Il santo liberamente si offerse per la conversione dei 30.000 abitanti del Chiablese, passati nel 1536 al calvinismo. Si dedicò a quella missione apostolica, sollecitata dal bellicoso duca di Savoia, Carlo Emanuele I (1562-1630), con giovanile entusiasmo, insieme con il cugino canonico Luigi di Sales. Per i primi tre anni non ebbe quasi uditori, di modo che fu costretto a scrivere e a far stampare, su fogli volanti, le verità più conculcate della fede che, riuniti nel 1672, diedero origine alle Controversie. Risalgono pure a quel tempo La Difesa dello stendardo della S. Croce, un Trattato sulla demonomania e varie dissertazioni, sermoni, lettere e memorie. Nonostante la scarsezza dei frutti, gl’insistenti richiami del padre e i ripetuti attentati alla sua persona, Francesco perseverò nella predicazione tra inaudite sofferenze.
Questo umanissimo santo, grande maestro di vita spirituale è nato il 21-8-1567 nel castello di Sales, presso Thorens, nel ducato di Savoia, primogenito dei tredici figli che Francesco di Sales, signore di Boisy, ebbe da Francesca di Sionnaz, entrambi appartenenti alla più antica nobiltà della regione.
Ricevette la prima educazione in casa dal cappellano precettore Giovanni Déage, e quindi nei vicini collegi di La Poche (1573) e di Annecy (1575). Benché il padre lo avesse destinato alla magistratura, a undici anni Francesco chiese e ottenne di ricevere la tonsura. Dal 1582 al 1588 egli seguì a Parigi retorica e filosofia nel collegio Clermont, diretto dai Padri Gesuiti.
Tuttavia, per meglio conoscere Dio, studiò pure la teologia e i Padri della Chiesa, e frequentò il corso di S. Scrittura del dottissimo orientalista Gilberto Génébrard O.S.B. Però, l’intensa meditazione sul mistero della predestinazione gli cagionò a vent’anni, per sei settimane, una terribile tentazione di disperazione della salvezza eterna. Una sera di gennaio 1587, di ritorno dal collegio, entrò più morto che vivo nella chiesa di St.-Etienne-des-Grès. Dinanzi all’altare della Madonna chiese a Dio, giacché meritava necessariamente la dannazione eterna, di non essere almeno di coloro che avrebbero maledetto il suo santo nome. Vicino alla balaustra trovò una tavoletta con la preghiera di S. Bernardo alla Vergine. Appena ebbe terminato di recitarla, gli sembrò che il male gli fosse caduto sui piedi come scaglie di lebbra. Perfettamente rasserenato di spirito, fece allora il voto di perpetua veginità, si obbligò alla recita quotidiana del rosario e, riguardo alla predestinazione e alla grazia efficace, propose di seguire il sistema del P. Luigi Molina, gesuita spagnuolo.
Alla fine del 1588 troviamo S. Francesco di Sales tra i 20.000 studenti dell’università di Padova per lo studio del diritto. Neppure allora egli trascurò la teologia e l’esercizio della virtù, sotto la direzione del P. Antonio Possevino, S.J. Dopo avere per quattro anni dedicato alla studio otto ore al giorno, ricevette il 5-9-1591 il berretto dottorale dal celebre giurista Guido Panciroli. Prima di ritornare in patria, dove nel 1592 fu accolto avvocato nel senato di Chambéry, aveva voluto visitare Venezia, Loreto e Roma. Suo padre frattanto gli aveva scelta per sposa la nobile figlia del signor de Végy, ma Francesco manifestò candidamente l’intenzione che aveva sempre nutrita di farsi prete. Il marchese di Sales, che sognava per il figlio anche la carica di senatore, ne rimase costernato. Per vincerne l’opposizione il vescovo di Ginevra, Claudio de Granier (+1602), ottenne dal papa Clemente VIII per il santo, a sua insaputa, la carica di prevosto del capitolo di Ginevra, che era la prima dignità della diocesi.
Dopo la falsa riforma, la sede del vescovado di Ginevra era stata trasferita ad Annecy. Fu là che S. Francesco di Sales, dopo l’ordinazione sacerdotale ricevuta il 18-12-1593, esercitò subito il sacro ministero con zelo straordinario, e predicò instancabilmente e in una forma accessibile al popolo, lontana dall’ampollosità e dall’erudizione di moda, tanto che suo padre se ne meravigliava e diceva che ai suoi tempi “si allegava più greco e latino in un sermone che non facesse suo figlio in dieci”.
L’anno successivo il santo liberamente si offerse per la conversione dei 30.000 abitanti del Chiablese, passati nel 1536 al calvinismo. Si dedicò a quella missione apostolica, sollecitata dal bellicoso duca di Savoia, Carlo Emanuele I (1562-1630), con giovanile entusiasmo, insieme con il cugino canonico Luigi di Sales. Per i primi tre anni non ebbe quasi uditori, di modo che fu costretto a scrivere e a far stampare, su fogli volanti, le verità più conculcate della fede che, riuniti nel 1672, diedero origine alle Controversie. Risalgono pure a quel tempo La Difesa dello stendardo della S. Croce, un Trattato sulla demonomania e varie dissertazioni, sermoni, lettere e memorie. Nonostante la scarsezza dei frutti, gl’insistenti richiami del padre e i ripetuti attentati alla sua persona, Francesco perseverò nella predicazione tra inaudite sofferenze. Poiché nessuna famiglia si azzardava a dare ospitalità ai papisti, una volta fu costretto a passare con suo cugino la notte piovosa sotto la grondaia di un’aia, e un’altra volta a ripararsi da una bufera di neve in un forno ancora tiepido.
Quando dalla fortezza di Allinges passò a Thonon, principale città del Ghiablese, le conversioni si moltiplicarono. Colà potè, infatti, confondere i ministri inviatigli da Ginevra, e convertire il sindaco e parecchi dei principali calvinisti della regione. In seguito alla richiesta di Clemente VIII, nel 1597 andò persino travestito a Ginevra per tentare di riguadagnare alla vera fede Teodoro de Beza (1519- 1605). Con il patriarca della Riforma ebbe tre colloqui, ma non riuscì a indurlo a resipiscenza. Nel 1598, in seguito al trattato di Vervins, gli abitanti del Chiablese ritornarono in massa al cattolicesimo, perché al duca di Savoia era stato assicurato il definitivo possesso del paese. Diverse migliaia di pubbliche abiure si ebbero a Thonon in una solenne funzione celebrata alla presenza del Card. Alessandro de’ Medici, legato alla corte di Enrico IV, e del duca di Savoia.
In premio di tante fatiche il vescovo aveva scelto Francesco come coadiutore, malgrado il suo rifiuto. Nel 1599 lo inviò per affari della diocesi a Roma. Clemente VIII ne approvò la scelta e volle esaminare personalmente il candidato alla presenza dei cardinali. L’improvvisato esame fu un trionfo. Ritornato ad Annecy, il santo attese ancora per due anni alla riorganizzazione del Chiablese. Poi, nel 1602, fu mandato dal vescovo a Parigi per trattare il ristabilimento delle parrocchie cattoliche nel paese di Gex, passato dal dominio dei Ginevrini a quello di Enrico IV. Durante gli otto mesi di permanenza nella capitale consigliò il signor de Bérulle, più tardi cardinale, a fondare una Congregazione per la formazione del clero. Il re lo invitò a predicare la quaresima a corte, e fu tanta la stima che ne concepì, che più volte tentò di trattenerlo in Francia. “Sire, gli rispose un giorno il santo, io sono unito in matrimonio; ho sposato una povera donna e non posso abbandonarla per una più ricca”. Enrico IV (+1610) dirà di lui: “Il vescovo di Ginevra ha tutte le virtù e nessun difetto”. Lo zelante coadiutore predicò pure in numerose chiese e monasteri, e divenne confessore di Madame Acarie, la futura B. Maria dell’Incarnazione (+1618), che si adoperò per introdurre le Carmelitane in Francia. A contatto di persone nobili e colte, il santo si rese conto dell’aspirazione alla perfezione di molte anime. Di esse egli diventerà l’incomparabile maestro di spirito perché, con la pubblicazione nel 1609 della Filotea, indicherà loro il modo di seguire la “vita devota” pur restando nel mondo.
S. Francesco di Sales fu consacrato vescovo di Annecy l’8-12-1602. La diocesi versava in tristi condizioni sia perché in parte sotto i Savoia e in parte sotto i Borboni, sia perché vasta, povera e desolata dalle recenti innovazioni dei protestanti. Vero modello di pastore, il santo stabilì subito i catechismi per i fanciulli e i fedeli; diede saggi regolamenti al clero; visitò più volte diligentemente le parrocchie sparse sulle montagne; convocò sinodi annuali; riformò comunità religiose decadute dal primitivo fervore. La sua bontà, la sua pazienza, la sua dolcezza unita ad un tratto signorile sono rimaste proverbiali, benché fosse per natura collerico. Egli nutrì un grande amore per i poveri, soprattutto per quelli vergognosi. Per poterne sollevare il più gran numero possibile fu frugale nel cibo, semplice nel vestito e nell’arredamento, severo nell’eliminare il superfluo.
Si può dire che S. Francesco di Sales abbia passato tutta la sua vita a confessare, consigliare e predicare incessantemente, anche fuori diocesi. Sono rimasti celebri i suoi quaresimali a Digione, Chambéry e Grenoble, durante i quali convertì tanti eretici e peccatori. Scrisse oltre 2000 lettere, la maggior parte di direzione spirituale. Particolarmente preziosa è la corrispondenza con S. Giovanna de Chantal (1572-1641) che incontrò nel 1604 a Digione al termine della quaresima, e con la quale fondò ad Annecy nel 1610 l’Ordine della Visitazione sotto la regola di S. Agostino. Possediamo i 21 Trattenimenti spirituali da lui avuti con la prima comunità, raccolti dalle ascoltatrici è pubblicati nel 1639. Frutto della Visitazione è soprattutto il Teotimo o Trattato dell’Amor di Dio, iniziato dal santo nel 1607 e stampato a Lione nel 1616 in seguito alle insistenze della Chantal e delle sue figlie. L’opera in 12 libri è riservata alle anime “capaci di Dio”, e quindi chiamate ad elevarsi al sommo della contemplazione mistica. Benché nella prefazione di questo capolavoro l’autore dichiari: “Ho pensato soltanto a rappresentare con semplicità e naturalezza, senz’arte e senza fronzoli, la storia della nascita, del progresso, della decadenza, delle operazioni, delle proprietà, dei vantaggi e dell’eccellenza dell’amor divino”, si rivela un classico della lingua francese per l’originalissima forma letteraria, la lingua ricca e precisa, lo stile brillante e attraente, a parte qualche difetto che prelude al secentismo.
In occasione delle trattative di matrimonio tra Vittorio Amedeo, principe di Piemonte, e la sorella di Luigi XIII, Cristina di Francia, S. Francesco di Sales fu costretto a dimorare a Parigi dall’ottobre 1618 al settembre 1619, al seguito del cardinale Maurizio di Savoia, fratello del principe. In quel periodo, per soddisfare la pia avidità della folla, dovette salire il pergamo quasi tutti i giorni. Fu ricercatissimo anche per la direzione spirituale, e molto venerato da S. Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), Madre Angelica Arnauld, badessa giansenista di Port-Royal, il card. Giacomo Davy Duperron, celebre controversista, l’oratoriano Carlo de Condren e Addano Bourdoise, apostolo della formazione del clero. Gli fu proposta, per deciderlo a stabilirsi in Francia, la ricca abbazia di S. Genoveffa, poi la coadiutoria di Parigi, ma inutilmente. Ritornatesene in sede, S. Francesco di Sales ottenne che il fratello Giovanni Francesco fosse eletto suo coadiutore.
Nel novembre 1622, benché si fosse rimesso da poco da una grave malattia, dovette accompagnare il duca di Savoia alla corte di Luigi XIII. Prima di partire per Avignone dettò il testamento, presago della morte imminente. Al seguito dei due sovrani riuniti passò a Lione dove trascorse l’ultimo mese di vita. L’11 dicembre conferì brevemente per l’ultima volta con la Madre di Chantal verso la quale aveva sempre nutrito, diceva, “un amore del cuore, ma non del cuore di carne, bensì del cuore della volontà”. Il 27 fu colpito da apoplessia e il 28 santamente spirò. Il P. Giovanni Fonder S.J. gli aveva suggerito di dire con S. Martino: “Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso il lavoro”. Il santo gli aveva risposto, sorpreso: “Io necessario? No, no, io sono un servo del tutto inutile, inutile, inutile!”
Le sue reliquie sono venerate ad Annecy con quelle della Gnaulai nella chiesa della Visitazione. Alessandro VII lo beatificò il 28-12-1661 e lo canonizzò il 19-4-1665. Pio IX lo dichiarò dottore della Chiesa nel 1877 e Pio XI lo proclamò Patrono dei giornalisti nel 1923.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 287-292.
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