiché quanto più ci si abitua alla rinuncia tanto maggiormente si gusteranno le gioie sane e sante della vita.
* I genitori devono diffidare di quella meticolosa ed assillante sollecitudine che vorrebbe facilitare la vita al bambino appianandogli ogni difficoltà. Sappiano abituarlo, quando ha una certa età, a superare le difficoltà con le proprie forze e a sapersi trarre di impaccio da sé.
* Educhiamo il fanciullo virilmente. È naturale che subisca ” scosse “, incrinature e lesioni leggere: certo, bisogna vigilare perché le piaghe non si incancreniscano, ma in ogni caso, è sempre meglio insegnare al fanciullo a curarsi da sé. Evitare comunque di comportarsi come quei genitori piagnucoloni: ” Ah! mio povero cocco, come stai? che cosa brutta!… Sei ferito… che disgrazia! “. Il fanciullo, oggetto d’una esagerata sollecitudine, crederà di essere stato vittima di un terribile accidente e si sforzerà di rendersi più interessante, tanto più che la suggestione aumenta a dismisura il malessere causato da un nonnulla. I genitori rischiano così di fare del loro figliolo un inquieto che si autoausculta, che ingigantisce ogni sofferenza, trasforma in catastrofe il più piccolo malessere, spia il funzionamento del suo organismo e si affanna al minimo turbamento.
* Evitare anche le molte interrogazioni inquietanti, le ansie pietose, le sollecitudini eccessive: ” Soffri molto? Dimmi cosa soffri… “. I genitori giungeranno a persuadere il fanciullo di essere fragile e incapace a certi sforzi e a ogni buona riuscita; da ciò goffaggini, timori, fobie o, per contrasto, desiderio sfrenato di evasione.
* I genitori devono dare esempio di coraggio ai fanciulli. Quando siete colpiti dallo scoraggiamento e dalla tristezza, nascondetevi fino a quando sarete tornati normali. Come pensare diversamente? Devono poggiarsi su voi, e come potrebbero farlo su esseri deboli e cadenti? Allorché siete oppressi dal dolore non cercate conforto nei fanciulli: non è loro compito, e descrivendoglielo farete loro del male. Dovrete essere forti nella prova, e, senza tuttavia dissimularne l’aspetto doloroso, non vi permetterete alcuna debolezza di fronte a loro. Si guardino i genitori dall’educare i fanciulli nella bambagia; potranno certamente dar loro ogni tanto qualche sollievo; è un’esigenza naturale e un po’ di zucchero fa bene. Non bisogna però esagerare, anzi è utile avvezzarli a privarsene volontariamente ogni tanto.
* Si farà ottimo servizio ai fanciulli, assuefacendoli allo sforzo e alla sofferenza senza lamentele.
* Ho conosciuto una madre ammirevole. Aveva studiato da giovane il problema educativo e aveva imparato il modo di suscitare nei suoi piccoli il gusto e la pratica dello sforzo, il senso del bello, l’abitudine alla sincerità, all’ordine, alla preghiera regolare, al buon umore. Ogni settimana lottava contro un difetto… Domandava ai suoi bimbi di correggersene, indicando un fine alto, pratico, capace di muoverli. Li interessava agli ammalati, ai sacerdoti di campagna, ai moribondi bisognosi di grazia… a un ritiro di cui desiderava il buon esito. Li avvinceva dando loro uno ” scopo ” poi diceva: ” Bisogna che per questa sera facciate qualche sacrificio “. Essi erano trascinati, si sorvegliavano, lottavano. Alla sera, poi, la madre faceva loro costatare quanta gioia si provi compiendo il bene; essi se ne rendevano conto e notavano quanto sia disgustoso fare il male e quanta pura gioia invece apporti il dovere compiuto.
Pagavano personalmente, si consideravano dei conquistatori e ne erano fieri.
* Un sistema molto utile, per irrobustire la volontà del fanciullo, consiste nell’imprimere nella sua mente alcune parole d’ordine, in maniera che, quando si tratterà di far compiere qualche sforzo, sarà sufficiente ripeterle per ottenere quanto si desidera. Ad esempio: ” La situazione è dura, ma così mi piace. — Mi costa, ma lo faccio ugualmente. — È difficile, tanto meglio “. È a furia di sforzi che si diventa più forti.
* Un po’ di vita rude è necessaria alla sanità: sia morale che fisica… Quaggiù nulla di bello e di buono si compie senza sforzo. Si può raggiungere la gioia, però dopo aver lottato lungo il cammino. ” Latino senza pianti e greco senza lacrime “, illusione pericolosa. La vita umana ha bisogno di una certa tensione in tutti i campi, di un certo fervore che non si trova soltanto negli eroi e nei santi, ma anche nella semplice virtù dell’uomo onesto e nel lavoro ben fatto dell’artigiano. Un po’ d’eroismo — e, a volte, anche molto — è necessario in ogni ceto. È errore grave allontanare l’eroismo dal proprio ideale, un errore che per noi moderni proviene dalla confusione tra violenza ed eroismo. Bisognerebbe bandire la violenza dalla convivenza umana, non l’eroismo.
* Ogni fanciullo ha in sé un eroismo latente a cui spesso bisogna fare appello se lo si vuole educare.
* Vi sia realismo cristiano e umano insieme. S’ingannano gravemente i fanciulli facendo loro capire che quaggiù hanno un diritto assoluto e incondizionato alla felicità e alla soddisfazione immediata dei loro capricci e delle loro fantasie. Bisogna che abbiano coscienza che nella vita, senza lotta, senza pazienza e senza sforzo, nulla si ottiene. Bisogna che in qualità di cristiani giungano a cooperare alla redenzione del mondo a cui si arriva soltanto abbracciando la croce. Ma non è necessario affannarli continuamente; a ogni giorno il suo affanno, a ogni affanno la sua grazia. Dio da una croce proporzionata alle nostre spalle, ed Egli stesso si offre ad aiutarci per compiere in noi ciò che manca alla sua passione.
* L’uomo degno di tale nome trova la gioia più stabile e profonda nella lotta e a volte anche nella sofferenza. Beethoven diceva: La gioia attraverso il dolore!
* La migliore preparazione a portare questa croce, per ogni cristiano che comprende qualche cosa del battesimo e di Cristo, è questo dominio di sé, che in fondo significa rinuncia e abnegazione.
* Per i genitori il dolore ha un senso che il loro figlio deve comprendere. Non dicano questa mostruosità: che la sofferenza in sé è un bene. No, no, la sofferenza è male perché viene dal peccato e non da Dio; non bisogna compiacersi a considerarla come fine, ma soltanto come uno strumento potente per espiare i nostri peccati e cooperare con il Cristo all’opera sua redentrice. ” Godo nel dolore, diceva S. Paolo, perché compio nella mia carne ciò che manca alla “Passione di Cristo per il suo Corpo che è la Chiesa “.
L’educatore che ha compreso il senso del dolore e ne conosce il valore lo farà comprendere ai suoi bambini. Sapranno così che la sofferenza è dolorosa, ma non ne avranno orrore; sapranno imporsi delle sofferenze volontarie e troveranno nell’accettazione stessa del dolore una gioia infinitamente superiore, perché frutto d’una carità più profonda.
* E’ naturale che il fanciullo sia pauroso; ma è inutile, anzi pericoloso, creare quel senso di paura con racconti terrificanti, sembianze odiose, storie di fantasmi o di banditi.
* Non prendere in giro un fanciullo perché ha avuto paura, ma avvicinarlo con confidenza e dargli esempio di sangue freddo, facendogli provare quanto la sua paura sia infondata.
* È cosa buona che il fanciullo abbia fino a un certo punto il gusto del rischio: il primo passo per agire contro il pericolo è non temerlo.
* Insegnargli ad accettare ciò che non gli piace per abituarlo ad amare soltanto ciò che si deve.
* Le grandi vittorie morali non si improvvisano. Esse sono il frutto di molte piccole vittorie ottenute quotidianamente.
* Uno degli scopi dell’educazione è di concorrere a formare il carattere, a far conquistare al fanciullo quello che nel Medio Evo chiamavano la più alta delle signorie: la padronanza di sé.